VALLARSA NOTIZIE N° 40 - giugno 2007 pag. 46,47


LA MIA VALLARSA

Sono don Attilio Angheben, nato a Riva di Vallarsa, primo di sette fratelli, il 10 ottobre 1927 da Mario (della famiglia dei "Monci") e Luigia Broz, di Obra, sorella di quell'Angelo Broz, che, reduce dall'Argentina, dove era andato invano a cercar fortuna, cercò di "svegliare" gli abitatati di Obra alle nuove prospettive del turismo. Andò avanti con l'esempio.

Costruì ben due alberghi, uno in società con amici, nella frazione "Balli" di Obra, con il panorama di gran parte della Vallarsa, che ora appartiene ai Salesiani di Verona. Il secondo, vicino a casa sua, ai "Brozi", in fondo al paese, con vista di tutta l'alta valle, da Speccheri fino al Pasubio. Poi venne finalmente "il villaggio turistico".
Molti certamente non mi conoscono, poiché andai via nel settembre 1939, e nel '62 anche tutti i miei si trasferirono in Brianza, provincia di Como.
Mio papà era conosciuto in Vallarsa e fino a Rovereto come "el Mario Moncio", perché faceva il "carador" e lavorava anche per la cooperativa della Riva, per distinguerlo dagli altri Angheben della Vallarsa. Quelli della nostra famiglia erano chiamati con quel nomignolo perché il mio bisnonno era "monco" di una mano, per un incidente sul lavoro, quindi era "il Monco", da qui il soprannome "Monci" per tutti i discendenti.
Io a 12 anni, non ancora compiuti, entrai nel seminario dei Rosminiani a Rovereto, in Via Madonna del Monte. Percorsi l'iter degli studi, accompagnati, in alcuni periodi, alla mansione d'Assistente agli alunni dei nostri Collegi di Domodossola , Stresa o Pusiano.
Feci poi gli studi teologici a Roma, nell'Ateneo Lateranense, terminandoli con la Licenza in Teologia e con l'Ordinazione sacerdotale. Era l'anno 1957.
Forse ai giovani di oggi potrà essere utile il racconto dell' infanzia di noi ragazzi del '27, per confrontare la nostra vita con quella dei coetanei di oggi: vi è un abisso. Non c'erano ASILI NIDO od equivalenti; i nostri asili erano i prati intorno a casa, dove ci divertivamo con giocattoli fatti da noi stessi o dai nostri genitori. Quando a sei anni andavamo a scuola, noi dei piccoli paesi, che erano poi le frazioni del nostro Comune, andavamo alla "SCUOLA DELL'ITALIA REDENTA" (cioè liberata), che aveva regolamenti diversi dal resto d'Italia, e dei paesi più popolosi, come Lizzana, dove esistevano scuole integrative per i tre anni dopo le cinque classi delle elementari. Per noi andava bene avere la scuola vicina, altrimenti come avremmo fatto a raggiungere centri più attrezzati, quando l'unico mezzo di trasporto era "il cavallo di S. Francesco?"
La nostra scuola ELEMENTARE durava otto anni così distribuiti: classe la anni 1; classi 2a, 3a e 4a due anni ciascuna, classe 5a un anno, per un totale appunto di 8 anni della scuola dell'obbligo. Naturalmente erano, scuole pluriclassi, vale a dire una maestra sola per tutte le classi.
Lo svantaggio: s'insegnava poco, solo l'essenziale, ma almeno quello s'imparava bene.
Il vantaggio per noi era che nelle ore dedicate dalla maestra ad altre classi potevamo fare i compiti del giorno, quindi niente compiti a casa. Liberi dalla scuola sì, ma c'erano tanti piccoli lavoretti che potevamo e "dovevamo" fare per aiutare i genitori. Per me in particolare, essendo il maggiore dei fratelli, toccavano quelli di maggior responsabilità, che naturalmente aumentavano con il crescere degli anni. Il lavoro principale per noi ragazzi era quello di portar al pascolo le capre nelle stagioni propizie. Andavamo a gruppi di tre o quattro, cominciando dal Leno, dove la vegetazione era più precoce, e poi su, su, fino alla strada de Giobra (strada di Obra, così chiamavamo la strada militare della guerra 15-18, che partendo poco sotto Obra portava fin sul Bisele ). Era un pascolo abusivo, perché , come si sa, le capre non brucano l'erba, se possono, ma sono più attratte dalle punte dei rami delle pianticelle, ed ancora meglio dalle cime delle pianticelle, con evidente danno per il normale sviluppo dei boschi, allora elemento fondamentale dell'economia montana. Noi lo sapevamo, ed eravamo sempre sul "chi va là", per un eventuale arrivo del "Panocia", l'allora guardia forestale della nostra zona.
Normalmente riuscivamo sempre a farla franca, perché il territorio era grande e noi cambiavamo sempre posto. Ma sinceramente posso dire, che vedendo i boschi d'oggi, così trascurati, erano ancora migliori quelli dei nostri tempi, nonostante le capre.
Per i più grandicelli, c'erano tanti altri lavoretti da fare, dopo la scuola. Mio padre andava due-tre volte la settimana a portare la legna a Rovereto, che in quei tempi d'austerità era molto ricercata. La segava alla misura giusta per la "fornela", e noi la caricavamo sulla "bara" ( così era chiamato il carretto a due ruote usato prevalentemente in montagna). Quello era tutto lavoro nostro: io poi, essendo il più grande, cominciavo anche a spaccare la legna, un lavoro un pochino pericoloso.
Con " le sanzioni," per ogni carro di legna che si portava a Rovereto bisognava andare ad Arlanch dal "Panocia" per farsi rilasciare una bolla di accompagnamento. Questo naturalmente era compito mio.
Ricordo che una volta mio papà mi mandò ai Speccheri, dove c'era il fabbro, per portare a riparare la ruota di una cariola, che si era rotta. Avrò avuto otto-nove anni, non ricordo di preciso. Ma percorrendo la strada del "Postel", dove c'erano diverse caverne ("stol") dei tempi della guerra, io prima di passarci davanti, con il cuore che mi batteva, prendevo la rincorsa, per quella paura innata che hanno i ragazzi per il buio. Sono esperienze che non dimentichi mai.
A quei tempi non c'erano i trattori, e i pochi campi che erano coltivabili andavano arati a forza animale. Mio padre era spesso chiamato dalla gente per arare qualche "vaneza" con la mula. A me toccava, dopo la scuola, aiutare mio papà a condurre la mula per fare i solchi uguali e diritti.
Altro mio compito era quello di preparare la legna per la cucina economica, in pratica "la fornela", che consisteva nel prendere "le fascine" di legna lunga e tagliarla su misura.
I ricordi sarebbero ancora tanti, ma mi limito qui per non annoiare.


Don Attilio Angheben
Stresa 15/03/2007




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