STAZZUNA E STAZZUNARA A VALLELUNGA PRATAMENO



   Non è facile che le nuovissime generazioni di vallelunghesi comprendano bene cosa si intenda con il titolo di questa pregevole pubblicazione del Dott. Alessandro Barcellona. I termini “stazzuna” e “stazzunara”, infatti, appartengono ormai all’archeologia linguistica del nostro dialetto e di quello siciliano in genere, caduti ormai in disuso sin da quando, alcuni decenni fa, sono state dismesse definitivamente le attività che volevano significare.

   Tuttavia, nonostante le avide fauci del tempo inghiottiscano ogni cosa, la nostra parlata dialettale, almeno quella che arriva alla prima metà del secolo scorso, è già stata immortalata e abilmente codificata nell’unico dizionario della lingua vallelunghese “Così parlavamo a Vallelunga” del Prof. Calogero Giambelluca. In esso, alla voce “stazzuni”,  leggiamo: “fabbrica di vasellame, brocche e stoviglie di terracotta, nonché di materiale edilizio (tegole, mattoni)”. Ma naturalmente questa spiegazione al vallelunghese d.o.c. di una certa età non serve poiché egli, non solo conosce molto bene gli “stazzuna” ma ne ha ancora abbondantemente pregne le narici del fumo che producevano e che “avvolgeva di una cappa funesta nera ed intensa l’intero paese”.

   Il concittadino Dott. Barcellona aveva accarezzato da tempo l’idea di scrivere qualcosa di più dettagliato su questi opifici, un contributo da offire ai lettori della “Radice”, ma, col tempo la ricerca è diventata via via più corposa e alla fine giustamente si è optato per una più adeguata pubblicazione. Così, con il patrocinio della Regione Siciliana, del Comune e della Pro Loco di Vallelunga, è nato il volumetto “Stazzuna e stazzunara a Vallelunga Pratameno”.

   Si tratta di una vera e propria ricerca storica e come tale abbastanza documentata. Basta scorrere l’elenco delle fonti bibliografiche a cui l’autore ha sapientemente attinto, nonché le numerose testimonianze raccolte dalla viva voce di quanti negli stazzuna ci hanno lavorato davvero per anni impastando l’argilla con l’acqua e con il proprio sudore.

   Storicamente la ricerca del nostro autore parte veramente da molto lontano. Inizia con delle osservazioni attente della materia prima, del fango, dell’argilla nella storia dell’umanità; si citano le culture dell’antico Oriente, della Mesopotamia e dell’Egitto; si fa riferimento al Poema babilonese della creazione e al testo biblico della Genesi. L’indagine si estende all’antica scrittura cuneiforme, ai ritrovamenti nell’isola di Creta ed in Siria, fino a giungere ai 6000 guerrieri di terracotta rinvenuti in Cina. Naturalmente l’autore non si dilunga eccessivamente su queste notizie che tuttavia risultano davvero interessanti per una più ampia precomprensione del suo lavoro.

   Molto attente sono le osservazioni di carattere scientifico-geologico del nostro territorio, del Cozzo Tanarizzi, della Pirrera e del Cozzo Intinnò, come anche le nozioni su ceramica, terracotta, maiolica, porcellana e la spiegazione dei procedimenti di lavorazione.

   Una simpatica nota di colore viene data al testo quando si parla della disputa tra i nobili di Vallelunga e di Villalba nella seconda metà del 1700, con l’obiettivo, da parte dei vallelunghesi, di continuare a cavare indisturbatamente le pietre bianche arenarie dal vicino feudo Miccichè per la costruzione delle case. Si trattò di un vero e proprio braccio di ferro che ebbe un articolato seguito giudiziario e che alla fine vide prevalere i villalbesi. Ma siccome non tutti i mali vengono per nuocere, proprio questa “sconfitta” aprì speranze nuove a Vallelunga che da allora, facendo di necessità virtù, cominciò a sviluppare l’arte della lavorazione dell’argilla e a fare a meno delle “pietre” di Miccichè.

   Il volume prosegue con una descrizione avvincente dei luoghi e degli oggetti che caratterizzavano la frenetica attività degli stazzuna. Così rinascono a nuova vita, come esumati dall’oblìo, parole come torniu, fossa, funnacazzu, zarbàta, furnu, burgiu, sìastu, chiana, buffetta, gammitta, giurlànna, parmarizzu, quartàra, baccareddra, lemmu, silletta, tumazzìari, scuttizzi e molto molto altro ancora in un crescendo stupefacente di immagini e colori che hanno ricamato per secoli la vita quotidiana dei vallelunghesi.

   Il Dott. Barcellona inoltre, ci presenta un preciso censimento postumo di ben 18 stazzuna che nel periodo di massima espansione di questo settore, dal 1860 al 1950, operavano in paese; veramente una grande risorsa che riusciva a dare lavoro a moltissime famiglie e coinvolgeva, con tutto il suo indotto, più di un migliaio di persone; indubbiamente un’attività imprenditoriale di fortissimo impatto socio-economico che magari non riusciva a frenare del tutto l’emorragia dell’emigrazione transoceanica di quel periodo ma ne conteneva senz’altro i danni.

   L’ammirevole ricerca si chiude con una raccolta di detti, proverbi, filastrocche e indovinelli, tutti scaturiti dalla saggezza popolare che respirava l’aria acre degli stazzuna.

   Insomma il Dott. Alessandro Barcellona credo non potesse fare di meglio di quanto ha fatto. Un lavoro prezioso che arricchisce ulteriormente la già ampia biblioteca di pubblicazioni di vallelunghesi  su Vallelunga.

   Grazie, Alessandro!

                                                                                                 Loreto Noto