Cronache di poveri briganti
di Giuseppe Marino

3 agosto 2003 - Caccuri - Ristorante La Roccia

 

 

Circa 250 persone sono intervenute domenica 3 agosto 2003, nel salone del bar ristorante La Roccia di Caccuri, alla presentazione deldi Giuseppe Marino, "Cronache di poveri briganti - Il brigantaggio nel XIX secolo a Caccuri e dintorni". L'opera è stata presentata al pubblico dal professor Cesare Mulè, storico  e dal prof. Giuseppe Miliè, politico e amico dell'autore. In sala gli amministratori di Caccuri, Castelsilano e della Comunità montana Alto Crotonese e numerose personalità del mondo della cultura e della politica. Alla cerimonia erano presenti anche lo stesso autore e l'autrice delle illustrazioni, Daniela Secchiari che ha ricevuto numerosi apprezzamenti per il modo semplice e nitido con il quale ha saputo rappresentare "i poveri briganti" caccuresi

   Chi volesse approfondire ora  la storia del brigantaggio nella nostra zona nel XIX secolo ha ora a disposizione questo  nuovo strumento, questo saggio di Giuseppe Marino   che tratta del brigantaggio antifrancese, di quello criminale e di  quello anti - unitario e post – unitario. L'opera è frutto  della consultazione di centinaia di fascicoli relativi ai procedimenti penali del  periodo compreso tra il 1806 e il 1880,  custoditi negli archivi di Stato di Catanzaro e Cosenza. La copertina del volume e i disegni che rappresentano “i poveri briganti” caccuresi sono di Daniela Secchiari. Il saggio di Marino si avvale di una presentazione dello storico  Cesare Mulè. La presentazione al pubblico, voluta dall’associazione culturale Zeus, presieduta da Peppino Sganga , ha visto la partecipazione di oltre 250 persone e la  presenza del sindaco di Caccuri, Sandro Nino Falbo, di quello di Castelsilano, Pietro Durante e del presidente della Comunità Montana Alto Crotonese, Carlo Rizzo, in qualità di patrocinatori dell’opera, oltre a numerosi esponenti del mondo della cultura e della politica e cittadini di Caccuri e dei paesi vicini.
   Nel volume, Marino, partendo dall’abusato luogo comune che vuole la Calabria terra di briganti e “gli abitanti di questa sfortunata e bellissima terra sempre armati di trombone, appostati sulle strade polverose di campagna o nei boschi per sorprendere i viandanti, derubarli e, a volte, perfino sgozzarli”, arriva alla conclusione che quasi sempre, quella del darsi alla macchia era la sola possibilità offerta al povero contadino calabrese, costretto a lavorare “da stilla a stilla” per un salario misero con il quale doveva sfamare la moglie, una nidiata di figli, a volte la vecchia madre e, magari, anche qualche sorella nubile. I poveri cafoni erano costretti a subire le angherie di una borghesia agraria avida e rapace, sempre pronta a cambiare cavallo, pur di conservare i privilegi. Il contadino, così, diventato brigante per necessità, fino a quando non rimaneva freddato da una scarica di piombo o non finiva a marcire in un penitenziario ai ferri, si sentiva invincibile, godeva nell’incutere terrore, nel derubare, nel razziare i suoi oppressori e i loro manutengoli arruolati nella guardia urbana o nella guardia nazionale.  Le vicende dei “poveri briganti” si intrecciano con le vicende nazionali che, inevitabilmente, influenzano il comportamento e il destino di questi tristi, poveri figuri. Non v’è nulla di eroico nelle loro gesta, ma solo ferocia e abbrutimento prodotti dalla disperazione. “Mi  sono imbattuto, scrive Marino,  anche in decine di altri poveracci, di miserabili, alcuni dei quali caccuresi, posti volutamente ai margini della società dalle classi dominanti del tempo, sfruttati, privati di ogni diritto, laceri e affamati che, come è stato autorevolmente scritto dagli storici del tempo, vedevano nella vita del brigante e nella pratica della grassazione una grande attrattiva. Briganti per necessità, dunque, poveri cristi che si ingegnavano a sbarcare il lunario arrivando persino a spogliare i loro simili, lasciandosi avvolgere sempre più dalla spirale del crimine fino a morire ammazzati o a marcire in un penitenziario”.
     Marino – osserva Cesare Mulè – ha condotto ricerche lunghe, faticose, accurate, supportando ogni rigo del suo racconto (stavo per scrivere ogni respiro dei suoi protagonisti) di riferimenti documentali tratti minuziosamente da atti giudiziari per oltre centocinquant’anni mai toccati da nessuno. Aprendo faldoni e volgendo coacervi di carte ha sollevato il coperchio di un inferno di passioni alimentate da efferatezze e sollecitate da sentimenti bruti mai raddrizzati adeguatamente dalla scuola, da civismo, dall'eco d'insegnamenti di fede e di eticità. Non vi è un rigo dolciastro di romanticume che sovente incipria le storie dei briganti”. E Giuseppe Miliè osserva: “Nel suo libro ho sentito l’eco di tante lotte che Peppino Marino ha combattuto in difesa dei più deboli. Questo suo ultimo lavoro è, infatti, un grido di protesta nei confronti di coloro che hanno “dimenticato” di narrare la storia di tanti poveri diavoli che, ridotti in condizioni di estrema povertà materiale e morale, diventano, come ben dice l’autore, briganti per necessità”.
       Il pubblico in sala ha mostrato molto interesse per quest’ultima pubblicazione dello storico caccurese da anni impegnato nella ricerca e nella valorizzazione della storia locale, la storia degli umili, la storia di individui spesso ignorati, ma che ebbero a sopportare, a volte con rassegnazione, a volte con una ribellione disperata e senza sbocchi, la drammaticità della loro miserabile condizione. Alla fine, sia i relatori, sia gli altri esponenti della cultura intervenuti nel dibattito, hanno espresso l’auspico che l’autore continui in questa sua opera tendente a riportare alla luce la storia locale, una storia che merita di essere meglio conosciuta.  



          Critica

     Nel suo libro ho sentito l’eco di tante lotte che Peppino Marino ha combattuto in difesa dei più deboli. Questo suo ultimo lavoro è, infatti, un grido di protesta nei confronti di coloro che hanno “dimenticato” di narrare la storia di tanti poveri diavoli che, ridotti in condizioni di estrema povertà materiale e morale, diventano, come ben dice l’autore, briganti per necessità.
                                       ing. Giuseppe Miliè

 

 

L'opera del professore Marino parla della storia di Caccuri e dintorni nel XIX secolo, ma non si sofferma su illustri uomini di cultura. Dipinge, invece, con grande freschezza e semplicità di stile, la vita comune della povera gente che, spinta dalla necessità e dalla disperazione, si dava al brigantaggio. C'è da sottolineare il fatto che i briganti, di cui nel libro si odono le voci e il respiro, non sono dei delinquenti nati, ma persone semplici  e analfabete che, per risollevarsi economicamente, si davano alla violenza.

               Vincenza Cavallaro, cronista del settimanale La Provincia di Crotone      

 

Nel libro si percepisce un dramma e non un racconto; dramma perché ha due aspetti di spaventosa grandezza: il bene e il male. Un dramma, tra l'altro,  molto interessante perché è "sano" e scritto con i piedi a terra e, soprattutto, con notizie storicamente certe. Il tutto è inquadrato molto bene nel contesto storico - sociale di quel brutto periodo. L'opera è una finestra storica aperta sul nostro territorio con fatti storici di casa nostra vissuti e sofferti dai nostri avi.

                                               Teodoro Torchia, storico e poeta

 

 

 

Molto interessante e encomiabile lavoro dal quale, osservando bene le fonti archivistiche, deduco che sarà costato tanta fatica.

Una luce  - questa simpatica e seria pubblicazione - che ha rischiarato i tempi bui di quei “briganti poveri” resi tali dalla necessità di sopravvivere, perché schiacciati – come del resto tutte quelle povere e umili popolazioni - dalla tracotanza e dallo sfruttamento disumano di baroni e galantuomini piccoli e grandi.

                                        Armando Japella, storico e poeta