U VIAGGIO DULURUSU….

 

DI

MICHELE VILARDO

 

 

 

 

Quando eravamo “carusi”(cioè carenti di uso di ragione) correvamo spensierati per le strade libere del nostro amato paese,vogliosi di vivere.Due erano gli appuntamenti immancabili della nostra “povera”infanzia:la festa della Madonna di Loreto per ricevere la “fera” dai nonni(ciòè una modica somma di danaro) da poter spendere nelle bancarelle e negli auto-scontri e la festa del Natale.

Se a  Natale,come dice l’antico detto popolare,c’è friddu e fami,per noi caruseddri di strata era un momento davvero particolare perché aspettavamo l’arrivo della cosiddetta “befana” che a Valleunga era “doppia”.Quella ricca del primo dell’anno e quella povera dell’Epifania che tutte le feste portava via. La befana portava dolci e doni e la sera di San Silvestro,mentre i grandi cantavano il Te Deum noi carusi si andava in giro per le vie del paese a suonare con pentole e coperchi per stanare la befana. Altri tempi,sicuramente andati!Un ricordo particolare del Santo Natale è di sicuro la cantata della novena in lingua siciliana. Ad oggi,dopo tanto tempo,affiora questo ricordo.La novena in lingua siciliana era in versi  e portava il titolo de U Viaggiu dulurusu di Maria Santissima e lu Patriarca san Giuseppi in Betlemi .Nessuno di noi conosceva l’origine di questo testo diffuso nella Sicilia centro-occidentale. Molti,magari,avranno pensato che si trattasse di un testo elaborato da qualche poeta isolano e affidato alla memoria collettiva. Dopo tanti anni,imbattendomi in uno studio sulla pietà popolare nella diocesi di Monreale,ho scoperto che a scrivere quel bellissimo testo era stato proprio un prete monrealese tale Biniduttu Annuleru(al secolo Antonio Di Liberto 1704-1772).Un canonico teologo,poeta e musicista fu Antonio Di Liberto che oltre a scrivere il testo della novena in lingua siciliana ne elaborò anche il testo musicale. Come arrivò il testo di Annuleru in giro per la Sicilia?Con tutta probabilità furono i padri predicatori che andando in giro a predicare le novene dell’Immmacolata e del Santo Natale e diffusero il testo teologico-poetico e musicale della novena di Natale di Binidittu Annuleru. Fu,per me,una piacevole sorpresa scoprire da dove veniva la novena di Natale in lingua siciliana. Così si aprirono,in seguito alla lettura del testo,una serie di ricordi della mia infanzia. Il profumo che promanava nelle strada dei Vurciddrati, delle arance e dell’alloro con cui si ricoprivano alcuni simboli votivi e la stessa chiesa madre del paese. Perché Annuleru titolò la novena U viaggiu dulurusu? Con tutta probabilità il concetto di dolore espresso dal fine teologo e poeta monrealese è legato ai travagli del parto e alla preoccupazione dello stesso che affiora in ogni donna prossima a dare alla luce un figlio. Ma il concetto di dulurusu è legato alla storia della nascita non comune del figlio di Dio,partorito in una stalla poiché rifiutati da tutti. Il gran rifiuto segnò il momentaneo duluri di Maria e Giuseppe unitamente al viaggio scomodo che una donna prossima al parto dovette affrontare sul dorso di un asinello. La novena di Annuleru ha segnato intere generazioni di credenti nonché tutta l’attività pre-natalizia che si svolgeva nei comuni del centro della Sicilia e non solo.Infatti essa veniva cantata oltre che dentro le chiese anche per le vie dei paesi creando un’atmosfera davvero straordinaria.Stava per arrivare il Natale e per noi carusi  la Befana che nulla aveva di tecnologico ma semplicemente dolcetti,carbone dolce e tanta tanta voglia di vivere. Che dire circa il fatto che oggi si assiste ad una invasione di neo-protestantesimo dilagante,spacciato per cattolicesimo,che sta uccidendo lentamente tutte queste belle tradizioni della fede del popolo e per il popolo credente?Meno male, però, che c’è sempre Qualcuno che pensa a restaurare la Chiesa!!meno male!ma di che restauro si tratta? Certo, senza voler rimpiangere i tempi andati e senza voler riproporre  vie di bieco tradizionalismo e inopportuno pietismo,sarebbe conveniente che oltre che restaurare la chiesa fatta di mattoni(ed è cosa utile e  opportuna)Qualcuno si dedicasse un tantino di più a servire il popolo credente,anche con le sue sane tradizioni di fede(senza snobbarle più di tanto e senza sopportarle come un pesante mal di pancia),piuttosto che lavorare per una chiesa “elitaria” e dei presunti convertiti dalle eredità d’oro:alla faccia della  conversione!!

Adesso voglio offrire,agli amici che visitano il tuo sito, il testo di Binidittu Annuleru per dare la possibilità a tanti,lo spero,di ricordare i tempi andati della nostra fanciullezza,ma anche per fare una seria riflessione sul senso cristiano del Santo Natale,proprio in un tempo che non vuole più ricordare e si vive correndo sempre e in forza della perfida filosofia del “mordi e fuggi”. Un augurio particolarmente sentito vorrei rivolgere ai tanti emigrati vallelunghesi, sparsi in giro per il mondo, che portano alto il buon nome della cittadina che ci ha dato i natali.

 

 

 

 

 

 

 

 

U Viaggiu dulurusu di

Maria Santissima e

lu Patriarca S. Giuseppi

in Betlemmi

 

di

Binidittu Annuleru

 

 

 

 

 

 

 

 

A Maria chi porta affetto,

chi Giuseppe tiene in conto

 poiché il cuor gli batte in petto,

 stia a sentir questo racconto:

il viaggio doloroso

di Maria con il suo sposo.

 

A Maria cui porta affettu,

ài Giuseppi cui fa cuntu

s’avi cori ntra lu pettu,

senta, senta stu raccuntu:

Lu viaggiu dulurusu di Maria

 cu lu so spusu

 

 

 

 

PRIMUJORNU

 

PRIMO GIORNO

 

San Giuseppi un jornu stannu

ntra la chiazza in Nazartti

pri soi affari caminannu,

 senti sonu di trummetti;

 senti leggirì un edittu,

chi lu cori assai c’ ha affrittu.

 

Mentre un giorno San Giuseppe

per la piazza camminava,

un gran suono di trombette

 tutta Nazareth chiamava.

Sente leggere un editto

che lo lascia molto afflitto.

 

Chistu edittu cuntinìa

 chi ogn'omu d'ogni etati

 jri a scrivirsi duvìa

 a la propria citati,

 e in tributu poi pagari

qualchi summa di dinari.

 

Questo editto stabiliva

che ogni uomo d'ogni età

il suo nome far doveva

registrar nella città.

E doveva anche pagar

certa somma di denar.

 

 

A sta nova infausta e ria

San Giuseppi cuntristatu

jiu a la casa ed a Maria

 cussì dici adduluratu:

 Oh chi nova dulurusa

 iu vi portu, amata spusa!

 

Questa nuova brutta e ria

San Giuseppe contrariato

 riferire va a Maria

a cui dice addolorato:

«Che notizia dolorosa

io vi porto, amata sposa!

 

 

Oh eh'edittu pubblicari

ntra la chiazza or ora ntisi

gran caminu divu fari

 e patiri alcuni spisi

ed iu afflittu pri ubbidiri

a Betlemmi divu iri.

 

Nella piazza, di mattino,

ho sentito un brutto editto.

Devo mettermi in cammino,

pur se sono molto afflitto.

Tante spese devo far,

se a Betlem voglio arrivar.

 

 

Divu iri a Betlemmi

 stu viaggiu divu fari

o sia sulu o cu vui insiemi

 sempri peni aju a pruvari.

 O sia sulu o accumpagnatu

sarò sempri adduluratu.

 

 

Per andare a Betlem

il viaggio devo fare

 forse solo o con voi insiem:

sempre pene ho da provare.

Solo oppure accompagnato

sarò sempre addolorato!

 

 

S'iu vi lassù, ahi pena ria!

sento spartirmi lu cori.

Si vi portu in compagnia.   

oh chi peni e crepacori!

 E chi fari un sacciu ancora

 l'uno e l'autru assai m'accora.

 

Se vi lascio, - oh pena mia! -

 mio cuore mi si spezza.

Se vi porto in compagnia,

quale pena e qual tristezza!

Cosa fare non so ancora,

mentre tutto ciò mi accora».

 

 

A st'affetti dulurusi

di lu spusu so dilettu,   

cu palori assai amurusi

ed rispunni tutta affettu:

Spusu miu nun v'affliggiti,

jamuninni unni vuliti.

 

 

A quest'ansie dolorose

dello sposo suo diletto

con parole assai amorose

lei rispose tutta affetto:

«Sposo mio, non v'affliggete,

verrò anch'io dove volete!

 

 

 

La divina voluntati

cussi voli chi partemu

Vegnu pr'unni mi purtati.

Nun fa nenti si patemu;

jamuninni tutti dui,

avrà Diu cura di nui.

 

La divina volontà

vuole certo che partiamo;

verrò ovunque c'è da andar:

non fa niente se soffriamo.

Su, partiamo io e voi

e Dio avrà cura di noi!

 

 

Si lu nostru imperaturi

nni cumanna di partiri

cu pruntizza e veru amuri

lu duvemu nui uhhidiri;

 cori granni, o spusu miu,

cussi voli lu miu Diu.

 

Egli è il nostro imperatore.

Se comanda di partire,

con prontezza e vero amore

 noi dobbiamo a lui obbedire.

Su, coraggio, sposo mio,

è così che vuole Dio ! »

 

 

 

SECUNDUJORNU

 

SECONDO GIORNO

 

A st'affetti di Maria

San Giuseppi ralligratu

rispundiu Signura mia,

 vui m aviti cunsulatu

vi ringraziu, o mia signura,

 miu cunfortu, e mia vintura.

 

San Giuseppe, rallegrato

dall'affetto di Maria,

«Voi m'avete confortato,

 rispondea, Signora mia!

Vi ringrazio, mia Signora, mio conforto

 e mia buon'ora!

 

Ma giacchi, Signura mia,

 mi vuliti accumpagnari

 pri na tanta longa via

qualchi modu aju a circari.

Ora datimi licenza

quantu abbuscu pruvidenza.

 

Ma giacché, Signora mia,

mi volete accompagnare

per sì tanto lunga via,

qualche modo ho da cercare.

Ora datemi licenza

di trovare provvidenza».

 

 

Si nni va Giuseppi allura

 tuttu quantu affannateddu

 pri purtari a la Signura

pighia un bonu ciucciareddu,

ed ancora si disponi

pri la sua provisioni.

 

 

Se ne va Giuseppe allora

con in petto tanta cura.

Per portar la sua Signora

l'asinello si procura

e poi ancora si dispone

a trovare provvigione.

 

Cussì torna a la sua spusa    

e cci dici: aju truvatu,

 mia Signura majestusa,

 st'asineddu furtunatu,

comu gravida, o miu beni,

 jiri a pedi nun cunveni.

 

Torna allora alla sua sposa

e le dice: «Ho già trovato,

mia Signora maestosa,

asinello fortunato.

 Siete, incinta, mio gran bene,

ed a piedi non conviene.

 

Ntra stii vertuli cci portu

 pocu pisci e quattru pani,

pri ristoru e pri cunfortu

ntra stiparti assai luntani,

così cchiù fari vurria

 ma nun aju, spusa mia.

 

Ho due sacche e vi ci porto

poco pesce e quattro pani

per ristoro e per conforto

tra paesi assai lontani.

Io di più fare vorrei,

ma non so come potrei».

 

Maria ancora canuscennu

la divina vuluntà,

si va puru dispunennu

 pri s’ tu partu chi farrà

 e s'inchìu nà cascitedda

 di li soi 'nfasciaturedda.

 

Maria inoltre, conoscendo

 la divina volontà,

si va pure disponendo

per il parto che farà.

E riempie una cassetta

con la cara sua robetta.

 

Avia fattu la Signora

 cu li proprii soi manu

una tila bianca e pura

dilicata in modu stranu,

 di sta tila fattu avia

fasciteddi a lu Missia.

 

La Signora avea intrecciato,

lavorando di sua mano,

una tela delicata

d'un candor davvero raro.

Con tal tela fatto avria

un bell'abito al Messia.

 

 

San Giuseppi avia abbuscatu

 dui di lana panniceddi,

 e Maria n 'avia furmatu

dui puliti cutriceddi

e pruvista di sti cosi

 a partiri si disposi.

 

 

San Giuseppe avea trovato

due di lana tovagline

e Maria ne avea cavato

due pulite copertine.

Messe insieme queste cose,

a partire si dispose.

 

 

Già è in prucintu di partiri,

 la Rigina di lu Celu,

offerennusi a suffriri

 Fami, friddu nivi e jelu

 Chi stupuri in virità,

 cui nun chianci pri pietà.

 

Già è sul punto di partire

la Regina del bel cielo,

preparata ormai a soffrire

fame, freddo, neve e gelo.

 Fa stupire, in verità,

chi non piange per pietà.

 

 

 

TERZUJORNU

 

TERZO GIORNO

 

Già disposta di partiri

la gran Virgini Maria,

 a lu spusu misi a diri,

nginucchiata umili e pia:

 chista grazia facitimi,

spusu miu, binidicitimi

In sul punto di partire

la gran Vergine Maria

 allo sposo mise a dire

in ginocchio, tutta pia:

«Sposo mio, una grazia fatemi:

 la benedizione datemi».

 

San Giuseppi a chistu eccessu

d'umiltati senza pari

 ripugnandu ntra se stessu

 nun sapia chiddu chi fari,

 ma furzatu a voti spissi,

 cu umiltà la benidissi

San Giuseppe a questo eccesso

d'umiltà senza l'uguale,

ripugnando tra se stesso,

non sapeva cosa fare.

Poi, cedendo all'insistente,

benedissela umilmente

Doppu st'attu d'umiliati,

San Giuseppi parrà e dici:

 Spusa mia, cuntenta stati:.

Su cu vui sugnu filici:

 però sulu patiremo

 'ntra la strada chi farremu.

 

Dopo tanta umilitate

San Giuseppe questo dice:

«Sposa mia, contenta state

io con voi sono felice.

Noi soltanto patiremo

per la strada che faremo.

 

 

Arrivati in Bettelemi

 passirà lu nostru affannu,.

pirchì zertu cu vui insemi,

 tutti a nui ricivirannu;

aju ddà tanti parenti,

boni amici e canuscenti.

 

Arrivati a Betlem,

finirà il nostro affanno,

perché certo con voi insiem

tutti ci riceveranno.

Là io ho tanti parenti,

buoni amici, conoscenti.

 

Li mei amici e li parenti,

in videndumi affacciari,

 tutti allegri e risulenti

 nni virrannu ad incuntrari:

 Beni assai nni trattirannu

cera bona nni farrannu

I miei amici e i miei parenti,

rivedendoci arrivare,

tutti allegri e sorridenti

ci verranno ad incontrare;

bene assai ci tratteranno,

buona cera ci faranno.

 

 

 

 

Nni farrannu rìpusari,

si nui stanchi arriviremu,

nni darrannu da manciari,

si pri via nui patiremu.

Cussi speru a sensu miu,

si lu voli lu miu Diu.

 

 

 

 

Ci faranno riposare,

se noi stanchi arriveremo;

ci daranno da mangiare,

se per via noi soffriremo.

Così spero a senso mio,

se così vorrà il mio Dio».

 

 

Ma la savia Maria

cu un suspiru dulurusu,

ca cchiù affanni previdia

 cussì parra a lu so spusu:

 Ah, miu spusu, si farà

la divina volontà.

 

 

Con saggezza allor Maria

con sospiro doloroso

per l'affanno che sentia

così parla al caro sposo:

«Si, mio sposo, si farà

la divina volontà!

 

Quantu Diu voli e disponi

sia la nostra cuntintizza

non timemu afflizioni.

  curamu nò alligrizza:

sia la nostra cunfidenza

la divina pruvidenza.

 

Quanto Dio vuole e dispone

sia la nostra contentezza:

non temiamo l'afflizione

cerchiamo l'allegrezza.

Sia per noi gran confidenza

la divina provvidenza!

 

 

Si sarremu rifutati,

e da tutti sconosciuti  

 o sarremu rispittati

e da tutti ben vuluti,

 dirrò sempri, o spusu miu

 vi ringraziu, miu Diu.

 

 

 

Se saremo rifiutati

e da tutti sconosciuti

o saremo rispettati

e da tutti ben voluti,

dirò sempre, sposo mio,

vi ringrazio, mio buon Dio!».

 

 

 

QUARTU JORNU

 

QUARTO GIORNO

 

Chistu avvisu già in sintiri

 di Maria lu spusu amatu,

 sti palori misi a diri

 tutto quantu nfirvuratu:

 l'ura è tarda, chi facemu?

Spusa cara, via partemu.

 

Al sentir questo parere

di Maria lo sposo amato

questo fervido pensiere

disse tutto infervorato:

«L'ora è tarda. Che facciamo?

Sposa cara, su, partiamo

 

Maria Virgini ubbidendo

 a cavaddu si mittiu:

 lu so cori a Diu offerendu

 dannu gustu a lu sò Diu,

San Giuseppi caminava

 e la retina tirava.

 

Maria Vergine ubbidisce

ed in groppa al ciuco sale;

 il suo cuore a Dio offerisce

con gioia grande, eccezionale.

San Giuseppe a piedi andava

e le redini tirava.

 

Deci milia serafini

onuraru d'equipaggiu

a sti santi pilligrini

 ntra sto poviru viaggiu.

 Ralligrannu pri la via

a Giuseppi ed a Maria.

 

Dieci mila serafini

onoraron d'equipaggio

questi santi pellegrini

 nel lor povero viaggio,

rallegrando per la via

sia Giuseppe che Maria.

 

 

Foru sempri sconosciuti,

di li genti disprizzati,

da Diu sulu benvoluti,

 e di l'ancili onurati;

nun si curanu di peni,

 mentri Diu li voli beni.

 

Furon sempre sconosciuti,

dalla gente disprezzati,

da Dio solo benvoluti

e dagli angeli onorati.

Non si curano di pene

perché Dio li vuole bene.

 

Mudistedda e rispittusa

viaggiava la signura,

 quantu è bedda e amurusa

 virginedda e mairi pura,

 ogni cori innamurava

di cui a casu la guardava.

 

Ben modesta e rispettosa

viaggiava la Signora,

bella, bella e amorosa,

verginella e madre ancora.

Ogni cuore innamorava

che per caso la guardava.

 

Ben cumpusta nell'esternu  

 risplinnìa lu so canduri,

 riflittia nello so internu

 di Gesù lu grandi amuri,

 e ntra tuttu lu caminu

 va pinzannu a Diu bambinu.

 

Ben composta nell'esterno,

risplendeva il suo candore,

rifletteva nell'interno

di Gesù il ben grande amore.

 E per tutto quel cammino

va pensando a Dio bambino.

 

Quantu lagrimi d'affettu

di l'ucchiuzzi ed scapparu,

 quantu sciammi ntra lu pettu

 metidandu s'addumaru!

Jia chiancendu cha scupria

 chi so Figghiu Diu patia.

 

Quante lacrime d'affetto

dagli occhiuzzi le scapparon!

Quante fiamme dentro il petto

tra i pensieri s'appiccaron!

E piangeva che scopriva

che il figliuol di Dio pativa.

 

Pri la strata s'incuntrava

cu diversi piccaturi

e cu un sguardu chi cci dava

 cunvirtia ddi cori duri.

 Pri pietà, Maria, viditimi,

sugnu malu, cunvirtitimi.

 

Per la strada s'incontrava

con diversi peccatori.

Se uno sguardo ad essi dava,

convertia quei duri cuori.

Per pietà, Maria, guardatemi:

son cattivo, buono fatemi.

 

A l'afflitti chi vidia

cu pietà li cunsulava,

 pri l'infirmi chi scupria  

 tutt'affettu a Diu prigava.

Iu su poviru, o Maria,

 pietà di l'arma mia.

 

Quanti afflitti poi vedeva,

con pietà li consolava;

per gl'infermi che scorgeva

con affetto Dio pregava.

Io son povero, o Maria:

dài pietà all'anima mia!

 

 

 

 

 

QUINTU JORNU

 

QUINTO GIORNO

 

Siguitava lu viaggiu

San Giuseppi cu Maria,

 suppurtandu ogni disagiu,

 ogni affannu e traversia.

E tu ingratu e scunuscenti

 si patisci ti lamenti.

 

Continuava quel viaggio

San Giuseppe con Maria,

sopportando ogni disagio

ogni affanno e traversia.

Stai tra ingrati e sconoscenti

se, soffrendo, ti lamenti.

 

Cincu jorna di camminu  

fari insiemi bisugnaru

caminannu di cuntinu

senz'aviri nuddu mparu.

Stanculiddi ed affannati,

 puvireddi disprizzati.

 

Cinque giorni di cammino

i due insieme ebbero a fare

senza soste né vicino

che volesse aiuto dare,

stanchi, trepidi e affannati,

poverelli e disprezzati.

 

 

Pensa tu lu vicchiareddu

quantu lassù e stancu sia,

 caminannu puvireddu

 sempri a pedi pri la via.

A la spusa riguardava

 e affannata suspirava.

 

Pensa tu quel vecchierello

quanto stanco e stracco sia,

percorrendo, poverello,

sempre a pie' la lunga via.

La sua sposa riguardava

affannato sospirava.

 

 

Chi viaggiu dulurusu

 chi fu chistu pri Maria,

 ntra l'invernu rigurusu.

 'Ntra lu friddu a la campìal  

 ha Signura di lu celu

 ntra lu jazzu e ntra lu jelu.

 

Che viaggio doloroso

che fu questo per Maria

nell'inverno tormentoso

per il freddo e in istrania!

La Signora d'ogni cielo

'n mezzo al ghiaccio, 'n mezzo al gelo.

 

Benchi lancili l'assistianu

 rispittusi li guardavanu,

 li timpesti chi facianu  

troppu assai la turmintavanu,

 Viaggiava mudistedda,

agghiazzata 'ngriddutedda.

 

 

Benché gli angeli assistevano

 e dall'alto li guardavano,

le tempeste che battevano

troppo, assai, li tormentavano.

Lei viaggiava intimidita,

agghiacciata, intirizzita.

 

 

Cussi stanchi, ed affannati

 ntra lu friddu caminavanu,

 nun truvandu mai pusati,

pirchì tutti li sprizzavanu;

puvireddi li vidianu

pocu cuntu nifacianu.

 

 

Tanto stanchi ed affannati,

'n mezzo al freddo sempre andava

giammai s'eran riposati

perché quei li disprezzavano.

Poverelli li vedevano

e in niun conto li tenevano.

 

 

 

Su custritti a ripusari

 di li staddi ntra l'agnuni;

E 'ntra fundachi alluggiari

 sti cilesti e gran Pirsuni.

 Oh ch'eccessu d'umiltà.

Cui nun chiana pri pietà?

 

Son costretti a riposare

delle stalle nel fetore

 ed in fondachi alloggiare

queste eccelse due persone.

 Oh che eccesso di umiltà!

Chi non piange per pietà?

 

Senza chiantu cui pò stari

riflittendu chi Maria

è custritta ad abitari

d'animali in cumpagnia?

Quantu affruntu Maria

 senti misa mmenzu a tanti genti?

 

Senza pianger chi può stare

ripensando che Maria

è costretta ad abitare

delle bestie in compagnia?

quale affronto Maria sente

stando in mezzo a tanta gente?

 

Però quantu vosi Diu

 cu pacenzia suppurtaru:

 ogni pena e affannu riu

cu alligrizza toleraru.

Suppurtandu stu disaggiu

fina in tuttu tu viaggiu.

 

Però quanto volle Dio

con pazienza sopportaron

e ogni pena e affanno rio

in letizia tolleraron.

Sopportando tal disagio,

venne a fine il lor viaggio

 

SESTUJORNU

 

SESTO GIORNO

Stanculiddi su arrivati

 doppu tanta lunga via,

già traseru a la citati.

 menzi morti a la strania.

Ma si tu ed porti affettu

mettitilli ntra lu pettu!

 

Stanchi morti ma arrivati,

dopo tanta lunga via,

in città già sono entrati,

atterriti in la strania.

Ma se tu gli porti affetto,

orsù, méttili nel petto!

 

 

Vannu spersi pri li strati

nudda casa hannu truvatu

 lu risettu in caritati

di li genti ccè nigatu.

E di tutti su affruntati,

 comu vili su cacciati.

 

Van sperduti per le strade

una casa hanno trovato;

anche un poco di bontade

dalla gente è lor negato.

Sono offesi e maltrattati,

come vili son cacciati.

 

 

 

Doppu tantu caminarì,

 nun avendu stanza avutu

jeru a scrivirsi, e pagari,

 a lu Re lu so tributu,

siguitandu poi a circari

 qualchi alloggiu di truvari.

 

Dopo tanto camminare

non avendo ospizio avuto,

vanno a iscriversi e a pagare

il tributo al re dovuto.

Poi continuano a cercare

qualche alloggio a riposare.

 

Ma lu stentu è spisu indarnu,

 nun li vonnu dd'almi audaci

e Giuseppi nell'internu

 nun putia darisi paci.

 E chiancennu ripitia:

 Ch'aju a fari, amata mia?

 

Ma la cerca è senza effetto:

 nessun uomo si compiace

e Giuseppe dentro il petto

non riesce a darsi pace.

Poi tra i pianti a dir venia:

 «Che ho da fare, amata mia?»

 

Ntra lu chianciri pinzau

chi dda cc'era na pusata

 pr’ unni poi s incaminau

cu Maria so spusa amata;

junci e vidi trattaria

 ne ccè locu all'osterìa.

 

Tra le lacrime pensò

che un albergo c'era là

donde poi si incamminò

con Maria, la gran bontà.

Corre e vede - oh sorte ria! –

che al completo è l'osteria.

 

Na stadduzza era vacanti,

 ma Giuseppi nn'è cuntenti;

 dda s'accomoda ntra un stanti

 cu Maria stanca e languenti;

a lu scuru stanchi e amari

 si jittaru a ripusari.

 

Sol la stalla era vacante

e Giuseppe, pur dolente,

  si adatta in un istante

con Maria stanca e languente.

Membra rotte e bocche amare,

si gettaro a riposare.

 

 

Però altura su cacciati,

 pirchì vinniru autri genti;

si parteru addulurati,

 affruntati veramente.

 San Giuseppi assai chiancennu

cussi afflittu jia dicennu:

 

Ma ben presto son cacciati

da altra gente lì venuta.

Se ne andaro addolorati

per l'offesa ricevuta.

San Giuseppe, lacrimando,

tutto afflitto va gridando:

 

Dunca finu m'è nigatu   

chistu miseru risettu?

O Giuseppi sfurtunatu

sta disgrazia mai s'ha lettu.

 Spusa mia cara signura,

e sta notti unni vi scura?

 

«Dunque pure mi è negato

questo misero riparo?

A Giuseppe sfortunato

che disgrazia procuraro!

Sposa mia, cara Signora,

dove a notte si dimora?

 

 

Su quattr'uri di la notti,

già nui semu rifiutati,

 aju fattu quantu potti

 spusa mia pacenza ajati.

Nun nni voli nuddu ancora,

 jamuninni dunca fora.

 

A quattr'ore della notte,

siamo ancora per le strade;

le cose che potei ho fatte,

sposa mia, pazienza abbiate.

Non c'è alcuno che ci vuole,

dunque andiamo in cerca altrove!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SETTIMI] JORNU

 

SETTIMO GIORNO

 

Fora dunca la citati

 riflittendu chi sapia

 una grutta a ddi cuntrati,

 cussi dicilu a Maria!

 Ccà vicinu cc'è na grutta,

Binchi vili, e aperta tutta.

 

Quando fu fuori città,

ricordò d'avere viste

delle grotte un po' più in là.

A Maria lo dice triste:

«C'è una grotta in vicinanza

che di asilo da speranza.

 

Si vuliti pirnuttari

ntra sta grutta, iu vi cci portu,

 nun vi pozzu, o spusa, dari

 autru ajutu, autru cunfortu.

Maria allura ubbidienti

 mustra d'essiri cuntenti.

 

Se volete pernottare

in tal grotta, vi ci porto.

Non vi posso, sposa, dare

altro aiuto, altro conforto».

Maria niente si lamenta,

anzi mostrasi contenta.

 

Cussì inziemi s'inviaru

 pri dda parti a pocu a pocu.  

 Già la grutta ritruvaru,

 ma assai poviru è lu locu,

 e cu tuttu allegri stannu

sempri a Diu ringraziannu.

 

Lenti allor s'incamminaron,

riguardando in ogni luogo,

e la grotta ritrovaron.

Molto misero è quel luogo,

tuttavia lieti ci stanno,

 il Signore ringraziando.

 

Tutti dd'angili beati

chi pri via l'accumpagnaru,

Cu splinduri inusitati

chidda grutta circundaru.

San Giuseppi li vidia,

 e videnduli gudia.

 

Tutti gli angeli beati

che per via li accompagnaron

con splendori inusitati

quella grotta circondaron.

San Giuseppe li vedeva

e guardando sorrideva.

 

Oh pinzati eh'alligrizza,

 di ddi santi amati spusi,

chi gudennu sta biddizza

 sunnu allegri e gluriusi.

Doppu aviri tanti stenti,

 a sta vista su cuntenti.

 

Oh pensate che allegrezza

di quei santi amati sposi,

che godendo tal bellezza

stanno lieti e gloriosi!

Dopo tanti lunghi stenti

di tal vista son contenti.

 

A stu lumi gluriusu

rislindiu la gran Signura

comu un suli maistusu

chi v'inciamma ed innamura.

E Giuseppi cunsulatu

resta allegru ed inciamrnatu.

 

Di tal lume glorioso

risplendea la gran Signora,

come il sole maestoso

che v'infiamma e v'innamora,

 e Giuseppe consolato

resta lieto ed infiammato.

 

 

Cussi ardendu in duci focu

 San Giuseppi cu Maria,

 canusceru eh'a ddu locu  

 Gesù nasciri duvia.

E ntra lagrimi di affettu

criscia focu a lu so pettu.

 

 

Così, ardendo in dolce fuoco,

San Giuseppe con Maria

apprendevano in qual loco

Gesù nascere dovria.

E tra lacrime d'affetto

crescea il fuoco nel lor petto.

 

 

Ma videndu poi Maria,

ch'assai lorda era la grutta,

 comu matri amanti e pia

nun la pò vidiri brutta,

 e na scupa ddà truvannu

umiltà la jiu scupannu.

 

Ma vedendo poi Maria

che la grotta era assai male,

come madre amante e pia

non potea vederla tale.

E una scopa là trovata,

la puliva affaticata.

 

St'umiltati in riguardari

di Maria lu spusu amatu,

cuminciau puru a scupari,

 ma di Vantili è ajutatu.

E ntrà un nenti chidda grutta

 resta bedda e netta tutta.

 

Quando vede l'umiltà

di Maria lo sposo amato,

anche lui mise a scopar

fin dagli angeli aiutato.

E in un niente quella grutta

resta bella e netta tutta.

 

 

OTTAVUJORNU

 

 

OTTAVO GIORNO

 

 

Poi chi già purificati

San Giuseppi chistu locu

cu l'incegni chi purtau,

 jetta luci e adduma focu;

e poi dici ricriativi

 spusa cara, via scardativi.

 

Quando poi ebbe pulito

San Giuseppe tutto il loco,

con lo zel di cui è fornito

luce spande e accende fuoco.

E poi dice: «Ristoratevi,

sposa mia, e riscaldatevi!»

 

 

S'assittaru tutti dui

niterrà e ncostu di lu focu

 e un putendu stari chiui

si cibaru qualchi pocu:

 ma cu gran divuzioni

fu la sua culazioni,

 

Poi si misero a sedere

sulla terra accanto al fuoco

e, la fame a contenere,

si cibar di qualche poco.

Con sì grande devozione

fan la loro colazione.

 

Pr'ubbidiri a lo so spusu

Maria santa si cibau.

 Ch'autru cibbu cchiù gustusu

 a se stissa priparau.

E pinzandu sempri stà

 a lu partu chi farrà.

 

Ubbidir volea al suo sposo

e perciò Maria mangiò,

 ma altro cibo più gustoso

a sé stessa preparò.

A pensare sempre

sta ad il parto che farà.

 

 

Già finuti di manciari

a Diu grazii rinneru,  

e in dulcissimu parrari

tutti dui si trattineru.

Discurrennu un pocu pr'omu

di l'amuri d'un Diu Omu.

 

 

Alla fine del mangiare

ringraziarono il Signore

e in dolcissimo parlare

si trattennero per ore,

discorrendo tra di loro

dell'amor di Dio per l'uomo.

 

 

Oh pinzati chi palori  

tinirissimi dicianu,

s'inciammavanu lu cori,

 quantu chiù nni discurrianu.

Ammirannu cu firvuri

 di Gesù lu summu amuri.

 

Oh sapeste che parole

tenerissime dicevano!

S'infiammavano nel cuore

quanto più ne discorrevano,

 ammirando con fervore

di Gesù l'immenso amore.

 

 

Canuscendu poi Maria

junta già l'ura filici

chi Diu nasciri duvia,

 a lu spusu cussi dici:

 Troppu è notti, ritirativi;

 va durmiti e ripusativi

 

Ma poiché Maria vedea

ch'era già l'ora felice

in cui partorir dovea,

allo sposo così dice:

«Notte è alta, ritiratevi

a dormire e riposatevi».

 

 

San Giuseppi a la Signora

 chi durmissi ci prigau.

C'addubbau la manciatura

cu li robbi chi purtau.

 Si ritira poi a n'agnuni

di ddu poviru gruttuni.

 

San Giuseppe la Signora

di dormire supplicò.

Le acconciò la mangiatoia

con le robe che portò;

si ritira poi in un canto

della grotta con rimpianto.

 

Ma Giuseppi nun durmiu,

 ma cun gran divuzioni

nginucchiuni, umili e più,

 misi a fari orazioni.

E in estasi elevatu

 a Gesù poi vitti natu.

 

 

Ma Giuseppe non dormì;

anzi, tutto devozione,

 in ginocchio stette li

a dir sempre orazione,

finché estatico, ammirato,

vide che Gesù era nato.

 

Mancu dormi, nò Maria,

 ma di Diu chiamata allura  

 nfervurata, pronta e pia,

s'inginocchia, l'ama e adura;

 o gran spusi fortunati,

 pri mia misiru prigati.

 

Non dormì neppur Maria,

che, da Dio chiamata allora,

 infervorata, pronta e pia

s'inginocchia, l'ama e adora.

Veri sposi fortunati,

per me misero pregate

 

NONUJORNU

 

NONO GIORNO

 

 

Misa già in orazioni

 la gran Virgini Maria,

 cu na gran divuzioni

 a Gesù pinsandu jia.

E pinzava, ch'a lu friddu

 nascirà Diu picciriddu.

 

Tra preghiere ed orazioni

la gran Vergine Maria

in sua grande devozione

a Gesù pensava pia.

E tra sé dicea:

«In che ostello

nascerà Dio bambinello!

 

 

Comu mai, dici chiancendu,

lu gran Diu di Maestà

di li Ré, lu Re tremendu

ntra lufriddu nascirà?

Lu signuri di lu celu,

 comu nasci ntra lu jelu?

Come mai, dicea piangendo,

Dio, grandissima Maestà,

Re dei Re, grande, tremendo,

 in tal freddo nascerà?

 Il Signor sommo del cielo

come nascer può tra il gelo?

 

 

Oh! miu Diu di gran ricchizza,

 comu nasci puvireddu,

Sarà veru o mia biddizza

chi ti viju ngridduteddu

 Chi di friddu tremi e mori.

 Nun m'abbasta nò lu cori.

 

O mio Dio, grande ricchezza,

come nasci poverello?

Sarà vero, mia bellezza,

che ti vedo 'nfreddatello?

che di gelo tremi e muori?

 Non mi basta, no, il mio cuore!

 

 

 

 

Si di nasciri cunveni,

 pirchì un nasci ntra palazzi?

Pirchi tu nun ti nni veni

 cu gran pompi, e cu gran sfrazzi?

Lu to summu e granni amuri

 ti fa nasciri in duluri.

 

E se nascere tu devi,

non puoi nascer tra palazzi?

Perché nascer non volevi

in gran pompa, tra gli sfarzi?

Il tuo sommo e grande amore

 ti fa nascere in dolore!

 

 

Via chi tardi, o Fighiu miu.

 Prestu, prestu nesci fori.   

Quandu nasci e quandu o Diu

 renni saziu stu cori?

Ntra stu ventri o Diu chi fai?

Quannu quannu nascirai?

 

Non tardare, figlio mio,

presto, presto, vieni fuori!

Quando arrivi? Quando, o Dio,

rendi sazio questo cuore?

Nel mio ventre, Dio, che fai?

Quando, quando, nascerai?

 

 

Quannu ah quannu nascirai?  

 Quannu st'ura vinirà?

Quannu tu cunsolirai

l'infilici umanità?

Quannu, o beni miu dilettu,

 t'aju a strinciri a stu pettu?

 

Quando, oh!, quando nascerai?

Quando questa ora verrà?

 Quando tu consolerai l'infelice umanità?

Quando, o bene mio diletto,

ti potrò stringere al petto?»

 

 

Ntra st'affetti e ntra st'amuri

la gran Virgini Biata

tutta focu e tutt'arduri

fu in estasi elevata.

E gudennu lu so Diu

 a Gesuzzu parturiu.

 

Con tal cuore e in tale amore

la gran Vergine Beata

tutta fuoco e tutto ardore

venne in estasi innalzata.

E con gioia del suo Dio

Gesù picciol partorìo.

 

 

Natu già tu gran Missia,

 misi a chianciri e ngusciari

e la Virgini Maria

 misi ancora a lagrimari.

 Lu pigghiau cu summu affettu

 e lu strinci a lu so pettu.

 

Nato appena il gran Messia

prese a pianger e a gridare;

pur la Vergine Maria

prende allora a lacrimare;

lo solleva con affetto

per tenerlo stretto al petto.

 

 

San Giuseppi si risbighia

 già di l'estasi profundi,

E cu duci maravigghia  

 si stupisci e si cunfundi:

 curri prestu spavintatu

 e a Gesuzzu vidi natu.

 

 

San Giuseppe si risveglia

già dalle estasi profonde

 e con dolce meraviglia

si stupisce e si confonde.

Corre presto, spaventato,

e Gesuzzu vede nato.

 

 

Oh pinzati chi cuntentu

 chi grannissima alligrizza,

 si scurdau di lu so stentu

pri la summa cuntintina,

 e cu tantu so piaceri

 accussì si misi a diri:

 

Oh! Pensate che contento!

che grandissima allegrezza!

Tutto scorda il suo gran stento

per l'immensa contentezza!

E con tanto suo piacere

queste frasi fa godere:

«Che fortuna fu la mia!

 

 

Chi furtuna fu la mia!  

Oh c'onrii ch'appi iu

 d'adurati cu Maria

 a stu locu lu miu Diu!

Matri santa e mia signora

 iu vi fazzu la bon'ura.

 

 

Oh che onore ho avuto io

di adorare con Maria

in quest'angolo il mio Dio!

Madre santa, mia Signora,

io vi auguro buon'ora!

 

 

0 chi fighiu aviti fattu,

o, chi bedda Criatura!

Quanto è beddu, vagu, e intattu,

la sua facci m'innamura.

Chi su amabili sti gighia

 a la matri cci assumigghia.

 

Oh che figlio avete fatto!

Oh che bella creatura!

quant'è bello, tondo, intatto!

Oh che amor la sua figura!

Quanto amabili le ciglia!

Alla madre rassomiglia.

 

0 ch'ucchiuzzi sapuriti!

Chi linguzza ncatnatedda!

 Veramenti beddu siti,

la pirsuna tutta è bedda.  

 Tu si beddu, fighiu miu,

 ma cchiù beddu cha si Diu.

 

Oh che occhietti luccicanti!

e che lingua rosatella!

Di bellezza tu m'incanti.

 La persona è tutta bella.

Tu sei bello, figlio mio,

 ancor più perché sei Dio.»