Racconto
Le
ragioni di Giove
Mi
trovavo una volta in una cittadina dell’Europa del Nord della quale, per i motivi che capirete più avanti, non posso fare il
nome. Stavo trascorrendo un lungo periodo di vacanza in questa amena località,
posto ideale per rilassarsi e ritemprarsi delle fatiche di tutto l’anno e,
ogni giorno, dopo il pranzo, amavo dedicarmi alla lettura del giornale nel
parco, seduto su di una comoda panchina all’ombra di un gigantesco platano.
Erano parecchi giorni che avevo preso questa piacevole abitudine e, oramai,
non vi avrei più rinunciato per nulla al mondo, almeno fin quando le
vacanze non sarebbero finite. Ogni giorno, proprio di fronte a me, sedeva un
vecchio signore incanutito e dall’aria distinta. Era piuttosto corpulento,
aveva i capelli folti e lunghi e una barba lunga e curata, candida come la neve,
gli incorniciava il volto. Spesso i nostri sguardi si incrociavano ed egli
accennava un timido saluto che ricambiavo con cortesia, poi entrambi ci
addentravamo nella lettura, ma, di tanto in tanto, i nostri sguardi tornavano ad
incrociarsi.
C’era in quel vecchio
qualcosa di straordinario, di misterioso ma, nel contempo, nobile che non
riuscivo a decifrare. Più lo guardavo e più mi sentivo attratto da
quell’uomo strano. Prima di andare via lo salutavo ed egli, con un cordiale
sorriso, ricambiava il saluto. La curiosità e il desiderio di saperne di più
su questo mio occasionale amico crescevano di giorno in giorno, ma non osavo
chiedergli chi fosse, né mi sembrava discreto chiedere ad altri notizie sul suo
conto.
Un giorno, per una
inspiegabile, fortuita circostanza, ci ritrovammo entrambi a chiudere e
ripiegare il giornale contemporaneamente, ad alzarci dalla panchina e accennare,
con perfetta sincronia, il consueto saluto. La cosa ci divertì e strappò ad
entrambi un sorriso mentre ci avviavamo per la stessa strada. Ad un certo punto
il signore mi si avvicinò apostrofandomi in perfetto italiano: “A quanto vedo
lei è italiano, mi disse accennando a “l’Unità” che stringevo tra le
mani, conosco molto bene l’Italia e gli Italiani.”
“Si, gli risposi, effettivamente sono italiano, ma anche lei non mi
sembra del luogo o sbaglio? Sa, la
sua persona mi ha sempre incuriosito, ma non ho mai
osato chiederle chi fosse e
il perché di quell’aria austera e triste su un volto da persona saggia e
buona quale lei mi sembra”.
Il vecchio sorrise con
amarezza poi rispose .“ Si, effettivamente non sono del luogo. Sono greco e
esule, ma so che di lei mi posso fidare e voglio raccontarle la mia storia , la
mia triste storia. E’ da molto che sento il bisogno di sfogarmi con qualcuno,
confidargli la mia amarezza , le mie pene. Magari domani quando ci ritroveremo
al parco, se la cosa non la disturba, inizierò
il mio lungo, sofferto racconto”.
Colpito dal tono e dalla
piacevole sorpresa , rimasi per qualche attimo inebetito. Poi lo ringraziai per
la fiducia che riponeva in me e risposi che avrei ascoltato con piacere la sua
storia e che il giorno dopo mi sarei fatto trovare, puntuale come sempre, al
parco. Ci salutammo con trasporto e ci avviammo ai nostri alberghi.
Il mattino dopo mi
svegliai molto presto in preda ad una strana agitazione. L’ansia mi rendeva
quasi febbricitante e mi sorpresi più volte a consultare meccanicamente
l’orologio le cui lancette sembravano non volessero saperne di andare
avanti . Il tempo passava con una lentezza esasperante.
Giunsero finalmente le
tredici. Consumai in fretta il pasto e mi avviai al parco a grandi passi.
Arrivai venti minuti prima dell’orario consueto e mi misi a passeggiare
nervosamente nei pressi della solita panchina. Finalmente vidi spuntare da
lontano la testa canuta del misterioso vecchio che si avvicinava a passi lenti,
ma sicuri. Giunse nel luogo ove io
l’attendevo , mi salutò cortesemente e mi fece cenno di sedermi con lui sulla
stessa panchina , cosa che io feci di buon grado poi, con voce solenne, mi
disse:” Il mio nome è Giove, si, proprio Giove, il padre degli dei, avrà
certamente sentito parlare molte volte di me.” Fu
come se fossi stato colpito dalla folgore ; tentai di parlare , ma
la voce non mi usciva .
Riuscii appena a balbettare:” Lei , il padre Giove , ma co….?”. “Si ,lo so , le sembrerà strano , ma sono ormai molti secoli che vago esule per il mondo insieme ai miei figli ed ai miei fedeli collaboratori dal giorno in cui fui spodestato, cacciato dall’Olimpo e costretto a nascondermi nei luoghi più sperduti. Ovviamente confido nella sua discrezione e spero non vorrà tradirmi, ma sentivo l’estremo bisogno di raccontare a qualcuno la vera storia della mia vita, l’origine delle mie disgrazie e ristabilire un po’ di verità nella storia delle religioni. Lei lo sa, vero , la storia le scrivono sempre i vincitori e, purtroppo , la scrivono come a loro conviene ecco perché non posso più tacere”. Lo rassicurai della mia discrezione giurando che mai e poi mai lo avrei tradito, anche perché, lo confesso, la mia innata vigliaccheria mi faceva temere per qualche folgore vagante che il vecchio Giove avrebbe potuto ancora scagliare, come ai vecchi tempi e che avrebbe potuto incenerirmi nel caso non avessi mantenuto fede alla parola data. ”Naturalmente , continuò, lei dovrà far conoscere al mondo la storia che sto per raccontarle, altrimenti queste nostre conversazioni non avrebbe senso , solo che dovrà aver cura di omettere ogni particolare che possa farmi individuare dai miei nemici che hanno occhi e orecchie dappertutto . Le stesse precauzioni dovrà adottare anche per ciò che riguarda i miei colleghi e i miei collaboratori che, come me, sono a rischio.”
Peppino Nesci - Fori Romani
Ribadii
la mia intenzione di rispettare la promessa e lo rassicurai sul fatto che avrei
fatto conoscere al mondo la storia ed egli, rinfrancato, riprese: “Vede, amico
mio, il mio unico torto è stato quello di avere sempre amato tanto, troppo,
forse, la democrazia. La mia modestia e la libertà che ho concesso agli uomini
, il non aver mai fatto promesse assurde di paradisi, premi eterni eccetera,
tutto ciò mi è stato fatale. Da sempre gli uomini temono e apprezzano i
dittatori, i demagoghi, i populisti, ma sono pronti a disprezzare i giusti, i
democratici, quelli che non promettono miracoli, quelli che non cercano il
potere a tutti i costi, ne sapete qualcosa voi in Italia.
Dai
tempi remoti (come lei sa noi siamo immortali) con i miei colleghi, Buddha e
Manitù ci eravamo divisi il mondo. A me era toccata l’Europa, l’Africa
settentrionale e l’Asia minore, agli altri due rispettivamente l’Asia e
l’America del Nord. Ma noi tre eravamo magnanimi, ci accontentavamo; lungi da
noi l’idea di prenderci tutto e, infatti, ampie zone dell’Africa,
dell’Europa del Nord, della stessa Asia, l’America del sud le avevamo
lasciate a colleghi meno noti e
meno fortunati di noi. Allora si viveva e si regnava in perfetta concordia: mai
una guerra di religione; ognuno adorava liberamente il suo dio e il libero culto
era consentito anche, come dire?, nelle nostre zone di influenza e il fanatismo
religioso, l’integralismo erano banditi. Poi tutto è precipitato, tutto è
finito. A Buddha gli è andata anche bene, ma per me e per Manitù è stata la
fine. Io sono stato costretto all’esilio, a nascondermi come un volgare
malfattore e il povero Manitù è costretto a vivere in incognito in una riserva
indiana travestito da venditore di hot dog, che pena!
Io
avevo organizzato il mio regno molto bene: aveva una sua sede immersa nel verde
dell’Olimpo, un Gabinetto competente, funzionale e compatto con una efficiente
burocrazia. La mia era una vera monarchia costituzionale. Mi fa ridere il signor
Montesquieu con la sua idea della suddivisione dei poteri: io c’ero arrivato
decine di secoli prima, altro che stato moderno!……… Beh, insomma, un po’
di potere lo accentravo anch’io, ma sa, in fondo molti dei erano miei figli,
insomma c’era la necessità a volte di frenarne l’esuberanza. Lei dirà:
“Ma allora anche nel suo regno allignava la mala pianta del nepotismo?” Si,
lo ammetto, ma era un nepotismo blando, qualche piccolo privilegio ma niente di
più; all’epoca non c’erano i conti in banca ed i paradisi fiscali o le
società off shore. Si, insomma l’auto di servizio (allora era il cocchio
alato),
qualche stupida ripicca con il conseguente "Lei non sa chi sono io!", qualche piccola licenza sentimentale sull’esempio del
padre (modestamente con le donne ho avuto sempre successo), insomma peccatucci
veniali frutto più del narcisismo che della smania di arricchirsi o dello
smodato desiderio del potere.
Ai
miei tempi avevo creato decine e decine di ministeri (forse un po’ troppi per
la verità) e ogni mio ministro riceveva deleghe molto ampie. La burocrazia
ministeriale era abbastanza efficiente e gli affari procedevano bene. Certo,
anche allora nelle scelte politico – religiose, ogni tanto c’era qualche
contrasto, qualche conflitto tra i vari ministri, ma erano problemi facilmente
risolvibili. Anche noi, per fare un esempio, abbiamo avuto qualche problema per
una maledetta mela, ma, insomma …., ha provocato una guerra che è durata
dieci anni, qualche lutto, la distruzione di una città, la morte di
qualche guerrafondaio esaltato come Achille, come Patròclo, come lo stesso
Ettore, io stesso ci ho rimesso qualche figlio come il povero Sarpedonte, ma
poi, insomma….., è finita lì, i danni tutto sommato, sono risultati
limitati, circoscritti, mica come la mela del mio successore che ha inguaiato
tutto il genere umano e, ancora oggi, gente che nemmeno conosce quella maledetta
vicenda ne subisce le conseguenze.”
Peppino Nesci - La distruzione di Troia
Le
argomentazioni del vecchio Giove, per quanto di parte, mi sembravano abbastanza
sagge e, più andava avanti, più lo ascoltavo con interesse. “Vede, continuò,
con Minerva alla sapienza, mai che ci sia stata una disfunzione, una riforma
contestata, un ciellino qualsiasi che si sia permesso di criticare un
provvedimento. E le poste? Accidenti se funzionavano le poste quando se ne
occupava Mercurio!…… La posta prioritaria! Mi fanno ridere queste trovate
moderne! E dire che allora non avevamo neppure il fax o la mail box! E poi le
guerre! Erano guerre più folkloristiche che cruente; le battaglie erano più
spettacoli che combattimenti veri e
propri; per ammazzarci si impiegavano a volte molte
ore, ci si ammazzava con una lentezza esasperante. Le guerre più
sanguinose al massimo provocavano un centinaio di morti. E questo perché Marte
ha sempre bandito le armi chimiche, le mine anti uomo, i proiettili all’uranio
e le altre armi micidiali che si adoperano adesso.Insomma tutto funzionava alla
perfezione, ogni settore dell’amministrazione era organizzato benissimo e
anche i sottosegretari si davano da fare. Ecco, se una critica forse si poteva
fare alla mia monarchia era quella del numero spropositato di sottosegretari: le
Muse, Ebe, Maia, le Parche, le Ninfe, i Dioscuri, insomma un po’ troppi, lo
riconosco, ma, sa, l’amministrazione di un regno com’era il mio era un bel
po’ complessa e poi a me piaceva delegare ogni cosa, così mi restava tempo a
disposizione per qualche scappatella”, ridacchiò il vecchio Giove. “E,
invece, guardi adesso: una monarchia assoluta da far impallidire l’”Ancienne
regime”; tutto nelle mani sue e del figlio! Si, è vero, ci sono anche adesso
molti sottosegretari, ma non contano quasi nulla. Alcuni tra i più capaci, come
Giuseppe e Gennaro li hanno fatti fuori, declassati, emarginati, altri li hanno
promossi, ma non hanno alcuna delega.”
Mentre
il padre degli dei parlava osservavo l’amarezza che stravolgeva quel volto
sereno e disteso che avevo
conosciuto nei giorni precedenti. Il rimpianto, non tanto della perdita del
potere, quanto per la fine di un
mondo felice che non esisteva più, doveva essere veramente forte.
“E
la giustizia? Vogliamo parlare della giustizia?, riprese il padre degli dei.
Adesso si parla tanto di lentezza della giustizia, di lunghezza dei processi. Ai
miei tempi la certezza della pena era un problema risolto da sempre, i
dibattimenti penali rapidi, le condanne eque e immediatamente eseguite. Le
potrei citare centinaia e centinaia di esempi: Tantalo, Sisifo, Prometeo…..
decine e decine di rei puniti adeguatamente e rapidamente.
Vede, amico mio, ai miei tempi i ladri, per esempio, venivano puniti
severamente: pensi un po’ a Prometeo, altro che Tangentopoli!”
“Ecco,
cercai di obiettare, padre Giove, una delle critiche che le viene mossa spesso
è proprio l’eccessiva severità mostrata in alcune circostanze. Per esempio,
con Prometeo non le sembra di avere calcato un po’ la mano? In fondo la sua
era un’azione a fin di bene; gli uomini avevano assoluto bisogno del fuoco.
Non crede che tra il furto del fuoco e quello della mela nell’Eden non ci sia
poi tanta differenza dal punto di vista etico? Eppure lei, poco fa, è stato
eccessivamente polemico nei confronti del suo successore per il fatto della
mela.”
“No,
amico mio, se ci riflette bene si renderà conto che tra i due episodi ci sono
differenze notevoli. Nel caso di Prometeo si trattò di un classico caso di
spionaggio industriale. Non del desiderio di conoscenza, della voglia di
apprendere nuove cose, di scoprire, ricercare, ma del furto di una invenzione già
bella e confezionata. Certo, gli
uomini avevano bisogno del fuoco ed io glielo avrei dato, ci mancherebbe. Ma
l’invenzione era coperta da brevetto e i diritti, come lei ben sa, si pagano.
Se si deroga da questo principio è il caos economico finanziario, quale società
investirebbe più nella ricerca scientifica? Comunque io mi limitai a punire
l’autore del furto evitando di punire anche i suoi discendenti o gli uomini
che poi utilizzarono il fuoco. L’altro
no, l’altro per una mela (che poi era solo la voglia di conoscenza) non solo
è stato molto severo con quei due poveri ragazzi nell’Eden, ma ha punito e
continua a punire anche adesso i suoi discendenti e tutto il genere umano, una
cosa inaudita! Insomma è come se, fra tremila anni, continuassimo a punire i
discendenti dei politici di tangentopoli (che, fra l’altro, come lei ben sa,
non hanno mai fatto un giorno di carcere) e tutti i militanti dei partiti che ne
discenderanno per le colpe dei loro antenati. E poi lei può immaginare come
sarebbe stato l’uomo senza quella mela, senza, cioè, la conoscenza, la
scienza, lo stimolo a scoprire, inventare, ricercare sempre nuove soluzioni,
innovazioni. Insomma non sarebbe stato un uomo, ma un fantoccio, un pupazzo, una
marionetta, un burattino senza fili, ma sempre un burattino. Che senso avrebbe
avuto allora creare un pupazzo capace solo di obbedire, senza un briciolo di
autonomia, di orgoglio, di amor proprio, di volontà, di voglia di formarsi una
personalità autonoma? E questo legittimo desiderio, questo anelito di libertà
è stato sempre bollato, chissà perché, come superbia, come se un figlio che
decidesse di vivere autonomamente la propria vita senza seguire le orme e i
desideri del padre, nuotando in un mare aperto, fosse solo per questo un uomo
superbo.. Ma poi, quello che non capisco è che non so come facciano gli uomini
a tollerare il proibizionismo, questa cappa opprimente
e che, pure, molti accettano di buon grado. Prendiamo la sfera sessuale:
è mai possibile che una cosa bella e salutare come il sesso debba essere
considerato un peccato mortale solo perché qualche pastore ebreo un po’
misogino ha deciso così? E’ giusto, è serio, è accettabile il voler
criminalizzare a tutti i costi chi fa sesso? E’ logico che si pretenda di
decidere quando, con chi, in che modo uno possa far sesso, entrare, addirittura,
nei dettagli tecnici, insomma intromettersi così pesantemente nella vita
privata di ogni uomo? Delle due l’una: o ci troviamo in presenza di un regime
autenticamente totalitario che vuole perfino mettere il naso nelle alcove o le
prescrizioni in materia di sesso, il proibizionismo, il peccato, i sensi di
colpa sono invenzioni di una burocrazia ottusa e invidiosa e Dio non c’entra
niente in tutto questo. Il sesso, dia retta a me che l’ho molto praticato (per
Bacco se l’ho praticato) è una
attività bella e salutare e, recentemente, lo ha confermato anche un uomo assai
autorevole.
“Comunque,
continuò Giove, ci sarebbe da discutere per mesi e mesi ma ora voglio anche
parlarle dei soprusi che io e gli altri dei abbiamo dovuto subire, delle
espropriazioni, delle umiliazioni che ci sono state inferte. Quanti nostri
progetti, quante nostre realizzazioni, quante feste, quanti templi, quanti
luoghi di culto ci sono stati espropriati e sono stati fatti passare per idee,
progetti, realizzazioni degli altri. Prendiamo ad esempio la discesa all’
inferno per resuscitare i morti sbandierata come chissà quale impresa: ebbene,
Orfeo aveva fatto la stessa cosa molto tempo prima senza tanto rumore. E pensare
che non era nemmeno un dio! Vogliamo parlare di feste? Ebbene, parliamone pure!
Prendiamo il Carnevale: cos’ è il Carnevale? Una imitazione in fotocopia dei
Saturnali, le celebri feste in onore di Saturno. Ma si poteva continuare a
lasciare celebrare una festa in onore di mio padre? No, è chiaro che gli
usurpatori non lo avrebbero permesso e allora che ti fanno? Gli cambiano il nome
e il mese da dicembre a marzo; sempre tre giorni di festa, stessi riti, stesso
significato, identiche motivazioni, nome e periodo diverso,
e, in più, l’agganciano alla Quaresima e alla Pasqua. E le feste di
Maia? Altra appropriazione indebita: ora sono diventate un’ altra festa, non
so bene come le chiamano “mese……….mese……..boh?”
Mentre
parlava si fermò per indicarmi una donna alta e robusta che passava proprio in
quel momento per il viale centrale del parco spingendo una carrozzina con un
bambino dentro. “Vede quella donna lì? Si, quella che spinge la carrozzina?
Ecco quella è Giunone. Povera donna costretta a trovarsi un lavoro da baby
sitter! E quella ragazza lì,
seduta su quella panchina, si proprio quella in minigonna con la camicetta bleu,
si, ecco, quella: è Venere. Adesso lavora in un beauty-center. Vulcano invece
lavora in un’ azienda metalmeccanica in un paesino vicino, mentre Nettuno si
è imbarcato come marittimo su una nave da crociera. Insomma, ognuno di loro,
per fortuna, ha trovato un lavoro dignitoso e anch’ io me la cavo abbastanza
bene dando lezioni private di greco agli studenti liceali. Il solo Bacco, ormai
alcolizzato, è diventato un clochard. Dorme sui marciapiedi della stazione e
vive di elemosine. Che pena, povero dio! Ma torniamo al discorso precedente.”
“Già, feci io, mi diceva di luoghi di culto espropriati.” “Certo, amico mio, molti il conosce anche lei. Il Pantheon, lei sa cos’ era, vero? Un tempio dedicato a ai nostri dei e poi cos’è diventato?: la chiesa di Santa Maria ai Martiri. E il tempio di Hera Lacinia a Capo Colonna? Che c’è ora a Capo Colonna, a due passi dai ruderi del tempio? Ma come, io pagano ho la rivelazione che un luogo è sacro, mi lo rivela una mia dea, ci costruisco un tempio e poi vieni tu e mi dici: “No, qui la tua dea non c’entra, tu sei un pagano ignorante, è la mia divinità che tutela questi luoghi!:”
Colonna del tempio di Hera Lacinia a Capo delle Colonne (Kr)
E
in centinaia e centinaia di altri posti? Vede, io non nego agli altri il diritto
di costruirsi i loro templi, i loro luoghi di culto, ci mancherebbe, ma perché
proprio sui nostri e distruggendo i nostri? Perché si è voluto a tutti i costi
cancellare ogni traccia della nostra presenza, ogni retaggio del nostro culto?
Perché se non per spirito di sopraffazione, per presunzione, per integralismo,
per affermare la propria superiorità sugli altri: “Noi siamo la verità, noi
siamo nel giusto, gli altri sono solo dei volgari
impostori dei quali bisogna fare sparire ogni traccia”. Questo modo di
ragionare è all’origine di ogni guerra di religione; sono questi e non altri
i motivi scatenanti delle guerre di religione: il voler a tutti i costi
negare le ragioni dell’altro, irridere al suo credo, mentre non si dubita
nemmeno un attimo della propria fede. Ciò
porta al fanatismo e all’estremismo religioso. Ma io dico:
ti vuoi costruire il tuo bel tempio, la tua bella cattedrale, la tua
bella moschea? Benissimo! Cercati un luogo libero, un luogo dove non ci sono
altri retaggi, altre testimonianze religiose e costruiscilo lì il tuo luogo di
preghiera, così non disturbi nessuno e nessuno disturba te. Perché devi andare
a piazzarti dove c’è già qualcuno? Ecco, queste sono le cose che non
capisco.”
Mentre
mi esponeva queste sue considerazioni, lo sguardo di Giove
si volse verso un cespuglio di ibiscus dietro il quale si intravedeva un
giovane paffutello e biondo con i i riccioli che gli cadevano sulla fronte.
“Vede quel giovane, mi disse additandolo discretamente, quello è Cupido. Se
ne sta tutto il giorno ad oziare ai giardini pubblici annoiandosi a morte: guai
a scagliare una freccia!, ne andrebbe di mezzo la libertà e la sicurezza di
tutti noi. Capisce perché oggi la gente non si innamora più?” Guardai a
lungo Cupido, poi volsi lo sguardo su Venere, stupenda nella sua minigonna
mozzafiato e poi, più in là, lo sguardo cadde su Giunone che cullava il
bambino nella carrozzina. Una
sensazione di angoscia e di impotenza mi assalì repentinamente: provavo
improvvisamente una struggente nostalgia per quel mondo che avevo imparato a
conoscere attraverso le pagine di Omero e che ora, per uno strano scherzo del
destino, mi si era improvvisamente materializzato, parato innanzi, anche se
attraverso il racconto patetico di quello che una volta era stato il padre degli
dei, l’Altitonante Giove e che ora era solo un povero vecchio costretto a
nascondersi, bistrattato e vilipeso. Un
groppo mi stringeva la gola. Meditavo sulle sagge parole del padre degli dei e
le sentivo sempre più vere, sempre più foriere di libertà, di tolleranza, di
civile e pacifica convivenza. All’improvviso mi ritrovai inginocchiato
dinnanzi al vecchio. Gli presi le mani, gliele baciai rigandole di calde
lacrime. “Grazie, padre Giove, mi ritrovai a dirgli, lei mi ha aperto gli
occhi, mi ha dato una grandissima lezione di vita. E’ vero, anche la storia
delle religioni è stata scritta dai vincitori e per i vincitori, si sa, le
ragioni dei vinti non esistono. Ma noi sappiamo benissimo che l’amore, la
pace, la stima, la tolleranza, la reciproca comprensione sono inconciliabili con
il fanatismo, l’integralismo, la certezza di avere in tasca la verità e la
luce. Grazie per la fiducia che ha avuto in me e per aver voluto confidarsi con
un comune mortale come me.” A questo punto Giove si alzò, mi costrinse ad
alzarmi a mia volta e mi disse: “Grazie a lei, amico mio, ecco, da secoli
sentivo il bisogno di sfogarmi con qualcuno e credo di aver avuto la fortuna di
incappare nella persona giusta. Faccia conoscere al mondo questa storia, non
perché io voglia tornare sul trono degli dei, so benissimo che ciò non accadrà
mai, ma per ristabilire un po’ di verità. Io, intanto, per quel che può
valere, voglio impartirle la mia benedizione.” Dette queste parole mi abbracciò
a lungo, poi si staccò da me e, lentamente, si avviò verso l’albergo.
Il
giorno dopo tornai come sempre al parco, ma del vecchio Giove non v’era più
alcuna traccia. Così ancora per altri cinque giorni. Poi, finite le vacanze,
tornai in Italia portando negli occhi e nel cuore l’immagine del padre degli
dei. E ora, a distanza di qualche mese, mi sono deciso a mantenere l’impegno
assunto pubblicando la storia del mio incontro con il grande vecchio.
Giuseppe Marino