Tutte
le date, le canzoni, i personaggi, i segreti e
i “santuari” dei tour di Vasco.
Tutto quello
che avete sempre sperato di leggere sul
Blasco e la sua band, in scena e backstage. Cosa
dicono e cosa hanno scritto di lui i
giornalisti di tre generazioni rock.
Testimonianze
esclusive dei collaboratori:
Andrea Braido, Stef Burns, Mimmo Camporeale, Roberto
Casini, Gaetano Curreri, Guido Elmi, Giovanni
“Johnny” Gatti, Claudio Golinelli, Andrea
Innesto, Giovanni Pinna, Alberto Rocchetti,Enrico
Rovelli, Tania Sachs, Maurizio Solieri, Diego
Spagnoli, Daniele Tedeschi, Dino Vitola.
In appendice,
una mappa illustrata e spiegata delle
rarità discografiche che ogni fan sogna di avere.
METTI, UN
MONDO SENZA VASCO...
Provate
a immaginare un mondo senza Vasco Rossi. Un mondo senza Albachiara. Un
mondo senza quel luogo della mente che tutti noi conosciamo come “vita
spericolata”. Che razza di mondo sarebbe? Provate a immaginarlo, se ci
riuscite. Ecco perché, durante uno dei concerti 2010 del Blasco,
rivedendo intorno a lui i compagni che da sempre condividono il suo
destino, è nata l’idea di realizzare questo libro che contiene la
ricostruzione dettagliata di tutti i suoi tour e non solo. Passando per
incontri, fatti, aneddoti ed emozioni, abbiamo ripercorso la parabola
artistica e umana di uno degli artisti rock italiani più significativi
di sempre, parabola che si intreccia inevitabilmente con la vita
personale e musicale dei più stretti collaboratori. Le vicende legate
all’on the road di Vasco e della sua combriccola sono lo specchio
degli ultimi 30/40 anni di storia del nostro rock e costume; e
intervistare i suoi collaboratori è stato come rievocare le tappe di un
viaggio fantastico nella memoria collettiva. Alla fine, come in un
grande puzzle, le tessere vanno al loro posto; per comporre non
un’agiografia, non una santificazione bensì un ritratto originale e
inedito di Vasco Rossi, personaggio capace di gesti imprevedibili,
capace di donarsi senza se e senza ma. Con tutti i suoi pregi, con tutti
i suoi difetti.
In questo libro troverete gli uni e gli altri.
Riconoscerete la sua genialità e la sua grande dolcezza ma anche
l’irascibilità, la rabbia in corpo e i colpi di testa di una rockstar
che, in fondo in fondo, non si prende mica troppo sul serio. Un mix
contraddittorio di sentimenti ed emozioni. Una miscela inimitabile che
esplode solo e sempre sul palco e che in qualche modo, alla soglia dei
sessant’anni, il Blasco usa come antidoto per esorcizzare la
solitudine di cui soffre profondamente. Una solitudine infinita. Che però
è anche “la sua migliore amica”.
Allora? Provate a immaginare un mondo senza Vasco, se ci
riuscite! Sarebbe come tentare di immaginare un mondo senza la fantasia.
E senza fantasia, di sicuro si muore un po’ prima.
Fausto Pirito
Fausto Pirito ( a destra; a
sinistra il giornalista e scrittore caccurese con Vasco Rossi)
Un pezzo di Fausto per MusicaStrada
L'amico Fausto Pirito ci ha
fatto mandato un emozionante pezzo da lui scritto su richiesta di
un'associazione musicale toscana, MusicaStrada, che racconta la
sua vita " on the road" che ha come sottofondo la più bella
musica scritta e suonata dalle più grandi star musicali italiane e
mondiali. Dicevamo di un pezzo emozionante perché la vita avventurosa e
le esperienze di Fausto, (fra l'altro mio coetaneo, oltre che compaesano
dal momento che condividiamo anno e luogo di nascita) furono il
sogno e "l'alimento" di almeno un paio di generazioni che
ebbero la ventura di crescere e maturare la loro esperienza nei
"mitici" anni '60, gli anni dei Beatles , dei Rolling Stones,
di un boom economico che, pur tra tanti squilibri e contraddizioni e al
prezzo dello spopolamento ed del degrado del Mezzogiorno d'Italia
a vantaggio del Nord, contribuì a migliorare le condizioni economiche
di tanta povera gente, dei sogni e delle speranze di milioni di
ragazzi. Il giovane caccurese, come traspare dal suo pezzo, visse quegli
anni, intensamente, attivamente, cogliendone l'intima essenza,
maturando grazie all'incontro con tante culture, con tanti uomini di
cultura e di spettacolo, assaporandone, oserei dire, il retrogusto .
In questo senso possiamo dire che la vita e le "avventure" di
Fausto rappresentano la realizzazione di ciò che in tanti abbiamo
sempre sognato per cui non riusciamo a nascondere una "punta di
invidia" per la fortuna, ma anche per la bravura del nostro amico.
Nel pezzo che pubblichiamo in altra pagina del sito Fausto racconta
come, attraverso le cover di Duilio Del Prete, imparò a conoscere e ad
amare le canzoni di Jacques Brel come Le bourgeois, una canzone che poi
Fausto fece conoscere a noi poveri ragazzi di Caccuri e che tante
volte cantammo assieme allo stesso Fausto e a Giovanni Spatafora nella
sezione del PCI o per le strade di Caccuri, così come qualche anno
prima il fratello Nino ci aveva fatto conoscere ed apprezzare la
bellissima "Bocca di rosa" che egli ebbe "l'ardire",
agli inizi degli anni '60, di cantare addirittura sul palco della festa
del patrono.
Nelle prossime settimane uscirà nelle librerie , a cura dell'editore
Giunti, un nuovo libro di Fausto Pirito su Vasco Rossi. Sono sicuro che,
anche con quest'ultimo lavoro il nostro amico e conterraneo saprà
entusiasmarci e farci provare emozioni intense e dolcissime.
Peppino
Marino
IL
DIARIO DI MUSICASTRADA
Fausto
Pirito una vita sulle strade della musica tra
auto
biografia e cronistoria in pillole di alcuni
cambiamenti
del costume italiano attraverso la musica
di
Fausto Pirito
Fausto Pirito ( a destra
il giornalista caccurese con Vasco Rossi)
Fausto
Pirìto, calabrese, è nato il 29 settembre
1950 a Caccùri, borgo medievale della Sila Jonica.
Laureato in Giurisprudenza, cronista
dei quotidiani "La Nazione" di Firenze e
"Il Tirreno" di Livorno dal '70 al '75, poi redattore
di Tele Libera Livorno. E'
stato vice-
caporedattore del mensile "Tutto Musica
&Spettacolo", direttore artistico del Contest
"Rock Targato Italia" e garante del festival
"Brescia
Music Art". Ideatore del “Tributo ad Augusto Daolio”, nel 2000
ha pubblicato il
libro
"In viaggio con i Nomadi - 7 anni on the road (Giunti Editore)”.
Dal 2010 è free lance
e
vive in Toscana.
PRIMA
PARTE
UNA VITA SULLE STRADE DELLA MUSICA
Poter
vivere di musica è un sogno. Una chance che sicuramente non capita a
tutti. Io sono
stato
fortunato e la musica, non quella suonata bensì quella “raccontata”
attraverso i
media,
è diventata la mia professione.
Il
primo approccio alla fine degli Anni 50. Mio fratello Nino, allora
quattordicenne, aveva
cominciato
a suonare una chitarra Eko. Nino, grande fan di Elvis e Paul Anka, mi
fece
conoscere
il rockʼnʼroll e il blues. A quei tempi vivevamo a
Castelplanio, un paesino
incantato
sulle colline marchigiane dove si produce il Verdicchio. Da lì, nel
1961, ci
trasferimmo
a Cecina. Mio fratello fece combutta con altri ragazzi della zona
fino a formare
un
complesso, come si diceva allora, che chiamarono The Friends. Ricordo
ancora la loro
divisa
di scena, fatta di pantaloni neri e giacca di pailletts oro scintillante
con bavero di
raso,
rigorosamente nero.
Era
l'alba del beat e “gli amici” si esibivano con un certo
successo, soprattutto d'estate, nei
locali
della costa livornese, come il mitico Ciucheba di Castiglioncello. Io
ogni tanto andavo
a
sentirli suonare e mi divertivo soprattutto alle prove. Il loro cavallo
di battaglia, “Diana” di
Paul
Anka mi riecheggiava nella testa insieme alle hit dell'epoca che
facevano da
sottofondo
a quella stagione un po' naïf, che poi passò alla storia del
costume italiano
come
“l'era del (falso) boom” economico. Una specie di “dolce
vita” in riva al mare, tra
“Guarda
come dondolo”, “I Watussi” e cover di successi internazionali
quali “Stand by Me”,
“Tower
of Strenght” e “If You Gotta Make a Fool of Somebody”, che il
folle Celentano fece diventare “Pregherò”, “Stai lontana da me” e “Il problema più
importante”. Intanto,
sull'onda
dei Beatles e dei Rolling Stones, in Italia spuntavano gruppi come
funghi: dai
Nomadi
all'Equipe 84, ai Giganti, ai quali si affiancavano band
d'importazione come
Rokes,
Primitives, The Renegades e Procol Harum.
Nel
1967, con la mia famiglia mi trasferii a Pontedera e un paio d'anni
dopo iniziai a
frequentare
lo Shys Club, un locale-sala da ballo dove suonava con la sua band un
gran
bel
chitarrista conosciuto come l'Astronomo. La sbornia del “boom”
era passata, il
movimento
studentesco del '68 aveva cancellato la spensieratezza, ma i sogni
del
“peace&flowers”
stavano invadendo il mondo e cominciavano a farsi largo anche nella mia
vita.
Nel 1970 feci il primo vero viaggio, non ancora da frikkettone ma quasi.
Con un
amico,
dal luglio all'ottobre girammo tutta Europa in autostop,
raggiungendo Capo Nord e
ridiscendendo
dalla Finlandia per passare poi in Svezia, Polonia e Cecoslovacchia.
Ricordo
che la colonna sonora di quel trip fu “In the Summertime” dei Mungo
Jerry e “Let It
Be”
dei Beatles, che ascoltai per la prima volta a Stoccolma. Quel viaggio
fu un'esperienza
illuminante.
Rientrato in Toscana con Sten, un ragazzo di Boston che avevamo
conosciuto
a
Cracovia e che girava tranquillamente il mondo con un sacchetto di
marijuana legato alla
cintura,
cominciai a collaborare con i quotidiani della zona mentre frequentavo
Giurisprudenza
a Pisa.
Come
Cecina negli Anni 60 era stata lo specchio della società e del comune
pensare di
quei
tempi, Pontedera, con le sue fabbriche, i suoi operai e i ragazzi della
“piazzetta”
rappresentava
perfettamente la realtà conflittuale che si viveva allora in
Italia. Con un
minuscolo
“gruppo anarchico”, che avevamo chiamato “Ilpastonudostudio” in
onore di
William
Burroughs e del suo racconto intitolato appunto “The Naked Lunch”,
cominciai a
vivere
più di notte che di giorno. Tra letture quali “Trattato del saper
vivere a uso delle
giovani
generazioni”, manifesto dei Situazionisti francesi, e “The
Psychedelic Experience”
di
Timothy Leary, la musica che accompagnava le nostre interminabili
elucubrazioni sulla
vita,
sullʼamore e sulla morte era quella di Cat Stevens o dei King
Crimson con qualche
concessione
(leggi “I semafori rossi non sono Dio”) a un amico che ogni tanto
veniva a
trovarci
e a sbronzarsi con noi. Quell'amico era Gino Paoli. Io, che avevo
imparato a
strimpellare
la chitarra, andavo però letteralmente pazzo per Duilio Del Prete e per
le sue
cover
delle canzoni di Jacques Brel come “Les bourgeois” (“I borghesi
sono dei porconi
più
diventan vecchi meno sono buoni / i borghesi sono dei porconi più
diventan vecchi più
sono
coglioni”, tanto per capirci). “Il pastonudostudio” in un paio
d'anni si consumò e morì
di
morte naturale. Così io, orfano dei “compagni di sbronza” ma sempre
più animale della
notte,
mi ritrovai a condividere la “piazzetta” pontederese con nuovi
“compagni di strada”.
Furono
per me anni intensi, di lotte proletarie, di viaggi in Palestina, ancora
in Nord Europa
poi
in Marocco, e non mi feci mancare neanche una indimenticabile esperienza
di lavoro
che
mi portò prima in Algeria e poi in Germania da mozzo, imbarcato sulla
Saas Fee
Monrovia,
una carboniera battente bandiera liberiana.
La
vita e i viaggi con “la banda della piazzetta” mi aprirono
lʼorizzonte verso la musica
psichedelica,
dai Jefferson Airplane ai Pink Floyd, dai Gong ai Grateful Dead passando
per
il rock di Soft Machine, Cream, Doors, Led Zeppelin, Hendrix, Traffic,
Genesis,
Santana,
Mahavisnhu Orchestra, Incredible String Band, con rare aperture a
italiani come
gli
Area, il Battiato sperimentale e il Guccini più politicizzato. Poi, nel
1977, arrivò il punk e
i
Sex Pistols spazzarono via tutto e tutti…
Alla
fine del 1979, una mattina che scesi dal letto con il piede
giusto, la mia vita cambiò radicalmente.
Mio fratello Nino, che nel frattempo aveva lasciato la musica cantata e
suonata
ed era diventato giornalista, mi telefonò indirizzandomi a un suo
collega milanese
che
stava mettendo su una redazione per un nuovo settimanale di tv e musica.
Io, che nel
1975
avevo fatto parte dello staff di Tele Libera Livorno, secondo Nino
potevo essere
adatto
per quella iniziativa. Andai a Milano un poʼ prevenuto (che c'entravo
con un giornale che faceva capo allo stesso editore di “Tv Sorrisi e Canzoni”?). In
Corso Europa, dietro
Piazza
del Duomo, conobbi il mio futuro direttore, Daniele Jonio, critico raffinato
di jazz e
grande
affabulatore. Daniele mi convinse ad accettare, dicendomi: “Capisco le
tue
perplessità,
ma per combattere il Sistema forse è meglio farlo da dentro che non
autoescludendosi.
Vieni a lavorare con me e vedrai che in futuro ti passerà sotto al naso
il
meglio
della musica italiana e non solo”. E così è stato.
La
mia piccola-grande truffa del rock&ndroll.
Il
punk non l'ho mai capito, ma l'ho sempre rispettato. Non fosse
altro che per lo slogan
“Fuck
the System”. Infatti, il mio scopo, andando a lavorare a Milano, era
proprio di
appropriarmi
di uno spazio all'interno dei media e da lì, sfruttando le enormi
potenzialità
della figura di giornalista, portare avanti una operazione di
contro-informazione. Il destino
volle
che la prima intervista importante affidatami fosse quella a
Roberto Vecchioni. Lo
incontrai
all'aeroporto di Linate, appena tornato dalla Sardegna dove aveva
tenuto una
serie
di concerti. Alla fine di uno di questi, Vecchioni era stato
denunciato per aver fumato
uno
spinello con alcuni suoi fan. La cosa fece scalpore, così il servizio
si trasformò in una
opportunità
per fare chiarezza tra droghe leggere e droghe pesanti. Concetto di non
poco
conto
per quei tempi, quando l'opinione pubblica era solita “fare di
tutta l'erba un fascio” (e
la
citazione della parola “erba” è naturalmente voluta). Anche con
Vasco Rossi, che ho poi
conosciuto
bene quando ormai ero passato dal settimanale televisivo a un mensile
nazional - pop
(“Tutto Musica & Spettacolo”), non mancarono le occasioni per
affrontare
argomenti
simili. Un servizio-intervista con lui, lo intitolai: “Te la ricordi
la rivoluzione
psichedelica?”
e nel botta e risposta Vasco andò giù duro contro i benpensanti che in
lui e
quelli
come lui vedevano il diavolo. Era il 1984. Con il Rossi e quelli della
sua Steve
Rogers
Band riuscii a stabilire un bel rapporto fatto di amicizia e interessi
comuni.
Rapporto
poi rinsaldato nel tempo, fino ad arrivare a oggi.
Giorno
dopo giorno, come aveva pronosticato il direttore Jonio, il lavoro mi
dava sempre
più
spesso la possibilità di conoscere il fior fiore della
musica di casa nostra. De Gregori,
Alice,
Dalla, Pino Daniele, Edoardo Bennato, ancora Battiato, Guccini…
fino ad arrivare a
Fabrizio
De André. E anche gli artisti stranieri cominciavano a fare capolino.
Nel maggio
dell'85,
inviato a Parigi, mi capitò di fare due incontri-intervista importanti:
il primo con
Sting
in occasione del lancio del suo straordinario Lp di esordio come
solista, “The Dream
of
the Blue Tartles”, l'altro con Bill Wyman dei Rolling Stones che
stava promovendo un
disco
tutto suo, i cui introiti erano destinati alla ricerca medica. Ma, anche
per dare spazio
a
un mio giovane collega, negli anni successivi preferii continuare a
coltivare il mio “orto”
italiano.
Nel
1987 feci causa alla Silvio Berlusconi Editore, giocando il tutto per
tutto. Da tempo
svolgevo
il ruolo di capo-servizio. Per riconoscermelo, il direttore editoriale
dell'epoca mi
propose
di lasciare il sindacato (allora ero fiduciario di testata della
redazione di “Tutto
Musica”).
Naturalmente non accettai e alla fine del 1989 riuscii a vincere
la causa. Per
reazione,
l'editore decise di sollevare il direttore del mensile dal suo
incarico, visto che
davanti
al giudice aveva ammesso le mie funzioni. E, ancora per reazione, il
nuovo
direttore
mi convocò per dirmi a quattr'occhi che era stato mandato lì
“per farmi fuori”. Non
mi
scomposi. Continuai a fare il mio lavoro da capo-servizio e dopo un paio
di mesi riuscii
a
conquistare la sua fiducia. Quello che doveva essere la mia
“fine” si rivelò un colpo di
fortuna.
Un anno dopo, ecco un nuovo direttore che stavolta mi dà carta bianca
per la
confezione
del giornale.
“Tutto
Musica” a quei tempi poteva contare su oltre 200mila copie di
diffusione che corrispondevano
a un milione di potenziali lettori. Avere fra le mani un mezzo di
comunicazione
così potente e seguito, soprattutto dai teenager, mi premise di
diventare
direttore
artistico del contest “Rock Targato Italia” insieme con Stefano
Ronzani, uno dei
più
apprezzati giornalisti italiani di musica rock che lavorava per il
settimanale “Mucchio selvaggio”. Il nostro connubio funzionò alla grande, soprattutto per
merito di Stefano che
accettò
di collaborare con me, capo-redattore “in pectore” di un giornale
nazional -
popolare.
Con Ronzani cominciai a bazzicare gli ambienti dellʼunderground.
Dal 1991 al
1995
passarono nella nostra rassegna gruppi come Gang, Rats, Litfiba,
Timoria, Casino
Royale,
Moda, Avion Travel, Ritmo Tribale, Rocking Chairs, Settore Out, Karma,
Extrema,
Casino Royale, Gang, Timoria, Diaframma, Marlene Kuntz, Estra, Scisma, Radio
Fiera,
Suburbia,
Frangar Non Flectar, Massimo Volume, Umberto Palazzo e il Santo Niente,
Interno
17, Vanadium… ai quali affiancavamo nomi conosciuti o agli
albori del successo,
dai
C.S.I. agli Skiantos, a Eugenio Finardi, dai Modena City Ramblers a
Carmen Consoli,
Negrita,
Ligabue. Spesso la manifestazione si svolgeva in locali “border line”
come Il
Sorpasso
e l'Indian Saloon di Milano. E poteva capitare che in quegli stessi
posti
transitassero
anche grandi artisti stranieri da Peter Gabriel (che a quei tempi si
occupava
principalmente
di musica etnica) a gruppi ancora sconosciuti in Italia (i Pearl Jam, ad
esempio,
si esibirono per la prima volta nel nostro Paese proprio al Sorpasso
davanti a un
pubblico
di qualche decina di persone).
Fausto
Pirito una vita sulle strade della musica
Nomadi
la solidarietà e il Nuovo Millennio
Musica &
solidarietà
Grazie
al buon nome che ci eravamo fatti, io e Ronzani venimmo eletti
rispettivamente
presidente
e vice presidente del Gruppo Giornalisti Musicali, in pratica l'associazione
dei
critici
del Centro-Nord Italia. Forti di questo nuovo incarico, alle
fine del 1992 decidemmo
di
mettere il nostro potenziale di comunicazione al servizio di cause
per noi giuste. Così,
un
amico come Gianni Maroccolo dei C.S.I. decise di registrare un cd
della collana
“Frammenti”
dedicandolo alla lotta per la libertà del Tibet e al rispetto dei
diritti umani nel
Paese
delle Nevi. Da quel momento, e per tutti gli Anni 90, riuscimmo a
organizzare una
trentina
di concerti a favore della “causa tiebatana” in collaborazione
con l'Associazione
Italia-Tibet,
di cui ero diventato consigliere nazionale e responsabile dell'ufficio
stampa.
Una ulteriore svolta si verificò per me sempre alla
fine del 1992. Il 7 ottobre morì Augusto
Daolio
dei Nomadi. Io lo avevo conosciuto grazie a Renzo Maffei. Renzo,
pontederese,
compagno
di avventure di vecchia data, era stato protagonista delle lotte
operaie degli
Anni
70, sempre sulle barricate, in mezzo a tutte le battaglie
politiche di quei tempi,
guerriero
a difesa della libertà, dei diritti umani. Fra le sue tante
iniziative c'era anche
“Salaam
Ragazzi dell'Olivo”. Renzo mi parlò, con lo slancio che lo
caratterizzava, di quella
Associazione
che lui aveva creato per aiutare i bambini palestinesi nei
territori occupati da
Israele
e del sostegno che Augusto Daolio aveva dato alla fine degli
Anni 80 a “Salaam” scrivendo
una canzone dedicata a questo tema, poi pubblicata come singolo.
Da parte
mia,
visto che con il giornalismo ho sempre cercato di dare voce a chi
non ne ha, di far
parlare
i fatti e le cose intorno a gente che altrimenti non avrebbe l'opportunità
di farsi
ascoltare,
pensai che quella sarebbe stata unʼoccasione buona per tutti:
per “Salaam”, per
i
Nomadi che avevano perso il loro leader con il rischio di
scomparire dalla scena
musicale,
per me che così potevo dare un senso compiuto al mio mestiere.
Decisi allora di
contattare
Beppe Carletti, il tastierista e co-fondatore del gruppo emiliano,
proponendogli
di
lanciare il Premio “Tributo ad Augusto” con lʼappoggio
del Gruppo Giornalisti Musicali.
Una
manifestazione che, per non far dimenticare Daolio, di anno in
anno avrebbe
assegnato
a un personaggio, protagonista della musica italiana, una Targa e
una somma
di
denaro da destinare ad Associazioni umanitarie. Decidemmo di
“coinvolgere”, con una
certa
incoscienza ma con un ritorno d'immagine sicuro, l'allora astro
nascente Jovanotti e
l'operazione
prese il via.
Sono passati vent'anni da allora e il “Tributo” è diventato
un appuntamento che tutti gli
anni,
intorno al 18 febbraio, data del compleanno di Augusto, richiama a
Novellara, vicino
Reggio
Emilia, oltre 10mila persone. Fra gli artisti premiati nelle prime
edizioni: 99 Posse,
Agricantus,
Litfiba, Massimo Bubola, Samuele Bersani, Daniele Silvestri
e, in questi ultimi
anni,
Elisa, Roberto Vecchioni, Ligabue, Zucchero, Biagio Antonacci… L'anno
prossimo
celebreremo
il ventennale e già stiamo lavorando per questo.
Grazie
al “Tributo” cominciò anche il mio girovagare nel mondo al
fianco dei Nomadi.
L'idea era semplice: in nome di Augusto, decidemmo di portare con
la musica un
messaggio
di partecipazione e solidarietà a popoli e situazioni sociali
“dimenticati” dalla
storia
e dalle cronache. Dal 1993 al 1999 facemmo tappa con concerti e
manifestazioni in
Cile
(“gemellati” con gli Inti Illimani), Cuba, India (dove
incontrammo il Dalai Lama del
Tibet),
Palestina (a Gaza fummo ricevuti nel suo “bunker” dal
presidente Arafat), Chiapas
(con
noi venne anche Jovanotti), South Dakota, Perù, Marocco e
Albania. Intorno a tutte
queste
esperienze, nel 2000 pubblicai un libro intitolato “In viaggio
con i Nomadi – 7 anni
on the
road” (Giunti Editore): il mondo con tutti i suoi problemi è il
grande paesaggio sullo
sfondo
di questo libro, un tuffo ai quattro angoli del pianeta, un
“diario di bordo” con i piedi
piantati
a terra ma con la testa ancora piena di ideali. Unʼultima
annotazione: nel 1995,
grazie
alla disponibilità della casa discografica dei Nomadi,
facemmo uscire il cd “Tributo
ad
Augusto” che raccoglie le cover dei successi del gruppo emiliano
interpretate da Alice,
C.S.I.,
Dennis & The Jets, Teresa De Sio, Gang, Inti Illimani,
Ligabue, Modena City
Ramblers,
Gianna Nannini con i Timoria, Elio Revé y Su Charangon ed Enrico
Ruggeri.
Francesco Guccini,
perla fra le perle, accettò di partecipare concedendoci una sua
versione
d'epoca di “Noi non ci saremo” cantata con i Nomadi. L'operazione
andò bene:
oltre
100mila le copie vendute e un risultato economico non
trascurabile. Dei 150 milioni
netti
guadagnati, 50 andarono a “Salaam Ragazzi dell'Olivo”, 50 ai
bambini tibetani nati in
esilio
in India e 50 ai “moleques de rua” di San Paolo del Brasile.
Il nuovo
Millennio
Da
una decina d' anni a questa parte, le cose sono cambiate. La
musica “raccontata” dai
magazines
ha sempre meno spazio e credibilità; da quella “suonata”, per
la verità, mi sono
lasciato
coinvolgere un po' meno. Così, dopo un'esperienza triennale come
garante
artistico
del “BresciaMusicArt” (il festival della “contaminazione fra
le arti” ideato da Omar
Pedrini,
ex leader e chitarrista dei Timoria), nel 2003 ho lasciato
“Tutto Musica &
Spettacolo”
e sono tornato a occuparmi di tv e dintorni. Se a questo
aggiungete l'attuale
scenario
imbarazzante della stampa italiana, forse giustificherete il
mio essermi “tirato
fuori”
dalla professione. Nel corso di questo ultimo anno ho scritto “a
quattro mani”, con un
giornalista
molto più giovane di me, un libro su Vasco Rossi e la sua attività
“live” dalla fine
degli
Anni 70 a oggi (sarà pubblicato a metà giugno ancora per Giunti
Editore). Infine, con
l'appoggio
di Franco Battiato, mi sto occupando della ipotesi di costruzione
di un villaggio-
monastero buddista nei dintorni di Pomaia (il primo in Europa
sullo stile di quelli tibetani): un'operazione
impegnativa che potrebbe andare in porto entro il 2020! Dunque, di
cose e di
idee ne ho ancora tante in testa, e “il tempo ora è dalla mia
parte”! Infatti, dalla primavera
del 2010 sono in regime di “fine vacanza mai” (la parola “pensione”
la lascio ai poveri
di spirito): mi sono buttato Milano alle spalle e ora vivo di
nuovo in pianta stabile a Pontedera,
godendomi un pezzetto di terra sulle colline di Palaia e, di tanto
in tanto, facendo
viaggi per puro piacere. Certo, mi mancano le notti “azzardate”,
l'atmosfera dei “backstage”,
la frequentazione di amici-artisti che continuano le loro
avventure. E chissà, l'aver
incrociato di nuovo sulla mia rotta Andrea Lupi e “MusicaStrada”
potrebbe essere l'occasione
per rinverdire uno stile di vita che, in ogni caso, a me ha già
dato le soddisfazioni
che cercavo. Buona Musica a tutti!
Fausto Pirito
Il
Diario di Musicastrada - Fausto Pirito una vita sulle strade della
musica tra autobiografia e cronistoria in pillole di alcuni
cambiamenti del costume
italiano attraverso la musica - www.musicastrada.it
www.musicastrada.it/
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