LETTERATURA

Eduardo De Filippo Poesie E allora bevo ... (1973)
Manuel Vazquez Montalban Il centravanti è stato
assassinato verso sera (1988)
...la rotta della Barcellona dei cocktails...
...La spalla di agnello è più complicata...
...Charo era una donna matura e bella...
Manuel Vazquez Montalban Gli uccelli di Bangkok (1983) ..."Ha assaggiata la fondue alla vietnamita?"...
...preparerò un piatto che si chiama fideuà...
...Costeggiò i palmizi di Alicante,...
Andrea Camilleri La forma dell'acqua (1994) Più che una nuova ricetta...

Andrea Camilleri

Il cane di terracotta (1996) Nel frigorifero trovò ...
Davanti all'osteria "San Calogero"...
"Le sono veramente grato ..."
Scese dalla macchina ...
Fece una grande sciarra ...
Andrea Camilleri Il ladro di merendine (1996) "Che le posso servire oggi?"
Era in anticipo per l'appuntamento ...
"Ho preparato di qua"
Mentre scendeva le scale
Andrea Camilleri La voce del violino (1997) La sgradevolezza dell'incontro ...
Prima di partire, Montalbano ...
"Dopo, dopo" disse sbrigativa Franca ...
Andrea Camilleri Gli arancini di Montalbano (1999) ...Gesù, gli arancini di Adelina!...
Andrea Camilleri La gita a Tindari (2000) ...Assittato nella verandina, ...
Michael Dibdin Vendetta d'annata (2000) Barolo, Barbaresco, Brunello ...
Michael Dibdin Vendetta d'annata (2000) Andrea ed io ci siamo baloccati con l'idea ...
Sandro Veronesi La forza del passato (2000) Elogio delle rosticcerie

       

 

Eduardo De Filippo (1973)

E allora bevo ...

Dint' 'a butteglia
n'atu rito 'e vino
è rimasto...
Embè
che fa m' 'o guardo?
M' 'o tengo a mente
e dico:
«Me l'astipo
e dimane m' 'o bevo?»
Dimane nun esiste.
E 'o juorno prima
siccome se n'è gghiuto,
manco esiste.
Esiste sulamente
stu momento
'e chisto rito 'e vino int' 'a butteglia.
E che faccio,
m' 'o pperdo?
Che ne parlammo a ffà!
Si m' 'o perdesse
manc' 'a butteglia me perdunarrìa.
E allora bevo...
E chistu surz' 'e vino
vence 'a partita cu l'eternità!

 

Manuel Vazquez Montalban (1988)
da «Il centravanti è stato assassinato verso sera»

Per Carvalho la rotta della Barcellona dei cocktails era un sentiero che cominciava dal Boadas, accanto alle Ramblas, con la sua padrona lunare e il suo sfondo da disegno di Opisso dietro le bottiglie, come un paesaggio-memoria di una città che era ormai definitivamente memoria. Aveva percorso il sentiero che collega Gimlet, Nick Havanna o il Victori Bar in cerca di un martini dry perfetto, e all'Ideal si recava talvolta nel tardo pomeriggio, quando il locale resta semivuoto e chiunque può ubriacarsi con la complicità di barmen saggi, e con i proprietari, padre e figlio, esperti nel proporre  cocktails nuovi e nel servire  cocktails vecchi. All'ora di colazione o all'imbrunire, l'Ideal si riempiva di conversazioni di signori di Barcellona ben addobbati o di coppie eterosessuali formate da dirigenti aggressivi o aggrediti e da donne emancipate dalla tripla vita, per le quali il dirigente era sempre la terza possibilità. Alle otto il locale aveva tutte le sue specie riunite e in un angolo ...

 

Manuel Vazquez Montalban (1988)
da «Il centravanti è stato assassinato verso sera»

«...La spalla di agnello è più complicata e proviene da una ricetta medievale raccolta da Eliane Thibaut i Comalade, specialista in cucina catalana antica.. Non so se avrà abbastanza inchiostro nella sua Montblanc, ma si scriva tutto. Una spalla di agnello, disossata e molto piatta; per il ripieno, carne di agnello tritata, pinoli, uvetta, aglio, prezzemolo, pan bagnato nel latte di mandorla e sale. Inoltre, sempre per il ripieno c'è bisogno di pepe nero, comino, finocchio, ciboulette, una buccia di limone grattata, tre uova, una cipolla grande arrostita, una grossa fetta di pancetta, olio di oliva e timo.»
«Odora di Mediterraneo e di Medioevo.»
«Odora, questo è tutto. Si mescolano gli ingredienti del ripieno e si collocano al centro della spalla. Poi si arrotola. Nel ripieno tutto, assolutamente tutto, deve essere ben tritato e mescolato. Quando si è arrotolata la spalla la si lega con una fettuccia di pancetta, cercando di darle una forma regolare, tagliando le parti che sporgono troppo. Bisogna che sembri un immenso salcicciotto. Si fa abbrustolire questo salcicciotto in una pentola di ghisa, con dell'olio ben caldo. Quando si è ben abbrustolito si aggiunge un quarto di litro di acqua e si lascia nella cocotte a fuoco lento, dopo aver circondata la spalla con agli interi. E' importante girare la spalla ogni dieci o quindici minuti, perché l'agnello troppo cotto diventa tiglioso e sgradevole.Quando la spalla è cotta, si taglia, si leva la fetta di pancetta e, dopo aver fatto sgocciolare l'olio, la si colloca al centro di un vassoio.A parte si lavora il fondo di cottura aggiungendovi acqua e gli spicchi d'aglio sbucciati e pestati, ridotti in poltiglia. Si restringe questo brodetto e quando è molto caldo si sparge sulla spalla che va servita tiepida, ma con la salsa calda. E' fatto.»
«E la salsa che l'accompagna?»
«E' il leggendario almedroch, che già descrive il Sent Sovi, la bibbia della cucina catalana medievale. Il più semplice si fa con aglio, olio, formaggio grattuggiato, lavorandolo come un all-i-oli* e se viene molto densa si può allungare con l'acqua e insaporire con spezie a piacere. O se si vuole renderla più densa, si può aggiungere un tuorlo d'uovo sodo.» ...

*Salsa ottenuta dall'amalgama di olio e aglio pestato simile all'alioli francese.

 

Manuel Vazquez Montalban (1988)
da «Il centravanti è stato assassinato verso sera»

...Charo era una donna matura e bella. Maturava con una dignità grave, e qualcosa di simile alla tenerezza venne interrotta dalla saggia introduzione al menù fatta da Isidro e Monserrat, i coniugi che gestivano il ristorante e che celebravano le visite di Carvalho, in quanto conoscitore e buon assaggiatore dei vini di Cigales che serbavano in cantina. Al "cosa avete di nuovo" che Carvalho pronunciò come una semplice formula, risposero senza batter ciglio, foie-gras d'oca alla crema di lenticchie verdi, gli antipasti di foie-gras, i duroni alla crema di limone verde, il baccalà gratinato aromatizzato con l'aglio, i farcellets di cavolo ripieni di aragosta al profumo di zafferano, il branzino alla ciboulette, la sogliola con le more, il riz de veau alla crema di limone verde e fermarono la loro esposizione di novità senza turbarsi, senza prendere coscienza della profonda emozione suscitata nell'animo di Carvalho, sdegnato da così tante possibilità dall'obbligo di scegliere.
«Di tutto un po'» disse ironicamente...

 

Manuel Vazquez Montalban (1983)
da «Gli uccelli di Bangkok»

...
«Ha assaggiata la fondue alla vietnamita?»
«No»
«Oggi l'abbiamo. Ma forse l'ha assaggiata in qualche ristorante vietnamita di New York o di San Francisco.»
«Non sono americano.»
«Francese?.»
Non gli dette il tempo di rispondere. Dalle sue labbra uscì un fiume di francese ...
...La fondue vietnamita consisteva in un'equivalente della fondue bourguignonne, ma invece di friggere carne nell'olio, si cuocevano dei pezzetti di pollo, maiale, gambero e calamaro in un brodo leggero nel quale si buttavano anche spaghetti di riso e cavolo. Ciascun pezzetto di carne o di pesce veniva insaporito in potenti salse piccanti e alla fine si mangiava il brodo con cavoli e spaghetti con l'aiuto di un cucchiaio. Avrebbe potuto essere un piatto allegro e stuzzicante se il locale fosse stato più illuminato, se ...

 

Manuel Vazquez Montalban (1983)
da «Gli uccelli di Bangkok»

...
«Anche se per lei sarà difficile capirlo, preparerò un piatto che si chiama fideuá, piatto di moda nella Valencia attuale, in competizione ìmpari con la tradizionale paella e che, nelle mie manie con questi ingredienti, sta per trasformarsi in una variante universale, in una prima mondiale, perché mai è stato realizzato utilizzando i sottili fidelini di farina di riso.»
Carvalho parlava in castigliano, ma gesticolava come se quello che diceva fosse comprensibile dalla sua compagna. Lei rideva come se stesse assistendo ad uno show di Jerry Lewis e, per la prima volta nella sua vita, a Carvalho piacque che si ridesse di lui e interpretò il ruolo di pagliaccio culinario fino alle estreme conseguenze.
«Prima di tutto bisogna soffriggere bene le carni e nell'olio fare un soffritto denso, disidrattato, secondo i canoni perfettamente spiegati da Josep Pla, un grande scrittore catalano che suppongo sia stato tradotto in tailandese: Una volta pronto il soffritto vegetale di cipolla, pomodoro e peperone, si aggiungono le carni di maiale, pollo e calamari e si tengono da parte i gamberi per buttarli all'ultimo momento. In questo umido si devono stufare i tagliolini normali, però, per riguardo alla fragilità di questi tagliolini di riso che lei mi ha procurato, li terrò a parte per l'ultimo momento e verserò il brodo sul soffritto fino a rompere il bollore e avanti così perché si mescolino i sapori. Poi i fidelini e i gamberi spellati e, due o tre minuti prima di toglierlo dal fuoco, un trito di aglio con olio e poi si lascia riposare lo zuppone e vediamo cosa viene fuori.»
Il miracolo ceramico si produsse e nella padella si formò una  fideuá sottile in cui i tenui fidelini di farina di riso promettevano una consistenza quasi vegetale. Dalle risate lacrimanti la ragazza era passata alla curiosità e ...

 

Manuel Vazquez Montalban (1983)
da «Gli uccelli di Bangkok»

...
Costeggiò i palmizi di Alicante, Santa Pola, Guardamar e quando il sole, appena arrivato da Koh Samui, stagliò la torre del moro di Torreveja, Carvalho aveva vinto la sua depressione e faceva progetti per l'avvenire. Prenotare un buon caldero in una delle trattorie all'entrata di Palos, dare quello che si meritava a Teresa e concludere il viaggio attuato di caldero e di litri di Jumilla nella stanza di un qualunque albergo. A partire da San Javier cominciò a costeggiare la riva inferiore del Mar Menor ... Fermò la macchina vicino al mare addormentato , si tolse le scarpe, le calze, si tirò su i pantaloni, entrò nel mare fino a che le acque non gli arrivarono alle ginocchia e verificò che era arrivato l'inverno vero ...Poi girò intorno al molo e andò alla ricerca della prima trattoria in cui si stavano sgranchendo le sedie pieghevoli e le figlie del padrone con le scope in mano. Il padre era all'incanto del pesce di Palos e loro il massimo che potevano fare per Carvalho era arrostirgli delle sardine fresche e aprirgli una bottiglia di Jumilla rosso freddo, quindici gradi di temperatura metafisica...
Arrivò il padrone della trattoria con una cassetta di pesci tuttifrutti e Carvalho gli prenotò un caldero per le due con la condizione che non abusasse di muggine e lo combinasse con scorfano, granchio, e pagello semmai, perché il muggine era troppo grasso.
«Sarà anche grasso, ma non c'è che il muggine per il caldero. Adesso i signorini si sono inventati un caldero da ricchi in cui si può ficcare persino l'aragosta, ma in origine il caldero si faceva con la minutaglia, peperoncino, pomodori e molto aglio, e che buono che era, e costava poco.»
«Lo faccia come vuole o come sa farlo, ma che non sia tutto muggine.»
«Come le pare.» ...

 

 

Andrea Camilleri (1994)
da «La forma dell'acqua»

Più che una nuova ricetta per cucinare i polipetti, l'invenzione della signora Elisa, la moglie del questore, sembrò al palato di Montalbano una vera ispirazione divina. Se ne pigliò una seconda abbondante porzione e quando vide che anche questa stava per finire, rallentò il ritmo della masticazione, a prolungare, sia pure per poco, il piacere che il piatto gli procurava. La signora Elisa lo taliava felice : come ogni buona cuoca, godeva dell'estatica espressione che si formava sulla faccia dei commensali mentre gustavano una sua portata. E Montalbano, per l'espressività del volto, era tra gli invitiati preferiti.
"Grazie, veramente grazie" le disse il commissario alla fine, e sospirò. I purpiteddri avevano in parte operato una sorta di miracolo; in parte, perchè se era vero che Montalbano adesso si sentiva in pace con gli uomini e con Dio, era pur vero che continuava ad essere assai poco pacificato con se stesso.
Alla fine della cena la signora sparecchiò, saggiamente mettendo sul tavolo una bottiglia di whisky per il commissario e una di amaro per il marito.
"Voi ora mettetevi a parlare dei vostri morti ammazzati veri, io me ne vado di là a guardare in televisione i morti finti, li preferisco".
Era un rito che si ripeteva almeno una volta ogni quindici giorni, a Montalbano il questore e sua moglie reano simpatici e quella simpatia, da parte dei coniugi, era ampiamente ricambiata. Il questore era un uomo fine, colto e riservato, quasi una figura d'altri tempi.
Parlarono della disastrosa situazione politica ...

 

Andrea Camilleri (1996)
da «Il cane di terracotta»

...
Nel frigorifero trovò pasta fredda con pomodoro, vasalicò e passuluna, olive nere, che mandava un profumo d'arrisbigliare un morto, e un secondo piatto d'alici con cipolla e aceto : Montalbano usava affidarsi interamente alla fantasia culinaria ma gustosamente popolare di Adelina, la cammarera, la fimmina di casa che una volta al giorno veniva a dargli adenzia, madre di due figli irrimediabilmente delinquenti, uno dei quali stava ancora in galera per merito suo.
Magari questo giorno Adelina dunque non l'aveva deluso, ogni volta che stava per raprire il forno o il frigo gli si riformava dintra la stessa trepidazione di quando, picciriddro, alla matina presto del due novembre cercava il canestro di vimini nel quale durante la notte i morti avevano deposto i loro regali. Festa ormai persa, cancellata dalla banalità dei doni sotto l'albero di Natale, così come facilmente adesso si cancellava la memoria dei morti. Gli unici a non scordarseli, i morti, anzi a tenacemente tenerne acceso il ricordo, restavano i mafiosi, ma i doni che inviavano in loro memoria non erano certo trenini di latta o frutti di martorana. La sorpresa era insomma un pimento indispensabile ai piatti di Adelina.
Pigliò le pietanze, una bottiglia di vino, il pane, addrumò il televisore, s'assistimò a tavola. Gli piaceva mangiare da solo, godersi i bocconi in silenzio, fra i tanti legami che lo tenevano a Livia c'era magari questo, che quando mangiava non rapriva bocca. Pensò che in fatto di gusti egli era più vicino a Maigret che a Pepe Carvalho, il protagonista dei romanzi di Montalban, che si abbuffava di piatti che avrebbero dato foco alla panza di uno squalo.
Tirava, a sentire le televisioni nazionali, una laida aria di malessere ...

 

Andrea Camilleri (1996)
da «Il cane di terracotta»

Davanti all'osteria "San Calogero" restò indeciso : s'era fatta l'ora di mangiare, certo, e lo stimolo se lo sentiva, d'altra parte l'idea che gli era venuta vedendo il filmato e che doveva essere verificata, lo spingeva a proseguire verso il crasticeddu. Il sciauru di triglie fritte che veniva dall'osteria vinse il duello. Mangiò un antipasto speciale di frutti di mare, poi si fece portare due spigole così fresche che pareva stessero ancora in acqua a nuotare.
"Vossia sta mangiando senza intinzioni".
"Vero è, il fatto è che ho un pinsero".
"I pinseri bisogna scordarseli davanti alla grazia che u Signuri le sta facendo con queste spigole" disse solenne Calogero allontanandosi.
Passò dall'ufficio per vedere ...

 

Andrea Camilleri (1996)
da «Il cane di terracotta»

..."Le sono veramente grato d'avermi voluto ricevere subito" fece Montalbano al preside che era venuto ad aprirgli la porta ...
"Mi permetta di presentarle Angelina, mia moglie".
Montalbano le fece un inchino ammirativo, sinceramente gli piacevano le fimmine anziane che magari in casa tenevano alle apparenze.
"Vorrà perdonarmi se le ho portato scompiglio all'ora di cena".
"Ma quale scompiglio! Anzi, commissario, ha qualche impegno?".
"Nessuno".
"Perché non resta a mangiare con noi? Abbiamo cose da vecchi, dobbiamo tenerci leggeri : tinnirume e triglie di scoglio a oglio e limone".
"Mi invita a nozze".
La signora se n'uscì felice.
...
Trasì la signora Angelina.
"E' pronto".
Il tinnirume, foglie e cime di cucuzzeddra siciliana, quella lunga, liscia, di un bianco lordato di verde, era stato cotto a puntino, era diventato di una tenerezza, di una delicatezza che Montalbano trovò addirittura struggente. Ad ogni boccone sentiva che il suo stomaco si puliziava, diventava specchiato come aveva visto fare a certi fachiri in televisione.
"Come lo trova?" spiò la signora Angelina.
"Leggiadro" disse Montalbano. E alla sorpresa dei due vecchi arrossì, si spiegò. "Mi perdonino, certe volte patisco di aggettivazione imperfetta".
Le triglie di scoglio, bollite e condite con oglio, limone e pitrosino, avevano la stessa leggerezza del tinnirume. Solo alla frutta il preside ripigliò la questione che gli aveva posto Montalbano ...

 

Andrea Camilleri (1996)
da «Il cane di terracotta»

...Scese dalla macchina. Marianna, la sorella di Gegè che era stata sua maestra di scuola, stava assittata su una seggia di paglia allato alla porta e aggiustava un canistro. Appena vide il commissario, gli andò incontro.
"Salvù, io lo sapiva che saresti venuto a trovarmi".
"Vossia è la prima visita che faccio dopo lo spitali" disse Montalbano abbracciandola.
Mariannina principiò a chiangiri adasciu, senza lamenti, solo lacrime, e a Montalbano s'inumidirono gli occhi.
"Pigliati una seggia" disse Mariannina.
Montalbano s'assittò vicino alla alla donna e lei pigliò una mano, gliela carezzò.
"Soffrì?".
"No. L'ho capito mentre ancora stavano a sparare che a Gegè l'avevano astutato sul colpo. Poi me l'hanno confirmato. Io credo che manco capì quello che stava succedendo".
...
Per circa due ore parlarono di Gegè e delle sue imprese, fermandosi sempre a episodi che risalivano al massimo all'adolescenza."Si fece tardo, me ne vado" disse Montalbano."T'avissi detto di restare a mangiare cu mia, ma haiu cosi che forsi pi tia sono pesanti"."Che preparò?"."Attuppateddri al suco".Attuppateddri, cioè quelle piccole chiocciole marrone chiaro che quando cadevano in letargo secernevano un umore che solidificava diventando una sfoglia bianca che serviva a chiudere, attuppare appunto, l'entrata del guscio. Il primo impulso di Montalbano fu di rifiutare nauseato. Fino a quando sarebbe stato perseguitato da quell'ossessione? Poi, freddamente, decise d'accettare per una doppia sfida alla panza e alla psiche. Davanti al piatto, che mandava un odore finissimo di colore ocra, dovette farsi forza, ma dopo aver estratto il primo attuppateddru con una spilla e averlo gustato, di colpo si sentì liberato : scomparsa l'ossessione, esorcizzata la malinconia, non c'era dubbio che magari la panza si sarebbe adeguata.

 

Andrea Camilleri (1996)
da «Il cane di terracotta»

...Fece una grande sciarra con Adelina. La cammarera era da poco trasuta nella cucina che la sentì fare voci. Poi se la vide comparire in cammara da letto.
"Vossia non mangiò nè aieri a mezzujorno nè aieri sira!".
"Non avevo pititto, Adelì".
"Io m'ammazzo di travaglio a faricci cose 'nguliate e vossia le sdegna!".
"Non le sdegno, ma te l'ho detto : mi faglia il pititto".
"E po' chista casa diventò un purcile! Vossia 'un voli ca lavo 'n terra, 'un voli ca lavo i robbi! Havi cinco jorna ca si teni la stissa cammisa e li stessi mutanni! Vossia feti!".
"Scusami, Adelina, vedrai ca mi passa".
"E allura mi lu fa sapiri quannu ci passa, e iu tornu. Iu pedi ccà 'un cinni mettu chiù. Quannu si senti bonu, mi cchiama". ...

 

Andrea Camilleri (1996)
da «Il ladro di merendine»

"Che le posso servire oggi?"."Che hai?".
"Quello che vuole, per primo".
"Primo niente, ho intenzione di tenermi leggero".
"Per secondo ho preparato alalonga in agrodolce e nasello in sarsa d'acciughi".
"Ti sei dato alla grande cucina, Calò?".
"Certe volte mi spercia, mi viene il capriccio".
"Portami una porzione abbondante di nasello. Ah, dammi, intanto che aspetto, un bel piatto di antipasto di mare".
Ebbe un dubbio. Si trattava di un pasto leggero? Lasciò perdere la risposta e raprì il giornale ...
"Ecco l'antipasto".Montalbano gli fu grato, ancora qualche notizia e gli sarebbe passato il pittito. Poi arrivarono gli otto pezzi di nasello, la loro gioia per essere stati cucinati come Dio comanda. A nasata, il piatto faceva sentire la sua perfezione, ottenuta con la giusta quantità di pangrattato, col delicato equilibrio tra acciuga e uovo battuto.
Portò alla bocca il primo boccone, non l'ingoiò subito. Lasciò che il gusto si diffondesse dolcemente e uniformemente su lingua e palato, che lingua e palato si rendessero pienamente conto del dono che veniva loro offerto. Ingoiò il boccone e davanti al tavolo si materializzò Mimì Augello.
"Assettati".
Mimì Augello s'assittò.
"Mangerei anch'io" disse.
"Fai quello che vuoi. Ma non parlare, te lo dico come un fratello e nel tuo stesso interesse, non parlare per nessuna ragione al mondo. Se m'interrompi mentre sto mangiando questo nasello, sono capace di scannarti".
"Mi porti spaghetti alle vongole" fece, per niente scantato, Mimì a Calogero che stava passando.
"In bianco o col sugo?".
"In bianco".
In attesa Augello s'impadronì del giornale del commissario e si mise a leggere. Gli spaghetti arrivarono quando per fortuna Montalbano aveva finito il nasello, perchè Mimì cosparse abbondantemente il suo piatto di parmigiano. Gesù! Persino una jena che è una jena e si nutre di carogne avrebbe dato di stomaco all'idea di un piatto di pasta alle vongole col parmigiano sopra!
...

 

Andrea Camilleri (1996)
da «Il ladro di merendine»

Era in anticipo per l'appuntamento con Valente. Fermò davanti al ristorante dove era già stato la volta precedente. Si sbafò un sautè di vongole col pangrattato, una porzione abbondante di spaghetti in bianco con le vongole, un rombo al forno con origano e limone caramellato. Completò con uno sformatino di cioccolato amaro con salsa all'arancia. Alla fine si susì, andò in cucina e strinse commosso la mano al cuoco, senza dire parola. In macchina, verso l'ufficio di Valente, cantò a gola spiegata. "Guarda come dondolo, guarda come dondolo, col twist ..."

 

Andrea Camilleri (1996)
da «Il ladro di merendine»

"Ho preparato di qua" disse il trattore appena vide Montalbano comparire per la cena e lo guidò in una cammaruzza capace di due soli tavoli. Il commissario gli fu grato, la sala grande rimbombava delle voci e delle risate di una comitiva rumorosa.
"Ho apparecchiato per due" preseguì il trattore. "Ha niente in contrario se il cavaliere Pintacuda mangia con lei?".
Qualcosa in contrario l'aveva, temeva sempre di dover parlare mentre stava mangiando.
Poco dopo, il settantino segaligno si presentò con un mezzo inchino.
"Liborio Pintacuda e non sono cavaliere".
"La devo preavvertire di una cosa a costo d'apparire vastato" continuò il non cavaliere appena assittatosi. "Io, quando parlo, non mangio. Di conseguenza, se mangio, non parlo".
"Benvenuto al club" disse Montalbano tirando un sospiro di sollievo. La pasta ai granchi di mare aveva la grazia di un ballerino di gran classe, ma la spigola farcita con salsa di zafferano lo lasciò senza fiato, quasi spaventato.
"Lei pensa che potrà ripetersi un miracolo così?" spiò a Pintacuda indicando il piatto ormai vacante. Avevano finito e perciò potevano ripigliare l'uso della parola.
"Si ripeterà, stia tranquillo, come il miracolo del sangue di S. Gennaro" fece Pintacuda. "Sono anni che vengo qua e mai, dico mai, ho avuto una delusione dalla cucina di Tanino".
"In un grande ristorante un cuoco come Tanino lo pagherebbero a peso d'oro" commentò il commissario.
"Eh già. L'anno scorso passò da qua un francese, era il proprietario di un famoso ristorante parigino, quasi s'inginocchiò davanti a Tanino per portarselo a Parigi. Non ci fu verso. Tanino dice che lui è di qua e qua deve morire".
"Qualcuno gli ha insegnato certamente a cucinare così, non può essere un dono naturale".
"Guardi, fino a dieci anni fa Tanino era un piccolo delinquente, furterelli, spaccio. Entrava e usciva dal carcere. Poi, una notte, gli spuntò la Madonna".
"Sta scherzando?".
"Me ne guardo bene. Lui conta che la Madonna gli pigliò le mani tra le sue, lo taliò negli occhi e gli comunicò che dal giorno appresso sarebbe diventato un grande cuoco".
"Ma via!".
"Lei questo fatto della Madonna non lo sapeva, eppure davanti alla spigola ha usato una precisa parola: miracolo. Vedo però che lei non crede nel soprannaturale e perciò cangio discorso. Che fa da queste parti, commissario?".
Montalbano sobbalzò. Lì non aveva detto a nessuno il lavoro che faceva.
...

 

Andrea Camilleri (1996)
da «Il ladro di merendine»

Mentre scendeva le scale per andare a cena, decise che la mattina appresso sarebbe ripartito per Vigàta, era sto lontano cinque giorni. Luicino aveva apparecchiato nella solita cammaruzza., Pintacuda era già assittato al suo posto e l'aspettava.
"Domani vado via" annunziò Montalbano.
"Io no, ho bisogno di una simana ancora di disintossicazione".
Luicino portò subito il primo e perciò le loro bocche servirono solamente per mangiare. Arrivato il secondo, ebbero una sorpresa.
"Polpette!" esclamò indignato il professore. "Le polpette si danno ai cani!".
Il commissario non si sbilanciò, il sciauro che dal piatto acchianava al suo naso era ricco e denso.
"Tanino che è, malato?" s'informò squieto Pintacuda.
"Nossignore, è in cucina" rispose Luicino.
Solo allora il professore con la forchetta a metà una polpetta e se la portò alla bocca. Montalbano ancora non aveva fatto un gesto. Pintacuda masticò lentamente, socchiuse gli occhi, emise una specie di gemito.
"Se uno se la mangia in punto di morte, è contento macari di andare all'inferno" disse piano.
Il commissario mise in bocca mezza polpetta e con la linga e con il palato principiò un'analisi scientifica che Jacomuzzi poteva andare ad ammucciarsi. Dunque: pesce, e non c'era dubbio, cipolla, peperoncino, uovo sbattuto, sale, pepe, pangrattato. Ma all'appello mancavano ancora due sapori da cercare sotto il gusto del burro ch'era servito per friggere. Al secondo boccone, individuò quello che non aveva scoperto prima: cumino e coriandolo.
"Koftas!" esclamò stupefatto.
"Che ha detto?" spiò Pintacuda.
"Stiamo mangiando un piatto indiano fatto alla perfezione".
"Me ne fotto di dov'è" fece il professore. "So solo che è un sogno. E la prego di non rivolgermi più la parola sino alla fine della cena".
...
"Mi scusi, ma prima vorrei salutare Tanino".
"L'accompagno".
Il cuoco stava facendo un grandissimo liscebusso all'aiutante che non aveva puliziato bene le padelle.
"Accussì il giorno appresso si portano il sciauro del giorno avanti e uno non capisce più quello che sta mangiando" spegò ai visitatori.
"Sentà" spiò Montalbano "è vero che lei non è mai uscito dalla Sicilia?".
Inavvertitamente doveva avere assunto il tono dello sbirro, perchè Tanino parse tornare ai tempi di quando faceva il delinquente.
"Mai, glielo giuro, commissario! Ci ho i testimoni!".
Quindi non poteva avere imparato quel piatto da qualche ristorante di cucina straniera.
"Ha mai frequentato indiani?".
"Quelli del cinema? I pellirossa?".
"Lasciamo perdere" disse Montalbano. E salutò il cuoco miracolato abbracciandolo.
...

 

Andrea Camilleri (1997)
da «La voce del violino»

La sgradevolezza dell'incontro con il Questore andava indubbiamente cancellata con una mangiata solenne. La trattoria <> era chiusa, ma si ricordò che un amicoglia aveva detto che proprio alle porte di Joppolo Giancaxio, un paesiono a una ventina di chilometri da Vigàta, verso l'interno, c'era un'osteria che meritava. Si mise in macchina, c'inzertò subito a trovarla, si chiamava <>. Naturalmente non avevano cacciagione. Il proprietario-cassiere-cameriere, con i baffi a manubrio e vagamente somigliante al Re galantuomo, gli mise per prima cosa davanti una grossa porzione di caponatina di gusto squisito. "Principio sì giulivo ben conduce" aveva scritto il Boiardo e Montalbano decise di lascirsi condurre.
"Che comanda?".
"Mi porti quello che vuole".
Il Re galantuomo sorrise apprezzando la fiducia.
Per primo gli servì un gran piatto di maccheroni con una salsetta chiamata <> (sale, olio d'oliva, aglio, peperoncino rosso secco in quantità), sul quale il commissario fu obbligato a scolarsi mezza bottiglia di vino. Per secondo, una sostanziosa porzione d'agnello alla cacciatora che gradevolmente profumava di cipolla e origano. Chiuse con un dolce di ricotta e un bicchierino di anicione come viatico e incoraggiamento alla digestione. Pagò il conto, una miseria, scambiò una strtta di mano e un sorriso col Re galantuomo:
"Mi perdoni, chi è il cuoco?".
"La mia signora".
"Le faccia i miei complimenti".
"Presenterò".

 

Andrea Camilleri (1997)
da «La voce del violino»

Prima di partire, Montalbano era passato al caffè Albanese, dove facevano i migliori dolci di tutta Vigàta e aveva accattato venti cannolla appena fatti, dieci chili tra tetù, taralli, viscotti regina, mostazzoli di Palermo, dolci di riposto, frutti di martorana e, a coronamento, una coloratissima cassata di cinque chili.
Arrivò a mezzogiorno passato, ...

 

Andrea Camilleri (1997)
da «La voce del violino»

..."Dopo, dopo" disse sbrigativa Franca. "Hai pititto?".
"Beh, sì".
"Vuoi mangiarti tanticchia di pane di frumento? L'ho sfornato manco un'ora fa. Te lo conzo?".
Senza aspettare la risposta, tagliò due fette da una scanata, le condì con olio d'oliva, sale, pepe nero e pecorino, le sovrappose, gliele diede.
Montalbano niscì fora, s'assittò su una panca allato della porta e al primo boccone si sentì ringiovanire di quarant'anni, tornò picciriddro, era il pane come glielo conzava sua nonna.
Andava mangiato sotto quel sole, senza pinsare a niente, solo godendo d'essere in armonia col corpo, con la terra, con l'odore d'erba. Poco dopo sentì un vocìo e vide arrivare tre bambini che si rincorrevano, ...

 

Andrea Camilleri (1999)
da «Gli arancini di Montalbano»

...
Tornato a casa a Marinella, trovò sul tavolino della cucina un biglietto della cammarèra Adelina.
"Mi ascusasi se mi primeto che dumani sira esento che è capo di lanno e esento che i me dui fighli sunnu ambitui in libbbirtà priparo ghli arancini chi ci piacinno. Se vosia mi voli fari l'onori di pasare a mangiare la intirizo lo sapi."
Adelina aveva due figli delinquenti che trasivano e niscivano da lo carzaro : una felice combinazione, rara come la comparsa della cometa di Halley, che si trovassero tutti e due contemporaneamente in libertà. E dunque da festeggiare sulennemente con gli arancini.
Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta : un ricordo che sicuramente gli era trasuto nel Dna, nel patrimonio genetico.
Adelina ci metteva due jornate sane a pripararli. ne sapeva a memoria la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve cociri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zafferano, pi carità!), lo si versa sopra una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddare. Intanto si cocino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini 'na poco di fette di salame e si fa una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pi carità di Dio!). Il suco della carne s'ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signuruzzu, si mangiano!
Montalbano non ebbe dubbio con chi cenare la notte di capodanno. Solo una domanda l'angustiò prima di pigliare sonno : i due delinquenti figli di Adelina ce l'avrebbero fatta a restare in libertà fino al giorno appresso? ...

 

Andrea Camilleri (2000)
da «La gita a Tindari»

...
Assittato nella verandina, si era goduta la pappanozza che da tempo desiderava. Piatto povero, patate e cipolle messe a bollire a lungo, ridotte a poltiglia col lato convesso della forchetta, abbondantemente condite con oglio, aceto forte, pepe nero macinato al momento, sale. Da mangiare usando preferibilmente una forchetta di latta (ne aveva un paio che conservava gelosamente), scottandosi lingua e palato e di conseguenza santiando ad ogni boccone.
Col notiziario delle ventuno ...

 

 

Michael Dibdin (2000)
da «Vendetta d'annata»

<<Barolo, Barbaresco, Brunello: sono un purista, dottor Zen. Posso anche permettermi un'austerità classica, lusso estremo di coloro che possono avere tutto quello che desiderano. Nel vino, così come nella musica, le tre B mi bastano>>.
...
<<Il Barolo è il Bach dei vini - continuò il suo ospite -. Forte, supremamente strutturato, un tantino austero, ma assolutamente fondamentale; il Barbaresco invece è Beethoven, che prende queste qualità e le innalza ad altezze di passione e dolore mai toccate; mentre il Brunello è Brahms, il più morbido, pieno e romantico bagliore del tramonto dopo un eccesso così estenuante>>.
...

 

 

Michael Dibdin (2000)
da «Vendetta d'annata»

...
<<Andrea ed io ci siamo baloccati con l'idea di vendere tutto e trasferirci in Cile. Di questi tempi è un posto stimolante per il vino, e lei conosce un sacco di gente laggiù. Abbiamo un'opzione su un terreno nella valle di Maipo, che è il loro equivalente della Napa Valley. La mia idea è di tenermi qualche vigna non DOC qui in Piemonte e piantarci Cabernet, Merlot e Shyraz, dai quali ricaverei un vino 'firmato' che potrei vendere ai collezionisti di vedute meno ristrette del suo intenditore romano, ricavandone una fortuna>>.
...

 

 

Sandro Veronesi (2000)
da «La forza del passato»


- In effetti - precisa - da quando l'hanno tutta ripulita è un po' scaduta: ora sembra una qualsasi pizzeria, rispettabile, perfino accogliente, mentre la vera rosticceria deve essere laida, piccola e puzzolente: proprio com'era Di Pietro prima. Ma, nonostante l'imborghesimento, per certe cose rimane formidabile. Prova uno di questi...
Mi porge una specie di soletta dall'aria minacciosamente oleosa: è l'ultima cosa che avrei scelto di mia volontà, ma so bene che la mia volontà, con lui in azione, è un dettaglio senza importanza. Aspetta che io prenda in mano la soletta, e che le dia un morso, e, mentre comincio a masticare, mi illumina:
- Tramezzino al forno: lo conoscevi?
Faccio cenno di no col capo, mentre cerco di non scottarmi la lingua con l'interno bollente.
- Una vera forza, non trovi?
In effetti il sapore è buono. Dentro una crosta di pizza fritta c' è del formaggio, e del prosciutto cotto, mi pare. Quello che mette i brividi, semmai, è la spremuta di olio che si sprigiona in bocca mentre si mastica...
- Un po' unto... – dico.
- E te credo - ribatte, in un romanesco improponibile, con le "e" aperte, come quello di Celentano in Rugantino.
- È per questo che è buono - prosegue, addentandone uno anche lui. Poi, masticando, continua a parlare:
- Vedi, non so te, ma io sono un cultore delle rosticcerie. Ci ho anche scritto sopra un libro: Under 10, si intitola: una guida delle rosticcerie d'Italia, dove si mangia - si mangiava, ora i prezzi sono aumentati - con meno di 10 mila lire. Magari la prossima volta te lo porto...
Alè. Anche scrittore.
Il fatto è- continua - che io ho sempre mangiato nelle rosticcerie. Le ho viste nascere, morire, trasformarsi, a Roma, a Genova, a Livorno, a Napoli, a Milano dove ormai sono diventate roba da ricchi ma fino a vent'anni fa, credimi, ce n'erano di formidabili. Ho collaudato almeno tre generazioni di rosticcieri italiani, amico mio...
Si impadronisce di un supplì, e, più che mangiarlo lo succhia, come Gassman col crème caramel.
Io continuo a pescare dal vassoio delle patate - untissime, rosolatissime, impregnate di aglio e rosmarino, e, perciò, effettivamente, mortalmente buone.
- E sai che ti dico? Quando sto all'estero sono la cosa che più mi manca dell'Italia. Non l'arte, non il clima o i ristoranti italiani, che ormai sono dappertutto: le rosticcerie.
Quelle non le trovi da nessun'altra parte. Sarà che non ho mai avuto la cucina della mamma, nemmeno da piccolo, ma quando entro in una vera rosticceria, di quelle rimaste uguali a quarant'anni fa, con le luci fioche e l'odore di fritto che ti entra nei vestiti, mi sento a casa. È pura poesia, per me: quegli omaccioni col grembiule sporco e mani sempre unte, quelle donne stinte che hanno passato la vita alla cassa, quei modi spicci con cui ti fanno il resto, fingendo di conoscerti benissimo anche se ti vedono per la prima volta...
Si scola il bicchiere di birra, pesca anche lui una patata vassoio, poi un'altra. E un'altra.
- Le pasticche - dico.
- Come dici?
- Si sta dimenticando di prendere le pasticche.
S’irrigidisce.
Ah, già - fa, e si fruga in tasca scuotendo il capo.
Trova la boccetta e ripete l'operazione di ieri sera, ingollando le due pillole senza berci dietro, aiutandosi solo con uno scatto della testa.
- Però - dice, guardandomi - Hai un bello spirito d'osservazione...
Deglutisce una seconda volta - gli devono essere rimaste a metà - e si rituffa con foga sul vassoio delle patate, come volesse spazzolarle prima che io possa prenderne un'altra.
- E poi i sapori... - riattacca - Questi sono i sapori perfetti, secondo me. Prova l'arancino...
Dà un morso a un arancino di riso, e io faccio altrettanto: è buono, sì. In due bocconi lo finisce, poi svuota il bicchiere di birra e si impegna in una laboriosa presa a due mani della mozzarella in carrozza, che cola copiosamente olio e, dopo il primo morso, anche un bianco fluido mozzarellesco - il che lo obbliga a ingobbirsi col riflesso tipico dei mangiatori di hamburger, arretrando con tutta la sedia e protendendo il capo per convogliare lo scolo di tutti quei liquidi in una vaschetta vuota che c'è sul tavolo.
- Dice: sono pesanti - ricomincia, con la bocca troppo piena e la voce improvvisamente gutturale - Certo, non ci trovi le fisime che vanno di moda ora, americane pure queste: la cucina senza grassi, il cholesterol free...
Deve zittirsi per inghiottire, altrimenti affoga. La sua pronuncia inglese, comunque, è perfetta.
- Ma è una guerra, là dentro - riattacca, e la sua voce è tornata normale -, e il rosticciere è un soldato in trincea, che combatte tutto il giorno per dare piacere a chi può permettersi solo di togliersi la fame...
Finisce la mozzarella e attacca una crocchetta di patate. Come ieri sera, è velocissimo, nonostante parli e mangi simultaneamente. Deve esserci una tecnica precisa.
- Perché coi tartufi è facile fare la cucina saporita, e coi funghi e con l'aceto balsamico da due milioni al litro, son buoni tutti: ma prova un po' a farla col riso, col pane, colle patate, con l'olio di semi da due lire. E proprio come fare la guerra col fucile e la baionetta, è eroismo. La differenza e tutta qui…
Fa fuori l'ultima patata, che galleggiava nel fondo d'olio marroncino. L'avrei mangiata volentieri io.
- Mmnn - mugola - ma lo senti? Qui siamo ai confini estremi del gusto. Un po' più in là ed è rancio, sbobba, e l'arte del rosticciere sta proprio nella capacità di avvicinare il più possibile quel confine senza superarlo mai. Capisci la difficoltà, la grandezza ? Caricarti di calorie per pochi soldi, sfamarti, ma anche darti il massimo piacere possibile, e tutto senza avvelenarti. Invece nei ristoranti queste cose te le danno come antipasto, così, per sfizio, e s'intendono di trasformarle in roba raffinata: te le friggono lì per lì, massacrate di diminutivi, " due crocchettine" , " due olivette", "una mozzarellina"... Poi ti rifilano le cozze avariate e ti becchi l'epatite.
E' strano, ma sono d'accordo con lui. Forse gli farebbe piacere saperlo, ma non voglio fare lo stesso errore di ieri sera, non voglio dire niente. Continuo a credere che prima o poi, dinanzi a un silenzio ostinato e impenetrabile, anche il più logorroico degli interlocutori finisce per sentirsi a disagio. Ed è esattamente ciò che vorrei io: far sentire a disagio lui, una volta tanto. Però sulle rosticcerie ha ragione, sono dei gran posti.
Frattanto la roba è quasi finita, e anche la fame. Io ho già smesso di mangiare, lui spelluzzica ancora le olive ascolane, ma si capisce dallo sguardo che è sazio, e che lo fa più che altro per senso del dovere: infatti un'altra cosa sulla quale credo che ci troveremmo d'accordo è che gli avanzi del cibo di rosticceria diventano subito intollerabili. Quindi o si finisce tutto o si sbaracca in fretta.

Ora viene la parte disgustosa, che va sbrigata in fretta. Gli avanzi che colano gli uni sugli altri, le vaschette vuote sovrapposte malamente, la carta appallottolata: raccolgo tutto questo untume e lo porto in cucina, in apnea, gettandolo immediatamente nel sacchetto dell 'immondizia. Poi mi lavo le mani, che nell'operazione si sono unte a morte, e prima di tornare in terrazza prendo due birre dal frigorifero, perché ho ancora sete, e probabilmente ne avrà anche lui…

 

 

SAGGISTICA

Nico Orengo Il salto dell'acciuga (1999) C'è un punto nella storia...
Qui ai Pesci vivi le acciughe...
Nelle Langhe, nel Monferrato, nel ...
Wolfgang Schivelbush Storia dei generi voluttuari Le spezie, ovvero l'inizio dell'era moderna
Cioccolata, cattolicesimo e Ancien Régime

 

Nico Orengo (1999)
da «Il salto dell'acciuga»

...C'è un punto nella storia in cui le acciughe cominciano a viaggiare verso l'entroterra, a inerpicarsi per le valli, a scavalcare piccole Alpi. Quando e perché? Chi furono i primi contrabbandieri che nascosero il sale sotto le acciughe. Quelli che volevano ingannare i gabellieri di Genova prima, di Savoia dopo. O quelli che speravano di turlupinare le streghe? Le streghe non odiavano soltanto il sale ma anche le acciughe. E dunque se quel trucco fu messo in atto non serví a far volare l'acciuga oltre i monti né ad aprire vie del sale. Il volo dell'acciuga comincia molto príma delle notti delle streghe. Molto prima.

 

 

Nico Orengo (1999)
da «Il salto dell'acciuga»

...Qui ai Pesci vivi le acciughe le portano al verde, con un bagnetto rosso con peperoncino e sott'olio. Mentre mangiamo,   come quasi sempre si fa a tavola, parliamo di mangiare. Dobbiamo mettere in programma una serata di funghi, una di lumache, una di tartufi, una di polenta. E una grande bagna caoda. Prima dell'estate con Nicoletta, Chiara, i Mutus, siamo saliti a Marmora sulla strada per Canasio dove Nicoletta ha un cavallo in una margheria. Abbiamo preso burro e castelmagno fresco, abbiamo fatto un picnic sotto un temporale improvviso e azzurro. Sotto quell'acqua giá parlavamo di bagna caoda e polenta.
Io dicevo, come provcazione: - La bagn caoda l'hanno inventata i liguri con l'aiuto del garum romano. Avevamo acciughe, sale, olio, cardi che venivano da Nizza, finocchi, cipolle, carciofi.
Nicoletta ride. Dice: - Dillo a un piemotese.
Allora avevo chiesto a Ugo: - Secodo te qui era più importante l'acciuga o il sale?
- Certamente il sale, l'acciuga era il companatico. Ma l'acciuga poteva nascondere il sale o diventare importante quanto e forse piú del sale. A Moschiéres è andata cosi.

 

Nico Orengo (1999)
da «Il salto dell'acciuga»

...Nelle Langhe, nel Monferrato, nel Saluzzese o nel Vercellese, in Brianza, a Pavia come a Milano, le acciughe piacciono, è cibo povero, per povera gente. E pesce che dà gusto e dura, non va mai a male. Gli acciugai raccontano di certi barili mai toccati, rimasti fermi anche trent'anni, che davano filetti di Nazarès e Combados, di Malaga e Setúbal di un gusto straordinario.
Non c'era domenica o Natale per gli acciugai, le feste sono per chi compra e chi vende. E bisogna lottare con la concorrenza, con il nuovo acciugaio che per farsi clientela abbassa i prezzi, o con chi cerca di prenderti il posto che ti sei conquistato.
Anche se regole corporative dicono di non pestarsi i piedi, di rispettare percorsi e luoghi assegnati. Ma questa legge non scritta può valere in campagna, in città è piú difficile da rispettare.
Qualcuno ricorreva anche a colpi bassi, offrendo vino, buttando un'acciuga <<passata>> sui barilotti dei colleghi.
Anche le donne, di tanto in tanto, seguivano i mariti. Quando era cosí cucivano insieme due sacchi, per dormire insieme, tenendo in mezzo il portafoglio in pelle di gatto.

 

Wolfgang Schivelbush
da «Storia dei generi voluttuari»

Le spezie, ovvero l'inizio dell'era moderna

Nulla è più normale del sale e pepe a tavola...
...Eppure, così facendo si accostano due epoche della storia universale assai diverse. Sale e pepe rappresentano, infatti, due settori fondamentalmente diversi dello sviluppo culturale umano...
Il sale è un'antichissima sostanza sacra; le parole latine per "salute" e "salvezza", "sanità" e "salubrità" (salus e salubritas) derivano da sal, per l'appunto "sale" in latino. Il sale viene offerto agli dei, serve da medicina, da conservante, da condimento, esso ha dato nome alle città nelle vicinanze delle quali veniva estratto: Salisburgo, Salzgitter, Salzwedel...
...Per noi, il sale è uno dei beni di consumo meno cari in commercio, un plebeo fra le spezie...
...Se il sale è una componente della cultura umana fin dai tempi primitivi, la storia del pepe è databile con precisione. Certo, già i Romani condivano i loro cibi con il pepe: però è con il Medioevo cristiano che comincia il nuovo capitolo della storia di questa spezia, il capitolo della sua importanza mondiale...
...Il cibo vero e proprio non era molto di più che un semplice veicolo per le spezie, usate in miscele che oggi appaiono del tutto eterogenee. Sulle tavole particolarmente eleganti, le spezie non venivano servite con le pietanze, ma a parte. Durante il pasto, o magari alla fine, si faceva circolare un vassoio d'oro o d'argento; il vassoio delle spezie, appunto...
...Si gustava pepe, cannella o noce moscata allo stesso modo in cui noi oggi gradiamo un biscotto, un bicchierino di sherry o una tazza di caffè. E le spezie non solo si mangiavano, ma si bevevano anche! I vini del medioevo sono simili a quelli dell'antichità classica: più infusi aromatizzati che non puri succhi d'uva...
...Per l'uomo del medioevo le spezie sono ambasciatrici di un mondo leggendario. Ci si immagina che il pepe nasca in una pianura vicino al paradiso, come un bosco di canne. Si pensa che zenzero e cannella vengano pescati con le reti dai flutti del Nilo che li trasporta direttamente dal paradiso...
..A questo fascino si aggiungeva anche quello del prezzo estremamente alto che rifletteva i costi del lunghissimo viaggio che le spezie dovevano compiere dalle Indie all'Europa. Pepe, cannella e noce moscata sono simboli di status della classe dominante, insegne di potere prima ostentate e poi consumate. La quantità -o la sovrabbondanza- con la quale vengono servite è indice del rango sociale dell'ospite...
In un primo tempo, la domanda di spezie del Medioevo raggiunse dimensioni mai conosciute prima d'allora. La cerchia dei consumatori si allarga. La borghesia cittadina, arricchitasi, imita la nobiltà ostentando il proprio lusso. Sempre di più sono coloro che hanno voglia di vestiti sontuosi ed esotici e, ovviamente, di cibi aromatizzatí; fu così che si annunciò l'autunno del Medioevo e il sorgere dell'età moderna. La salsa al pepe divenne ingrediente essenziale della cucina borghese...
...Aumento della domanda, offerta limitata e sempre più cara è la classica situazione comunemente chiamata 'crisi'. E là dove sorge una crisi, ecco che febbrilmente si cercano delle vie d'uscita...
...Quel che oggi rappresenta la ricerca delle fonti energetiche, nel xv secolo era costituito dalla ricerca di una via commerciale più economica verso la terra delle spezie, una via che permettesse sia di aggirare le barriere doganali che di trasportare quantità maggiori di merci. Questa fu la rotta per le Indie: forse l'idea fissa di tutto il xv secolo...

 

Wolfgang Schivelbush
da «Storia dei generi voluttuari»

Cioccolata, cattolicesimo e Ancien Régime

...Se il caffè passa per una bevanda nordica e protestante, la cioccolata va considerata come il suo contrapposto cattolico e meridionale...
...se la cioccolata si differenzia negativamente dal tè e dal caffè per la mancanza di effetti stimolanti, in compenso essa possiede un alto valore nutritivo. Proprio questo è ciò che la rende così importante per il mondo cattolico. Secondo il principio che un liquido non interrompe il digiuno (liquidum non frangit dejunum), la cioccolata serve da surrogato alimentare durante i periodi di digiuno. Questa funzione la rende subito bevanda di importanza essenziale in entrambi i paesi cattolici, Spagna e Italia...
...Per la pittura rococò l'insieme boudoir e cioccolata è un motivo amato quasi quanto le scene pastorali e quelle galanti dell'alcova. Lo spirito erotico-giocoso del tempo trova la cioccolata di suo gusto. Tale collegamento fra cioccolata ed erotismo, tuttavia, non è solo di natura iconografica. Secondo un'opinione fortemente radicata fino al XIX secolo, la cioccolata è un afrodisiaco. <<Nella cioccolata si cercavano rinforzi per certi doveri>>, così parafrasa qust'effetto un pudico testo della fìne dei XVIII secolo.
Dunque, anche a questo riguardo, nel Settecento e Ottocento la cioccolata appare come l'opposto del caffè. Come si è visto, quest'ultimo è considerato decisamente antierotico e nemico del corpo. Secondo le convinzioni dell'epoca, ciò che il caffè dà allo spirito sottrae al corpo. Al contrario per la cioccolata. Essa nutre il corpo e la potenza virile, rappresenta la corporeità barocco-cattolica contro l'ascesi protestante.
Tale contrasto si manifèstò nel tardo Seicento a Londra in locali di due tipi diversi. I Caffè che abbiamo appena conosciuto con il loro particolare carattere borghese-puritano. Accanto a esse sembra siano esistiti anche locali ove si serviva in prevalenza cioccolata, le cosiddette "Sale" o "Case" della cioccolata. Sono questi i punti di incontro di un caratteristico miscuglio tra aristocrazia e demi-monde - quella che più tardi Marx chiamerà bohème - e certamente sono dei locali antipuritaní, forse addirittura dei bordelli.
Comunque lo si voglia considerare, nel XVII e XVIII secolo la cioccolata è bevanda tipica dell'Ancien Régime, mentre il caffe è lo stimolante della sempre più vivace imprenditoria borghese.
Goethe, che usa l'arte come mezzo per aristocraticizzare le sue origini borghesi e che, come membro di una società cortigiana, può permettersi una certa calma anche nella sua produzione letteraria, fa della cioccolata un culto, mentre invece aborrisce il caffè; Balzac, che, malgrado la sua sentimentale professione di fede monarchica, lavora e vive solo del mercato letterario, è entrato nella storia come uno dei più accaniti bevitori di caffè. Due generi di produzione letteraria totalmente diversi, due sostanze stirnolantí completamente diverse, due diverse psicologie e fìsiologie...
...La cioccolata decade insieme all'Ancien Régime. Più esattamente essa termina la sua esistenza come cioccolata e la prosegue come cacao, il quale dal XIX secolo si beve in sua vece. Il moderno procedimento per ottenere il cacao fu scoperto nel 1820 dall'olandese vam Houten.Egli estrasse dai grani di cacao la maggior parte dell'olio in essi contenuto, rendendo così meno nutriente ma più digeribile il cacao stesso...
...Con l'inizio del XIX secolo le strade (della cioccolata liquida e solida) si dividono. Il cacao diviene ora bevanda gradita, specialmente dai bambini, anche nell'Europa centrosettentrionale. Allo stesso tempo, la cioccolata in tavolette raggiunge un'importanza nuova anche come genere voluttuario di carattere particolare. Per ironia della storia, poi, sono proprio i due paesi più protestanti a dare il colpo di grazia alla tradizione ispano-cattolica della cioccolata. L'Olanda diventa il maggior produttore di cacao e di cioccolata in stecche, mentre la Svizzera la segue con l'innovazione della cioccolata al latte...

CINEMA

Gabriel Axel Il Pranzo di Babette (1988) Trama
Il menù di Babette
Campbell Scott
&
Stanley Tucci
Big Night (1996) Trama
Il menù di Big Night
Pedro Almodòvar Il fiore del mio segreto (1996) Trama

 

 

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"Il Pranzo di Babette" di Gabriel Axel
tratto dall’omonimo romanzo di Karen Blixen

In Danimarca, in un piccolo villaggio in riva al mare vivevano due signorine attempate, Martina e Filippa, dedite alla preghiera e ad onorare la memoria del pastore decano, loro padre. La loro vita semplice e puritana viene interrotta dall’arrivo di una profuga francese, costretta all'esilio come partecipante ai moti rivoluzionari della "Comune" di Parigi, mandata da un amico lontano. Babette senza alcun compenso in cambio dell’ospitalità le aiuta in casa. Un giorno ella vince una grossa somma di denaro alla lotteria, ma anziché tornare in Francia decide di offrire e cucinare un vero pranzo francese per festeggiare il centenario della nascita del decano, il 15 di dicembre. Le due sorelle, anche se lusingate, vedono il banchetto come una minaccia alla loro vita tranquilla. I dodici invitati arrivano e con loro un generale che capisce subito, che quello sarebbe stato un pranzo speciale. Aiutati dalla bontà del cibo, dall’atmosfera e dall’amore con cui i piatti erano stati cucinati da Babette, tutti diventano gioviali e felici. Mentre i ricordi passati riaffiorano, arrivano le splendide “cailles en sarcophage”. Il generale racconta di un ristorante a Parigi, dove cucinava uno chef donna poi scomparsa (naturalmnente si trattava di Babette), che riusciva con la sua cucina sublime a trasformare un banchetto in una avventura amorosa. Babette nuovamente povera rimane in Danimarca, ma, come dice il generale durante il brindisi, a quel pranzo “Rettitudine e felicità si erano baciate.”

 

      Il Menù di Babette      
Zuppa di tartaruga Amontillado Sherry
Blinis Demidoff
al caviale
Veuve Clicquot
Ponsardin Brut
Quaglie
en Sarcophage
Clos de Vougeot
Grand Cru
Insalata di indivia Pelligrino
Selezione
di formaggi
Warre's 20 Year Old
Tawny Port
Babà al Rhum
con frutta candita
Caffè

 

 

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"Big Night"
di Campbell Scott e Stanley Tucci

"Chi mangia bene sta molto vicino a Dio." In questa frase è racchiusa tutta l'arte di Primo Pelaggi (Tony Shalhoub) che assieme al fratello Secondo (Stanley Tucci), in cerca di fortuna, hanno lasciato la natia Calabria per aprire un ristorante in America.
Siamo negli anni 50 e i due fratelli calabresi gestiscono un ristorante sull'orlo della bancarotta. Primo, convinto che nessuno può violare o, peggio ancora, mettere in discussione la sua arte, non ne vuole sapere di venire incontro ai gusti "americani"dei pochi clienti per sollevare le sorti del locale. Non transige e per nulla al mondo consentirà di accompagnare i secondi piatti con gli spaghetti!
Il povero Secondo, gentile e diplomatico, non sa più cosa fare perchè i conti tornino.
Verrà in loro aiuto il propietario del vicino ristorante Pascal's, che nonostante la qualità mediocre del cibo servito, riscuote un grande successo. Egli inviterà il suo amico Luis Prima con la sua famosa Jazz band, a cena nel ristorante dei due fratelli.
Così essi mettono mano agli ultimi risparmi per preparare la Big Night ( Grande Serata) dove il piatto forte è il "timpano" che diventa l'assoluto protagonista del film e mi piace descriverlo con le parole di Primo: "Il timpano è un tamburo... e al suo interno ci stanno le cose più buone del mondo!"

 

      Il Menù di Big Night      

Consommé

Caponata
Prosciutto di Parma
Fiamminga di carciofi arrosto
Fiamminga di funghi saltati in padella
Fiamminga di fagiolini saltati in padella
Fiamminga di verdure arrosto
Zucchine al graté
Melanzane al graté
Carote al graté
Timpano
Salmone affumicato
Cappone farcito con melagrana
Maialino arrosto
Fiamminga di risotto (spinaci, frutti di mare, quattro formaggi)
Misto di patate e peperoni arrostiti

Frutta fresca
Vassoio di paste
Noccioline
Biscotti (amaretti)

Grappa
Espresso


Una serie di ricette tratte dal film

 

 

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"Il fiore del mio desiderio" (1996)
di Pedro Almodòvar

Due dottori tentano di far capire ad una madre affranta che il figlio, vittima di un incidente motociclistico è morto, anche se sembra ancora respirare. Non è facile spiegare una morte cerebrale, e la goffaggine dei dottori non fa altro che alimentare false speranze nella madre. Alla fine di questa scena sconcertante, si scopre che la situazione non è reale, ma si tratta soltanto della rappresentazione di un caso tipico, che i dottori si trovano ad affrontare tutti i giorni. La scena è parte di un seminario organizzato dal Piano Nazionale per la Donazione degli Organi, il cui scopo è di insegnare ai dottori il modo più umano e chiaro per comunicare la tragica notizia di una morte improvvisa ai parenti della vittima, seguita dalla richiesta della donazione degli organi della vittima stessa. Questi seminari sono diretti da Betty (Carmen Elias), un'apprezzata psicologa.
Durante la pausa pranzo, Betty riceve la visita inaspettata della sua amica Leo Macias (Marisa Paredes). Betty è sorpresa e un pò scombussolata dall'irruzione dell'amica. La sorpresa si tramuta poi in stupore quando Leo spiega di essere venuta perchè non riesce da sola a togliersi gli stivali e ha bisogno dell'aiuto di Betty. Allora la voce di Leo comincia ad incrinarsi e  mentre sta per scoppiare a piangere grida "Io non sono pazza, Betty, sono sono soltanto sola!".
Betty supera la sua iniziale esitazione e comprende quest'ultima richiesta d'aiuto. Prima che Leo crolli, Betty l'aiuta a togliersi gli stivali e a cambiarli con un paio più comodi. Leo racconta a Betty che Paco (Imanol Arias), suo marito, le aveva regalato quegli stivali. La prima notte che li aveva indossati, Paco l'aveva aiutata a toglierseli.
L'assenza di Paco è la ragione per cui Leo comincia a sgretolarsi solo perchè ha un paio di stivali troppo stretti. Suo marito è a Bruxelles. Durante gli ultimi mesi prima della separazione, la coppia non aveva fatto altro che litigare. Paco è un soldato, uno stratega professionista, che fa parte del contingente spagnolo della forza di pace NATO in Bosnia, missione a cui partecipa come volontario.
La prima scena del film, in cui i due dottori cercano di far accettare la morte del figlio alla madre che la rifiuta, è una metafora del momento che Leo sta vivendo. L'amore di Paco è morto, ma lei lo difende ciecamente e si affida ad una speranza, sempre più assurda. Nessuno le spiega l'evidenza nella maniera appropriata, nè suo marito, nè la sua amica psicologa Betty, che è l'amante segreta di Paco.
Il rinvio della soluzione ai problemi del suo matrimonio provoca in Leo una fragilità e un'incertezza che influenza e condiziona tutti gli aspetti della sua vita, specialmente il suo lavoro. Leo si sente così debole che non riesce a mentire. Anche se è un segreto, noto solo a suo marito, alla sua intima amica Betty e ai suoi editori, Leo Macias è una scrittrice di romanzi "rosa" che si nasconde sotto lo pseudonimo di Amanda Gris, una delle regine del genere. Per contratto Leo deve scrivere tre romanzi all'anno, ma negli ultimi mesi non è stata in gado di rispettare i suoi impegni. Invece che romanzi "rosa" riesce a scrivere solo racconti "neri". Per coprire questo buco, la Fascination Publishing Company, che pubblica i romanzi di Amanda Gris, edita la sua prima antologia e minaccia la scrittrice di rivelare la sua vera identità.
 
Betty la sollecita ad incontrare per un colloquio il suo amico Angel (Juan Echanove), responsabile delle pagine culturali di "El Pais", un importante quotidiano. Angel è affascinante, sebbene beva spesso, è un appassionato di cinema e un fan di Amanda Gris. Egli non sospetta che la donna che siede davanti a sè sia la sua scrittrice preferita. Angel le propone di scrivere qualcosa sull'antologia di Amanda Gris. Leo rifiuta, manifestando il suo odio per quel tipo di letteratura e per quella scrittrice in particolare, e lascia l'incontro molto depressa. Ma poi scrive una critica demolitrice del suo stesso lavoro usando un'altro pseudonimo.
Paco la chiama da Bruxelles per annunciarle una sua visita, avendo ottenuto un giorno di permesso. All'idea di incontrare ancora suo marito, tutti i problemi di Leo scompaiono immediatamente.
Ma, nonostante il ricorso ai piatti preferiti da Paco, tortilla española e paella, preparati amorevolmente dalla governante di Leo, l'incontro finisce in malo modo e la rottura con Paco è, ormai, definitiva.
Da quel momento, la vera sfida di Leo è come ricominciare ...