I TEMPI CAMBIANO

di Vincenzo Ballo

Premessa

 

Ho scritto questo libro per raccontare in breve come si viveva ai tempi della mia gioventù, dopo aver sperato per molti anni che qualcun altro lo facesse, e meglio di quanto avrei potuto farlo io. Ci sono tanti libri interessanti su Pietraperzia, il suo territorio, la sua gente, il lavoro, i giochi; mi sembra però che manchi qualcosa d’importante sulla società, i costumi, la vita intima e di relazione, forse perché trattasi della vita apparentemente minima, che riguarda generalmente i contadini (ma in una civiltà contadina minima non è) e non ci sono contadini “scrittori”.

Raccontata così in prima persona da un ex viddanu, un intellettuale che vi si fosse immedesimato forse avrebbe scritto con uno stile forzatamente elementare, ma io che ho frequentato solo le “elementari” (avendo però confidenza con i libri e un certo allenamento nella scrittura drammatica) mi sono sforzato di esprimermi nel migliore dei modi a me possibili. Ovviamente ho fatto visionare il testo, come credo facciano anche le persone di cultura, prima di pubblicare un lavoro. Dopo aver scritto le prime pagine mi sono rivolto alle mie figlie e ai loro mariti per sentire il loro parere. E poiché solo mio genero Andrea (Mondo) ha fatto delle critiche franche, spronandomi a far meglio, ringraziandolo vivamente, ho affidato solo a lui il controllo del testo per il rilievo delle sviste e le osservazioni necessarie al fine di una corretta stesura. Egli però, per sua correttezza, non vi ha messo mano (e avrebbe usato uno stile diverso). Ed io, comunque, ho voluto scrivere tutto da me anche per orgoglio di onestà e perché fosse veramente un libro tutto e solo opera di un emigrante, che però ha cercato di acculturarsi, sia pure d’autodidatta. Se c’è qualche errore di vario genere è tutta mia la responsabilità (ma possono sembrare errori, caratteristici modi espressivi e di coloritura).

Ringrazio anche Vincenzo Cucchiaro per il cortese controllo di alcuni capitoli della prima stesura e per le risposte chiarificatrici alle mie domande, come pure, per il secondo motivo, ringrazio Giovanni Culmone e il parroco don Giuseppe Siciliano.

E’ stato un lavoro lungo e movimentato, con molti ripensamenti, aggiunte e riprese, che ho potuto portare a termine grazie al computer, per cui ringrazio mio genero Ettore (Francone) per avermi insegnato a usarlo e le mie figlie, che mi hanno insegnato qualcosa pure loro. Un ringraziamento anche a mia moglie, Carmelina, che mi ha dato la serenità, necessaria alla concentrazione per un lavoro diventato impegnativo negli ultimi mesi.

 

Avevo iniziato a scrivere immaginando il ritorno al paese di un emigrato lontano, per giustificare l’osservazione dei cambiamenti dopo una lunga assenza (l’incipit era “Finalmente nel cielo d’Italia, sulla Sicilia”), con personaggi inventati per introdurre i vari casi. Ma poi mi è capitato di dovermi citare ed ho pensato che forse non era male dare testimonianza diretta di molti avvenimenti, il che avrebbe reso la lettura una specie di monologo in conversazione amichevole, un racconto più caldo e confidenziale.

Così ho finito per parlare anche di me, ma per fatti attinenti al tema dei cambiamenti e che possano avere una relazione generale. Non ho parlato del cambiamento forse più importante, quale il matrimonio, molto positivo ma troppo personale.

Ne ho approfittato per ricordare i nomi di alcuni paesani, molti dei quali andati via.

Ho raccontato rilevanti fatti di cronaca avvenuti al paese e ho allargato il discorso con i cambiamenti  in generale per una breve descrizione di più ampio respiro.

Dell’impostazione iniziale è rimasta traccia nell’arrivo in aereo, che non ho mai preso; “nell’assenza” delle persone di mia madre e di mia suocera, che ci ospita, mia moglie e me, ogni qualvolta ci rechiamo al paese, le quali sono ancora ben vive e vegete; e nel tempo della vacanza che non l’ho mai fatta così lunga (ma a volte ne ho fatte due nello stesso anno) e gl’incontri sono avvenuti in tempi diversi.

Per il resto, tutto quello che ho scritto è vero, anche l’episodio presentato come immaginario. Se dei fatti narrati ci dovesse essere qualcosa di non esatto, ciò non è dovuto alla mia volontà ma così l’ho sentito raccontare e vi ho creduto.

 

Molti giovani resteranno increduli ad apprendere come si viveva fino alla metà del XX secolo e gli anziani potranno trovare denigratorio parlarne. Ma è importante conoscere il passato; e ci si consoli del mal comune che, seppure il Meridione era più misero e arretrato, anche nel resto d’Italia non c’era la libertà di oggi e la miseria era generalizzata.

A quei tempi anche al Nord la vita non era come adesso e nelle campagne era molto simile alla nostra. Basti citare il film L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi e lo scrittore veneto Ferdinando Camon, il quale in Un altare per la madre ricorda di quando si mangiava solo polenta che persino un mendicante rifiutava e ne Il quinto stato racconta di numerosi fratelli che “hanno tutto in comune perfino i letti e i vestiti”, in chiesa “le donne son tenute ben separate dagli uomini”, “ogni ragazza del paese deve stare attenta a concedere ai maschi la propria compagnia” e, da pagina 44, trascrivo:

“Sua madre quando lavorava nei campi aveva la brutta abitudine di non andare a pisciare nel fosso ma lì in mezzo alle altre opere pisciava dritta in piedi a gambe larghe con le sottane lunghe fino a terra che nascondevano tutto sicché si sentiva lo sgocciolio dell’acqua per terra ma non si vedeva niente se non la pozzanghera dopo che la donna si era allontanata”.

Anche lo scrittore milanese (ma di padre pugliese) Carlo Castellaneta, ha raccontato della nonna che in certi casi orinava in piedi.

Il sistema patriarcale era generalizzato, specialmente nell’ambiente contadino, e quando una ragazza piemontese si maritava andava a vivere nell’azienda dei suoceri, sotto il loro dominio, insieme a molti cognati e cognate.

 

Ho riempito gli spazi finali di ogni capitolo con qualche disegno che potesse illustrare una parte della narrazione, tre fotografie di costruzioni elaborate al computer, quindi modificate per necessità espressive, e foto di dipinti miei, cercando fra quelli che potessero avervi qualche riferimento: ho messo un cane per l’amicizia, in quanto il cane è considerato amico dell’uomo, anche se io sono del parere che sia amico del padrone e piuttosto simbolo di fedeltà; qualche difficoltà ho trovato per il capitolo “Se tornassero” e ho pensato che la casa natale di San Giovanni Bosco (dipinta sul posto), potesse simboleggiare il cambiamento, essendo diventata, da misera cascina, venerato museo di un santo; più azzardato è stato illustrare gli “Anni miseri”, ma ho trovato il riferimento nei gatti col gomitolo di lana, non avevo altro. Il sesso l’ho illustrato con un dipinto di stile moderno, personale, il cui titolo è un’assonanza de “Le déjeuner sur l’herbe” di Manet a cui mi sono ispirato per le linee generali, che si sviluppano in varie composizioni, con un intreccio formante oltre cinquanta figure di animali, cose e persone, con alcuni riferimenti al sesso. I miei dipinti a volte sono firmati Ballo e a volte Garsa, pseudonimo che generalmente uso, formato dalle prime sillabe dei nomi delle mie figlie Gabriella (g̶arbijèlla) e Sarina.

Ho inserito molti termini dialettali con la grafia comune per una più facile lettura ma, per un suggerimento alla pronuncia, ne ho riportato alcuni in appendice con caratteri diacrilici copiati dal Vocabolario della parlata di Pietraperzia di Giovanni Culmine e Filippo Marotta.

Ho aggiunto in appendice alcuni versi attinenti al tema del cambiamento e delle terzine di una specie di poema scritto dieci anni fa sulla falsariga della Divina Commedia, ovviamente non per confrontarmi con Dante, ma umilmente ispirandomi al suo capolavoro per raccontare, a cenni, fatti e personaggi della storia, escludendo quelli descritti dal Sommo. Nelle terzine immagino di essere un ragazzo che ha voglia di conoscenza ma, per seguire una ragazza, si perde in una vastissima grotta dove incontra Hitler di ritorno dalla terra a provocar discordie, il quale gli promette di fargli trovare l’uscita ma lo conduce sempre più verso il fondo dell’inferno. La descrizione è un po’ scherzosa e spero che sia di lettura gradevole, come mi auguro per tutto il racconto.

                                                                                                                                                      V. B.

 

 

Immagine di copertina del libro

Pietraperzia e le sue origini

2001, acrilico su cartone telato 40x50

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