10°giorno, giovedì 17 aprile 2003

Paghiamo con 315peso l'hotel Arcoiris e salutiamo il bizzarro Efren.

Nemmeno il tempo di uscire sulla strada che sopraggiunge una "guagua" e ci segnala la sua presenza; gli facciamo un cenno e si ferma. Il mezzo sfreccia oltre i 100 Km/h anche nei centri abitati, ma oramai non ci facciamo più caso.

Scendiamo a Sosua presso la fermata del Caribe Tour per S.to Domingo, che giunge dietro di noi proprio in quel momento, ma noi scenderemo a Santiago: l'autobus è quasi vuoto e l'aria condizionata fortissima; ci sediamo uno dietro all'altro occupando il posto affianco con lo zaino. Seduta vicino a me, con il solo corridoio fra i sedili in mezzo, c'è una bellissima ragazza nera, che parla con un'amica bianca seduta sul sedile davanti a lei; noto che mi guarda mentre prendo appunti per il mio diario di viaggio, e appena capita l'occasione mi chiede dove sto andando; le rispondo ed iniziamo a parlare, anche se lei conosce solo lo spagnolo: si chiama Esmeralda, ha 25 anni, dei bellissimi occhi neri e uno stupendo sorriso che non smette di regalarmi; mi racconta di avere otto fratelli e che sta ritornando dalla sua famiglia a La Vega per Pasqua. E' vestita elegantemente, come, del resto, la maggior parte delle dominicane viste fin'ora.

A Puerto Plata l'autobus sosta per una decina di minuti ed Esmeralda vuole offrirci, a tutti i costi, un rinfrescante "latte-vaniglia" ghiacciato contenuto in un tubetto di plastica sigillato, che si apre con i denti e si succhia man mano che scioglie, come il classico "Calippo".

Proviamo, nel frattempo, a chiamare Cecilia, la zia di una nostra amica, per avvisarla del nostro arrivo a Santiago, ma interviene la segreteria telefonica. Non sapendo quindi dove scendere per essere più vicini all'abitazione di Cecilia, una volta giunti a Santiago, ci facciamo lasciare su Avenida 27 de Febrero e saluto Esmeralda con una calorosa stretta di mano.

Restiamo in attesa di parlare al telefono con Cecilia, e, finalmente, passo il telefono ad un taxista così che lei possa spiegarle la strada.

Eccoci a casa sua, una casettina poco lontana dal centro, ma in una zona dall'apparenza periferica; conosciamo sua figlia Martina, che avevo sentito via email dall'Italia prima di partire, il suo futuro marito Enrique e altri ospiti della casa : Olivier, un loro amico, Leòn, un belga residente nella repubblica da sei anni, e Lincey, un'americana qua per lavoro, ognuno di loro con una sua storia e ciascun ospite per condividere le spese d'affitto.

La loro ospitalità è immensa e ci mettono a nostro agio. Cecilia tornerà a vivere in Italia con l'altra figlia più piccola Sara, mentre Martina si sposerà e resterà a Santiago, anche se vorrebbe tornare in Italia dove è rimasta solo pochi anni dopo la nascita.

Nel pomeriggio, dopo aver pranzato insieme, Martina ed Enrique ci accompagnano in città e andiamo con loro ad un supermercato, dove ne approfittiamo per acquistare un sacco di riso dominicano e una bottiglia del miglior rum che mi consiglia Martina.

La città è caotica come la capitale, ma il centro è ben fornito di grandi negozi d'abbigliamento, scarpe e quant'altro; lungo la via principale i commercianti riempiono i marciapiedi e le auto pubbliche , con i loro clacson polifonici esagerati, girano ininterrottamente… attraversiamo anche il mercato, frequentato da soli neri e nel quale ci sentiamo un po' osservati, ma in generale c'è poco da visitare!

Passiamo a prenotare i biglietti al Metro, per il viaggio verso S.to Domingo di domani, e, una volta giunti a casa, Cecilia ci presenta una famiglia italo-colombiana cui sta insegnando italiano, che il prossimo agosto si trasferirà in Italia, per vivere proprio nella mia città; scopro inoltre che portano il cognome di un mio carissimo amico, e ci sono buone probabilità di parentela.

Racconto loro un po' di Varese e cerco di rispondere alle loro domande, riguardanti le scuole per i quattro figli e le zone migliori per affittare dei locali; ci scambiamo i contatti di posta elettronica e senz'altro avremo modo di risentirci.

Alle 20.00 ritorna Cecilia dalla sua seduta di Yoga, con degli amici del corso con i quali aveva organizzato una cena vegetariana; ci uniamo alla comida di tutta questa gente a noi sconosciuta col piatto in mano e seduta ovunque, anche a terra, con le gambe incrociate…

Questo sarebbe uno spuntino, perché Martina vuole portarci a mangiare il "mofongo", altra tradizione culinaria dominicana che, se devo essere sincero, non mi è piaciuta un granché: si tratta di un impasto di platano fritto e carne di maiale, rifinita a mo' di panettoncino, da insaporire con un condimento dal colore arancione…

Qua a Santiago si resta stupiti senza dubbio per la quantità di fisionomie e colori della pelle che si possono incontrare; la presenza di pelli chiare è concentrata al nord della Repubblica Dominicana, a causa della fusione nei secoli scorsi degl'indios, con i nuclei d'europei venutisi ad insediare dopo la colonizzazione del "Nuovo Mondo" da parte degli spagnoli. Queste popolazioni fecero la loro fortuna con l'estrazione dell'oro, presente in grande quantità, e con la lavorazione dell'ambra, tutt'ora uno degli elementi con maggior valore.

Così ci spiegano Martina ed Enrique, ed aggiungono che la popolazione più scura invece si trova al sud, dove gl'indios si incrociarono con gli schiavi d'Africa importati per la lavorazione della canna da zucchero. Anche gli haitiani, sulla costa ovest dell'isola (quella francese), sono scuri di pelle e hanno corporature robuste e fisici scultorei, perché discendono dai migliori schiavi selezionati secoli fa.

Inoltre Enrique pone l'accento sul rancore e razzismo esistente fra dominicani e haitiani, anche se ormai le popolazioni si sono fuse insieme: il dominicano è sempre aggressivo e scortese nei confronti del vicino haitiano, che forse, date le sue origini, conserva tutt'oggi nel suo DNA le caratteristiche di sottomissione

- fine 10°giorno-