Curiosità e pillole di storia   

                                                     

Nel maggio del 1923, l’allora sindaco del paese vietò, con un’ordinanza inviata al parroco che era un simpatizzante della Sezione dei combattenti, l’uso della campana per chiamare a raccolta i soci. Si trattò, evidentemente, di un episodio da Don Camillo e Peppone ante litteram.

 

Molti sono  i toponimi sparsi sul territorio caccurese di cui è possibile spiegarsi l'origine; alcuni fanno riferimento a caratteristiche del luogo, alle attività produttive, ai proprietari che possedevano i terreni. Fra i molti segnaliamo: Conserva (il luogo nel quale venivano ubicate le "conserve" della neve), Munnello (luogo brullo, privo di vegetazione), Laruso (l'aruso, terreno facilmente arabile), Manca del Rosario (appezzamento di terreno esposto a nord e    di proprietà della Congregazione del SS. Rosario),  Maladera (Mala herede, evidentemente ereditato, un tempo, da cattivi soggetti), Laconi (La icona, luogo presso il quale era collocata una edicola votiva), Vignali (zona dei vigneti), Suffrara (zona ove era ubicata una cava di zolfo).

 

Al Referendum istituzionale del 2 giugno 1946 anche a Caccuri si registrò un trionfo per i repubblicani che raccolsero ben 1035 voti pari al 64,3% contro i 574 (35,7%) dei monarchici.

 

Alle elezioni per l’Assemblea costituente si registrò un vero e proprio trionfo dei partiti di sinistra. Il P.C.I. ottenne 432 voti, il P.S.I.U.P. (socialisti) 318 e il P.C.I. Int. 37. La Dc raccolse solo 89 voti che però, il 18 aprile 1948 diventarono 418 mentre il Fronte popolare (comunisti e socialisti insieme) ne raccolse 554.

 

La sera del 26 luglio 1943, quando anche a Caccuri arrivò la notizia della caduta del fascismo, la popolazione assaltò la sede del fascio saccheggiandola. Le suppellettili, i documenti, la biblioteca che era stata donata al fascio dalla vedova del maestro elementare Marco De Franco, sparirono e non ne rimase traccia. L’unica cosa che si salvò fu il ritratto del giovane Alessandro Gigliotti, primo caduto caccurese nella I^ Guerra mondiale, al quale il fascio locale  era stato intitolato.

 

Fino ai primi decenni del secolo scorso i contadini e i pastori della nostra zona calzavano le "purcine", calzature povere, fatte in casa con materiali di fortuna. Quelli più abbienti utilizzavano una suola di cuoio dalla quale partivano lunghe stringhe che avvolgevano la gamba fin quasi al ginocchio, i più poveri sostituivano il cuoio con un pezzo di un vecchio copertone di auto reperito chissà con quale difficoltà, in un tempo in cui le automobili nella zona si contavano sulle dita di una mano. Le donne calzavano anche gli zoccoli di legno fabbricati da zu Domenico Loria soprannominato " 'u zocculàru" proprio per il mestiere che svolgeva.

 

Cicco Simonetta, oltre ad essere orgoglioso delle sue origini calabresi, aveva, dei Calabresi, anche il carattere sanguigno e indocile. A un tale Prospero di Camogli che lo aveva disprezzato per essere nato a Policastro (Petila Policastro; in realtà Ciccio era nato a Caccuri e Petilia era solo il paese di origine della madre), l’illustre caccurese rispose orgogliosamente, in una lettera inviata al suo denigratore, che Policastro era “incomparabilmente più nobile et più degno che non sia Camulio (Camogli).”

 

 

 "'A mpanàta" è una zuppa di siero di latte, pane e un pezzetto di ricotta appena fatta, consumata, solitamente, presso l'ovile subito dopo il completamento del processo di lavorazione del latte per produrre formaggio e ricotta. Un tempo consumare la " 'mpanàta" era quasi un rito sacro  e c'era gente che, pur di prendersi questo "piacere", si alzava al mattino molto presto e raggiungeva a piedi ovili distanti anche alcuni chilometri e pregava il pastore per avere un po' di siero e un pezzetto di ricotta.

   

Nel secolo scorso quando un cacciatore uccideva un lupo riceveva il plauso di tutto il paese, soprattutto dei pastori. La carcassa dell'animale  veniva portata in trionfo per le strade del paese. Nella bocca si infilava un legno appuntito al quale era stata  infilzata un'arancia per tenere spalancate le fauci dell'animale e ognuno offriva un dono a colui  che aveva liberato il paese dalla bestia feroce.  L'ultimo lupo portato in "processione" nel paese fu ucciso, sul finire degli anni '50, dal signor Vincenzo Pasculli.

 

 

Iniziano oggi, secondo un'antica tradizione popolare,  le "calende", da non confonder con le famose calende del calendario romano.  Le calende caccuresi consistono in una sorta di previsione del tempo a largo raggio e per il periodo di un anno. Dal 13 al 24 dicembre, ad ogni giorno viene associato un mese dell'anno (al 13 corrisponde gennaio, al 14 febbraio e così via, fino al 24 che corrisponde a dicembre). Per conoscere quali saranno le condizioni meteorologiche prevalenti nei mesi che verranno, basta osservare ed annotare il tempo nei 12 giorni presi in considerazione. E così, se il 13 dicembre sarà un giorno molto freddo, avremo un gennaio freddo, se il 14 pioverà avremo un febbraio piovoso, se il 15 dicembre avremo tempo variabile significherà che anche il prossimo marzo si presenterà all'insegna della variabilità e così via.

 

L’orgoglio del caccurese Cicco Simonetta e l’attaccamento alla terra natia è testimoniato anche da una sua lettera al papa Paolo II° (Pietro Barbo) che, al pari di alcuni nostri contemporanei ritengono i Calabresi gente poco affidabile, nella quale il segretario ducale scrive: “Che la prefata Santità dica che tutti li Calavresi  siano cativi, perché questo tocha as mi, respondo così, che la Calabria è la più fertile et la migliore provincia che sia nel Reame, benché la sia nel ultima et extrema parte de Italia. Nondimanco in Calabria gli sono et de boni et de cativi, como è anchora ad Vinexia, ad Roma, ad Milano e neli altri luochi: pure io me reputo nel numero de li boni et credo haverne facto le opre et professione.”

 

Nel XVI° secolo il rione Judeca era abitato dal sottoproletariato urbano insofferente del malgoverno degli Spagnoli e di quello degli Spinelli e simpatizzante  delle gesta di Re Marcone, il brigante Marco Berardi. Re Marcone  era a capo di una banda di migliaia di "fuorilegge" in gran parte eretici perseguitati dall'Inquisizione e braccati dall'esercito spagnolo  e che venivano spregiativamente chiamati "giudei". Alcuni scontri tra i briganti del Berardi e la fanteria spagnola ebbero come teatro anche il territorio caccurese, da qui la probabile origine del toponimo "Scannagiudei". 

 

 Fino ai primi anni '60 dello scorso secolo l'unico combustibile usato per riscaldare le case caccuresi era la legna che prodotta nei boschi che circondano il paese. La raccolta e il commercio erano affidati ai "ciucciàri", i proprietari di asini e muli che la vendevano a "sarma", la salma, il carico della cavalcatura che variava a seconda della stazza e dell'età dell'animale di cui si disponeva. Anche il prezzo di una "sarma" variava tra le 750 e le 800 lire che corrispondevano a circa la metà della paga giornaliera di un manovale.

   

      Cicco Simonetta fu anche un colto mecenate capace di farsi amare da letterati e artisti del suo tempo; Porcellio Pandoni lo paragona a Pollione, mecenate e storico romano, l’Albrigi gli dedicò una intera raccolta poetica, il Bargellini lo definisce “magnifico e generoso” e Piattino Piatti lo paragona ad Atlante “Qualis Athlas caelum te rogo, Cicche potens.” Costantino Lascaris, dedico al segretario ducale caccurese la prima grammatica greca stampata in Italia e Bonino Bombrizio il suo “De Vitis Sanctorum” scrivendo fra l’altro: “Cicche, salus regnum,, Latiae moderator habenae,   quique mei tutor sine labe ducis” (Cecco, salvezza dello Stato, condottiero dalle larghe redini, poiché sei il mio tutore, duce senza macchia.?)

 

 

Nel secolo XVIII° l’artigianato caccurese era particolarmente fiorente. Nel paesino c’era un gran numero di sarti, calzolai, falegnami, maniscalchi; c’era anche un mastro pittore, tale Costantino Asturi originario di Catanzaro, un mastro fonditore di campane, il mugnaio Astorino, un barilaro e numerosi cestai.

 

Secondo il compianto dottor Aragona, autore del pregevole volume “Cerenzia, notizie storiche sulla città antica”, l’espressione “ ‘E Caccuri mancu ‘u porcu!” spesso sulla bocca degli abitanti dei paesi vicini, avrebbe origine nella nota vicenda del sequestro di una mandria di maiali di proprietà dell’Abbazia di San Giovanni in Fiore ad opera degli scherani del duca don Marzio Cavalcante nel XVII° secolo. Tale ipotesi, però, non sembra suffragata da alcuna prova, né sono stati evidenziati nessi con i fatti di quei tempi. Forse potrebbe trattarsi di una di quelle solite invettive rivolte ai cittadini dei paesi vicini con i quali, inevitabilmente, si creano conflitti e antipatie, come la frase “Gente ‘e San Giuvanni né pe’ amici, né pe’ cumpagni.”

 

Dalla pioggia di medaglie, croci, pensioni e rendite concesse dai Borboni alle autorità e ai cittadini che contribuirono alla cattura dei fratelli Bandiera e dei loro sfortunati compagni nello scontro della Stragola, furono esclusi il sindaco di Caccuri, Pasquale Montemurro e il secondo eletto, Luigi Antonio Quintieri che pure si erano dimostrati assai zelanti, il primo organizzando un gruppo di armati che tentarono inutilmente di intercettare la comitiva dei patrioti nei pressi di Laconi e il secondo fornendo ulteriori informazioni alla gendarmeria di San Giovanni in Fiore sull’itinerario del gruppo.

 

Nel 1399 il feudo di Caccuri passò dai De Riso ai Ruffo, conti di Montalto. Quando Carlo II° morì senza eredi maschi, i suoi averi passarono alla figlia Polissena che nel 1417 ottenne, dalla regina Giovanna II^ d’ Angiò che la considerava “affinis et socia nostra carissima”, la concessione dell’impero su di un vasto feudo che comprendeva anche Caccuri. Rimasta vedova del siniscalco Giacomo de Maylly, il 23 luglio 1418, in Rossano, per volere della stessa regina, sposò il giovanissimo Francesco Sforza, figlio di Muzio Attendolo, capitano di ventura, destinato a diventare il futuro duca di Milano. Secondo alcuni storici pare che il giovane Francesco sia stato uno dei tanti amanti della focosa regina Giovanna.

Polissena morì due anni dopo le nozze in modo misterioso. In molti sospettarono un avvelenamento da parte della sorella Covella che poi ereditò il feudo portandolo in dote al conte Antonio Marzano. Dal matrimonio con lo Sforza nacque una bambina che morì alcuni mesi prima della stessa Polissena.

 

Cesare Protospataro, nipote dei Simonetta trasferitosi a Milano al servizio degli Sforza, quando decise di tornarsene definitivamente in Calabria ricevette in regalo, dagli zii Cicco, Giovanni e Angelo circa cento ducati, una somma abbastanza considerevole per quei tempi. I Protospataro e i De Gaeta  erano due illustri famiglie caccuresi imparentate i Simonetta.

 

Nel 1529 esisteva già a Caccuri la parrocchia di San Nicola affidata al parroco Donato Mauro. Nello stesso anno, a seguito delle dimissioni del sacerdote, divenne parroco don Angelo Mauro e, nel 1539, fu affidata all’abate Salvatore Rota. Sarà questi a donare, qualche anno dopo, la statua di Santa Maria del Soccorso al monastero dominicano edificato qualche anno prima.

 

Tra i feudatari che nel periodo compreso tra il 1465 e il 1505 si alternarono nel possesso delle terre di Caccuri troviamo fra gli altri, Geronimo Riario, visconte di Squillace,  Geronimo Sanseverino, un tale Francesco Coppola e un nipote del papa Alessandro VI°, Alfredo Borgia d’Aragone che fu signore di Caccuri dal 1497 al 1505. Da quest’ultimo il feudo passò a Giambattista Spinelli.

 

Nel XVIII° secolo alcune famiglie caccuresi passarono da una condizione sociale inferiore ad una ritenuta più alta. Tra questi casati ricordiamo i D’Ambrosio, i Leonetti, i Di Miglio, i Quintieri, i Principato e i Riccoi. Tutte queste famiglie, immigrate da altri paesi, sono poi scomparse dal panorama anagrafico caccurese, fatta eccezione per i Quintieri.

 

Nel 1561 il feudo di Caccuri, sequestrato per debiti al barone Giambattista Cimino fu messo all’asta e comprato dai Cavalcante. Il primo Cavalcante, il barone Antonio, morì nel 1676. Da allora il feudo passerà di mano ad altri 6 duchi dello stesso casato fino a quando, per il matrimonio della duchessa Marianna, passerà ai Petra, nobili napoletani che ne conservano tuttora il titolo.

 

Il cardinale Giacomo Simonetta, elevato alla porpora il 20 maggio del 1535 da papa Paolo III°, era figlio del caccurese Giovanni Simonetta, storico, autore dell’opera “Rerum gestarum Francisci Sfortiae mediolanensium ducis” e nipote di Cicco, cancelliere ducale degli Sforza. Il porporato morì a Roma nel 1539 all’età di 64 anni. E’ l’autore della “Relatio de vita et miraculis B. Francisci de Paula ad Summum Ponteficem Leonem X ad effectum canonizationis eiusdem.” E del trattato giuridico “De reservatione Beneficiorum” pubblicato postumo nel 1583. 

 

Geronimo Riario, conte di Squillace, feudatario di Caccuri dal 1479 al 1485, era signore di Imola e nipote del papa Sisto IV°. (1)

 

La nobile famiglia caccurese dei De Gaeta, già imparentata con i Simonetta, nel XVIII° secolo era imparentata anche con i Cavalcante. Ottavio De Gaeta, fratello di monsignor Muzio, caccurese, governatore di Loreto, era cognato del duca don Antonio Cavalcante.

 

Nel mese di aprile del 1251 il conte di Crotone e di Cerenzia Stefano Marchisorto, in qualità di capitano e giustiziere della Calabria, intervenne contro un gruppo di cittadini caccuresi che pretendevano di far valere diritti di proprietà siti in località Salice e Serra dell’Antoniazzo, nei confronti dell’abbazia forense. I Caccuresi erano Pietro e Matteo Leto, Perrecta e i fratelli Logorio. (2)

 

Alla morte di Covella Ruffo, sorella di Polissena, il figlio Marino Marzano, genero del re di Napoli, ereditò i beni della madre compresa “terram Caccurij cum jure plateatici et cum salinis Santi Georgij que sunt in eius tenimento.” (3)

 

La bettola della Stragola presso la quale si fermarono i fratelli Bandiera per rifocillarsi con pane, cipolla, formaggio e vino locale, era gestita da un certo Giovanni Mazzei di San Giovanni in Fiore.  Pochi minuti dopo i patrioti e i loro compagni furono assaliti dalla Guardia urbana di San Giovanni in Fiore e catturati. Nello scontro caddero, colpiti a morte, Miller e Tesei.

 

Nel 1399 il feudo di Caccuri passò dai messinesi De Riso ai Ruffo, conti di Montalto. Quando nel 1414 morì il conte Carlo II°, le terre caccuresi furono concesse, dalla regina Giovanna II° d’Angiò, alla primogenita del conte, Polissena. Nel 1418 Polissena, vedova del siniscalco Giacomo de Maylly, per volere della stessa regina in seconde nozze Francesco Sforza, futuro duca di Milano. Amministrando questi possedimenti lo Sforza ebbe modo di conoscere i Simonetta che volle poi al suo servizio a Milano.

 

Una delle più squisite leccornie che facevano la gioia dei fanciulli caccuresi era, un tempo, il sanguinaccio, una specie di marmellata che si preparava miscelando sangue di maiale, mosto cotto e noci. Purtroppo, questo squisito dolce è quasi completamente scomparso dalle tavole caccuresi e sono davvero pochissime le massaie che saprebbero ancora prepararlo.

 

Nel 1964 il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, in visita in Calabria, passò, scortato da un nugolo di corazzieri, dal bivio di Caccuri diretto a Cosenza. Qui sostò per qualche minuto per ricevere l'omaggio della popolazione accorsa a salutarlo e dell'allora vice sindaco facente funzioni Giuseppe Salvatore Falbo.

 

Un tempo, quando un forte temporale incuteva paura nella popolazione o la pioggia cadeva abbondante con rischio di alluvioni, per far cessare le intemperie, le nostre nonne mettevano fuori dell’uscio il “tizzone benedetto”, un pezzetto di legno semi carbonizzato residuo del focherello che si accendeva davanti la chiesa la notte del Sabato Santo e che veniva benedetto dal sacerdote.

 

Secondo un’ antica credenza caccurese la donna incinta non poteva mettere piede nel cimitero per far visita ai conginti defunti. Ciò avrebbe comportato sicuramente la perdita del bambino.

 

Prima della fiaccolata dell’Epifania la cui prima edizione risale al 6 gennaio del 1983, a Caccuri si svolgeva, nei primi decenni del secolo scorso, un’altra fiaccolata. La manifestazione, in onore della Madonna del Rosario,   si ripeteva, ogni anno, nella prima domenica di ottobre sullo stesso itinerario, con partenza dal “Portiulo dei venti” (Serra Grande) e arrivo nella chiesa di Santa Maria delle Grazie dove si celebrava la messa.  Le fiaccole erano preparate con infiorescenze d’ orecchie d’asino (Verbaschi) imbevute di olio già usato per friggere. Animatrice della manifestazione era la signora Teresa Loria in Sperlì.

 

‘ U Rapinu era un feroce brigante caccurese del secolo XIX° celebre per aver tentato, sull’esempio del più famoso Fra Diavolo, di appiccare il fuoco al convento dei dominicani di Caccuri. Una volta, in località Santo Chirico, sorprese un gruppo di donne che lavavano panni nel ruscello e rapì una fanciulla di 14 anni che tenne prigioniera, segregata in un capanno di ginestra, per oltre un mese, senza però usarle alcuna violenza. I genitori dovettero pagare il riscatto di 30 scudi e regalare al brigante un vestito di lana per aver libera la figlia.  Questa impresa scellerata venne tramandata, secondo il maresciallo Umberto Prete, dal farsaro Angelo Raffaele Secreto. Non esiste, purtroppo, alcun riscontro a questa ennesima, fantasiosa storia.

 

Secondo un’antica credenza popolare caccurese mangiare il pane leggermente ammuffito stimolava la ricrescita dei capelli e li rinforzava. Molto probabilmente, però, si trattava di una trovata intelligente di qualche astuto genitore per convincere i figli restii a consumare anche il pane andato a male.

 

L’inverno del 1919 –1920 fu per i Caccuresi uno dei più difficili da passare. Le famiglie dei reduci, private del sussidio di guerra, vivevano nella più assoluta indigenza ed erano prive di indumenti idonei, cibo, legna da ardere. Per questi motivi la Sezione dei combattenti organizzò una raccolta di viveri da destinare alla popolazione affamata facendo appello alla generosità degli agrari che, inaspettatamente, si mostrarono assai solidali e munifici.

 G. Marino – Caccuri nella Storia – Florens  1994 pag. 29

 

Le ragazze caccuresi del secolo scorso cercavano, spesso, di conoscere il loro futuro e se la fortuna sarebbe stata loro amica attraverso riti particolari. Uno di questi veniva celebrato nel mese di giugno, il 23, vigilia della desta di San Giovanni Battista e il 28, vigilia della  festa di San Pietro e Paolo. Dopo aver tagliato e  bruciacchiato un fiore di cardo selvatico, lo esponevano sul davanzale di una finestra rivolta verso il mare e recitavano la seguente preghiera: “San Petru e San Paulu e San Giuvanni re Dio, facitime virere si fiorisca la fortuna mia.” Se il mattino dopo il cardo era rifiorito era presagio di grande fortuna se, viceversa, rimaneva bruciacchiato, era segno che la Dea bendata  non  era amica.

 

La cappella De Luca, all'interno della chiesa di Santa Maria delle Grazie, fu fatta erigere dal sacerdote caccurese don Filippo De Luca, parroco e rettore della chiesa nel 1642. 

   

Gli antichi caccuresi consigliavano di evitare di coricarsi o sedersi sul letto ove era spirata una persona prima che fossero trascorse almeno 48 ore. Se ciò fosse avvenuto lo spirito del defunto, ancora presente su quel giaciglio, oppresso dal peso della persona che vi si fosse sdraiata, l’avrebbe scacciata violentemente e platealmente pungolandola e spintonandola.

 

Nel 1876 scoppiò a Caccuri una grave epidemia che decimò la popolazione infantile. Nel solo mese di marzo morirono 8 bambini di età compresa tra 1 giorno e 4 mesi.

 

Alcuni decenni fa, quando il pane si faceva ancora in casa, le donne si scambiavano traloro il lievito naturale (criscente). La massaia che faceva il pane e che, a sua volta, si aveva chiesto in prestito il lievito a quella che lo aveva fatto il giorno prima, metteva una manciata di pasta in un piatto e ci tracciava sopra una croce col dito. Quello era il “criscente”. Quella che doveva farlo il giorno dopo sapeva a chi rivolgersi per avere il lievito. E così il piatto del “crescente” circolava tra le massaie del paese.

 

Le ragazze caccuresi in età di marito, nel secolo scorso, avevano un sistema infallibile per sapere in anticipo che tipo di marito era loro destinato: quando volevano conoscere la sorte che le attendeva, gettavano per strada una pietruzza e guardavano attentamente il primo uomo che passava per quella strada. Se passava un contadino quella ragazza avrebbe sposato sicuramente un contadino, se passava un artigiano, sicuramente sarebbe stato un artigiano a portarla all’altare e così via.

 

Subito dopo la Liberazione venne costituita a Caccuri, per iniziativa della Sezione del P.C.I., in collaborazione con la Federazione provinciale di Catanzaro, la cooperativa “Era Nuova” che assunse in fitto numerosi terreni a condizioni vantaggiose sfruttando leggi ad hoc e provvide a distribuire tra i soci prodotti agricoli e altri generi alimentari.  La cooperativa consentì, successivamente, l’acquisto e la quotizzazione degli stessi terreni tra i suoi soci. Ne facevano parte, tra gli altri, Salvatore Giuseppe Bruno, Giuseppe Sellaro, Battista Lacaria, Giovanni Guzzo, Pasquale Miliè, Giusepe Falbo, Francesco Sperlì ed altri dirigenti dei partiti della sinistra.

 

La levatrice Vittoria Secreto, che aveva sostituito Elisabetta Mirandi, morì il 4 giugno del 1876 all’età di 55 anni.

 

Una farfalla notturna che entrava in casa nelle calde serate estive attraverso una finestra lasciata aperta era, per i vecchi caccuresi del secolo scorso, sicuramente l’anima di un familiare defunto e veniva lasciata libera circolare per casa. Ogni tentativo di scacciarla da parte di qualche “più sprovveduto” familiare era pesantemente represso e l’incauto severamente redarguito.

Nel secolo scorso uno dei tanti espedienti per prevedere il futuro e sapere se la fortuna era amica, consisteva nella preparazione dell’“erba dell’Ascensione.” Nel giorno che la chiesa consacrava a questa ricorrenza, chi era interessato appendeva ad una parete in ombra, dopo averlo privato delle radici, un ramo di una speciale pianta grassa, col gambo in su e l’apice rivolto verso il basso. Dopo qualche giorno si controllava la pianta: se riprendeva a crescere puntando verso l’alto, era segno che la fortuna era amica e la casa sarebbe rapidamente prosperata, se, invece, rimaneva nello stesso stato significava che sarebbe continuata, senza troppi scossoni, la vita di prima. Nella malaugurata ipostesi che fosse seccata c’era da avere veramente paura: l’infausto presagio stava ad indicare che, nel volgere di poco tempo, ci sarebbe stato un lutto in famiglia.

   

Secondo una delle tante superstizioni popolari caccuresi tagliarsi le unghie di martedì e di venerdì era sconsigliato perché favoriva la formazione di fastidiose pellicine.

   

Anche a Caccuri, nel secolo scorso, c’era l’abitudine, in molte famiglie, di imporre ai figli nomi inusuali. Ecco alcuni esempi: Aloisio, Saulle, Letterina, Terigi.

 

Il celebre brigante Zirricu, come tutti i capi banda dell’epoca, aveva un debole per le belle donne. Una volta, un marito tradito, sorprese gli amanti in località Valle del Papa, ma, non avendo il coraggio di affrontare il tagliagliagole a viso aperto per paura della sua reazione, si limitò a sottrargli di soppiatto i vestiti lasciandolo completamente nudo e credendo, in tal modo, di metterlo in serie difficoltà. E, in effetti, il bandito ebbe non poche difficoltà a recuperare qualcosa da mettersi addosso, ma alla fine ci riuscì con l’aiuto di un pastore. La cosa lo turbò a tal punto che da allora aggiunse alle sue mansioni di capo banda, anche quelle di procurare e distribuire personalmente ai suoi compagni i capi di abbigliamento. L’episodio fu raccontato da Angelo Raffaele Secreto (Velociu) in una farsa. Anche questa, però, è una leggenda di cui non esistono riscontri. Gli atti processuali, viceversa, fanno riferimento ad un tentativo di omicidio di Zirricu ai danni di una guardia doganale con la quale la moglie lo tradiva da tempo.

 

Per gli antichi caccuresi il canto dell’upupa (‘a pigula), il bellissimo uccello notturno celebrato anche dal Foscolo, nelle vicinanze del paese, era sicuramente un presagio di morte. Il giorno dopo, o al massimo nel giro di un paio di giorni, sicuramente qualcuno avrebbe cessato di vivere. Stesso valore premonitore aveva il guaire lamentoso e insistente di un cane.

 

Nel secolo scorso, fin quasi alla metà degli anni ’50, le spose caccuresi, dopo il matrimonio, per una forma di pudore imposta dalle convenzioni sociali, non uscivano di casa prima di otto giorni dalla data del matrimonio. La prima sortita, generalmente, era quella per andare a messa la domenica successiva o a pranzo dai suoceri.

 

 Nel 1997, il  2  giugno, dopo tanti anni durante i quali  Caccuri non aveva più dato i natali a nessuno, si ebbe una nascita singolare: si trattava di un cucciolo di tigre,  al quale venne imposto il nome di Tundra. La tigrotta  nacque da una tigre  in cattività in un circo attendato in quei giorni nel nostro paese. Purtroppo  " l' illustre caccurese"  morì qualche giorno dopo mentre il circo si trovava a Scandale dove  si era nel frattempo  trasferito.

   

Fino ai primi anni ’50 del XX° secolo il centro storico di Caccuri era pavimentato in pietra di fiume (silica) poi, l’arrivo di una devastante “modernità” indusse gli amministratori del tempo a sostituire la vecchia pavimentazione con l’orrido cemento. Negli ultimi decenni si è passati al porfido che è già qualcosa di meglio rispetto al cemento, ma non certo la vecchia, cara, artistica “silica”  della celebre “ ‘A Caccurisella.”

   

Secondo un’antica credenza popolare caccurese spuntando una ciocca di capelli il primo venerdì di marzo  ci  si liberava del mal di testa per tutto l’anno senza dover ricorrere agli analgesici.

   

Fino a qualche decennio fa nel comporre il cadavere di un defunto si rispettava un antico rituale che prescriveva tutta una serie di adempimenti che avevano origine nel culto dei morti ereditato dalla cultura greca. In particolare si dovevano collocare nella bara 13 monetine che servivano per pagare il pedaggio a Caronte che, con la sua barca, traghettava le anime al di là dello Stige, un pezzetto di pane per ammansire Cerbero, guardiano dell’Ade e un moccolo di candela per illuminare la buia strada che conduceva nel regno dei morti.

 

Una delle offese più gravi che si possa fare a un caccurese è quella di non accettare la carne di maiale o di altro animale che viene offerta in dono. Ciò, infatti, è ritenuto foriero delle più gravi sciagure. Chi compie un atto del genere mette in conto, preventivamente, una inimicizia eterna col donatore.

 

Nei primi decenni del XX° secolo a Caccuri operavano due medici. Il primo, il dottor Vincenzo Ambrosio, era il medico condotto del paese, il secondo,il dottor Vincenzo De Franco, cognato del primo, era anche segretario comunale. Il condotto morì nel 1946, mentre il dottor De Franco si spense nel 1961.

   

Fino alla seconda metà del secolo scorso la grande campana della Chiesa di Santa Maria delle Grazie, fusa nel 1578 da Angelo Rinaldi per l’Università di Caccuri, veniva suonata a distesa facendola oscillare pericolosamente, ogni volta che moriva un papa o che veniva eletto il successore. Quattro robusti giovani, allora, la spingevano con forza per alcuni minuti, pronti a imprimerle un nuovo moto quando le oscillazioni tendevano a divenire più brevi. Una vota si staccò il battaglio che finì su di un tetto di fronte il campanile sfondandolo. In quelle occasioni il suono veniva udito distintamente anche da belvedere Spinello e Altilia. L’ultima volta accadde il 2 marzo del 1939 in occasione dell’elezione al soglio pontificio di Eugenio Pacelli, papa Pio XII°.

 

“L’affascinu” ovvero il malocchio, secondo i vecchi caccuresi, era il prodotto dell’invidia degli altri per le nostre condizioni di salute o per la nostra presunta fortuna. Spesso, però,  si poteva rimanere “affascinati”, cioè colpiti dal malocchio, anche se il nostro prossimo gioiva della nostra fortuna e anche se si trattava di un nostro stesso familiare. A questo punto, quando l’evento si verificava o si riteneva si fosse verificato, non rimaneva che ricorrere alle arti di una donna che sapeva “sfascinare”, cioè togliere il malocchio, cosa che faceva seguendo un rituale particolare. La prova che la jella ci aveva colpiti era fornita dalle decine e decine di sbadigli che facevano smascellare la “fattucchiera” la quale si caricava, in tal modo il fardello della nostra “jettatura”  per poi disfarsene a sua volta.

 

Secondo una antica credenza popolare bisognava fare molta attenzione, mangiando in presenza di una donna in stato interessante. Si doveva far si che alla donna  venisse offerto di assaggiare un po’ di tutto di quello che si stava mangiando. Qualora chi mangiava trascurasse di offrire una qualsiasi pietanza alla donna e questa la desiderasse senza chiederla per discrezione, lo scortese commensale sarebbe stato colpito, senza alcun dubbio, da un’orzaiuolo.

 

Silvana Mangano, Amedeo Nazzari, Rocco D’Assunta, Luigi Pavese, Umberto Spadaro erano gli interpreti principali del film “Il brigante Musolino”, prodotto da Dino De Laurentis e diretto da Mario Camerini, girato in gran parte a Caccuri nella primavera del 1950. Oltre alle numerose scene esterne (l’esecuzione del sagrestano spergiuro nel corso di una processione, la fine della povera Mara sul sagrato della chiesa di Santa Maria delle Grazie, l’uccisione del capo mafia per mano del brigante nel luogo, l’assassinio del medico proprio davanti la “Conicella”) nelle quali è possibile ammirare i paesaggi dell’epoca ancora integri, in  alcuni preziosi fotogrammi si scorgono l’interno della Chiesa della Riforma, a quei tempi ancora ben conservata e il chiostro del convento prima che venisse deturpato da pesanti interventi.

 

Nel 1919 Caccuri fu amministrata da due commissari prefettizi che sostituirono, per un certo periodo, il sindaco dell’epoca. Il primo, il dottor Nicola Leone, si schierò apertamente per il partito degli agrari, primo embrione caccurese del futuro partito fascista, il secondo. Vincenzo Costantino Barberio, originario di San Giovanni in Fiore, militò nel Partito Popolare e fu eletto consigliere comunale del nostro paese nelle elezioni amministrative del 10 ottobre del 1920.

 

Nella prima metà del XX° secolo gli spettacoli pirotecnici della festa di San Roco e delle altre feste che si celebravano a Caccuri erano curati da fuochisti  del luogo, i fratelli Nicola e Vincenzo Fodero, originari di Belcastro, ma sposati  con ragazze caccuresi e residenti  nel nostro paese da molti anni. Uno dei numeri più apprezzati dai giovani e meno giovani del tempo era il famoso “asino scoppiettante”, una carcassa a forma di somaro costruita con stecche di legno e altri materiali di fortuna ed imbottita di girandole e botti che zu Nicola si caricava sulle spalle prima di accendere le girandole  e di mettersi a “sgroppare” di qua e di là sulla piazza in un fantasmagorico gioco di luci e colori per la gioia dei presenti.

 

 Il barone caccurese Francesco Cimino, nel 1608, poco prima di morire, donò 3.000 scudi annui al Seminario dei Carmelitani Scalzi di Santa Maria della Vittoria di Roma. Per questo gli fu eretta  una statua di bronzo e una dedicata una epigrafe  nella chiesa di San Pancrazio fuori le mura.

 

Il notaio caccurese Domenico Mingaccio o Mignaccio, che visse nel XVI° secolo, fu uno dei più esperti e apprezzati notai della Calabria. A lui si rivolgevano duchi, principi ed ecclesiastici per il rogito dei più importanti atti di quel periodo.

 

Molti furono i sindaci di Caccuri originari di altri paesi e che si trovavano nella nostra cittadina perché avevano sposato donne del luogo. Tra questi, uno dei primi fu Pasquale Montemurro, che ebbe un ruolo determinante  nella cattura dei fratelli Bandiera e dei loro sfortunati compagni.

 

Nel ‘500 la popolazione di Caccuri subì un consistente aumento nel periodo compreso tra il 1521 e il 1578, ma, già nel 1595 i fuochi (focolare, famiglie censite ) erano passati da 325 del 1578  a soli 195. Lo spopolamento continuò fino al 1648. Nel periodo di maggior floridezza e di massima espansione Caccuri aveva tre parrocchie: la Matrice e quelle di San Pietro e di San Nicola.

 

Nei primi decenni del XX° secolo l’unica locanda di Caccuri era gestita da Peppino Marino (nonno dell’estensore di queste pagine), calzolaio che gestiva anche una macelleria. Il modesto “alberghetto” caccurese si trovava nel rione Vincolato ed era costituito da 2 camere e sei posti letto. Durante il ventennio fascista ospitò anche alcuni confinati politici.

 

Il personaggio di “Addozzio” dal quale derivò la scherzosa imprecazione “Mannàja lu core ‘e Addozziu” è realmente esistito. Addozziu era un contadino sangiovannese che negli anni a cavallo tra il XIX° e il XX° secolo abitava a San Vito, nella chiusa dei signori De Franco coltivandone i terreni.

 

Il terreno denominato San Nicola ha questo nome perché, molto probabilmente, apparteneva alla chiesa di San Nicola, una delle tre parrocchie caccuresi del XVIII° secolo.

   

Tra i sacerdoti che ressero la parrocchia di san Pietro in Caccuri si ricordano don Domenico De Rosa, don Agostino Chirico e don Gennaro Lucente che fu parroco dal 1768 in poi succedendo ai primi due.

 

Per quasi due decenni, fino ai primi  anni ’60 dello scorso secolo, titolare dell’unica farmacia caccurese fu il dott. Gaetano De Franco, farmacista e insegnante elementare per molti anni nella scuola dello stesso paese insieme alla sorella Anita. La farmacia De Franco era ubicata nell’omonimo palazzo di largo Vincenzo Ambrosio. In precedenza la farmacia di Caccuri era gestita dal dottor  Raffaele Piterà, un professionista cutrese che si era trasferito nel nostro paese. La farmacia Piterà era ubicata in via Simonetta (casa Durante).

 

L’unica meridiana,  lo strumento che consentiva di conoscere l’ora, almeno nelle giornate di sole, esistente a Caccuri, era collocata sulla parete sud di casa “Lucente”, in via Misericordia che ospitò, al piano terra, per oltre 20 anni, l’ufficio postale. Ancora oggi il vecchio “orologio solare” è visibile sulla stessa parete, anche se illeggibile e inutilizzabile per l’incuria e il degrado.

 

Fino alla fine degli anni ’60 del secolo scorso nel territorio caccurese esistevano ben 5 rivendite di “Sali, tabacchi e chinino di Stato” (Putighini). Tre erano ubicate a Ponte di Neto, Botteghelle e Santa Rania, 2 nel capoluogo (via Misericordia – Maria Mele, vedova Dardani ) e via Chiesa (Giovanni Marullo).  Negli anni ’20 e ‘30 ve ne era una sola gestita da Domenico Caccuri. Attualmente le rivendite si sono ridotte a due: una a Santa Rania e una a Caccuri, ma non vendono più né sale, né il famoso chinino di Stato.

 

Il clero caccurese, che pure annoverò tra le sue fila ben tre vescovi (Carnuto, Cavalcante e De Franco), un agiografo (Cornelio Pelusio) e numerosi altri illustri sacerdoti, fu, spesso, anche oggetto di pesanti sanzioni  e censure per comportamenti poco rispettosi dei precetti della Santa Sede. Alcuni preti vennero meno all’obbligo del celibato, altri violarono disposizioni e divieti dei vari vescovi e uno, addirittura, si macchiò di un omicidio e chiuse la sua esistenza in carcere.

 

Negli anni ’40 dello scorso secolo, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, anche  Caccuri era meta di compagnie teatrali viaggianti che, come l’antico carro di Tespi, giravano in lungo e in largo la penisola cercando di sbarcare il lunario facendo dimenticare alla gente gli orrori della recente guerra con le loro “mirabolanti” commedie. Spesso, qui da noi, attori e capocomici erano vittime di piccole truffe e raggiri messi in atto da non troppo onesti giovanotti che si intrufolavano nel teatrino improvvisato (in via Parte nel garage Ambrosio o nel palazzo De Franco) con le più furbesche trovate, senza pagare il biglietto. Alcuni personaggi delle opere rappresentate divennero così popolari da trasformarsi in soprannomi di gente del luogo che, ancora oggi, se li trascina dietro.

 

La collina della Serra Grande, secondo gli studiosi di geologia, avrebbe la bella età di 280 milioni di anni. Le rocce che costituiscono l’ossatura del sistema, definite “substrato cristallino”, risalirebbero, infatti, al paleozoico. Su questa parte, sempre secondo gli studiosi,  si sarebbero sedimentati diversi strati dando origine a formazioni arenarie. Le rocce, come testimoniano i resti fossili, erano sommerse ad una profondità non superiore ai 200 metri . Lo strato superficiale, costituito da rocce massive di calcio areniti, sarebbe “trasgredito”, cioè sprofondato per qualche decina di metri.

(Professori Moretti e Sannino – Università della Calabria – Lezione all’aperto del 6/2/1999 in via Parte.)

   

Il cuore economico e sociale di Caccuri era, fino alla metà degli anni ‘60 del secolo scorso, il tratto di strada compreso tra la piazza (ancora senza nome) e via Misericordia (resti della casa dei Simonetta). In poco più di cento metri vi erano tre bar, un’ osteria, una trattoria, due botteghe di sarto, due barbieri, un fabbro ferraio, due calzolai, un falegname, due negozi di generi alimentari, due macellerie, il fruttivendolo, l’edicola, un negozio di calzature, un negozio di tessuti, un negozio di elettrodomestici  e una rivendita di tabacchi.  Le osterie, i bar e i saloni erano dei veri e propri centri di aggregazione e di socializzazione dove la gente si incontrava e discuteva di tutto.

   

Nel corso degli ultimi decenni molti famosi cantanti e gruppi musicali si sono esibiti a Caccuri in occasione della festa di San Rocco. Tra i molti si ricordano Isabella Iannetti, Sonia e le Sorelle, Ombretta Colli, Riccardo Fogli, I Dik Dik, Mino Reitano, Flavia Fortunato, Nada e tanti altri.

   

Fino agli anni ’50 del secolo scorso uno dei rioni più popolosi del paese era il Vincolato, un gruppo di case compreso tra Via Buonasera, Via Misericordia e vico Municipio. Si calcola che in una quindicina di case vi fossero stipate più di 150 persone. Attualmente nelle stesse case abitano stabilmente solo 5 persone.

 

Nel secolo scorso, fatta eccezione per la scuola dove quasi tutto il personale insegnante era del luogo (almeno dal 1970 in poi), negli uffici pubblici impiegati e dirigenti erano questi tutti forestieri. Anche il clero proveniva, quasi sempre, da fuori. Oltre ai vari comandanti dei carabinieri e delle guardie di finanza erano forestieri l’ufficiale postale (Antonio Senandres originario di Nicastro prima e Nicola Brancati di Castelsilano dopo), il farmacista, dottor Raffaele Piterà originario di Cutro, il segretario comunale Francesco Cordua di Belvedere Spinello, i sacerdoti don Francesco Fusi (Crema), don Mario Vaccaro (San Nicola dell’Alto), don Giovanni Greco (San Giovanni in Fiore). Forestieri erano anche moltissimi dipendenti del barone Barracco.

Il nome di via Buonasera, secondo la tradizione,  venne dato al tratto di strada compreso tra piazza Umberto I° e via Destra dove vivevano i ricchi del paese. Al mattino presto, quando operai e contadini andavano a lavorare, i signori dormivano per cui la povera gente non aveva “l’opportunità” di augurare loro il buon giorno. Li incontravano, però, al tramonto quando, distrutti dalla fatica, tornavano a casa. Allora erano costretti a percorrere quel tratto con il  cappello in mano, salutando ossequiosamente i maggiorenti che incontravano. “Buona sera”, “Buona sera”, ripetevano in continuazione i lavoratori, fin quando non si aprivano le porte dei loro poveri tuguri.

 

La casa canonica di via Chiesa fu costruita  tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 dello scorso secolo. Uno dei primi e dei pochi sacerdoti che l’abitarono stabilmente fu il compianto don Giovanni Greco, parroco di Caccuri dal 1963 al 1980.

 

Il primo soldato caccurese caduto nella 1^ Guerra mondiale fu il giovane Alessandro Gigliotti. Per questo motivo a lui, appartenente a una famiglia di militanti del Partito popolare, fu intitolata, durante il ventennio, la locale sezione del Partito Nazionale Fascista.

 

Nel corso dell’ultimo secolo si sono estinte numerose antiche famiglie caccuresi e sono scomparsi molti cognomi un tempo abbastanza diffusi. Tra gli altri ricordiamo i Procopio, i De Carlo, i Caccuri, i Demme, gli Urso, gli Abruzzino, i Tedesco, i De Luca, i Peluso, i Cosenza.

 

Nella storia di Caccuri ci sono stati anche due segretari provinciali di partiti politici che, vissuti in epoche lontane, risultarono comunque schierati agli estremi. Il primo, Antonio De Franco, fu segretario federale di Catanzaro del Partito Nazionale Fascista negli anni ’30, il secondo, Antonio Mirandi, fu segretario della federazione di Crotone del partito della Rifondazione comunista, negli anni ’90.

   

Nel XVI° secolo il Crotonese fu teatro di  scorribande della banda di Marco Berardi, il famoso Re Marcone, un valdese al cui seguito vi erano circa un migliaio di uomini che si batterono eroicamente contro l’occupazione spagnola. Particolarmente efferati furono alcuni episodi che si verificarono nel territorio di Rocca di Neto e di Caccuri. Re Marcone fu poi trovato morto in una grotta nel territorio caccurese e la sua banda fu sgominata  dall’esercito degli invasori.

 

L’attuale villa San Marco era originariamente una chiesa consacrata all’omonimo santo.  Sconsacrata e acquistata dal barone Barracco, fu, per qualche decennio, adibita a fienile tanto che è conosciuta dai Caccuresi come  “ ‘ A pagliera”, cioè il locale dove si depositava la paglia.

 

La statua del santo in processione nella celebre scena de “Il brigante Musolino”,  il film di Mario Camerini girata a Caccuri nella primavera del 1950 in contrada Sigillasi (sotto il cimitero) con decine di comparse del luogo, è quella di San Marco. Probabilmente proveniva dalla chiesa di San Marco, poi “pagliera” (fienile)  dei Barracco e attuale villa San Marco.  Fino alla seconda metà degli anni ’50 era stata relegata nella sagrestia della chiesa di Santa Maria delle Grazie. Da allora se sono perse le tracce.

 

La caserma della Guardia Nazionale mobilizzata di Caccuri, istituita con la legge del 4 agosto 1861, era situata nei pressi della Porta Grande (attuale piazza). Lo si desume dall’atto di morte di un tale Bruno La manna, di anni 63, il cui decesso avvenne proprio all’interno del posto di guardia.

 

Come il gobbo Quasimodo che nel romanzo di Victor Hugo “Notre Dame de Paris” abitava nella famosa cattedrale parigina, anche nel convento dei Dominicani di Caccuri dimorò, per alcuni anni, fino alla metà degli anni ’50 del XX° secolo, un povero muto, Domenico Dardani.  Il vecchio, assieme alla moglie, la pia e devota “za Maria Rosa” Urso abitava nel campanile.  I due custodivano, con zelo e devozione, la chiesa all’epoca ancora aperta al culto.

   

Nel 1324 vivevano e operavano a Caccuri i sacerdoti don Giovanni Cipriano, don Giovanni De Sabino , don Guglielmo Novello e don Francesco Ruffo.

 

Secondo una relazione del 22 settembre del 1769 del vescovo mons. Francesco Maria Trombini in quell’anno vivano a Caccuri 1174 abitanti.

 

Molti furono, nel corso dei secoli, gli uomini di chiesa  caccuresi, alcuni dei quali anche molto illustri. Oltre ai vescovi Carnuto, De Franco e Cavalcante, ricordiamo il dotto agiografo fra Cornelio Pelusio, mons. Muzio De Gaeta, governatore di Loreto, il canonico don Giuseppe Rao che fece erigere l’omonima cappella nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, don Antonio Maria De Luca, don Angelo De Franco, fratello del vescovo, don Giuseppe Ambrosio, don Gennaro Lucente, don Muzio Quintieri, don Francesco Pasculli, Don Peppino Pitaro e, da ultimo, don Franco Lacaria. Da ricordare,  anche se non nato a Caccuri,  il cardinale Giacomo Simonetta, figlio dello storico Giovanni e nipote del grande Cicco, il caccurese segretario di Francesco Sforza.

 

 Il significato del toponimo “Munnello”, la zona collinosa che sovrasta il rione Croce, è luogo brullo, privo di vegetazione. Nella zona, in fatti, vi erano alcune colline arenarie senza alberi con un profilo bellissimo. Purtroppo, negli anni ’60 e ’70 sono state rimboschite con la messa a dimora di pini per cui oggi hanno assunto l’aspetto di “teste ricoperte da bruttissime capigliature posticce.”

 

La Manca del Rosario,  il terreno sul quale, sul finire del XIX° secolo fu edificato il nuovo cimitero,  apparteneva, probabilmente, alla Congregazione del Santissimo Rosario. Da qui l’origine del toponimo ancor oggi usato dai vecchi caccuresi per indicare scherzosamente l’Al di là.

 

L’antica abbazia di Santa Maria dei Tre Fanciulli nel secolo XVI° era nota anche come Santa Maria la Nova o Santa Maria della Paganella.

 

Nel 1742 viveva a Caccuri ancora un maestro fonditore di campane. Si chiamava Scipione Palmieri ed era originario di Bocchigliero. 

 

Il caccurese mons. Muzio De Gaeta, fratello di Ottavio, cognato del duca don Marzio Cavalcante, nel 1696 ricopriva la carica di governatore di Loreto.

 

Il luogo ove sorge attualmente l’Ufficio postale era noto nei secoli passati come “Trempa dei cavalli” perché il dirupo sottostante veniva utilizzato come cimitero di asini, muli e cavalli.

 

Sull’esempio dei Normanni e degli svevi, anche i sovrani angioini e aragonesi furono munifici nei confronti dei florensi ai quali elargirono sempre nuovi privilegi confermandone puntualmente gli antichi. Anche i vari papi seguirono una politica analoga.

 

Il grande Cicco Simonetta, come ebbero a rilevare numerosi, autorevoli storici, non fu immune dal vizio del nepotismo.Oltre a decine e decine di calabresi che assunse  nella  burocrazia e nell’esercito del ducato sforzesco, il grande ministro volle con sé e collocò nei posti più ambiti, cugini e nipoti. Uno di loro, Cesare Protospataro fece, però, ritorno in Calabria carico di doni elargitigli dall’illustre zio.

 

Nelle due guerre mondiali Caccuri pagò un altissimo tributo di sangue. I caduti della “Grande guerra” furono  28, mentre nella seconda guerra mondiale persero la vita 22 giovani. Molti furono anche quelli che morirono per malattie contratte in guerra e i grandi invalidi.

 

Moltissimi sono i soprannomi di persone o famiglie caccuresi che hanno origine nelle arti o mestieri che esercitavano, nelle caratteristiche fisiche o nei mestieri che esercitavano, o che fanno riferimento a fatti o episodi curiosi della loro vita.  Eccone alcuni: Zommaru (nonno del sottoscritto, cavatore di zomme, la radica dell’erica, legno pregiato per fabbricare pipe), Calapizzata (signora originaria di Calopezzati), Zabarbari (nipoti di zia Barbara), Zocculàru (fabbricante di zoccoli di legno), Scarpalecia (scarpa leggera, piè veloce, agile), Pellettàru (acconciatore di pelli), Rapinu (falco, rapace, soprannome di un brigante caccurese del XIX° secolo famoso per aver tentato, sull’esempio del più celebre Fra Diavolo, di appiccare il fuoco al convento). I soprannomi sono anch’essi strumenti utilissimi di indagine che ci aiutano a ricostruire la storia minore del nostro paese.

 

Una delle più antiche fontane pubbliche del paese è quella di Canalaci, fatta costruire nel 1884 dal barone Barracco, sindaco del paese.  All’inizio del XX° secolo, in seguito alla realizzazione dell’acquedotto comunale,  furono attivate le fontane di via Destra, via Portapiccola, via Mergoli, via Misericordia e via Salita Castello. La più vecchia fontana nel rione Croci era situata all’imbocco  di via Vittorio Veneto dalla parte di via XXIV Maggio e fu rimossa negli anni ’70.

   

Nel XIX° secolo a Caccuri,  su un territorio comunale di 57,3 kmq., il barone Barracco ne possedeva 19,60 kmq., oltre il 34,2%,  Era la percentuale più alta, dopo Cutro (50,5%) e Isola Capo Rizzuto (49,5%). In questo caso, secondo alcuni studiosi, la  presenza  del latifondo può definirsi dominante. (M. Petrusewicz – Latifondo . Marsilio ed. 1990 pp.66-67)

 

Nel 1761 l’arciprete di Caccuri don Francesco Franco fu severamente punito dal vescovo Carlo Ronchi per aver consentito a don Antonio Cavalcante, fratello del duca di Caccuri e cavaliere dell’Ordine di Malta, di accostarsi, in violazione di una recente disposizione dello stesso vescovo, al sacramento dell’ eucaristia, pur vivendo scandalosamente in concubinato con una tale Serafina Piluso, donna maritata e già concubina dello stesso duca. Per questa colpa don Franco fu costretto agli esercizi spirituali in un convento di Mesoraca.

     

L’abate Salvatore Rota, napoletano, commendatario dell’Abbazia forense nel XVI° secolo, mostrò, a differenza dei suoi predecessori, tutti spagnoli che badavano soltanto a riscuotere le entrate del monastero, molto interesse  e attaccamento all’istituzione affidatagli. Egli, infatti, restaurò le antiche fabbriche e gli opifici e si prodigò per recuperarne i beni. Il 23 febbraio del 1533 incontrò a Genova l’imperatore Carlo V° al quale chiese l’autorizzazione ad intraprendere le opportune iniziative per recuperare i beni del monastero che erano stati usurpati.

 

 Nella prima metà del XX° secolo la corrispondenza diretta a Caccuri si fermava al bivio di Laconi dal quale transitava la corriera postale in servizio tra Caccuri e San Giovanni in Fiore. A trasportarla in paese a dorso d’asino provvedeva il procaccia Rosario Rizzuto. Le derrate alimentari destinate alle varie bottegucce  arrivavano, invece, col  “Traino” del signor Cannellino, un carro tirato da due pariglie di robusti cavalli che arrancavano sull’erta di Sigillisi.

 

Le mandrie dei suini dei baroni Barracco furono amministrate, per quasi un secolo, dalla famiglia Ciampà di Caccuri. Il capostipite, Aniceto Ciampà, assunse l’incarico nel 1813 e trasferì poi le mansioni al figlio Giuseppe che nel 1939 divenne capo porcaro e, nel 1849, assunse l’amministrazione di tutta la produzione suina fino al 1870, quando, alla sua morte, gli subentrò il figlio Vincenzo che, a sua volta, fu sostituito nel 1892 dal figlio Giuseppe.

 

 

Negli anni ’50 del secolo scorso erano solo quattro le auto che percorrevano le polverose strade di Caccuri e dintorni. Delle quattro, due erano auto da noleggio, una Fiat 1400 Diesel di proprietà di Luigi Pisano e una Fiat 600 del vecchio Capozza. Oltre alle poche auto circolavano anche alcune moto  Vespa, un paio di Lambrette e due motofurgoni Ape di cui uno, cabinato, era di proprietà del compianto Peppe Marasco.

 

In occasione della collocazione di una lapide su quel che resta della casa del grande Simonetta, attualmente ricoperta da erbacce e tubi del gas tra il disinteresse generale,  sorse una polemica alimentata da “intellettuali” del luogo che contestavano la decisione dei promotori dell’iniziativa di scrivere sulla lapide “Cecco” al posto di “Cicco” che, a loro giudizio, era il vero nome del Simonetta. A parte il fatto che il vero nome era Francesco, il grande politico, umanista e diplomatico caccurese del XV° secolo veniva chiamato indifferentemente, sia Cicco che Cecco. Il Machiavelli, nelle Istorie fiorentine, scrive: “E stimavano che il popolo per la fame dalla quale era aggravato dovesse facilmente seguirgli, perché disegnavano dargli la casa di messer Cecco Simonetta”. E poi ancora: “Nella quale contenzione madonna Bona, vecchia duchessa, per il consiglio di messer Tommaso Soderini, allora per i Fiorentini in quello stato oratore, e di messer Cecco Simonetta stato segretario di Galeazzo ….”e, infine, “il che dispiaceva assai a messer Cecco, uomo per prudenza e per lunga pratica eccellentissimo.” Cecco lo chiama anche ripetutamente Pericle Maone nel volume “Caccuri monastica e feudale” ed. A. G. Mercurio – Portici 1969 alle pagine 19, 20, 21 e 52. “Cecho” lo chiama il re di Napoli Ferdinando I° in un documento del 22 aprile del 1465: “ … tum maxime per respecto del magnifico Cecho segretario dell’ill.mo Sig. Duca de Milano per respecto del quale volimo che esso Hector è parente del dicto Cecho, siano favoriti et guardative de fare lo contrario per quanto avite nostra gratia cara.” Cecco o Cicco, infine, è il nome del più illustre dei caccuresi anche per la Grande Enciclopedia Utet.

   

Il 13 gennaio del 1615 il papa Paolo V concesse alla Confraternita del SS. Corpo di Gesù Cristo, detta anche del Santissimo Sacramento  della chiesa Matrice di Caccuri, l’indulgenza nelle feste del SS. Corpo di Cristo, della Natività, dell’Annunciazione e dell’Assunzione. (F. Russo – Regesto 27494)

 

 Il calo demografico che si verificò in molti paesi della Calabria , tra i quali Caccuri, nel periodo tra il 1815 e il 1844, anno nel quale la popolazione caccurese si ridusse a soli  800 abitanti era da attribuire, secondo Luigi Grimaldi, alla spaventosa miseria che provocava una scarsa riproduttività nelle popolazioni.

 

Una curiosa trappola costruita con materiali di fortuna e molto ingegno dai ragazzi caccuresi, era la “catrea” che serviva per catturare vivi gli uccellini.  In un grosso cladodo (paletta) di fico d’india veniva praticata una finestrella chiusa da una grata di legnetti. Si scavava poi una buca nel terreno all’interno della quale veniva collocato un bastoncino (spizzingulu) al quale si attaccava un chicco di granaglie. Il bastoncino reggeva, in equilibrio precario, il pesante cladodo proprio sopra la buca. Quando l’uccellino cercava di beccare il chicco di grano la “paletta” cadeva e lo imprigionava nella buca senza fargli male. Il ragazzo, allora, vedeva l’uccellino attraverso la graticella, infilava la mano nella buca sollevando delicatamente il cladodo e catturava la povera bestiola.

 

I terreni di proprietà del barone Barracco siti nell’agro di Caccuri, nel periodo compreso tra il 1853 e il 1875 produssero i seguenti redditi: anno 1854   -  ducati 1870; anno 1858 -  ducati 4110; anno 1861 – ducati 4000; anno 1870 – ducati 5035; anno 1875 – ducati 5287. L’incremento notevole del reddito era determinato dalle innovazioni tecnologiche che il barone introduceva nei processi produttivi.

 

Nel 1943 due pastori caccuresi, Vincenzo Fazio e Pietro Falese, trovarono, nei pressi del cimitero, un residuato bellico che scambiarono per una torcia elettrica. All’improvviso l’ordigno esplose ferendo gravemente il Fazio che rischiò, per molto tempo, di perdere l’uso delle gambe.  Allora fece voto al Bambino Gesù che se avesse riacquistato l’uso degli arti inferiori  avrebbe eseguito, per tutta la vita,  la notte di Natale, il canto “Tu scendi dalle stelle” con la cornamusa percorrendo in ginocchio il tratto compreso tra l’entrata della chiesa di Santa Maria delle Grazie e l’altare maggiore, cosa che fece regolarmente fino alla morte.

 

Tra i briganti caccuresi autori di feroci e cruente scorrerie nel nostro territorio la tradizione popolare fa riferimento a due non meglio identificati  individui noti con i soprannomi di “Cannello” e di “ ‘U Rapinu.” Il primo, nella seconda decade del mese di aprile del 1861 tentò di appiccare il fuoco al convento dei francescani, del secondo non si hanno altre notizie.E', comunque, evidente, che si tratta di personaggi di fantasia che non trovano alcun riscontro in atti e fascicoli penali.

 

Tra le opere poco conosciute del nostro concittadino Cicco Simonetta va annoverato il Liber Sifrorum  Regule ad extrahendum litteras ziferatas, sine exemplo ,  una guida pratica per agenti diplomatici per difendersi dai cripto analisti, scritta nel 1474. Si trattava, in pratica, di una serie di istruzioni per le spie del tempo per farla in barba al “controspionaggio. In questo modo, come fu riconosciuto ampiamente a livello europeo, il Simonetta diede un contributo notevolissimo allo sviluppo della crittografia.

 

Molte furono le calamità che si abbatterono su  Caccuri nel corso dei secoli. Fra le più terribili ricordiamo: la pestilenza del 1528, le epidemie del 1874, i terremoti del 1638, del 1674 e del 1783, le alluvioni del 1679 e quella del 1943 che provocò il crollo di una casa e la morte di cinque persone,  la carestia del 1680, le grandi stragi perpetrate dai briganti nel 1861 e nel 1868.

 

Prima del 1950 il pane che consumavano i Caccuresi veniva cotto nei forni a legna (frasche) di proprietà dei signori De Franco (largo V. Ambrosio e S. Vito), Fazio (via Simonetta), Lucente (via Simonetta), Ambrosio (via Destra) e Annunziata Lacaria (Via P. di Piemonte). Successivamente fu aperto il forno di Salvatore Blaconà (attuale panificio Loria) in piazza Umberto e, qualche anno dopo, quello di Salvatore Durante in via Portapiccola. Per alcuni anni rimase aperto anche un forno di proprietà del signor Francesco Pasculli che aveva anche il mulino (il locale fu poi adibito  per qualche anno anche  a discoteca) presso la Santa Croce.

   

L’origine del sinonimo “Sambuco”, la località a ovest del paese, potrebbe derivare dalla diffusa presenza, nella zona, della omonima  pianta la cui infiorescenza veniva usata per la preparazione di decotti e sciroppi emollienti e per le gustose “pitte cu’ majiu”. Il sambuco, infatti, è conosciuto da noi col nome di “majiu”, forse perché fiorisce a maggio.

 

Fino agli inizi degli anni ’70 le telefonate tra Caccuri e il resto del mondo venivano smistate mediante centralino con operatore a spina. A garantire le comunicazioni era la compianta signorina Anna Ambrosio (Donna Ninnilla)  che passava le sue giornate a stabilire collegamenti in una stanza della sua abitazione di via Salita Castello ove era ubicatoli centralino. Con l’avvento del selettore automatico a disco il vetusto e glorioso centralino fu sostituito da una fredda e anonima cabina pubblica collocata nel bar Cimino in vico Municipio.

 

La  "sgammia" era un curioso gioco molto in voga tra i ragazzi caccuresi negli anni '20 e '30 del secolo scorso quando, anche tra i fanciulli, era diffusa l'abitudine di portare il cappello. Dopo aver fatto la conta, uno di loro era costretto a posare per terra il  cappello che veniva preso a calci da tutto il gruppo per le vie del paese per la gioia dei cappellai. Chi sbagliava, consentendo al  legittimo proprietario di recuperare il copricapo, era costretto a sacrificare il suo e così via fino a quando non si stancavano e decidevano di cambiare gioco.

 

Un tempo, per la festa di San Rocco, i fedeli solevano preparare degli ex voto di biscotto cosparsi di zucchero e chiara d’uovo che venivano consumati presso il santuario. Si trattava, quasi sempre, di particolari anatomici, braccia, gambe, teste, orecchie, nasi, occhi un tempo ammalati e che si riteneva fossero guariti per intercessione del santo. Una volta una signora si presentò con un vassoio contenente un ex voto tagliato in più pezzi per rendere impossibile l’identificazione di un imbarazzante particolare anatomico del consorte guarito, a suo dire, dal santo patrono.

 

Nel XVI° secolo a Caccuri, oltre ai maestri fonditori, vivevano e operavano anche dei bravi orafi poi trasferitisi altrove. In alcune vecchie carte è possibile ancora rintracciare qualche labile riferimento all’antica arte orafa caccurese.

 

Verso la fine degli anni ’50 venne abbattuta una gigantesca  pigna che era stata messa a dimora nel XVI° secolo da fra Andrea da Gimigliano nei pressi del Convento dei Dominicani, mentre erano in corso i lavori per la costruzione del monastero. La pianta, che era oramai secca da qualche tempo, si trovava, più o meno, tra le attuali case di Francesco e Peppino Basile.

 

Nel periodo compreso tra il 1836 e il 1838 il maestro intagliatore caccurese Bruno Trocino dei Marsi fu chiamato a Strongoli per sovrintendere alla realizzazione del Coro della Cattedrale e ai lavori complessivi per un importo di 566,65 ducati.  I lavori furono affidati al maestro caccurese poiché a Strongoli non vi erano artigiani in grado di realizzare l’opera.  Arcidiacono della cittadina era a quei tempi Raffaele De Franco, caccurese, futuro vescovo di Catanzaro.

(Da “Alto Crotonese – Calabria – I monumenti e gli oggetti d’arte di Anna Russano – aprile 2001 – Ed Gangemi)

 

In località Petraro, nel luogo ove sorge l’attuale campicello scolastico (“La palestra”), venivano eseguite le sentenze di morte per fucilazione decretate dagli ufficiali francesi nei confronti dei briganti filo borbonici durante l’occupazione del Regno nel periodo napoleonico.

 

Quando nel maggio del 1950 Amedeo Nazzari  giunse a Caccuri per girarvi alcune scene del film di Mario Camerini “Il brigante Musolino”, rimase particolarmente colpito dalla miseria e dalla fame dei ragazzini che, incuriositi, bighellonavano nei dintorni del set. Poiché gli capitava, a volte di consumare una veloce colazione all’aperto nei pressi del ponte delle Monache, spesso divideva il pasto con gli affamati monelli.

 

 

Quando nel 1861, in attuazione della legge del 4 agosto  fu costituito anche a Caccuri, teatro di rivolte sedate  a fatica dall’esercito nel mese di giugno e luglio dello stesso anno, il ruolo della Guardia Nazionale Mobilizzata, furono arruolate 8 guardie che erano: Domenico Falbo di Gregorio, di 22 anni, Achille Gigliotti di 24 anni, Giovanni Ruggero, Santo Aiello, Giuseppe Falbo e Gaetano Marino, tutti di 28 anni, Ferdinando Belcastro di 29 anni e Luigi Allevato di 31 anni.

 

 

Nel 1543, a seguito della caduta di Costantinopoli, molte popolazioni di origine slovena, albanese e greca si trasferirono in Calabria. L’abate Rota, volendo approfittarne per popolare San Giovanni in Fiore, decise di estendere a coloro che decidevano di stabilirsi nella cittadina florense, le franchigie concesse dall’imperatore. Gli stranieri però  non scelsero San Giovanni in Fiore come loro residenza; in compenso lo fecero molti Caccuresi e Cerentinesi, in genere gente povera e diseredata per cui i due paesi subirono un consistente spopolamento.

 

 

Fino agli anni ’60, prima che si intensificasse il grande esodo che portò allo spopolamento del paese, centinaia e centinaia di Caccuresi vivevano nelle contrade di Pantane, Rìttusa, Conserva e Laconi. Pantane era sede di  un plesso scolastico con due insegnanti, mentre a Rìttusa funzionava una scuola sussidiata.

 

Nel corso della sua visita in Calabria nel 1964, il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat sostò per alcuni minuti al bivio di Caccuri per salutare gli abitanti della cittadina che erano accorsi a rendergli omaggio. Ad accogliere il Presidente in forma ufficiale, con la fascia tricolore al collo, fu il vice sindaco Salvatore Giuseppe Falbo accompagnato dall’assessore Vincenzo Sellaro. I giganteschi corazzieri faticarono non poco a tenere a bada i ragazzini che incuriositi, si avvicinavano al Capo dello Stato.

 

 

Negli anni ’50 l’autobus di linea per Crotone passava da Caccuri alle quattro del mattino, nel buio più pesto. Per questo motivo i Caccuresi l’avevano simpaticamente ribattezzata “ ‘a zagarogna”, la civetta, che, come è noto, è un uccello notturno.

 

 

Un forte  spopolamento di Caccuri si ebbe nel secolo XVI°, probabilmente per il malgoverno degli Spinelli e dei loro successori. In quel tempo molti caccurese lasciarono la cittadina e si trasferirono nella vicina San Giovanni in Fiore.  I fuochi (focolari di 4 persone presi a base per il censimento) scesero rapidamente da 325 a 125.

 

Subito dopo la Liberazione i rapporti tra D.C, P.S.I e PCI a Caccuri erano così idilliaci che i tre partiti coabitavano nella stessa sede. Le bandiere dei tre partiti, come è possibile vedere anche in una vecchia foto dell’epoca, sventolavano contemporaneamente sull’uscio del locale.

 

Il grande Cicco Simonetta, il più illustre dei caccuresi, si era laureato, probabilmente a Napoli, in diritto civile e canonico. Conosceva, oltre all’italiano e al latino, il greco, l’ebraico, lo spagnolo, il francese e il tedesco. Scrisse, oltre ai diari e altri libri sulla crittografia, anche le “Costitutiones et ordines” della Cancelleria, opera con la quale pose le basi della burocrazia del Ducato.

   

Il mattatoio di San Vito, a poche decine di metri dall’abitato del rione Croci, fu costruito nei primi anni ’60 e rimase in esercizio per quasi 30 anni.

 

Prima della costruzione del palazzo del municipio, agli inizi degli anni ’60, gli  uffici del comune erano ospitati, da alcuni anni, in due aule al primo superiore dell’edificio scolastico. Il precedenza il Municipio era alloggiato nel palazzo De Franco, nel centro storico. A testimonianza di ciò v’è ancora il nome di Vico Municipio che designa il tratto di strada tra largo Vincenzo Ambrosio e via Misericordia.

 

La Mezzaluna , lo stupendo, caratteristico spuntone roccioso adiacente il castello e che, fino alla metà degli anni ’70 del secolo scorso svettava accanto alla torre merlata, prima di essere proditoriamente “decapitato”, prendeva il nome da un catino azzurrognolo che il barone Barracco aveva fatto murare in cima alla collinetta. La bacinella , nella quale cadeva a goccia a goccia l’acqua da un tubicino, serviva da abbeveratoio delle miriadi di uccelli che popolavano la villa annessa al castello. Da lontano il catino, visibile per metà, ricordava la metà del disco lunare per cui la collina fu appunto battezzata “ la Mezzaluna ”.

 

Nel 1621 la popolazione di Caccuri era scesa a 800 abitanti, ma il numero dei sacerdoti era salito a 18. Ai preti si aggiungevano due monaci che abitavano il convento dei Dominicani e un terzo frate che abitava nell’Abbazia di San Bernardo (Giacchetta), commendata a Redolfo Ridolfi. (da una relazione di mons. Maurizio Ricci)

 

La vecchia strada che collegava la strada statale 107 (un tempo Nazionale 61) con l’abitato di Caccuri, pur essendo stata realizzata sul finire del XIX° secolo, fu asfaltata solo nel 1964, venti anni prima che venisse realizzata la variante. Per quasi 90 anni carri, birocci e autovetture percorsero la strada polverosa e sconnessa per raggiungere o lasciare il paese, con tutti i disagi che ne derivavano.

 

Eydo, il nome della contrada dell’agro di Caccuri a nord ovest del paese, è anche il nome di una cittadina spagnola. E’ probabile che l’origine del toponimo sia da rintracciare proprio nella dominazione spagnola delle nostre contrade.

 

Nel 1362 ebbe luogo una lunga controversia tra il barone di Caccuri Squarcia De Riso che pretendeva di “avere la servitù di pascere e tagliare alberi nei territori prope castrum Caccurii” e l’abate forense, ma il viceré di Calabria diede torto al De Riso che dovette rinunciare alle sue pretese.

   

Fra i tanti toponimi curiosi che costellano il territorio caccurese, uno ricorda una città lombarda: Pavia. Si tratta di un piccolo lembo di terra nei pressi del depuratore di contrada Campo.

 

Nella seconda metà del XIX° secolo le levatrici caccuresi erano due. Una, Maria Teresa Quintieri, nacque il 29 settembre del 1842 e morì il 20 novembre del 1932 alla bella età di 90 anni, l’altra, Elisabetta Mirandi,  svolgeva la sua professione nel perido 1865.

   

Per effetto di un decreto legge del 26 gennaio 1911 si sarebbe dovuto costruire un tronco di ferrovia a scartamento ridotto Caccuri – Petilia. La linea, sempre secondo il decreto, sarebbe entrata in esercizio entro il 31 dicembre del 1922 però, come tante promesse dei governanti, i lavori non ebbero mai inizio.

 

Nel 1927  il maestro Peppino Gigliotti, valente fabbro, autodidatta, già dirigente della Sezione Combattenti di Caccuri , collocatore comunale e vice segretario del fascio locale, ebbe l’onore  di ferrare il cavallo del signor Domenico Lopez, possidente sangiovannese, che portò in groppa il re Vittorio Emanuele III° in visita a Cotronei per l’inaugurazione della centrale idroelettrica di Timpagrande.  Dopo l’evento, nel corso del quale andò tutto benissimo,  il Lopez gli mandò una lettera di ringraziamenti e l’elogio del sovrano.

 

Secondo una leggenda ripresa dallo scrittore sangiovannese Saverio Basile, il palazzo del Bordò, di proprietà dei signori Lopez, era abitato dal fantasma di un maresciallo borbonico ucciso da un marito geloso che lo aveva sorpreso con la propria moglie. Il folletto, conosciuto come “Manachellu”,“alto non più di sei palmi, si divertiva a infastidire gli abitanti del palazzo finché non ne fu scacciato da un prete esorcista mandato dal vescovo di Cariati.

 

Nella seconda metà del XVIII° secolo  viveva e operava a Caccuri il notaio Domenico D’Ambrosio che continuava la tradizione e l’opera dei notai caccuresi fra i quali, il più famoso fu Domenico Mingazio o Mignaccio vissuto nel XVI° secolo. Un altro notaio caccurese, Francesco Antonio Ambrosio, morì all’età di 42 anni il 21 agosto del 1823.

 

La famosa donazione dell’ottobre del 1195 con la quale l’imperatore Enrico VI° concesse al Monastero florense dell’abate Gioacchino un vastissimo territorio appartenuto fino a quel tempo ai monaci basiliani del Monastero dei Tre fanciulli, non fu l’unico regalo del monarca al monaco di Celico. Già nel marzo dello stesso anno, infatti, il sovrano svevo aveva assegnato ai florensi 50 bizantini d’oro da pagare in occasione della festa di San Giovanni Battista, da prelevare dalla rendita della salina del Neto.

   

Nel 1947 si disputò una memorabile partita di calcio tra i giovani simpatizzanti delle due liste civiche che si contendevano il comune,  quella di centro sinistra “ La Sveglia ” e quella di centro destra “Il Carro.” Per la cronaca la squadra de “ La Sveglia ” si impose per 5-1 sugli avversari.

 

Nel 1650 il monastero dei Tre Fanciulli era abitato da tre soli frati: Gregorio Ricciuto e Michelangelo Prospero di Mesoraca e Giovanni Pietro Ricciuto di Altilia. La chiesa era lunga e larga 58 palmi. Il monastero aveva 5 stanze a piano terra, di cui una scoperchiata, adibite a cucina, forno, “ciollaro, magazzino e stalla e 4 stanze al piano superiore. Era circondato da mura.    (Relazione Riciuto e Prospero del 20-3-1650)

 

Secondo G. Boca nel volume “Luoghi sismici della Calabria”, pag. 211 Caccuri, in occasione del terremoto del 1638 subì pochi danni perché “era devastato dal tempo, però vi era stato poco danno perché poche erano le abitazioni e le genti.” In effetti in quegli anni la popolazione era scesa al di sotto dei 1000 abitanti.

   

“’A notte ‘e ra Patia” è una espressione caccurese per indicare un evento drammatico. Questo modo di dire trae origine da un fatto di cronaca verificatosi nei primi decenni del secolo scorso quando Caccuresi e Sangiovannesi vennero violentemente alle mani durante la veglia notturna per la festa della Madonna dei Tre Fanciulli (Patia) che si celebrava l’8 settembre di ogni anno. I Sangiovannesi ebbero la peggio e, nell’occasione, i Caccuresi aggredirono e malmenarono anche i carabinieri accorsi a sedare i tumulti costringendoli a battere in ritirata. Solo il giorno dopo, l’arrivo di numerosi rinforzi, consentirono ai tutori dell’ordine di arrestare i facinorosi e portarli in carcere.

 

Alle elezioni amministrative del 10 ottobre del 1920  i capi partito delle due liste in lizza si accordarono per consentire agli elettori di esprimere il voto anche senza entrare nella cabina elettorale. “Chi va nella cabina è un traditore” era lo slogan degli agrari che vinsero con 65 voti di scarto.

 

 

Il significato originario del toponimo “Laruso”, la località caccurese famosa anche per la presenza di una fontanina dalla quale sgorga un’acqua purissima, è “l’ haruso”, (con la h, come è scritto in alcuni documenti antichi), cioè terreno arabile, che può essere arato facilmente.

 

 

 

Prima della donazione di Enrico VI° a favore dell’abate Gioacchino il territorio di Caccuri era uno dei più estesi della Calabria e comprendeva anche l’attuale territorio dei comuni di San Giovanni in Fiore, Savelli e Castelsilano.

 

 

     In Toscana, nella diocesi di Lucca, vi è un monastero che ricorda Caccuri. Si tratta del Monastero di San Cassiano in Caccurio concesso ai Forensi nel 1237 da Papa Gregorio IX°.  (P. Maone – Caccuri monastica e feudale  - A.G. Mercurio – Portici 1969, pp.  6)

 

 

Negli anni ’20 l’artigiano caccurese Pietro De Mare costruì una teleferica che consentiva l’agevole trasporto di pietra calcarea dalla Serra Grande al fienile del barone Barracco (l’attuale villa S. Marco.) La pietra veniva utilizzata per ricavarne calcina per costruire le case del rione Croci che nasceva proprio in quel tempo.

 

 

Ecco qui di seguito alcuni curiosi toponimi dell’agro di Caccuri, alcuni dei quali, seppur lievemente modificati, esistono ancora: Canalagi, Cangemi, Sautante, Biamonti, Lenzana, Acqua di Lepori, Gradia, Misocampo, Homo morto, Jemmella, Lo Funaro, Fontanelle, Passo de lo salice, Simigadi, Arcovadia, Lo Perdice.

 

 

 

Le acque sulfuree di Bruciarello furono analizzate già nel 1840 dallo Scacchi che ebbe modo di constatare che, nelle diverse sorgenti, rivelavano temperature di 27, 34 e 50 gradi centigradi e un contenuto di idrogeno solforato che variava tra 0,6 e 6,4 ml. a litro.  Tali dati furono confermati da ulteriori analisi effettuate circa 50 anni dopo.

 

 

Quando nel 1927 il re Vittorio Emanuele III° inaugurò la centrale idroelettrica di Timpagrande, il professor Francesco Pasculli, ex sacerdote, già tenente degli arditi, legionario fiumano con Dannunzio  e fervente fascista, gli fece pervenire una calorosa lettera di saluto nella quale definiva “fascisti anche i nostri monti che oggi, e non prima, sprigionano dalle loro viscere l’immensa energia (autarchica) che muoverà ferrovie, motori e braccia “affasciandoli” nella santità del lavoro.

 

 

La vecchia strada di accesso a Caccuri, compreso il ponte delle Monache, vene realizzata dall’impresa Luigi De Grasi. L’opera venne a costare 25.000 lire del tempo.

 

 

Il marchese Ceva Grimaldi di Pietracatella, capo del governo borbonico nel 1843, possedeva alcuni terreni a Caccuri che rivendette poi a Luigi Barracco.

 

 

 

Per molti anni Caccuri ospitò una caserma della Guardia di finanza alloggiata nel vecchio convento dei Dominicani. I finanzieri, che lasciarono il paese nel 1937, davano la caccia ai contrabbandieri di sale che riaprivano illegalmente le saline della zona.

 

 

Nel gennaio del 1807 il brigante filo borbonico Giacomo Pedace, detto Francatrippa, alla testa di ben 2.000 uomini, occupò le alture di Gimmella nel tentativo di espugnare San Giovanni in Fiore. Tra loro moltissimi briganti caccuresi.

 

 

 

Nella prima metà del secolo scorso, nei periodi più brutti del primo dopoguerra e dell’autarchia fascista, i nostri vecchi, che non trovavano o non avevano la possibilità di comprare tabacco, fumavano, nelle loro pipe di terracotta, dal cannello di canna, foglie di patate essiccate e cosparse di estratto di tabacco.

 

 

Nel 1500 a Caccuri, figuravano, tra gli altri, anche questi cognomi: Gaita, Crissune, Accepta, Quattromani, Spolveri, Xpano, Accimbatore, Patrizio, Mingazio, tutti scomparsi da secoli.

 

 

La torre cilindrica merlata del castello, che farebbe pensare a una costruzione medioevale, è, in effetti frutto di un artificio, un espediente per mascherare il serbatoio di acqua che alimentava l’abitazione del barone. Essa fu realizzata nel 1885 dall’architetto napoletano Adolfo Mastrogli.

 

Nel 1742 viveva e operava a Caccuri un maestro fonditore di campane che si chiamava Scipione Calmieri. Un altro celebre maestro fonditore caccurese del XVI° secolo fu, invece, Angelo Rinaldi che nel 1578, su commissione dell’Università di Caccuri, fuse la campana della chiesa di Santa Maria delle Grazie.

 

 

In occasione delle elezioni amministrative del 28 giugno del 1914 la casa comunale di Caccuri venne completamente illuminata a gas acetilene. L’opera, realizzata dall’artigiano caccurese Pietro De Mare, costò 20 lire.

 

 

 

Nel 1915 la corrispondenza partita da Crotone,  arrivava a Caccuri solo il giorno dopo. Ciò perché la corriera  partiva tardi da Crotone e non riusciva a raggiungere, entro la sera Caccuri (a 55 km .) e San Giovanni in Fiore (78). Per questi motivi il consiglio comunale, il 4 febbraio del 1915, fece “voti alla Direzione Provinciale delle Poste di Catanzaro affinché si compiaccia di voler disporre che  la corriera postale Crotone – San Giovanni in Fiore parta da Crotone seguendo il primitivo orario in modo da evitare ritardi e avere la posta entro sera, ritenuto che il servizio automobilistico deve restare eternamente un pio desiderio.”      (23/12/01)

 

 

 

Il nome Conserva, con il quale si indica la località a ovest del paese, deriva dal fatto che nei secoli scorsi vi era stata ubicata una conserva per la neve che veniva poi utilizzata nei mesi estivi. La neve veniva conservata sotto terra coprendola con teli e utilizzando come isolante termico la paglia.

 

 

 

 

I Fuochi (Focolare di 4 persone) che costituivano la base censuaria e fiscale nei secoli scorsi con i quali è stata censita la popolazione caccurese nel XVI° e XVII° secolo furono i seguenti: 122 nel 1532, 314 nel 1545, 325 nel 1561, 325 nel 1578, 195 nel 1595, 85 nel 1648, 84 nel 1669. Sarebbe sbagliato, comunque, cercare di determinare il numero di abitanti eseguendo una semplice moltiplicazione in quanto il censimento per fuochi aveva solo scopi fiscali.    (22/12/01)

 

 

La centrale idroelettrica di Calusia, in territorio di Caccuri, fu inaugurata nel 1931 dal principe Umberto di Savoia, il futuro “Re di Maggio”. Quattro anni prima, nel 1927, il padre Vittorio Emanuele III° aveva inaugurato quella di Timpagrande.

 

 

 

Nel 1742 l’Università di Caccuri era amministrata dai seguenti signori: Diego Guarascio, sindaco, Giacomo de Miglio, eletto, Tommaso Aloisio, eletto, Aloisio De Rose, cancelliere (segretario). (27/12/01)

 

 

 

Racconta una vecchia storiella che quando Vittorio Emanuele III°, nel 1927, venne ad inaugurare la centrale idroelettrica di Timpagrande, un sempliciotto sangiovannese, deluso dalla  bassa statura del re ed essendosi formato nella sua mente chissà quale idea di un re, vedendolo esclamò: “ ‘U re, ‘u re, ‘u re  e tena la capu ‘e ru cristianu” cioè,  “Si parla tanto di questo re e poi scopri che anche  ha la testa identica a quella di un uomo qualunque”. La massima, impregnata di saggia ovvietà, non sfuggì ai Caccuresi che presero a sfottere per molti anni quel il poveraccio.

 

 

 

Ecco di seguito l’elenco di alcune calamità che colpirono, nei secoli, Caccuri e  gli altri paesi della zona:  peste  negli 1528 (decimò soprattutto Cerenzia), 1581, 1592, 1593; Siccità nel 1590; carestia nel 1591; terremoti nel 1544, 1549, 1560, 1599, 1638 , (catastrofico), 1832.

 

 

 

Nel 1742 i sacerdoti caccuresi erano ben 7: l’arciprete don Francesco Abate, il parroco don Gennaro Lucente e i sacerdoti don Domenico De Luca, don Domenico Antonio Abate, don Giacomo Clausi, don Giovanni Leto e don Giovanni Francesco Magliaro. I 7 religiosi curavano appena 1031 anime.

 

 

I De Gaeta e i Protospataro, illustri famiglie di patrizi caccuresi, erano parenti dei Simonetta forse per parte materna. La madre di Cicco, Margherita, era probabilmente originaria di Policastro.

 

 

Descrizione del terremoto del 1638:

  “Dirò, dunque,  che al 27 di marzo, l’hora tra 21 e 22, giorno del sabato delle Palme dell’anno 1638, sotto il pontificato di Urbano VIII°,  d’horribile e fiero terremoto fu scossa la terra in questa regione delle due Calavrie, per lo spazio di 150 miglia e, al medesimo punto, si videro città distrutte, terre sommerse, diroccati castelli, abbattuti palagi, abbassate torri, sprofondati monti, sollevate valli, conturbate l’acque.

Eran trascorsi 2 mesi e 12 giorni senza altro danno nella provincia, malgrado fosse scossa da continui terremoti quando , agli 8 di giugno 1638, verso l’otto ore del giorno, si sentì un terribile terremoto dalla parte di tramontana che apportò grandissimo timore, ma   non danno. Alle ore 15 del giorno stesso che fu di martedì, con maggiore impeto, per lo spazio di mezzo quarto d’ora, rinforzò quel furore. Intraprese in molte parti gli edifici, palagi, templi, case, torri, tetti. A quest’ultimo avviso funesto ciascuno abbandonò le proprie stanze e si ritirò in aperta campagna: e fu celestiale voce e favore divino. Infatti la notte seguente, verso le cinque in sei ore, da più terribile terremoto furono abbattute alcune città, terre e castelli, intraperta la terra; molti luoghi furono offesi da profonde voragini e la parte verso il fiume di Nefari e Neto che fino a quel giorno era spettatrice pietosa delle miserie altrui, divenne spettacolo lacrimoso delle sue lacere membra e da quella parte del fiume Neto, Rocca di Neto, S.Severina, Altilia, Belvedere, Cerenzia, Zinga, Casabona, Caccuri, San Giovanni in Fiore. I danni furono gravissimi, ma i morti furono pochi e a Casabona solamente; ad Altilia si aprì una profonda voragine tale che, fatte scendere alcune funi, non fu possibile trovare il fine della profondità; a S. Severina s’aprì il famoso monte Plinio detto Elibano, or fu Vesardo e dentro la medesima città si fece una lunga fessura; a San Giovanni in Fiore s’aprì la terra per una larghezza di due palmi e per una lunghezza di molte miglia verso la Sila e da cui è uscito un cattivo odore.   (Lucio D’Orsi – Terremoti della Calabria (pp. 5-6-.46)

 

Secondo la tradizione popolare, ripresa fortunatamente dal nostro concittadino maresciallo  Prete, l’autore dei versi e della musica della “Rina”, la tradizionale serenata augurale che si canta tra Capodanno e l’Epifania per le strade del paese, sarebbe un certo “Saveriu   ‘u scritture” che avrebbe composto il pezzo nel 1835.

 

Da quasi 45 anni a Caccuri non si registrano fatti di sangue. L’ultimo omicidio (uno dei pochissimi in tutto il XX° secolo) risale al lontano 1958 con la morte di individui.   

 

   

 

 

(1) G. Aragona   Cerenzia -  Pubblisfera 1998 pag. 185

(2)  P. De Leo – Reliquie forensi pag. 394 -395

(3)  G. Aragona   op.cit. pag. 185

 

 

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                                      2  http://s5.histats.com/stats/r.php?371533&100&75&urlr=&digilander.libero.it/vittoria110/Caccuri/Curiosita/spigolature.htm

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