Mastro Vincenzo scende  all'Inferno

soggetto di Vincenzo Drago

rivisitato e sceneggiato da Giuseppe Marino

Mastro Vincenzo Drago (1902-1972)

All’improvviso si sentì chiamare. Mastro Vincenzo rimase con la mazzetta a mezz’aria mentre l’altra mano stringeva lo scalpello ancora appoggiato al granito.” Mastro Vincenzo , Mastro Vincenzo”, continuava la voce di donna che  aveva interrotto il duro lavoro dello scalpellino. Mastro Vincenzo posò mazzetta e scalpello e risalì il pendio tra la cava e il sentiero sovrastante andando incontro a Teresina che, trafelata, era accorsa alla cava e che ora si sporgeva dal ciglio della stradina per chiamare lo spaccapietre. “Mastro Vincenzo, disse la donna in evidente stato di agitazione , dovete far presto, Raffaelino sta male, molto male!“. Mastro Vincenzo tirò un sacramento poi disse alla donna di avviarsi verso casa ché l’avrebbe raggiunta sulla strada, dopo aver avvisato della sua assenza il padrone della cava. Un paio d’ore dopo lo scalpellino era al capezzale del bimbo che ansante e sudato , delirava per la febbre : la spagnola stava per mietere un’altra vittima. Il responso del medico non lasciava molte speranze: solo somministrando al piccolo una costosa medicina c’era qualche speranza di salvarlo, ma mastro Vincenzo non aveva i soldi per comprarla. Avanzava dei soldi per un  lavoro che aveva fatto a San Giovanni, ma aveva poche speranze di incassare qualche lira e acquistare la medicina.

Disperato e con la morte nel cuore si avviò per Eydo e Gimmella alla volta di San Giovanni in Fiore dove contava di arrivare in un paio d’ore nel tentativo di procurarsi  soldi e medicine, ma ci credeva poco. Ad  ogni passo l’angoscia e la disperazione crescevano, mentre si inoltrava nella fitta boscaglia. Aveva appena lasciato alle spalle il passo di Gimmella e stava per avviarsi lungo la discesa che lo avrebbe portato nella  cittadina florense, quando incontrò un uomo a cavallo.  Era un tipo piuttosto corpulento, aveva i capelli corvini e sopracciglia folte. Le mani grandi  ed  affusolate, stringevano le redini. Fermò il cavallo a qualche metro di distanza dallo sfinito mastro Vincenzo, poi lo apostrofò:” Buon giorno, buon uomo, dove andate così trafelato?, vi vedo stanco ed avvilito, cos’è che vi angoscia?,  parlatene, parlatene con me, forse posso aiutarvi”. Lo scalpellino scoppiò in lacrime e gli raccontò la sua triste storia e della quasi impossibilità di salvare il figliolo.

“Non preoccupatevi, buon uomo, riprese il misterioso cavaliere, andate pure tranquillo in farmacia , vi do io il denaro che vi serve, però voi dovrete venire a lavorare con me per qualche giorno. Comprate le medicine portatele al bambino, poi tornate immediatamente indietro. Io vi aspetto in questo stesso posto per portarvi nel luogo di lavoro”. Ciò detto estrasse dal portafoglio una banconota e    la porse a mastro Vincenzo che,  felice per l’insperata fortuna, si precipitò lungo la discesa, raggiunse San Giovanni in Fiore, comprò la medicina e, due ore dopo, era già sulla via del ritorno verso Gimmella: Nel pomeriggio ritrovò il suo benefattore . “Bene, vedo che rispetti i patti, disse l’uomo, ora possiamo raggiungere il posto di cui ti ho parlato. C’è solo un piccolo particolare, aggiunse, per portarti dove dobbiamo andare dovrò bendarti; non voglio che altra gente venga a conoscenza della strada per raggiungere il posto e poi magari ritrovarmi assediato da torme di disoccupati in cerca di lavoro.  Intanto poso assicurarti che il bambino sta meglio e che fra due giorni sarà perfettamente guarito.”

Mastro Vincenzo, grato per l’aiuto che aveva ricevuto, si lasciò docilmente bendare. Il benefattore lo fece salire sul suo cavallo, dietro di lui e il destriero si avviò al galoppo. Lo scalpellino ebbe la sensazione che il cavallo si impennasse come se si librasse in cielo poi, dopo qualche minuto, gli sembrò che avesse iniziato una lunga discesa . Alla fine si rese conto che l’animale aveva posato ancora una volta gli zoccoli sul terreno per fermarsi. Il benefattore lo sbendò e lo fece scendere dal cavallo. Al povero artigiano apparve uno scenario irreale: una plaga immensa e desertica costellata da enormi cataste di legna, mentre in lontananza si intravedevano ovunque fumo e fiamme che mandavano sinistri bagliori rossastri. L’uomo misterioso lo condusse vicino ad una delle tante cataste dove erano legate quattro mule. “Servendoti di queste quattro mule, gli disse, indicandogli una montagnola, devi trasportare tutta questa legna su quella collina e sistemarla  nello spiazzo che vi si apre. Questo è il tuo lavoro.”

Mastro Vincenzo guardò le mule e si rese conto che non avevano il basto. “Come farò a caricarle, chiese al padrone, non vedo basti in giro.”  “Non servono basti, gli rispose Lucifero (del principe dei demoni infatti si trattava), servendoti di questa accetta farai la punta a quattro pali e, quando saranno bene appuntiti, li conficcherai nei loro fianchi inclinandoli leggermente, così potrai caricare tutta la legna che vuoi.”  “Ma come, padrone, obiettò timidamente l’artigiano, se le infilzo con i pali appuntiti certamente moriranno, com’è possibile questa cosa?”   “Non preoccuparti, rispose il diavolo, non moriranno, fai come ti ho detto e andrà tutto benissimo. Adesso però ti lascio al tuo lavoro, vado a controllare il lavoro degli altri operai. Fra un paio di giorni torno qui da te.”

Mastro Vincenzo, un po’ perplesso, si accinse all’opera. Appuntiti i primi quattro pali per benino e li conficcò nei fianchi della prima mula che se ne stette tranquilla e docile come se le carni non fossero state le sue. Lo stesso fece con la seconda e la terza. Poi le caricò di legna e quelle si avviarono da sole per la strada. Allora l’operaio preparò i pali appuntiti da conficcare nei fianchi della quarta mula e stava per farlo. “Ahi, ahiii, Vincenzino mio, come sei diventato crudele, esclamò la mula, non hai dunque alcuna pietà di me?” Mastro Vincenzo, terrorizzato, lasciò cadere il palo che aveva in mano; un sudore gelato gli imperlava la fronte, poi, balbettante, si rivolse alla mula che lo aveva rimproverato: “Chi sei tu che parli con voce di donna? E come fai a conoscermi?”. “Si, rispose la donna, ti conosco, ti conosco, sono Rosina la ricciolina, l’amica di tua nonna, ti ricordi di me? Ora sono un’anima dannata.  Insieme alle altre tre mie amiche siamo condannate a questo supplizio, a farci lacerare le carni  nelle sembianze di mule e a trasportare legna per l’eternità per un grave peccato commesso in vita. “ Mastro Vincenzo sudava freddo: “Allora questo è l’inferno, esclamò angosciato e che peccato avete commesso in vita per meritare un castigo così crudele?” “Si, siamo all’inferno, Vincenzino mio, e colui che ti ha condotto qui sul suo superbo destriero è Lucifero, il principe dei demoni, il terribile signore di questo luogo di pena. Ti sei cacciato veramente in un brutto guaio, ragazzo mio, ma io ti insegnerò come uscirne, come sfuggire al diavolo e tornare sulla Terra in salvo.  Io e le mie compagne siamo qui per espiare la terribile colpa di essere state tutte amanti del prete. Anche lui, povero uomo, sotto le spoglie di mulo, è condannato a trasportare legna per l’eternità mentre quattro arpie gli lacerano continuamente le carni che una volta  godevano delle nostre carezze.” “Mastro Vincenzo ebbe un brivido mentre un rivoletto gelato gli scorreva lungo la schiena. “Che terribile castigo, esclamò  lo scalpellino, ma non c’è nessuna possibilità di liberarsene?, questa pena finirà qualche volta?” “No, ragazzo mio, continuò sospirando la mula peccatrice, per noi non ci sarà perdono, la nostra pena è eterna, ma tu puoi salvarti, puoi tornare sulla Terra e vivere tranquillamente la tua vita. Fra qualche giorno, quando Lucifero tornerà a controllare il lavoro, tu chiedigli il permesso di tornare per una settimana a casa tua perché hai voglia di rivedere il figlioletto e tua moglie. Promettigli che dopo una settimana tornerai e vedrai che lui ti accorderà il permesso. Allora ti benderà e ti riporterà sulla Terra. Appena ti sbenderà segnati col segno della croce. A quel punto si scatenerà un temporale terrificante, ti sembrerà la fine del mondo, ma tu sarai in salvo e il demonio non potrà più nulla su di te. Io e le mie amiche ti aiuteremo ad eseguire il lavoro a puntino in modo che Lucifero non abbia a lamentarsi di te e sia meglio predisposto nei tuoi confronti.” Detto ciò Rosina la mula si avviò col suo carico lungo il pendio.

Tre giorni dopo, quando il principe delle tenebre tornò a controllare il lavoro, non poté trattenere un “ohh” di meraviglia e lodò lo scalpellino per lo zelo e la serietà mostrata. Mastro Vincenzo approfittò della buona disposizione di quel buon diavolaccio per sottoporgli la richiesta di un ritorno a casa per rivedere il figlioletto. “Si, rispose Lucifero, credo che tu abbia diritto ad una settimana di riposo da trascorrere col tuo bambino, ma devi promettermi che alla fine della settimana tornerai qui. Oramai mi sei indispensabile, non saprei più fare a meno della tua opera.”  Lo spaccapietre promise che sarebbe tornato e che il lavoro non lo spaventava. “Benissimo, riprese il diavolo, ora ti benderò e ti riaccompagnerò nel luogo dove ci siamo incontrati. Ti lascerò lì, tu tornerai a casa e, dopo una settimana, ci incontreremo al solito posto ove io verrò a prelevarti per riportarti qui.”

Mastro Vincenzo si ritrovò bendato e in groppa al cavallo che riprese il volo e, dopo qualche minuto,  posò gli zoccoli sull’erba di Gimmella. Lucifero sbendò l’operaio e lo salutò. Lo scalpellino allora si voltò e,  lestamente, si fece il segno della croce. Fu come se esplodesse l’universo: uno spaventoso tuono fece tremare la terra, mentre decine di lampi squarciavano il cielo divenuto all’improvviso tenebroso. Una pioggia gelida e battente martellava i fiori e le piante, mente Lucifero, in groppa al suo focoso destriero spariva in una nuvola inseguito dai lampi.  Mastro Vincenzo, investito da una forza misteriosa, si ritrovò a Campo di Manna, a decine di chilometri da Gimmella, nel folto di una fitta boscaglia nella quale regnava una calma irreale violata  solo dal cinguettio degli uccellini che svolazzavano nel cielo azzurro di una giornata primaverile. Frastornato, ma felice, lo scalpellino si avviò verso casa dove giunse il giorno dopo accolto festosamente dal figlioletto perfettamente guarito e dalla moglie preoccupata per l’inspiegabile assenza.

 

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