Panorama
Fantino, ridente frazione di San Giovanni in Fiore, fino alla
metà degli anni '70 assai popolata, è oggi un borgo quasi disabitato che, però, si
anima la domenica, nei giorni festivi e in occasione della festa di San
Giuvanniellu ( San Giovanni Battista). Il diminutivo è
dovuto probabilmente al fatto che la statua del "patrono"
dell'antico villaggio è di dimensioni ridotte rispetto alle statue
tradizionali.
La festa si celebra in estate con la processione del santo, una serata
musicale e i fuochi d'artificio.
La festa di San Giuvannellu
Il
paesino è situato a circa 7 km. da Caccuri,
sulle pendici del monte Jimmella e a ridosso della strada
provinciale che dal paese dei Simonetta porta a San Giovanni in Fiore. Le origini
del borgo sono incerte, ma secondo
alcune fonti sarebbe sorto nel XVII secolo per iniziativa di un pastore
originario di Pedace. Da allora Fantino cominciò a crescerei fino a
raggiungere il periodo di massima espansione negli anni '60 dello scorso
secolo quando era abitata da ca. 800 persone e aveva un negozio, un
tabacchino, un'osteria e le scuole elementari. Da Fantino, nei primi anni '60, decine di
giovani studenti, molti dei quali oggi sono validi e affermati
professionisti, raggiungevano San Giovanni in Fiore assieme agli altri studenti di Caccuri e
di Santa Rania viaggiando su di un vecchio, sgangherato pullman, a
bordo del quale salivano numerosi passeggeri, per frequentare le scuole
superiori. Tra ragazzi caccuresi e fantinesi così nacquero profonde amicizie che si consolidarono nel
tempo. Poi, dopo qualche anno cominciò il rapido spopolamento e l' inesorabile declino dell'ameno
villaggio perché gli abitanti cominciarono a
trasferirsi nel capoluogo. Oggi Fantino è abitata da pochissimi anziani tenacemente legati ai luoghi che li videro nascere.
I resti dell'antica
chiesetta
Confesso di sentirmi particolarmente legato a questo paesino oramai
quasi fantasma, per una serie di motivi.
Il primo consiste nel fatto che mio padre, dal 1952 al
1954, aprì a Fantino una bottega di falegname che raggiungeva
quotidianamente a piedi da Caccuri attraverso Sambuco, Eido, Ombraleone, Misuolo e
Belladonna e la sera, dopo una giornata di duro lavoro, rifaceva il
percorso inverso. Mio padre, come San Giuseppe, non aveva macchine
elettriche e, lavorando con sega, ascia, pialla e pialletto, dai
tronchi che i fantinesi si procuravano nei vicini boschi ricavava assi e
tavole.
A Fantino
papà fabbricò mobili per le giovani coppie che si
sposavano, infissi, madie, "timpagni", sedie, ricavandone in cambio fagioli,
patate, vino, olio, formaggi e altri generi commestibili dal momento che a
quei tempi la lira circolava di rado, quasi fosse in clandestinità. Quegli
anni per la mia famiglia furono tra quelli più prosperi perché riuscivamo sempre
a imbandire una tavola decente. Mio
padre era molto stimato e benvoluto dai fantinesi ai quali faceva piccoli
favori come ad esempio portare loro le medicine da Caccuri o piccoli
lavoretti gratuiti. Si fece perciò tantissimi amici e, negli anni
successivi, quando capitavamo a Fantino per qualche particolare motivo, non mancava
mai un invito a pranzo nella casa di qualche contadino il cui desco, per
me ragazzino affamato, diventava una sorta di eden. Su quelle favolose
tavole contadine c'era ogni ben di dio e la gente offriva generosamente e
con grande letizia ciò che possedeva. Tra gli amici più cari
ricordo il signor Italia, la signora Serafina Marasco titolare del
tabacchino e i signori Oliverio.
Il secondo motivo che mi fa amare questa frazione sangiovannese è
il fatto che, molte volte d'inverno, quando una spessa coltre di neve
bloccava il pullman sulle pendici di Jimmella, prima di raggiungere il
passo impedendoci di arrivare a San Giovanni in Fiore, tornando a piedi
a Caccuri con gli altri studenti ci fermavamo
all'osteria di Fantino dove facevamo fuori la colazione accompagnandola
con qualche buon bicchiere di vino che ci inebriava e ci toglieva ogni sensazione di freddo per
cui, poco dopo ci scatenavamo nelle solite battaglie a palle di neve.
Accanto a questi ci sono anche motivi di affinità e di
identità culturale con una società contadina alla quale apparteneva la
mia famiglia materna e della quale mi sono sempre orgogliosamente sentito
parte .
Da Fantino l'occhio spazia
su tutta la valle del Neto, mentre dirimpetto si ergono i monti della Sila
Piccola. L'abitato esposto a sud, è protetto dai venti di tramontana dal
monte Jimmella. Passeggiando per le stradine, soprattutto nella parte
più a valle, è ancora possibile ammirare le stupende case contadine
oramai in precario stato di conservazione, ma che potrebbero essere
restaurate e recuperate per farne un borgo vivo, suggestivo e ricco
di memoria storica.
A Fantino si venera il Beato Agostino Talerico, giovane
pastorello pio e devoto nato nel borgo nel 1928 e
deceduto nell'agosto del 1948 in località Serrisi, a nord ovest di
San Giovanni in Fiore, perché colpito da una folgore. Agostino
era uno zio materno del dottore Pasquale Talerico, attuale medico di
famiglia di Caccuri. Si racconta che nel 1952, quattro anni dopo la morte
del ragazzo, una contadina di Fantino cominciò a comportarsi in modo
strano e ad avere premonizioni. La donna, semianalfabeta che fra
l'altro si esprimeva in un italiano corretto e, addirittura in latino,
lingue che per ovvi motivi non poteva conoscere, riferì che a parlare
attraverso di lei era il giovane Agostino per volere di Cristo e della
Madonna dei quali riferiva le volontà. La cosa ebbe all'epoca notevole
rilevanza. Attualmente pare sia in corso un processo di canonizzazione dello sfortunato pastorello.
Vale davvero la pena di
visitare questo luogo ameno nel quale ci si riconcilia con la natura e si
rivive magicamente un passato carico di suggestioni del quale, comunque,
siamo stati in parte testimoni. Chi vuol oggi rendersi conto della vita
semplice, ma ricca di valori e di cultura intesa come filosofia di
vita della società contadina
dei secoli scorsi, non ha che da farsi un giretto nella magica Fantino.
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