VALLARSA NOTIZIE N° 31 - dicembre 2002 pag. 44, 45, 46, 47


DUE PASSI PRIMA DI PRANZO, E ... LA "RUA"


Ecco altri piccoli ricordi di Parrocchia, anni '20, che, alla memoria, si accendono imprevisti come le piccole bocche di un vulcano intermittente. Ricordi fanciulleschi, di cui ognuno è provvisto e potrebbe raccontarne molte dalla propria vita, navicella che veleggia, come tutte, in mare sconosciuto.

Già scrissi che il sig. Remo Stoffella era proprietario e bravo gestore dell'Albergo Alpino il quale fin da quel tempo, si distingueva per decoro e funzionalità in misura proporzionale ai tempi, s'intende.
Un uomo molto attivo il Remo, teso allo sviluppo della Valle, specie nel campo turistico, che è fonte oggi, di dibattuti problemi, ovunque: sci a Campogrosso, sistemazione di strade, luce elettrica nelle case.
L'impianto elettrico da Rovereto, fu realizzato nel 1923/ 1924, se non erro, eliminò con gioia e meraviglia di tutti, candele e lucerne a petrolio, il quale si acquistava alla Cooperativa come genere di primo consumo: bottiglie e imbuto, come per l'olio e l'aceto, non confondere! Non so quale fosse il prezzo del greggio al barile, certo è che i pozzi petroliferi allora scoperti erano di numero irrisorio, il consumo molto ridotto, l'aria cittadina e i mari molto più puliti.
Nei primi anni trenta il sig. Remo riuscì non so come (dalla Valle mancavo) a far acquistare e a mettere all'opera un moderno spazzaneve a eliche, per sgomberare la statale verso la Streva e il Passo. Nel dicembre del 1934, trovandomi a Parrocchia per qualche giorno ebbi occasione di accompagnarlo mentre guidava lo spazzaneve fino al Passo.
Ne feci anche una piccola foto, che però non trovo più. Su altre strade veniva usato uno spartineve trainato da muli, non mancavano poi le squadre di spalatori i quali non si lasciavano sfuggire l'occasione di guadagnare poche lire preziose.
Il padre di Remo e di numerosa famiglia si chiamava Augusto (Gusto). Lo ricordo seduto all'ingresso dell'albergo, nella buona stagione: occhi vivaci sotto fluente chioma argentea, patriarca orgoglioso della sua tarda età e della voce robusta. Stimo che fosse nato un po' avanti la prima guerra d'indipendenza (1848-1849) Si dilettava di dare , ogni tanto, pubblica prova della voce potente e dei polmoni ancora validi, chiamando, ma non come ordine, in tono altissimo e udito per tutto il paesello: "Geeemma!" (la figlia minore) il cui nome ben si prestava all'urlo, troncando però l'ultima sillaba per esaurimento di fiato. Visto che la dimostrazione destava pubblica curiosità e ammirazione, ideò una prova più eclatante: lanciare il grido dall'alto del campanile. Infatti, una festa, quando si sentì bene in forma, si fece accompagnare al campanile e poi su, su, fino alla cella campanaria. Di lassù dalla balaustra, le palme a imbuto ai lati della bocca, muezzin imbattibile e, forse, presago di tempi venturi, lanciò al vento l'urlo per due o tre volte: "Geeemma!".
Tremolante per la fatica e per l'emozione, scese le scale piano e quindi in piazza a prendersi le lodi e mezzo bicchiere.
Le famiglie del signor maestro e del Remo, imparentate, si distinguevano veramente a Parrocchia, senza nulla togliere, peraltro alla stima verso le altre.
Già scrissi che, tempo fa, lessi un romanzo di autore svizzero, il quale accenna ad un conte tedesco "von Stoffeln" del 1700, stabilitosi in Svizzera, discendente del disciolto (1312) nobile Ordine dei Templari del tempio di Gerusalemme. Non so se tale casata sia legata al cognome diffuso in e fuori Vallarsa e che annovera personaggi, i quali si distinsero egregiamente in diversi campi. Il cav. Arthur F.Stoffella, storico e paziente, tenace ricercatore bene li ha ricordati nei suoi scritti.
Un altro Stoffella che si faceva notare ma anziano un po' meno, era il Nave "Lovo" padre del defunto Eugenio Stoffella e suocero della povera Candida, nonno della sig.ra Sira e sorelle. Occupava , con la famiglia l'ultima parte , verso ponente di quel lungo plesso abitativo degli Stoffella, il qual plesso era il più grande fra i cinque del paese, e sito nella posizione migliore. Sarà stato il primo luogo scelto, in ordine di tempo?
Il Nave dunque gestiva la vendita di sale e tabacchi, nonché di pane, bolli e altro. Un tipo un po' burbero del genere vecchia America, fiero ed erculeo. Un po' fioccoso d'inverno, tutto bianco e terra e aria, verso le ore tredici lo vidi fuori porta di casa intento a spaccar legna, sebbene spirasse anche un venticello lieve, ma freddo. A chi gli osservava: "Vardè Nane che ghè vento e neve!" egli rispondeva, sospendendo il lavoro per un attimo, ed ergendosi tutto a sfida: "Cossa?! Lassa che `l fioca! Quela che casca `n tera, la resta, ma quela che ven chì la se desfa!" (Sul petto aperto). Si. Però seppi che, dopo qualche giorno, era ricoverato all'ospedale di Rovereto, d'urgenza, per forti dolori al ventre: forse un blocco, forse peritonite, ma tanto violento da disfarne in brevissimo tempo la forte fibra e spegnerne la vita.
Ripensando al Gusto, mi si presentano alla memoria altri due anziani di quegli anni: Il Pietro Raoss (Pero) nonno del caro Bruno, falegname raffinato a Rovereto e il Domenico Zorer (Minco) un po' meno anziano. Il primo che abitava nel lungo fabbricato trifamiliare a ovest del paese lo vedevo spesso davanti a casa intento a tagliar legna spaccando con calma e precisione i tronchetti di faggio. Chi passava diceva: "Varda che roba, a otanta ani!"
Non so se il Minco Zorer (padre del def. Mario, altro bravo falegname) sia arrivato agli ottanta: Era il meteorologo quasi infallibile del paese. Bagnava in bocca e alzava l'indice, guardava verso Campogrosso e poi: "Eheee domàn ..." Quando si ammalò gravemente e i famigliari gli dicevano: "Te ciamèn el medico 'ncora `na volta!" egli ripeteva affannato e supplice: "Porteme l'aqua dele Guarindole, porteme. Ah!" Per il poveretto non servì purtroppo né il medico, né l'acqua della sorgente famosa. Essa si trova a lato della mulattiera per Speccheri. Era apprezzata non so con quali meriti analiticamente parlando. Oggi , nel "bum" dell'acqua in bottiglia, qualcuno potrebbe avere la tentazione di farne un bel commercio. Sgorga viva dalla terra in un antro rivestito con pietre a secco.
Ho già scritto che il frate quaresimalista, quando, dopo cena veniva talvolta a casa mia a scaldarsi, fra le chiacchiere diceva a mio padre Sagrestano:
"... e se vegnì a Lovredo pasè dal Convento! E, se volè gustar el bacalà dei frati, vegnè de vendro. Sarè ospite gradito!"
E una volta, continuò: "A proposito de ospiti, adeso ve conto 'na bela storiela". Io la rispolvero e la riporto di mia mano. Un giorno giunsero in un convento due fraticelli i quali, trovandosi in viaggio per vari impegni, chiesero al padre guardiano ospitalità per uno o due giorni. Nel convento, allora ricco di vocazioni, c'erano letti e celle appena sufficienti. Il padre guardiano accettò e i due fraticelli si fermarono due giorni, beati e attratti dalla posizione incantevole, festosa di verde e di gorgheggi. Alla sera del secondo giorno dissero estasiati: "ma questo luogo è un paradiso! Potremmo fermarci ancora un po'?" Padre Guardiano rispose alzando lo sguardo e sospirando: "Va bene ancora un poco!"
Ma un frate che conosceva la situazione e il proverbio "Dopo tre giorni l'ospite puzza, come il pesce" disse al guardiano, in disparte: "Padre ci penso io! Ancora un giorno soltanto!"
Così venne la sera e l'ora del riposo. Ma nel mezzo della notte, l'astuto frate, alzatosi, come un'ombra entrò in cucina dove, in una pentola era rimasto un avanzo del bruno, denso minestrone fatto di passato di fagioli, patate, verdure. Riempita una scodella e armato di un mestolino si avviò furtivo verso la cella dove i due ospiti ronfavano di grosso. Sollevò adagio coperte e lenzuolo e, con l'altra versò un mestolino di minestrone in una certa posizione del letto, presso la parte mediana del corpo degli ospiti dormienti. Rimise tutto a posto e, a piedi scalzi tornò a dormire. Uno dei due pellegrini , voltandosi durante il sonno, sentì per istinto che, nel letto, c'era qualcosa di insolito, si risvegliò , avvertì meglio, sospettò, esplorò con sorpresa tremebonda. Destò il fratello il quale rimase più "scioccato" di lui. "Che vergogna! Che facciamo?" Tra poco suonerà la sveglia per il mattutino! Su, su, vestiamoci in fretta, copriamo tutto, senza dimenticar niente e lasciamo il convento!"
Così avvenne e nessuno chiese più loro notizie. Mio padre non dimenticò l'invito a pranzo del quaresimalista. Infatti, venuta la buona stagione, un giovedì mi disse:
"Varda che, domàn matina bonora nen a Lovredo dal zio Titi e dai frati, e po' a Volan dala zia!"
E così il mattino seguente, partimmo presto, a piedi. Dopo circa quattro ore, giungemmo alla città che io vedevo per la prima volta e continuavo ad ammirare anche se stanco: quante strade, che lunghe file di case e di palazzi, quante botteghe e bottegucce! Che viavai di persone e di mezzi per quanto scarsi, per non dire rari, quelli a motore, e come camminava frettolosa la gente! (anche allora). E il Castello su, su in alto?! Ma, verso mezzodì, ci dirigemmo al Convento di S.Caterina , bene accolti dai frati.
Il cuciniere ospitale e faceto, ci preparò un posticino al lungo tavolo e, dopo un poco arrivò con due belle porzioni fumanti di polenta e baccalà fragrante, né mancava un boccaletto di vinello per mio padre: una seduta proprio riposante dopo venti chilometri e un pranzo indimenticabile. Dopo qualche giorno tornammo al paesello, calmo e tranquillo come sempre. Talvolta però veniva destato e turbato da qualche avvenimento insolito, a parte le festività.
Eccone uno. Nella stagione estiva, entrava in attività la "rua" (la ruota, il terno) cioè il pascolo giornaliero delle capre, collettivo e guidato, di solito da Luigi Zorer il più giovane dei cinque fratelli. Verso le sette, con lo strombettare di un cornetto, chiamava dalle stalle le bestiole affamate, le quali, ormai ammaestrate, scendevano belanti dalle zone alte del paese, come pioggia dopo un acquazzone, verso il basso, dove si raccoglievano, in lunga fila, nella mulattiera che, come un imbuto, le convogliava verso Speccheri. Il buon Luigi, da bravo comandante, armato di bastone, dominava da tergo l'inquieto squadrone cornuto e seguito dal caprone, che lasciava dietro uno strano effluvio.
Uno di quei giorni, nella tarda mattinata, udìì salire dalla via di Speccheri alle mie finestre, di ponente, un vociare insolito con richiami concitati. Corso da basso, con altri di casa, vidi il povero Luigi che, davanti a casa sua, gemeva penosamente, tenendo alto un braccio: "Aaaah! Aaaah" e la mano gonfia. Era attorniato da alcune persone mentre altre accorrevano trafelate vociando: "el le ga becà na vipra `n te la man!" Gesummaria! L'è vegnù for da solo da monte de Mezo, poreto".
"Bisogna darghe vin da bever!"
"No, eh! Deghe cafè forte, `n veze, e continuè a menarlo `ntorno , qua e là, che no `l se 'ndormenza!' Infatti ricordo bene che il malcapitato aveva la voce un po' strascicata, lo sguardo e i tratti assonnati. Non so se era possibile pensare a una iniezioni antivipera in quelle condizioni e a qual tempo, e se ciò fu fatto. Però di lì a poco tutto si acquietò, alla sera, il cuore di Luigi aveva vinto il veleno.

Luigi Raoss




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