Il novellatore |
Nei
primi decenni del secolo scorso, ma anche fino alla fine degli anni
’50, quando l’avvento della televisione, che pure ha avuto un
ruolo insostituibile nella diffusione della cultura e
nell’unificazione linguistica degli Italiani (parliamo ovviamente
della grande televisione degli anni ’50 e ’60, quando ancora la Rai
non scimmiottava gli insulsi e volgari programmi della televisione
commerciale e i programmi li facevano Garinei e Giovannini, Antonello
Falqui, Alessandro Blasetti, Sandro Bolchi, Luigi Comencini e recitava
gente come Walter Chiari, Gino Bramieri, Turi Ferro, Salvo Randone, Tino
Buazzelli, Gastone Moschin ed altri grandi dello spettacolo e scusate se è
poco!) non aveva ancora spinto la gente a rinchiudersi nella propria
casa, nei
nostri paesi esisteva una figura molto amata e molto stimata: il
novellatore.
Quando
la gente, soprattutto nelle lunghe sere invernali, si radunava intorno
al caminetto di una delle case della "ruga" per "spostare",
cioè passare il tempo in compagnia, gli anziani
della famiglia chiamavano ad allietare la serata uno dei novellatori del paese che raccontava, a puntate, con maestria e
grande
capacità di recitazione, uno dei grandi romanzi della letteratura
italiana o straniera. Così i presenti pendevano dalle labbra di quest’uomo colto,
di questo artista improvvisato che sapeva appassionare e commuovere i
suoi uditori. Ricordo ancora come se fosse oggi, quando, ragazzino,
mi accoccolavo ai piedi dei grandi per ascoltare con attenzione il
brigadiere Nesci che ci raccontava le gesta di Occhi rossi o di Orlando
o le vicissitudini del povero Renzo e della povera Lucia vittime della
malvagità di don Rodrigo. Ricordo
il mio disappunto quando, ad una certa ora, il brigadiere “chiudeva la
puntata” dandoci appuntamento alla sera successiva e l’ansia con la
quale aspettavo che facesse di nuovo buio e riprendesse il filo
interrotto del racconto, un
disappunto solo in parte mitigato dal fatto che finito per quella sera
il racconto, ci si poteva dedicare a mangiare tranquillamente una
patata o una castagna arrostita senza paura di perdersi
qualche passaggio dell’avvincente romanzo.
Scene
di un mondo che fu, quando la vita sociale del paese era ancora integra,
le famiglie non erano ancora state disgregate del tutto dalla seconda,
spaventosa ondata migratoria degli anni
’60 e la televisione non aveva ancora spinto la gente a rinchiudersi
in casa beandosi del proprio "isolazionismo" e del proprio esasperato
individualismo.
Dei
grandi novellatori caccuresi ne ricordo solo due: il primo, Francesco
Pirito, molto vagamente, il secondo, il brigadiere dei carabinieri
Agostino Nesci, più distintamente. Francesco Pirito, detto Franciscu ‘e Giulia (figlio di Giulia), era un contadino autodidatta molto colto, padre del segretario comunale cavalier Luigi Antonio Pirito, quindi nonno di Nino e Fausto Pirito, giornalisti e critici musicali. Oltre a conoscere le decine di romanzi che narrava nelle lunghe serate caccuresi, era anche un bravo cantante, famoso per la sua interpretazione del “Canto del Passio” che intonava la Domenica delle Palme nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, ma anche per gli altri canti religiosi. Quella dei canti religiosi era una passione che condivideva con il figlio Salvatore che, assieme a Gigino Pasculli, Orlando Girimonte, Salvatore Gigliotti ed altri amici caccuresi partecipava ogni anno al “Giro della Croce”, la via crucis notturna del Venerdì Santo che faceva seguito alla processione con Cristo nella bara e l’Addolorata che si svolgeva nella prima parte della serata.
Il brigadiere Agostino Nesci, padre del grande pittore Peppino Nesci, originario del reggino, si era stabilito con la famiglia nel nostro paese, dove faceva servizio nella locale Stazione dei Carabinieri, agli inizi degli anni ’30. Anch’egli conosceva tanti romanzi che sapeva “sceneggiare” in modo avvincente e sapeva interrompere sapientemente la narrazione proprio in quei momenti particolari nei quali l’attenzione e la partecipazione degli ascoltatori era al massimo per stimolare la curiosità e rendere più palpitante l’attesa della “prossima puntata” della sera successiva.
Entrambi
i novellatori di vi ho parlato erano persone abbastanza istruite,
in ogni caso colte, cioè in possesso di quella cultura che altro non era
che conoscenza profonda e pratica quotidiana dei valori della civiltà nella quale
vivevano: i valori dell’amicizia, della stima e del rispetto
reciproco, della solidarietà, della religione che professavano.
Purtroppo
questo mondo e queste figure non esistono più ed ora siamo costretti,
ahinoi, ad isolarci, rinchiuderci in noi stessi, a trascorrere le nostre
serate appassionandoci alle vicende di qualche insulsa telenovela o a
guardare un cosiddetto talk show o qualche stupido programma
contrabbandato per varietà. Ovviamente si può anche optare per la
lettura di qualcuno di quei grandi romanzi o di qualche opera di un
autore contemporaneo, ma non tutti hanno la possibilità o la voglia di
farlo e, soprattutto, ci manca quel calore umano e quell’atmosfera che
solo i grandi novellatori erano in grado di creare.
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