La popolazione Rom e la "Soluzione finale"
Articolo di Alessio Marchetti - 27 Jan 2005
da: www.reporterassociati.org


Quella dei rom, comunemente chiamati zingari, è stata l’unica altra popolazione, insieme agli ebrei, ad essere obbiettivo di uno sterminio su basi razziali programmato nella logica della “Soluzione Finale” del Nazismo. La storia dell’olocausto rom, “Porrajmos” secondo la lingua zingara, è forse una delle pagine della seconda guerra mondiale meno conosciute ed analizzate.

Su una popolazione che, secondo il censo molto approssimativo del 1939 del partito nazista, contava circa 2 milioni di individui, sparsi in 11 paesi d’Europa, ne furono sterminati almeno 500 mila.

La particolarità della cultura rom rende le cifre molto imprecise: si tratta di una popolazione nomade, largamente analfabeta, conservatrice di una tradizione orale trasmessa da padre a figlio. Da qui la mancanza di fonti scritte dirette, di testimonianze difficilmente reperibili. C’è anche da aggiungere che il Porrajmos fu organizzato in maniera molto meno organizzata e meticolosa rispetto all’olocausto ebraico, per cui anche da parte nazista non abbiamo quel gran numero di fonti, documenti e informazioni che invece ci hanno permesso di ricostruire la tragedia ebrea.

Il fatto che i rom siano degli stranieri, comunque e ovunque, che fossero alieni ed estranei in qualsiasi luogo si muovano, ha permesso la forte crescita del pregiudizio nei loro confronti, che è duro a morire anche nei nostri giorni.

Arrivati dalla lontana India in Europa nel lontano XIV secolo (secondo altre fonti anche prima), non cristiani, scuri di carnagione, senza terra ne nazione, fortemente indipendenti e orgogliosi della propria cultura, senza mai una vera volontà di integrazione, nella loro forte idea di mantenere una distanza tra rom e “gadjé” (non rom), si scontrarono subito con il pregiudizio di una cultura europea troppo diversa dalla loro.

Gli zingari tedeschi chiamano se stessi Sinti. In Germania, come un po’ in tutta l’Europa centro-orientale, le persecuzioni iniziano ben prima del periodo nazista: già nel 1721 l’imperatore Carlo IV ordinò lo sterminio dei rom, con una legge che depenalizzava l’assassinio di uno zingaro. Nel XIX secolo “studiosi” tedeschi definivano zingari ed ebrei come razza inferiore e “escremento dell’umanità”. Una ricerca sulla popolazione nomade in Germania del 1905 condotta dallo studioso tedesco Alfred Dillmann stabiliva che i rom erano una “piaga” e una “minaccia” e che la Germania doveva difendersi da essa, evitando una possibile e pericolosa commistione tra le due razze.

Durante gli anni ’20, in piena e democratica Repubblica di Weimar, ai rom era già proibito di entrare nei parchi e di usare i bagni pubblici. Una pubblicazione di quegli anni di Karl Binding e Alfred Hoche riprendeva una definizione coniata 60 anni prima da Richard Liebich che definiva i romnon meritevoli di vivere” e classificati sotto la categoria dei “malati mentali incurabili”. La stesa frase comparve in una legge ad hoc emanata dal partito nazista qualche anno più tardi. Dunque tutto inizia prima delle leggi di Norimberga per la difesa della razza del 1935, che va a colpire, specificatamente, ebrei, neri e rom.

Tutti noi sappiamo della notte dei cristalli che segnò simbolicamente la persecuzione degli ebrei. Ma nello steso anno, 1938, esattamente nella settimana tra il 12 e il 18 giugno un altro evento segnò l’inizio della fine: la cosiddetta settimana della pulizia zingara.

Nel gennaio 1940 ha luogo il primo genocidio di massa con l’uccisione di 250 bambini, che vennero utilizzati come cavie nel campo di concentramento di Buchenwald per testare il tristemente famoso Zyklon – B, il materiale usato nelle camere a gas. Himmler fu convinto dell’idea di risparmiare la vita ad alcuni di loro per poterli utilizzare come strumento per studiare la genetica di questi “nemici dello Stato”, ma alla fine il regime respinde l’idea.

L’8 dicembre 1938, il primo riferimento alla “Soluzione finale alla questione zingara” apparve in un documento firmato dallo stesso Himmler. E’ ancora Himmler , il 16 dicembre 1940, a ordinare la deportazione di tutti gli zingari d’Europa ad Auschwitz-Birkenau. Qui tra l’1 e il 2 agosto 1944, nella notte degli zingari, furono gasati 2897 tra uomini, donne, vecchi e bambini in una sola azione. I forni crematori impiegarono giorni a smaltire la moltitudine di cadaveri.

Molto spesso, specialmente nelle terre orientali ed in Polonia, i rom non venivano portati nei lager ma uccisi sul luogo. Dopo aver fatto scavare le fosse con le loro mani li allineavano sul bordo per l’esecuzione. Operazione questa non semplice, secondo un rapporto delle SS. Uccidere un ebreo era, infatti, molto più facile, in quanto rimaneva dritto e stabile, mentre “gli zingari piangono, si lamentano, si muovono costantemente, anche quando sono già in linea per l’esecuzione. Alcuni di essi saltano addirittura nella fossa prima che venga sparato il colpo, facendo finta di essere morti”.

Era lo stesso Adolf Eichmann ad organizzare la logistica delle spedizioni ai campi, come descritto in un suo telegramma diretto alla direzione della Gestapo, in cui parla di vite umane come di merce da trasporto: “Riguardo al trasporto degli zingari bisogna sapere che venerdì 20 ottobre 1939, il primo carico di ebrei lascerà Vienna. A questo carico devono essere attaccati 3-4 vagoni di zingari. Treni successivi partiranno da Vienna, Mahrisch-Ostrau e Katovice. Il metodo più semplice è attaccare alcuni vagoni di zingari a ogni carico. Perché questi carichi devono seguire un programma, per cui ci si aspetta una rapida esecuzione del problema”.

Sui rom vennero eseguiti esperimenti di ogni sorta: a Sachsenhausen si cercò di provare che il loro sangue era diverso da quello tedesco; le donne vennero inizialmente sterilizzate in quanto “non meritevoli di riproduzione umana” per poi essere uccise. La legge sulla cittadinanza tedesca emanata nel 1943 non menziona neanche la popolazione rom. D’altronde perché nominare un’etnia che da lì a breve sarebbe dovuta scomparire dalla faccia della terra?

Nel resto d’Europa il destino dei rom variò a seconda del paese.

Il regime collaborazionista francese di Vichy internò 30.000 rom, molto dei quali finirono nei campi di Dachau, Ravensbruck e altri. Gli ustascia croati ne uccisero circa 26.000, molte migliaia furono uccisi dai serbi, altri furono deportati dagli ungheresi, dei 6.000 zingari cecoslovacchi ne sopravvisse solo un decimo.

In Italia, inizialmente, le leggi razziali del 1938 dimenticarono gli zingari, ma ben presto una circolare del Ministero dell’Interno del 11 settembre 1940 rimediò alla dimenticanza decretando l’internamento dei rom italiani e, successivamente, anche di quelli stranieri.

I nomi di questi campi ci sono assolutamente poco familiari: Pedasdefogu in Sardegna, Monopoli Sabina, Tossica, vicino Teramo, Pieve (Viterbo), Isole Tremiti e Collefiorito. E’ vero che pochi degli internati italiani furono deportati nei campi di sterminio. La precedenza veniva, infatti, concessa agli ebrei. Dopo la guerra la discriminazione contro i Sinti in Germania e i rom nel resto d’Europa continuò.

Nella Germania Occidentale, fino agli anni ’60, i tribunali acconsentirono a risarcire e a riconoscere gli zingari come vittime della follia nazista solo per i fatti che avvennero dopo il 1943. Nessuno fu chiamato a testimoniare per conto delle vittime rom al Processo di Norimberga e nessuna riparazione di guerra è mai stata pagata ai rom come popolazione. Perfino gli Stati Uniti, sempre così attenti alle vittime dell’Olocausto, non hanno fatto nulla per assistere i rom durante e dopo gli anni dello sterminio. Solo il 10% delle centinaia di milioni di dollari, per i quali il Governo americano era stato dichiarato responsabile della distribuzione, resi disponibili dall’ONU per i sopravvissuti, è stato dato ai non-ebrei, e nessuna parte di quel fondo è finita ai sopravvissuti rom.

Ancora oggi, nei paesi dell’Europa centro-orientale, il pregiudizio nei confronti della popolazione nomade è ben vivo. Nell’odierna Repubblica Ceca, a Lety, c’era era un campo di sterminio nazista dove morirono 326 rom di cui 241 bambini. Oggi quel luogo è occupato da una fattoria dove si allevano maiali per il commercio.





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