VALLARSA NOTIZIE N° 37 - dicembre 2005 pag. 46,47,48


LA GUERRA IN VALLARSA

Durante lo scorso anno scolastico la mia scuola, Medie Damiano Chiesa di Rovereto, ha proposto il progetto formativo: "Attraversando il novecento", nato dalla volontà di celebrare il 60° anniversario della fine della guerra e della liberazione.

L' iniziativa ha voluto essere una rivisitazione di alcuni degli eventi più significativi della storia del secolo scorso: dall'emigrazione alla grande guerra, dal fascismo alla liberazione fino al boom economico. Il lavoro si è articolato in tre momenti: recital, mostra fotografica e raccolta di testimonianze; queste sono state raccolte in un volume intitolato: "Vedo un cimitero d'uomini". Io e altri miei compagni abbiamo cercato notizie, episodi e abbiamo intervistato nonni e conoscenti; il brano che ho scritto e che voglio presentarvi è contenuto in questo volume.
Un episodio che può far comprendere il clima che c'era durante la seconda guerra mondiale fu quello che vissero le famiglie di Albaredo. La mia bisnonna, Giovanna Matassoni di 90 anni, mi ha raccontato che durante la primavera del 1944 alcuni partigiani avevano cenato per 3-4 volte al "dopolavoro", intrattenendosi anche con alcuni uomini del paese frequentanti il locale.
In paese però c'era un individuo in buoni rapporti con le SS, venuto a sapere di questi fatti, non si fece scrupolo a fare la spia.
Una mattina d'estate all'alba, verso le 5, arrivarono i tedeschi che fecero uscire tutti i capi famiglia e l'intera famiglia che gestiva l'osteria. La maggior parte degli uomini fu portata via e con loro la moglie del gestore del dopolavoro incinta di due mesi. Il marito si trovava nei boschi per il taglio della legna. In seguito fu mandato a chiamare con l'avviso che, se rivoleva la moglie a casa, sarebbe dovuto andare a Trento a scambiarsi con lei. Il giorno dopo vennero a prendere anche l'uomo che aveva fato la spia perché aveva bruciato la legnaia incolpando le SS perché così non si sarebbe pensato che era stato lui a fare la spia, essendo rimasto uno dei pochi uomini con i propri amici.
La paura invase il paese e solo l'intervento del prete, don Poda e della Curia misero fine alla prigionia di quegli uomini già destinati alla deportazione in Germania. Dopo 22 giorni di prigionia il 15 agosto tornarono a casa. Il giorno dopo era S.Rocco patrono di Foppiano, il paese della mia bisnonna, che si ricorda che arrivò la banda di Albaredo e gli uomini liberati a fare festa.
Il mio vicino di casa, Giovanni Matassoni, mi ha raccontato che verso la fine della guerra in paese tutti avevano enormi scorte di sigarette, tabacco e sigari. Molti giovani cominciarono a fumare perché nei cassetti non c'era pane ma sigarette in abbondanza.
Tutto questo era dovuto al fatto che verso la fine della guerra la Manifattura Tabacchi di Rovereto, occupata dai tedeschi, fu lasciata incustodita per il ritiro delle truppe. Venivano perciò organizzate delle vere e proprie spedizioni di giovani e di donne che muniti di sacchi e zaini, si portavano via tutto quello che si poteva. Avere in casa sigarette in buona quantità equivaleva ad avere denaro; molti scambiavano alimenti con sigarette e, anche se poteva essere pericoloso farsi trovare a rubare, dicevano che poteva valerne la pena.
Legato a questo fatto la mia bisnonna mi ha raccontato che più di una volta è andata a Verona in compagnia d'altre donne a scambiare tabacco con farina. Il viaggio lo facevano in parte a piedi e in parte sulle camionette dei soldati italiani che davano un passaggio ai civili. Una volta le è capitato di non aver capito la destinazione quando si è accorta che andavano a Trento è saltata giù dal camion in marcia e si è procurata una seria ferita alla gamba. Il suo viaggio è comunque proseguito sebbene fosse anche incinta di cinque mesi del secondo figlio. Lei dice che non avevano paura, io credo non si rendessero conto dei pericoli a cui andavano incontro.
Il mio nonno paterno, Livio Zendri, nella seconda guerra mondiale aveva 11 anni e abitava a maso Brentegan sopra Porte di Trambileno. Alla firma dell'armistizio dell'8 settembre 1943, mi ha raccontato, che l'esercito italiano non era informato della firma, mentre i tedeschi si. Alla caserma degli Alpini di Rovereto i tedeschi erano entrati con i lanciafiamme facendo prigionieri tutti gli Alpini; li portarono al campo sportivo, che a quel tempo si trovava in via San Giovanni Bosco al posto dell' Istituto Fontana. Lui dalla sua casa con il binocolo vedeva il campo di prigionia dove, come guardie, vi erano dei giovani tedeschi. Ogni tanto qualche Alpino scappava e arrivava al maso e suo padre gli regalava camice e attrezzi da lavoro perché così se incappavavano nel nemico, potevano fingersi borghesi al lavoro. Per questo rimasero spesso senza attrezzi da lavoro.
All'inizio tra il monte Stivo e il monte Biaena uscivano formazioni di bombardieri scortati da caccia che però non sganciavano ma continuavano per il veronese. Ogni volta gli "uomini dell'ascolto" posti sulle montagne, attraverso sofisticati apparecchi davano l'allarme: 3 colpi di sirena c'era un caccia, 6 colpi di sirena un bombardiere. La contraerea sparava solo quando erano sopra Rovereto. Un giorno un bombardiere è uscito dalla formazione ed è andato verso Sant'Ilario, lì ha sganciato provocando 18 morti: questo perché aveva un'avaria e sarebbe caduto dopo poco. Infatti, dopo essere tornato per un po' con gli altri aerei, precipitò. I 18 morti erano dovuti alla credenza per la quale si pensava che i bombardieri colpissero solo le case così la gente si rifugiava in campagna proprio dove sganciò le bombe quel bombardiere pensando di non provocare morti civili.
Dopo quel giorno iniziarono i bombardamenti ai quali si riferiscono le fotografie presentate. L'obiettivo principale dei bombardieri era spesso il ponte ferroviario in ferro sulla strada nazionale anche se vicino ad una fabbrica bellica che produceva punte per bombe ed altro materiale bellico per conto della Germania: la Cofler. Il mio bisnonno portava le provviste per le cucine degli operai. Andava a consegnarle un venerdì sì e uno no; una volta andò nel venerdì in cui non doveva ed in mezzo ad un attacco aereo. Il venerdì dopo non andò avendo effettuato il venerdì precedente la consegna e fu proprio quel giorno che per errore centrarono la fabbrica bellica, provocando una forte esplosione che distrusse anche una parte del cimitero di Santa Maria, causando il crollo della cupola del cimitero.
Dopo questo drammatico episodio che causò molte vittime, si usarono bombe incendiarie che esplodevano in quota creando un'enorme palla infuocata che precipitava a terra creando devastazione e distruzione; le prime furono lanciate sul monte Pipel. Proprio un aereo carico di queste bombe, ma pur sempre un ricognitore usato per scattare foto aeree, fu colpito e cadde sullo Zugna. Mio nonno racconta di aver visto solo un pilota paracadutarsi e di suo padre che diceva sempre che con le tele dei paracadutisti si potevano ricavare molto camicie, per questo tentò di seguirlo, ma il vento lo portò lontano. Il mio vicino afferma invece di aver visto due piloti paracadutarsi e di aver sentito in seguito che i piloti erano stati catturati. Sempre il mio vicino racconta di essere stato tra i primi ad andare a vedere l'accaduto: trovò pezzi di corpi sparsi sul prato e, dopo aver preso le pistole, inorridito tornò a casa. L'aereo bruciò a lungo perché le bombe che trasportava erano composte di fosforo bianco, sostanza che a contatto con l'ossigeno brucia, e in quel periodo c'era anche la neve. Si diceva poi che tra i resti dell'aereo vi era una mano di donna con al dito un anello con lo stemma del castello del Buon Consiglio inciso sopra: una credenza; anche se, in effetti a casa della mia bisnonna girò un anello analogo del quale si diceva provenisse da piloti inglesi.
Caddero aerei pure a Castellano, sopra Savignano e uno a doppia fusoliera al Tof sul monte Zugna. Si usarono molto i ricognitori che scattavano foto precise e nitide anche a 8.000m! Si usarono pure dei radar che puntati in alto indicavano la presenza di ferro in cielo (gli aerei) indicando le coordinate precise; queste venivano comunicate agli inservienti che direzionavano il cannone nella giusta posizione: l'importante era colpire alla stessa quota dell'aereo perché comunque sarebbe stato raggiunto dalle schegge.
I piloti, o meglio l'aviazione, adottarono un metodo efficace per ingannare i radar: gettavano dei fasci metallici, così il radar dava coordinate errate alla contraerea, e fu proprio per quei fasci metallici e luccicanti che mio nonno si ferì al ginocchio. Era quasi Natale e non esistevano addobbi per l'albero di Natale, così mio nonno quando vide cadere nel prato vicino casa pensò bene di andarlo a recuperare per l'albero di Natale, solo che al ritorno suonò la sirena d'allarme, e lui dovendo scavalcare un muro non ce la fece, e mentre si accingeva a scavalcare fu colpito al ginocchio da una scheggia della contraerea. Sempre nel maso dove abitava mio nonno dovettero ospitare i tedeschi perché avevano in mente di costruire nei paraggi una nuova contraerea che in parte costruirono. Mio nonno racconta che i tedeschi pagavano le uova a sua madre mentre gli italiani ospitati le rubavano le uova dicendo d'averle comprate, ma la mia bisnonna era buona e le cuoceva lo stesso. Gli italiani erano prigionieri dei tedeschi ai quali servivano come manodopera per la costruzione della contraerea; questo perché gli italiani pur di non essere deportati decidevano di aiutare i tedeschi.
In conclusione una notizia: le bombe cadute nella sola Rovereto furono 5.800ca. delle quali il 10% di queste non esplose, quindi sottoterra ve ne sono ancora 580ca.

Francesco Zendri





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