Canzone disperata

 

Francesco e Ninetta si amavano timidamente, pudicamente, sempre sotto l’occhio vigile della madre di lei, dei fratelli, delle sorelle, così come ci si poteva amare in quel lontano 1866 in un paesino come Caccuri, appollaiato sulla sua rupe, fra cornici di ginestra e siepi di rovi e di lentischio, ma si amavano profondamente.

Il giovane contadino cercava e sfruttava ogni occasione per incontrare l’amata quando col barile in testa o la “rancella” in mano, andava ad attingere l’acqua a San Liborio o a Canalaci o quando, nel pomeriggio, “civava” i maiali a Filezzi.  Francesco si nascondeva dietro un albero, dentro una grotta, in un crepaccio e da lì sorprendeva Ninetta baciandola furtivamente, a volte anche spaventandola. La ritrosetta fingeva di arrabbiarsi mentre un pudico rossore le incarnava le guance, ma in cuor suo gioiva di quella oramai consueta, gradita sorpresa e il tutto il suo essere palpitava d’amore. La sera Francesco si presentava a casa dell’innamorata e, quando i maschi andavano a letto per potersi alzare presto al mattino, Francesco si sedeva al lato del caminetto. Ninetta si accoccolava al lato opposto e la madre, in mezzo, vegliava, a suo modo, sulla virtù della figlia lottando disperatamente col sonno che, ogni tanto, la faceva “cimare”. E quando za Rosina cedeva un poco al sonno reclinando la testa in avanti, i due giovani si scambiavano sguardi languidi e carichi d’amore, mentre le mani, dietro la schiena di za Rosina, si sfioravano carezzevoli scatenando turbini di passioni represse. Poi, quando la testa dell’anziana madre cadeva più violentemente del solito e il mento colpiva con più forza la punta del petto, la povera donna si ridestava di botto, prendeva il coraggio a due mani e costringeva il giovane innamorato a sgombrare il campo. Francesco scendeva rapidamente i cinque gradini del “vignano”, girava sul retro della casa e si acquattava sotto la finestra illuminata della stanzetta che Ninetta divideva con la sorella  Maria.  Ninetta lo sapeva e si affacciava e il fidanzato, da sotto, le mandava baci appassionati che la facevano arrossire di piacere. La vita scorreva tranquilla e i due ragazzi pensavano con impazienza al giorno in cui avrebbero finalmente potuto coronare il loro sogno d’amore.

Un giorno d’aprile, quando la natura era in festa e Francesco cercava come non mai i baci di Ninetta, i carabinieri scesero alla Judeca e bussarono alla porta di zu Rosario per dirgli che “il coscritto Procopio Francesco doveva partire soldato e che fra tre giorni doveva presentarsi alla caserma di Cotrone.”

La notizia si diffuse in un baleno e gettò nella disperazione i due innamorati. Quello era l’ultimo giorno che potevano vedersi; il mattino dopo Francesco doveva partire per un viaggio di due giorni per raggiungere Cotrone. Avrebbe dovuto guadare il Matasse alle Monache,  il Lepre, il Neto, camminare per impervi sentieri sotto un sole impietoso e dormire all’adiaccio. E, dopo Cotrone,  chissà cosa lo attendeva.

Il giovane e tutti i paesani maledivano il nuovo re, questo re piemontese che aveva cacciato il povero Francischiello e che aveva messo la tassa sul pane e ora si prendeva anche i giovani per quattro anni a fare il soldato. Le ore trascorsero tristi e la sera, quando il ragazzo si congedò dalla promessa sposa e dai parenti, si sentì strappare il cuore dal petto. Calde lacrime solcavano il volto pallido di Ninetta, mentre Francesco cercava di nascondere il dolore affrettando i tempi del distacco. Più tardi le cantò la più struggente delle serenate e fu quello il loro addio.

…………………..

Un giorno del mese di giugno in paese si diffuse una terribile notizia. Don Nicola aveva letto sul giornale che gli arrivava da Cotrone una volta la settimana, che lontano, verso Verona, c’era stata una grande battaglia tra i piemontesi e i tedeschi. I piemontesi erano stati sconfitti e c’erano stati tanti morti e tra loro anche tanti soldati meridionali che combattevano con i piemontesi.

Quando Ninetta seppe la notizia si sentì morire. Un triste presentimento le sconvolse l’esistenza e la fanciulla si convinse che anche il suo Francesco, che da mesi non aveva più dato notizie di sé, era sicuramente tra i morti. Passarono molti giorni e del ragzzo non si seppe più nulla. Allora Ninetta cominciò a deperire a vista d’occhio. Non faceva altro che piangere; non toccava più quasi cibo, le gote diventavano sempre più pallide, il fisico sempre più gracile e debole, mentre la giovane si lasciava lentamente morire. A nulla valsero le cure di don Vincenzo, il medico del paese che tentava disperatamente di strapparla alla morte. E un triste giorno di ottobre Ninetta chiuse per sempre i suoi bellissimi occhi azzurri.

Qualche giorno dopo, verso le dieci di sera, lungo il sentiero che da Gallea saliva per Pavia fino alla Destra, un militare avanzava a passi veloci. Nella destra stringeva un fagotto, mentre la mano sinistra impugnava una chitarra. Il soldato si portò sotto quella che era stata la finestra della povera Ninetta e si mise a cantare una festosa serenata. Aspettava, come sempre, che un tenue chiarore dietro i vetri venisse ad annunciargli il prossimo affacciarsi dell’amata, ma la finestra rimase a lungo chiusa e buia. Verso la fine della serenata sentì un pianto disperato, poi la finestra si spalancò, apparve Maria che, tra le lacrime, raccontò al povero giovane la triste fine dell’amata. Francesco si sentì morire, poi, pazzo di dolore e di rabbia, corse via e scomparve nel buio.

Il mattino dopo tutto il paese seppe del ritorno del soldato, ma nessuno, nemmeno i genitori, riuscirono a vederlo. Lo cercarono a lungo nei dintorni del paese, ma non lo trovarono. La notte si udì una voce straziante che intonava una commovente canzone che diceva:

“Frinesta ca lucia e mo nun luci

criu ca la mia bella sta malata.

S’affaccia la sorella e mi lu dicia

Dicia “Ca la tua bella è morta e sutterrata

 

E si la vo virire n’atra vota,

è alla cappella re la Nuzziata.

Le rose re la faccia su spremute

E c’è rimastu ‘u giallu , ohi chi peccatu!”

 

Ohi surici re la sepoltura,

ve pregu, a Ninetta mia nun la toccati

ch’all’ ottu jorni vegnu e de la vita

de la vita mia patruni siti.”

 

Qualche notte dopo si udì un colpo secco di moschetto provenire dalla collina dell’Annunziata, il luogo dove veniva seppellita la povera gente. Il mattino dopo trovarono il corpo di Francesco che giaceva supino, in una pozza di sangue, sulla tomba di Ninetta.  

 

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