Le origini del "paparazzo"
 

    Oggi voglio raccontarvi una storia bellissima,  (almeno per me). Molti lettori probabilmente la conosceranno, ma la propongo a eventuale beneficio di quei pochissimi che magari non l'hanno mai sentita raccontare. Permettetemi di iniziare la narrazione con un riferimento di carattere personale che mi consente di entrare meglio nel clima del racconto.
    Nel 1963, al rientro da Merano dove avevo frequentato la prima media, dietro il suggerimento  e gli stimoli del mio ex maestro Alberto Macrì, all'epoca anche dirigente del Centro di lettura presso la Scuola elementare di Caccuri, ebbi l'opportunità di leggere un  bellissimo libro di George Gissing, uno scrittore inglese del XIX secolo,  dal titolo "Sulle rive dello Jonio". La lettura di quel volume, anche se, per la mia giovane età  mi sfuggirono molte cose e non mi riuscì di cogliere appieno i giudizi dell'autore, mi insegnò, già a quell'età, ad amare la mia terra e la mia gente intensamente, come l'amava lo scrittore vittoriano, anche se, da cronista scrupoloso e onesto, ne metteva a nudo i difetti, i vizi, l'arretratezza, i modi sgarbati di alcuni calabresi. Era, comunque la cronaca di un grande erudito, di un profondo conoscitore della cultura magno - greca, una conoscenza frutto di studi meticolosi e approfonditi  che lo rendeva capace non solo di sferzare, ma anche di esaltare gli aspetti positivi della vita e della gente di Calabria. Da allora cercai per molti anni una copia di quella meravigliosa opera, ma solo qualche tempo fa,  ho avuto finalmente la fortuna di acquistarla  e di rileggerla. E' stupefacente constatare quanto i grandi scrittori, i grandi   intellettuali europei, da Alessandro Dumas a Norman Douglas, a George Gissing,  da Francois Lenormant a Edward Lear, a Heinrich Bartels, a  Gerhard Rohlfs e altri ancora, amassero la nostra Calabria e avessero una conoscenza minuziosa e approfondita della sua storia, della sua cultura, della sua etnografia, persino della sua lingua. 

              
                  
George Gissing

     Gissing visita la Calabria nel 1897. Partito da Napoli con un vapore diretto in Sicilia, sbarca a Paola, dove l'imbarcazione fa scalo, in una mattinata autunnale. Dalla cittadina tirrenica riparte nella stessa giornata per Cosenza per visitare i luoghi della sepoltura di Alarico, quindi è di nuovo in viaggio alla volta di Taranto dove sosta per cinque giorni, alla ricerca del fiume Galeso tanto caro a Orazio che lo cantò nell'Ode a Settimio e dopo una brevissima sosta a Metaponto, arriva a Crotone. Il proposito dell'intellettuale inglese è quello di visitare i resti del tempio di Hera Lacinia devastato nel XVI scolo dal vescovo Antonio Lucifero che utilizzò il materiali provenienti dalla distruzione del tempio per costruirsi il palazzo arcivescovile e di ritrovare le tracce dell'antica Kroton, ma il riacutizzarsi di un suo antico malanno polmonare, facilitato dal clima insalubre della città, lo costringe ad una lunga sosta forzata all'albergo Concordia, un  locale accanto ai portici di cui conserverà un pessimo ricordo, così come della città pitagorica, e a rinunciare al programma originario. Di Crotone non gli piace quasi niente: il luogo insalubre, lo stato di degrado di quella che doveva essere stata una splendida città magno greca,  il cibo che gli viene somministrato in albergo, il vino che sa di droghe, il carattere della gente. Particolarmente sgradevole gli risulta la conoscenza del sindaco del tempo, un Berlingieri che gli accorda con molta riluttanza il permesso di visitare un suo agrumeto e lo offende oltre misura scrivendo  nel biglietto che ne autorizzava "la visita senza nulla toccare."  Una figura ben diversa da quella del custode del cimitero, un ex cameriere intelligente e sensibile che ha viaggiato a lungo per l'Europa con il suo padrone toccando anche Londra, che cura con amore e disinteresse il luogo sacro e che gli offre un mazzo di fiori scusandosi di non potergliene offrire di migliori (1) e da quella del  dottore Riccardo Sculco che lo cura amorevolmente. Un giorno, però, la musica di un organetto ed il canto di un suonatore ambulante al quale si unisce la voce della gente, lo inducono a "perdonare tutte le colpe degli Italiani" (e quindi anche  gli sgarbi e  il carattere scorbutico dei crotonesi)  in quanto, come scrive nel suo libro,  la musica  "ci ricorda tutto quello che hanno sofferto e tutto quello che sono riusciti a fare malgrado i torti ricevuti. Razze brute si sono gettate, una dopo l'altra su questa  terra dolce e gloriosa, scrive ancora il visitatore inglese, la sottomissione e la schiavitù sono state, attraverso i secoli, il destino di questo popolo. Dovunque si cammini, si calpesta sempre terreno che è stato inzuppato di sangue."

  
L'albergo Concordia di Crotone nel quale Gissing soggiornò per curarsi                     Il Concordia all'epoca del viaggio di Gissing 


    Lasciata Crotone, senza nemmeno aver potuto visitare i resti del tempio ai quali teneva tanto,  Gissing raggiunge Catanzaro dove sosta  per qualche tempo. Della città che egli definisce "
la più progressista della Calabria" gli piace quasi tutto, fatta eccezione per l'architettura e per la tipologia costruttiva delle abitazioni: la salubrità del luogo, il carattere dei catanzaresi e dei contadini dei dintorni che scendono nella città a vendere i loro prodotti agricoli, la dignità della gente, i ragazzini pieni di salute che giocano giulivi.  A Catanzaro Gisisng prende alloggio all'Albergo Centrale che si affacciava su corso Vittorio Emanuele, oggi corso Mazzini. Qui lo scrittore inglese conosce il proprietario, un singolare e affabile signore che ha un nome curioso: Coriolano Paparazzo.

        
      La facciata dell'ex Albergo Centrale                                                                    La lapide commemorativa

     Coriolano Paparazzo è un personaggio, cortese e garbato anche quando rimprovera per iscritto certi suoi ospiti che, "pur dormendo sotto il suo tetto, hanno l'abitudine di consumare i loro pasti in altri ristoranti", cosa che gli "procurava grandissimo dispiacere e danneggiava la reputazione del suo albergo." Ovviamente Gissing non gli fa lo sgarbo di "tradire" il ristorante del buon Coriolano, anche perché l'ottimo vino che l'albergatore gli serve e che gli ha fatto dimenticare quello pessimo di Crotone, compensa ampiamente, alla bisogna, qualsiasi possibile errore culinario.
     Da Catanzaro poi il viaggiatore prosegue per Squillace e Reggio sempre osservando attentamente la realtà, prendendo appunti e facendo schizzi dei luoghi che gli serviranno per scrivere il suo interessante protocollo di viaggio.

      Per una curiosa coincidenza, quando Federico Fellini era intento a preparare, insieme a Ennio Flaiano la sceneggiatura del celebre film La dolce vita, stava leggendo proprio il libro di Gissing.  Evidentemente il nome dell'albergatore catanzarese gli era dovuto sembrare alquanto interessante perché, dovendo dare un nome al personaggio del celebre fotografo, decise di chiamarlo appunto Paparazzo.
     Questa è una delle versioni che circolano, probabilmente la più veritiera, visto che pare sia stata confermata dallo stesso Flaiano, ma si dice che Fellini si divertisse spesso a raccontare versioni diverse e contrastanti della vicenda. Quel che è certo è che nell'ottobre del 1999, il Comune di  Catanzaro fece collocare  sulla facciata dell'ex albergo Centrale una lapide che ricorda il soggiorno dell'intellettuale inglese e la storia dell'origine del neologismo.

   

1) Questo singolare custode  la cui descrizione interessò moltissimo Norman Douglas  che lo cercò inutilmente nel corso del suo viaggio a Crotone, venne poi identificato in Giulio Marino, un discendente dell'archeologo Domenico Marino come scrive  Daniele Cristoforo nel libro George Gisisng - Il viaggio desiderato (Calabria 1897) Pellegrini ed.

 

                                                                                                       

 

 

                                                                 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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