VASCO IN CONCERTO
un libro di

di Fausto PIrito e Paolo Giovanazzi

                         

                                 

Tutte le date, le canzoni, i personaggi, i segreti e i “santuari” dei tour di Vasco.
Tutto quello che avete sempre sperato di leggere sul Blasco e la sua band, in scena e backstage. Cosa dicono e cosa hanno scritto di lui i giornalisti di tre generazioni rock.
Testimonianze esclusive dei collaboratori:
Andrea Braido, Stef Burns, Mimmo Camporeale,
Roberto Casini, Gaetano Curreri, Guido Elmi, Giovanni “Johnny” Gatti, Claudio Golinelli, Andrea Innesto, Giovanni Pinna, Alberto Rocchetti,Enrico Rovelli, Tania Sachs, Maurizio Solieri, Diego Spagnoli, Daniele Tedeschi, Dino Vitola.
In appendice, una mappa illustrata e spiegata delle rarità discografiche che ogni fan sogna di avere.

                                                      METTI, UN MONDO SENZA VASCO...

   Provate a immaginare un mondo senza Vasco Rossi. Un mondo senza Albachiara. Un mondo senza quel luogo della mente che tutti noi conosciamo come “vita spericolata”. Che razza di mondo sarebbe? Provate a immaginarlo, se ci riuscite. Ecco perché, durante uno dei concerti 2010 del Blasco, rivedendo intorno a lui i compagni che da sempre condividono il suo destino, è nata l’idea di realizzare questo libro che contiene la ricostruzione dettagliata di tutti i suoi tour e non solo. Passando per incontri, fatti, aneddoti ed emozioni, abbiamo ripercorso la parabola artistica e umana di uno degli artisti rock italiani più significativi di sempre, parabola che si intreccia inevitabilmente con la vita personale e musicale dei più stretti collaboratori. Le vicende legate all’on the road di Vasco e della sua combriccola sono lo specchio degli ultimi 30/40 anni di storia del nostro rock e costume; e intervistare i suoi collaboratori è stato come rievocare le tappe di un viaggio fantastico nella memoria collettiva. Alla fine, come in un grande puzzle, le tessere vanno al loro posto; per comporre non un’agiografia, non una santificazione bensì un ritratto originale e inedito di Vasco Rossi, personaggio capace di gesti imprevedibili, capace di donarsi senza se e senza ma. Con tutti i suoi pregi, con tutti i suoi difetti. 
   In questo libro troverete gli uni e gli altri. Riconoscerete la sua genialità e la sua grande dolcezza ma anche l’irascibilità, la rabbia in corpo e i colpi di testa di una rockstar che, in fondo in fondo, non si prende mica troppo sul serio. Un mix contraddittorio di sentimenti ed emozioni. Una miscela inimitabile che esplode solo e sempre sul palco e che in qualche modo, alla soglia dei sessant’anni, il Blasco usa come antidoto per esorcizzare la solitudine di cui soffre profondamente. Una solitudine infinita. Che però è anche “la sua migliore amica”.  
   Allora? Provate a immaginare un mondo senza Vasco, se ci riuscite! Sarebbe come tentare di immaginare un mondo senza la fantasia. E senza fantasia, di sicuro si muore un po’ prima.
                
                                       
Fausto Pirito


                  
  Fausto Pirito ( a destra; a sinistra  il giornalista e scrittore caccurese con Vasco Rossi)

 

                                                   Un pezzo di Fausto per MusicaStrada

L'amico Fausto Pirito ci ha fatto mandato un emozionante pezzo da lui scritto su richiesta di un'associazione musicale toscana,  MusicaStrada, che racconta la sua vita " on the road" che ha come sottofondo la più bella musica scritta e suonata dalle più grandi star musicali italiane e mondiali. Dicevamo di un pezzo emozionante perché la vita avventurosa e le esperienze di Fausto, (fra l'altro mio coetaneo, oltre che compaesano dal momento che condividiamo anno e luogo di nascita)  furono il sogno e "l'alimento" di almeno un paio di generazioni che ebbero la ventura di crescere e maturare la loro esperienza nei "mitici" anni '60, gli anni dei Beatles , dei Rolling Stones, di un boom economico che, pur tra tanti squilibri e contraddizioni e al prezzo dello spopolamento ed del degrado del Mezzogiorno d'Italia  a vantaggio del Nord, contribuì a migliorare le condizioni economiche di tanta povera gente,  dei sogni e delle speranze di milioni di ragazzi. Il giovane caccurese, come traspare dal suo pezzo, visse quegli anni,  intensamente, attivamente, cogliendone l'intima essenza, maturando grazie all'incontro con tante culture, con tanti uomini di cultura e di spettacolo, assaporandone, oserei dire, il retrogusto .    
In questo senso possiamo dire che la vita e le "avventure" di Fausto rappresentano la realizzazione di ciò che in tanti abbiamo sempre sognato per cui non riusciamo a nascondere una "punta di invidia" per la fortuna, ma anche per la bravura del nostro amico.  
Nel pezzo che pubblichiamo in altra pagina del sito Fausto racconta come, attraverso le cover di Duilio Del Prete, imparò a conoscere e ad amare le canzoni di Jacques Brel come Le bourgeois, una canzone che poi Fausto fece conoscere  a noi poveri ragazzi di Caccuri e che tante volte cantammo assieme allo stesso Fausto e a Giovanni Spatafora nella sezione del PCI o per le strade di Caccuri, così come qualche anno prima il fratello Nino ci aveva fatto conoscere ed apprezzare la bellissima "Bocca di rosa" che egli ebbe "l'ardire", agli inizi degli anni '60, di cantare addirittura sul palco della festa del patrono. 
Nelle prossime settimane uscirà nelle librerie , a cura dell'editore Giunti, un nuovo libro di Fausto Pirito su Vasco Rossi. Sono sicuro che, anche con quest'ultimo lavoro il nostro amico  e conterraneo saprà entusiasmarci e farci provare  emozioni intense e dolcissime. 
                                    
Peppino Marino

                                        
IL DIARIO DI MUSICASTRADA

Fausto Pirito una vita sulle strade della musica tra auto biografia e cronistoria in pillole di alcuni cambiamenti del costume italiano attraverso la musica
                                                                 di Fausto Pirito

                            
                 Fausto Pirito ( a destra il giornalista caccurese con Vasco Rossi)

Fausto Pirìto, calabrese, è nato il 29 settembre  1950 a Caccùri,  borgo medievale della Sila Jonica. Laureato in Giurisprudenza, cronista   dei quotidiani "La Nazione" di Firenze e "Il Tirreno" di Livorno dal '70 al '75, poi redattore  di Tele Libera Livorno. E' stato vice-  caporedattore del mensile "Tutto Musica &Spettacolo", direttore artistico del Contest "Rock Targato Italia" e garante del festival "Brescia Music Art". Ideatore del “Tributo ad Augusto Daolio”, nel 2000 ha pubblicato il libro "In viaggio con i Nomadi - 7 anni on the road (Giunti Editore)”.  Dal 2010 è free lance e vive in Toscana.

PRIMA PARTE

                                                 UNA VITA SULLE STRADE DELLA MUSICA

Poter vivere di musica è un sogno. Una chance che sicuramente non capita a tutti. Io sono stato fortunato e la musica, non quella suonata bensì quella “raccontata” attraverso i media, è diventata la mia professione.
Il primo approccio alla fine degli Anni 50. Mio fratello Nino, allora quattordicenne, aveva cominciato a suonare una chitarra Eko. Nino, grande fan di Elvis e Paul Anka, mi fece conoscere il rockʼnʼroll e il blues. A quei tempi vivevamo a Castelplanio, un paesino incantato sulle colline marchigiane dove si produce il Verdicchio. Da lì, nel 1961, ci trasferimmo a Cecina. Mio fratello fece combutta con altri ragazzi della zona fino a formare un complesso, come si diceva allora, che chiamarono The Friends. Ricordo ancora la loro divisa di scena, fatta di pantaloni neri e giacca di pailletts oro scintillante con bavero di raso, rigorosamente nero.
Era l'alba del beat e “gli amici” si esibivano con un certo successo, soprattutto d'estate, nei locali della costa livornese, come il mitico Ciucheba di Castiglioncello. Io ogni tanto andavo
a sentirli suonare e mi divertivo soprattutto alle prove. Il loro cavallo di battaglia, “Diana” di Paul Anka mi riecheggiava nella testa insieme alle hit dell'epoca che facevano da sottofondo a quella stagione un po' naïf, che poi passò alla storia del costume italiano come “l'era del (falso) boom” economico. Una specie di “dolce vita” in riva al mare, tra “Guarda come dondolo”, “I Watussi” e cover di successi internazionali quali “Stand by Me”, “Tower of Strenght” e “If You Gotta Make a Fool of Somebody”, che il folle Celentano fece diventare “Pregherò”, “Stai lontana da me” e “Il problema più importante”. Intanto, sull'onda dei Beatles e dei Rolling Stones, in Italia spuntavano gruppi come funghi: dai Nomadi all'Equipe 84, ai Giganti, ai quali si affiancavano band d'importazione come Rokes, Primitives, The Renegades e Procol Harum.
Nel 1967, con la mia famiglia mi trasferii a Pontedera e un paio d'anni dopo iniziai a frequentare lo Shys Club, un locale-sala da ballo dove suonava con la sua band un gran bel chitarrista conosciuto come l'Astronomo. La sbornia del “boom” era passata, il movimento studentesco del '68 aveva cancellato la spensieratezza, ma i sogni del “peace&flowers” stavano invadendo il mondo e cominciavano a farsi largo anche nella mia vita. Nel 1970 feci il primo vero viaggio, non ancora da frikkettone ma quasi. Con un amico, dal luglio all'ottobre girammo tutta Europa in autostop, raggiungendo Capo Nord e ridiscendendo dalla Finlandia per passare poi in Svezia, Polonia e Cecoslovacchia.
Ricordo che la colonna sonora di quel trip fu “In the Summertime” dei Mungo Jerry e “Let It Be” dei Beatles, che ascoltai per la prima volta a Stoccolma. Quel viaggio fu un'esperienza illuminante. Rientrato in Toscana con Sten, un ragazzo di Boston che avevamo conosciuto a Cracovia e che girava tranquillamente il mondo con un sacchetto di marijuana legato alla cintura, cominciai a collaborare con i quotidiani della zona mentre frequentavo Giurisprudenza a Pisa. Come Cecina negli Anni 60 era stata lo specchio della società e del comune pensare di quei tempi, Pontedera, con le sue fabbriche, i suoi operai e i ragazzi della “piazzetta” rappresentava perfettamente la realtà conflittuale che si viveva allora in Italia. Con un minuscolo “gruppo anarchico”, che avevamo chiamato “Ilpastonudostudio” in onore di William Burroughs e del suo racconto intitolato appunto “The Naked Lunch”, cominciai a vivere più di notte che di giorno. Tra letture quali “Trattato del saper vivere a uso delle giovani generazioni”, manifesto dei Situazionisti francesi, e “The Psychedelic Experience” di Timothy Leary, la musica che accompagnava le nostre interminabili elucubrazioni sulla vita, sullʼamore e sulla morte era quella di Cat Stevens o dei King Crimson con qualche concessione (leggi “I semafori rossi non sono Dio”) a un amico che ogni tanto veniva a trovarci e a sbronzarsi con noi. Quell'amico era Gino Paoli. Io, che avevo imparato a strimpellare la chitarra, andavo però letteralmente pazzo per Duilio Del Prete e per le sue cover delle canzoni di Jacques Brel come “Les bourgeois” (“I borghesi sono dei porconi più diventan vecchi meno sono buoni / i borghesi sono dei porconi più diventan vecchi più sono coglioni”, tanto per capirci). “Il pastonudostudio” in un paio d'anni si consumò e morì di morte naturale. Così io, orfano dei “compagni di sbronza” ma sempre più animale della notte, mi ritrovai a condividere la “piazzetta” pontederese con nuovi “compagni di strada”.
Furono per me anni intensi, di lotte proletarie, di viaggi in Palestina, ancora in Nord Europa poi in Marocco, e non mi feci mancare neanche una indimenticabile esperienza di lavoro che mi portò prima in Algeria e poi in Germania da mozzo, imbarcato sulla Saas Fee Monrovia, una carboniera battente bandiera liberiana.
La vita e i viaggi con “la banda della piazzetta” mi aprirono lʼorizzonte verso la musica psichedelica, dai Jefferson Airplane ai Pink Floyd, dai Gong ai Grateful Dead passando per il rock di Soft Machine, Cream, Doors, Led Zeppelin, Hendrix, Trafc, Genesis, Santana, Mahavisnhu Orchestra, Incredible String Band, con rare aperture a italiani come gli Area, il Battiato sperimentale e il Guccini più politicizzato. Poi, nel 1977, arrivò il punk e i Sex Pistols spazzarono via tutto e tutti…
Alla fine del 1979, una mattina che scesi dal letto con il piede giusto, la mia vita cambiò radicalmente. Mio fratello Nino, che nel frattempo aveva lasciato la musica cantata e suonata ed era diventato giornalista, mi telefonò indirizzandomi a un suo collega milanese che stava mettendo su una redazione per un nuovo settimanale di tv e musica. Io, che nel 1975 avevo fatto parte dello staff di Tele Libera Livorno, secondo Nino potevo essere adatto per quella iniziativa. Andai a Milano un poʼ prevenuto (che c'entravo con un giornale che faceva capo allo stesso editore di “Tv Sorrisi e Canzoni”?). In Corso Europa, dietro Piazza del Duomo, conobbi il mio futuro direttore, Daniele Jonio, critico raffinato di jazz e grande affabulatore. Daniele mi convinse ad accettare, dicendomi: “Capisco le tue perplessità, ma per combattere il Sistema forse è meglio farlo da dentro che non autoescludendosi. Vieni a lavorare con me e vedrai che in futuro ti passerà sotto al naso il meglio della musica italiana e non solo”. E così è stato. La mia piccola-grande truffa del rock&ndroll.
Il punk non l'ho mai capito, ma l'ho sempre rispettato. Non fosse altro che per lo slogan “Fuck the System”. Infatti, il mio scopo, andando a lavorare a Milano, era proprio di appropriarmi di uno spazio all'interno dei media e da lì, sfruttando le enormi potenzialità della figura di giornalista, portare avanti una operazione di contro-informazione. Il destino volle che la prima intervista importante affidatami fosse quella a Roberto Vecchioni. Lo incontrai all'aeroporto di Linate, appena tornato dalla Sardegna dove aveva tenuto una serie di concerti. Alla fine di uno di questi, Vecchioni era stato denunciato per aver fumato uno spinello con alcuni suoi fan. La cosa fece scalpore, così il servizio si trasformò in una opportunità per fare chiarezza tra droghe leggere e droghe pesanti. Concetto di non poco conto per quei tempi, quando l'opinione pubblica era solita “fare di tutta l'erba un fascio” (e la citazione della parola “erba” è naturalmente voluta). Anche con Vasco Rossi, che ho poi conosciuto bene quando ormai ero passato dal settimanale televisivo a un mensile nazional - pop (“Tutto Musica & Spettacolo”), non mancarono le occasioni per affrontare argomenti simili. Un servizio-intervista con lui, lo intitolai: “Te la ricordi la rivoluzione psichedelica?” e nel botta e risposta Vasco andò giù duro contro i benpensanti che in lui e quelli come lui vedevano il diavolo. Era il 1984. Con il Rossi e quelli della sua Steve Rogers Band riuscii a stabilire un bel rapporto fatto di amicizia e interessi comuni. Rapporto poi rinsaldato nel tempo, fino ad arrivare a oggi.
Giorno dopo giorno, come aveva pronosticato il direttore Jonio, il lavoro mi dava sempre più spesso la possibilità di conoscere il fior fiore della musica di casa nostra. De Gregori, Alice, Dalla, Pino Daniele, Edoardo Bennato, ancora Battiato, Guccini… fino ad arrivare a Fabrizio De André. E anche gli artisti stranieri cominciavano a fare capolino. Nel maggio dell'85, inviato a Parigi, mi capitò di fare due incontri-intervista importanti: il primo con Sting in occasione del lancio del suo straordinario Lp di esordio come solista, “The Dream of the Blue Tartles”, l'altro con Bill Wyman dei Rolling Stones che stava promovendo un disco tutto suo, i cui introiti erano destinati alla ricerca medica. Ma, anche per dare spazio a un mio giovane collega, negli anni successivi preferii continuare a coltivare il mio “orto” italiano.
Nel 1987 feci causa alla Silvio Berlusconi Editore, giocando il tutto per tutto. Da tempo svolgevo il ruolo di capo-servizio. Per riconoscermelo, il direttore editoriale dell'epoca mi propose di lasciare il sindacato (allora ero fiduciario di testata della redazione di “Tutto Musica”). Naturalmente non accettai e alla fine del 1989 riuscii a vincere la causa. Per reazione, l'editore decise di sollevare il direttore del mensile dal suo incarico, visto che davanti al giudice aveva ammesso le mie funzioni. E, ancora per reazione, il nuovo direttore mi convocò per dirmi a quattr'occhi che era stato mandato lì “per farmi fuori”. Non mi scomposi. Continuai a fare il mio lavoro da capo-servizio e dopo un paio di mesi riuscii a conquistare la sua fiducia. Quello che doveva essere la mia “fine” si rivelò un colpo di fortuna. Un anno dopo, ecco un nuovo direttore che stavolta mi dà carta bianca per la confezione del giornale.
“Tutto Musica” a quei tempi poteva contare su oltre 200mila copie di diffusione che corrispondevano a un milione di potenziali lettori. Avere fra le mani un mezzo di comunicazione così potente e seguito, soprattutto dai teenager, mi premise di diventare direttore artistico del contest “Rock Targato Italia” insieme con Stefano Ronzani, uno dei più apprezzati giornalisti italiani di musica rock che lavorava per il settimanale “Mucchio selvaggio”. Il nostro connubio funzionò alla grande, soprattutto per merito di Stefano che accettò di collaborare con me, capo-redattore “in pectore” di un giornale nazional - popolare. Con Ronzani cominciai a bazzicare gli ambienti dellʼunderground. Dal 1991 al 1995 passarono nella nostra rassegna gruppi come Gang, Rats, Litfiba, Timoria, Casino Royale, Moda, Avion Travel, Ritmo Tribale, Rocking Chairs, Settore Out, Karma, Extrema, Casino Royale, Gang, Timoria, Diaframma, Marlene Kuntz, Estra, Scisma, Radio Fiera, Suburbia, Frangar Non Flectar, Massimo Volume, Umberto Palazzo e il Santo Niente, Interno 17, Vanadium… ai quali affiancavamo nomi conosciuti o agli albori del successo, dai C.S.I. agli Skiantos, a Eugenio Finardi, dai Modena City Ramblers a Carmen Consoli, Negrita, Ligabue. Spesso la manifestazione si svolgeva in locali “border line” come Il Sorpasso e l'Indian Saloon di Milano. E poteva capitare che in quegli stessi posti transitassero anche grandi artisti stranieri da Peter Gabriel (che a quei tempi si occupava
principalmente di musica etnica) a gruppi ancora sconosciuti in Italia (i Pearl Jam, ad esempio, si esibirono per la prima volta nel nostro Paese proprio al Sorpasso davanti a un pubblico di qualche decina di persone).

Fausto Pirito una vita sulle strade della musica

                                                           Nomadi la solidarietà e il Nuovo Millennio

                                                                 Musica & solidarietà

                               

Grazie al buon nome che ci eravamo fatti, io e Ronzani venimmo eletti rispettivamente presidente e vice presidente del Gruppo Giornalisti Musicali, in pratica l'associazione dei critici del Centro-Nord Italia. Forti di questo nuovo incarico, alle fine del 1992 decidemmo di mettere il nostro potenziale di comunicazione al servizio di cause per noi giuste. Così, un amico come Gianni Maroccolo dei C.S.I. decise di registrare un cd della collana “Frammenti” dedicandolo alla lotta per la libertà del Tibet e al rispetto dei diritti umani nel Paese delle Nevi. Da quel momento, e per tutti gli Anni 90, riuscimmo a organizzare una trentina di concerti a favore della “causa tiebatana” in collaborazione con l'Associazione Italia-Tibet, di cui ero diventato consigliere nazionale e responsabile dell'ufficio stampa.
Una ulteriore svolta si verificò per me sempre alla fine del 1992. Il 7 ottobre morì Augusto
Daolio dei Nomadi. Io lo avevo conosciuto grazie a Renzo Maffei. Renzo, pontederese, compagno di avventure di vecchia data, era stato protagonista delle lotte operaie degli Anni 70, sempre sulle barricate, in mezzo a tutte le battaglie politiche di quei tempi, guerriero a difesa della libertà, dei diritti umani. Fra le sue tante iniziative c'era anche “Salaam Ragazzi dell'Olivo”. Renzo mi parlò, con lo slancio che lo caratterizzava, di quella Associazione che lui aveva creato per aiutare i bambini palestinesi nei territori occupati da Israele e del sostegno che Augusto Daolio aveva dato alla fine degli Anni 80 a “Salaam” scrivendo una canzone dedicata a questo tema, poi pubblicata come singolo. Da parte mia, visto che con il giornalismo ho sempre cercato di dare voce a chi non ne ha, di far parlare i fatti e le cose intorno a gente che altrimenti non avrebbe l'opportunità di farsi ascoltare, pensai che quella sarebbe stata unʼoccasione buona per tutti: per “Salaam”, per i Nomadi che avevano perso il loro leader con il rischio di scomparire dalla scena musicale, per me che così potevo dare un senso compiuto al mio mestiere. Decisi allora di contattare Beppe Carletti, il tastierista e co-fondatore del gruppo emiliano, proponendogli di lanciare il Premio “Tributo ad Augusto” con lʼappoggio del Gruppo Giornalisti Musicali.
Una manifestazione che, per non far dimenticare Daolio, di anno in anno avrebbe assegnato a un personaggio, protagonista della musica italiana, una Targa e una somma di denaro da destinare ad Associazioni umanitarie. Decidemmo di “coinvolgere”, con una certa incoscienza ma con un ritorno d'immagine sicuro, l'allora astro nascente Jovanotti e l'operazione prese il via.
Sono passati vent'anni da allora e il “Tributo” è diventato un appuntamento che tutti gli
anni, intorno al 18 febbraio, data del compleanno di Augusto, richiama a Novellara, vicino Reggio Emilia, oltre 10mila persone. Fra gli artisti premiati nelle prime edizioni: 99 Posse, Agricantus, Litfiba, Massimo Bubola, Samuele Bersani, Daniele Silvestri e, in questi ultimi anni, Elisa, Roberto Vecchioni, Ligabue, Zucchero, Biagio Antonacci… L'anno prossimo celebreremo il ventennale e già stiamo lavorando per questo.
Grazie al “Tributo” cominciò anche il mio girovagare nel mondo al fianco dei Nomadi.
L'idea era semplice: in nome di Augusto, decidemmo di portare con la musica un
messaggio di partecipazione e solidarietà a popoli e situazioni sociali “dimenticati” dalla storia e dalle cronache. Dal 1993 al 1999 facemmo tappa con concerti e manifestazioni in Cile (“gemellati” con gli Inti Illimani), Cuba, India (dove incontrammo il Dalai Lama del Tibet), Palestina (a Gaza fummo ricevuti nel suo “bunker” dal presidente Arafat), Chiapas (con noi venne anche Jovanotti), South Dakota, Perù, Marocco e Albania. Intorno a tutte queste esperienze, nel 2000 pubblicai un libro intitolato “In viaggio con i Nomadi – 7 anni on the road” (Giunti Editore): il mondo con tutti i suoi problemi è il grande paesaggio sullo sfondo di questo libro, un tuffo ai quattro angoli del pianeta, un “diario di bordo” con i piedi piantati a terra ma con la testa ancora piena di ideali. Unʼultima annotazione: nel 1995, grazie alla disponibilità della casa discografica dei Nomadi, facemmo uscire il cd “Tributo ad Augusto” che raccoglie le cover dei successi del gruppo emiliano interpretate da Alice, C.S.I., Dennis & The Jets, Teresa De Sio, Gang, Inti Illimani, Ligabue, Modena City Ramblers, Gianna Nannini con i Timoria, Elio Revé y Su Charangon ed Enrico Ruggeri.  
Francesco Guccini, perla fra le perle, accettò di partecipare concedendoci una sua versione d'epoca di “Noi non ci saremo” cantata con i Nomadi. L'operazione andò bene: oltre 100mila le copie vendute e un risultato economico non trascurabile. Dei 150 milioni netti guadagnati, 50 andarono a “Salaam Ragazzi dell'Olivo”, 50 ai bambini tibetani nati in esilio in India e 50 ai “moleques de rua” di San Paolo del Brasile.  
                                                       
                                                                  Il nuovo Millennio

Da una decina d' anni a questa parte, le cose sono cambiate. La musica “raccontata” dai magazines ha sempre meno spazio e credibilità; da quella “suonata”, per la verità, mi sono lasciato coinvolgere un po' meno. Così, dopo un'esperienza triennale come garante artistico del “BresciaMusicArt” (il festival della “contaminazione fra le arti” ideato da Omar Pedrini, ex leader e chitarrista dei Timoria), nel 2003 ho lasciato “Tutto Musica & Spettacolo” e sono tornato a occuparmi di tv e dintorni. Se a questo aggiungete l'attuale scenario imbarazzante della stampa italiana, forse giustificherete il mio essermi “tirato fuori” dalla professione. Nel corso di questo ultimo anno ho scritto “a quattro mani”, con un giornalista molto più giovane di me, un libro su Vasco Rossi e la sua attività “live” dalla fine degli Anni 70 a oggi (sarà pubblicato a metà giugno ancora per Giunti Editore). Infine, con l'appoggio di Franco Battiato, mi sto occupando della ipotesi di costruzione di un villaggio- monastero buddista nei dintorni di Pomaia (il primo in Europa sullo stile di quelli tibetani): un'operazione impegnativa che potrebbe andare in porto entro il 2020! Dunque, di cose e di idee ne ho ancora tante in testa, e “il tempo ora è dalla mia parte”! Infatti, dalla primavera del 2010 sono in regime di “fine vacanza mai” (la parola “pensione” la lascio ai poveri di spirito): mi sono buttato Milano alle spalle e ora vivo di nuovo in pianta stabile a Pontedera, godendomi un pezzetto di terra sulle colline di Palaia e, di tanto in tanto, facendo viaggi per puro piacere. Certo, mi mancano le notti “azzardate”, l'atmosfera dei “backstage”, la frequentazione di amici-artisti che continuano le loro avventure. E chissà, l'aver incrociato di nuovo sulla mia rotta Andrea Lupi e “MusicaStrada” potrebbe essere l'occasione per rinverdire uno stile di vita che, in ogni caso, a me ha già dato le soddisfazioni che cercavo. Buona Musica a tutti!

                                  
Fausto Pirito

Il Diario di Musicastrada - Fausto Pirito una vita sulle strade della musica tra autobiografia e cronistoria in pillole di alcuni cambiamenti del costume italiano attraverso la musica - www.musicastrada.it

 

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