LA VITE E IL VINO NELL'ANTICA ROMA

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INTRODUZIONE

 

ENOLOGIA:

la pianta vitis vinifera

maturazione e raccolta

il mosto

torchiatura

effetti e controindicazioni

 

MITOLOGIA

la leggenda dell'uva

la leggenda del vino

riti dionisiaci

Bacco a Roma

Satiro danzante

 

BIBBIA

la benedizione di Noè

dal cantico dei cantici

parabola cattivi vignaioli

 

STORIA:

origine della viticoltura

il vino: la sua storia

il vino nell'antica Roma

come si beveva a Roma

Roma e le osterie

 

LETTERATURA

la locandiera

la vendemmia

er vino de li frati

er vino novo

er vino

la gabella del vino

canzone di bacco

ode al vino

 

MUSICA

carmina burana

canzoni da osteria

 

PAGINE DEI RAGAZZI

barzelletta

cruciverba classico

cruciverba

zig zag

elisa

francesca

giulia

giuliano

marzia

noemi

serafin

valentina

Una leggenda narra che la vite venne introdotta dal re Numa Pompilio che la portò insieme con una pianta di fico e d’ulivo nel foro romano. Anche dopo questa simbolica introduzione della vite a Roma, la produzione del vino è scarsa e riservata solo ai patrizi. Si racconta che il I re di Roma sacrificava agnelli e capre spargendo però, insieme con esse, il latte. Il vino, nei primi anni di vita di Roma non era fondamentale, come dimostrato dal ritrovamento d’anfore vinarie provenienti dalle regioni greche di: Tessaglia, Beozia, Messenia e dalle isole di Lemmo, Chio, Rodi e Creta dove il clima è costante e mite. Per cui la produzione di vino d’ottima qualità è distribuita nei territori romani solo dopo il VII secolo a.C., quando, infatti, nei riti dei sacrifici la carne viene cosparsa del vino anziché con del latte. Il vino viene ora usato non solo nei banchetti dei nobili e dei patrizi ma anche nelle cerimonie di stato e nelle più modeste celebrazioni religiose. Un certo Marco Catone, parla nel suo libro “De re rustica”, di tutti i vini diffusi a quei tempi (200-100 a.C.) e descrive, con perizia, tutti i tipi di vino conosciuti fino ad allora e tutte le tecniche di produzione del vino. Anche Strabone, vissuto attorno agli anni 55-130 a.C., famoso geografo, parla di un vasto territorio occupato da vigne attorno alla zona di Tuscolo e Giovenale. Evidentemente già dagli anni che precedono il tempo in cui è vissuto Catone, Roma riceve un approvvigionamento di vini delle zone circostanti la città e in quantità maggiore da quelle situate a sud, ovvero dai Colli Albani o dalla Campania. Anche gli schiavi legionari hanno la loro razione di vino che però è sempre trattato con resine o peci e con l’aggiunta dell’acqua di mare. Alla fine della lavorazione il vino prende il nome di merume può essere di vari tipi ed assumere la denominazione del luogo nel quale è stato prodotto: Albano (dai Colli Albani) Velletrino da Velletri ecc.

Nell’antica Roma i vini vengono distinti in dolce (dulce), morbido (soave), molle (lene), debole (fugens) pieno (firmum), e tanti altri come il vino aspro, austero e alcolico. Il vino oltre che essere consumato nelle case private viene anche servito nei locali pubblici. La forma d’esercizio è la couponae cioè l’osteria: le couponae si trovano sulle grandi strade o nelle città dove vengono chiamate deversaria. La nave oneraria è il mezzo più comunemente usato per il trasporto da grandi distanze delle anfore e delle cupae corrispondenti alle odierne botti. Il vino, giunto a destinazione, viene scaricato nei porti dove vi è un settore riservato unicamente al deposito delle anfore vinarie che è chiamato patres vinarius.

anfora per la

conservazione del vino

 I romani non bevono vino puro, ma diluito con acqua e con l’operazione della mescolanza viene effettuata durante il pranzo aggiungendo acqua calda o neve. Le prime feste dell’anno celebrative della vite e del vino sono le vinaglia e cadono il19 agosto, giorno sacro a Venere nel quale si apre la vendemmia. Il Flamine Ditale, apre la vendemmia. Terminata questa lavorazione, pigiate le uve, messo il mosto a fermentare nei doba, speciali recipienti appositi, e infine riposto il vino nelle cantine, si sacrifica ancora a Libero un agnello.

Terminata la vendemmia, il nuovo vino può essere trasportato in città come infatti è scritto nel Cerimoniale dei tuscolani: “Il vino nuovo non si porti in città se prima non sono state bandite le vinalia”. Ma non può essere bevuto se prima non viene offerto agli dei. E l’offerta viene fatta a Giove il giorno del Vinalia Priora che si celebra il 23 Aprile. Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente e con le invasioni barbariche che determinano una notevole riduzione della popolazione della città di Roma, l’agricoltura conosce il massimo degrado tanto che i coloni rimasti sono costretti a lavorare solo per potersi procurare gli alimenti per sopravvivere. Anche gli scambi commerciali sono ridotti al minimo per via del brigantaggio e per il pessimo stato delle strade. Per cui le terre abbandonate sono in continuo aumento con la conseguente riduzione della produzione vinaria. In questo triste momento i tradizionali metodi di coltivazione della vite e il gusto per una produzione vinicola tipicamente romana, che per alcuni secoli si sono imposti come modello a tutto il mondo mediterraneo, perdono connotazione e si riducono ad una produzione minima per un consumo strettamente locale. Roma tuttavia sia per la diminuzione degli abitanti a causa delle guerre e delle epidemie, sia perché subito fuori e dentro le mura vi sono vigneti che è possibile ancora coltivare, viene rifornita regolarmente di una quantità sufficiente del prezioso liquore di Bacco.