A QUALCUNA PIACE BASTARDO

un racconto di Fabrizio Raoss
Tratto da: www.frontiere-grenzen.com



“La vita è un sogno, o i sogni aiutano a vivere meglio?”

Eccheccavolo, questa è realtà, non sto sognando. Quel televisore spento della Grundig è reale, se voglio posso accenderlo o spegnerlo, mi guardo Televideo o Passaparola a seconda di come mi girano. Il quadro di Van Gogh sulla parete alle mie spalle è reale, l’ho comprato dieci anni fa in un negozio di antiquariato di Roma… non è originale, lo ammetto, ma questa è tutta un’altra storia… La cesta dei giornali vecchi nell’angolo vicino al televisore è reale… per non parlare della mia collezione di videocassette sotto al videoregistratore, reale anche quella, un centinaio di titoli riprodotti stancamente e con tutte le pubblicità di mezzo o, alcune, comperate in allegato a Panorama. Anche il film porno che da brava ragazza tengo nascosto sopra alla vetrina, tra la polvere e i ragni dalle zampe lunghe, si può toccare con mano…

…ciò che mi sono imposta di fare oggi non è un sogno.

Lo amo, porcaputtana!

Non ci sono altre spiegazioni per questo mio sentirmi sospesa a mezz’aria. Sono attratta da lui, Sofia Rosati è attratta da quel fighettino di Riccardo, il mio cuore e la mia testa sono logorati dalla presenza costante di quell’agglomerato organico di menefreghismo ed egoismo.

Ognuno è vittima della propria storia… sono una single ventiduenne con tutto il suo bagaglio di estrogeni intatto, esco da una storia di cinque anni con Matteo, il ragazzo di sempre, quello che si definisce il primo amore, la prima cotta, la persona che ha fatto sussultare il mio cuore quando ancora non mi era chiara la differenza tra amore e sesso. Non ho da rendere conto di niente a nessuno, cazzo.

Che cosa avrà di così speciale quell’ammasso di testosterone e spermatozoi in subbuglio? Perché mi devo perdere mentalmente per lui, invece di spassarmela ed usarlo per i miei sordidi bisogni fisiologici come fa lui con me? Quale cavolo di sporco confine ho varcato, quale subdolo posto di blocco ho sfondato per ritrovarmi ogni volta a pensare “ok, questa è l’ultima volta che mi faccio usare da lui, se sta cercando una che apra le gambe a comando per dieci minuti e poi se ne torni bella bella da dove era venuta… bè, ha sbagliato indirizzo, Sofia Rosati non è certo una che si lascia mettere i piedi in testa, sono ancora nel fiore della mia giovinezza, sai quanti uomini migliori di questo Homo Herectus posso trovarmi”… non so dove possa aver sbagliato, non so nemmeno come mi sia potuta ritrovare in questa situazione… eppure un motivo ci deve essere, una frontiera invisibile varcata senza passaporto, un punto di non ritorno toccato e superato senza la consapevolezza che non sarei più potuta tornare al punto di partenza… e non può essere solo per il fatto che sotto le lenzuola Riccardo è un autentico stallone.

Non sono una gran bellezza, questo lo ammetto, ma non mi reputo nemmeno un cesso pubblico che possa essere usato da cani e porci. Ho i miei alti e bassi, come tutte credo, e poi sono castana… cavolo, se becco quel genio che ha detto che gli uomini preferiscono le bionde ma sposano le more, glielo faccio io un bel discorsetto… magari Riccardo è daltonico… o forse mi tratta così proprio perché ci vede benissimo.

E’ vero, quando gli uomini vedono un paio di tette e di chiappe sode non capiscono più nulla, l’unico neurone di cui è equipaggiato il loro cervello non riesce a reggere tali emozioni e va in corto circuito. Ed io modestamente in quanto a circonferenza toracica sono messa piuttosto bene, la mia terza abbondante fa ogni volta la sua porca figura.

Riccardo l’ho conosciuto per caso, navigando su internet e sfogliando i vari annunci stile Postalmarket di ragazzi pieni di vita e di testosterone. Uno di quei siti dove sedicenti latin-lover si espongono in vetrina per attirare con fotomontaggi e fotografie non loro, ignare fanciulle alle quali si propongono come la soluzione vivente di tutti i loro problemi esistenzial-sentimental-sessuali.

Una sera mi è capitato di vedere la sua foto, non è che ne fossi rimasta particolarmente colpita. Nelle informazioni personali aveva scritto che di  professione faceva il chitarrista… ecco, forse mi sono innamorata più del suo essere artista, bello e dannato, che non dell’aspetto abbastanza anonimo in sé.

Ci siamo incontrati la prima volta a Rovereto, in pieno centro, proprio davanti alla Upim. Della pizza che siamo andati a mangiare ho un ricordo molto vago, quasi assente. Quando ripenso a quella serata non ricordo nient’altro che il mio palpitare, il mio fremere tutta, nella ricerca del modo giusto per fare breccia nel cuore e nella testa di quel meraviglioso ragazzo.

E’ successo tutto la prima sera. Mi sono chiesta più volte se non avessi fatto la figura della zoccola, della poco di buono, di quella interessata solo a farselo infilare tra le gambe nel più breve tempo possibi-le, evitando qualsiasi forma di coinvolgimento emotivo. Mi sono sentita di farlo, e lo abbiamo fatto… eccome se lo abbiamo fatto!

Il primo bacio, il telefonino che cade sul tappetino della macchina, i miei lunghi capelli riccioli che si posano sulle sue gambe, la mano che recupera il telefonino caduto a terra e rialzandosi sfiora la chiusura lampo dei pantaloni… il suo sesso che si desta come da un sonno secolare… i nostri corpi che si uniscono… Mamma mia, Sofia… sei proprio una porca! Me lo dico da sola, più ci ripenso e più mi istigo a pensieri malsani… e più mi eccito e più vorrei che quello scimunito di Riccardo fosse qua, tra le mie braccia… tra le mie gambe.

Lui non mi ama, sarei una stupida se fossi convinta del contrario… salta agli occhi subito, il suo interesse è rivolto soltanto al mio involucro, questo ammasso di carne e di curve piazzate al punto giusto che mi porto in giro quando devo uscire di casa… e non posso nemmeno farmi una colpa di questo mio essere attraente… Lo avrò spaventato, quando un uomo si sente stretto nella morsa se le inventa tutte per sfuggire e preservare la propria esistenza allo stato brado. Lui preferirebbe un contratto sentimentale del tipo “Amici con benefici”, impegno part-time, rigorosamente in nero, a tempo determinato, vincolante per un solo incontro, preferibilmente di notte e in macchina, con rinnovo tacito di volta in volta, salvo disdetta formale. Una sorta di banco del mutuo soccorso, una moderna forma di baratto carnale.

Però ci spero, la speranza è donna, mi pare si dica così. O forse no. Riccardo potrebbe cambiare, potrebbe svegliarsi una mattina e aprire gli occhi su di noi, sul nostro rapporto, sul nostro unirci voluttuosamente… e capire che se è una cosa così stupenda e intensa, magari lo è proprio perché lui, inconsciamente, mi ama. Con ogni probabilità lui è proprio lì alla frontiera, sta esibendo in questo istante il passaporto alla guardia di turno alla dogana. Stasera stessa sarà sconfinato in terra straniera, domattina mi chiamerà e mi dirà di avere raggiunto anche lui il punto di non ritorno, di essersi follemente innamorato di me.

Siamo già al suo terzo funerale.

Il funerale è un rito mentale che i miei neuroni attuano quando devono cancellare qualcuno dalla memoria. La cerimonia è semplice e distesa, nessun pianto, nessun vestito nero, pochi invitati e tanti fiori rigorosamente finti che vengono riutilizzati ogni volta. La bara è color cachi, già chiusa. Il rito dura in media sei minuti, condoglianze ed inumazione comprese. Non vi è nemmeno un momento o un'ora abituale della giornata. L'ultimo funerale di Riccardo si è compiuto mentre ero seduta sulla tazza del water alla toilette del McDonald's di Trento. Il rumore dello sciacquone è divenuto frontiera del mio mondo mentale, novella “Marcia Funebre” di Chopin dei nostri giorni.

Dopo tre giorni, puntuale come la bolletta del telefono e fedele al calvario del suo ben più noto predecessore, Riccardo risorge ogni volta, insinuandosi in maniera sempre più salda nella mia testa.

In molte occasioni mi sento proprio come un bonsai, un potenziale albero di quattordici metri e mezzo seviziato e violentato in un vasetto del mascarpone Mila da cinquecento grammi. Una sequoia gigante  mancata, una nanetta per la sfiga che quel giorno non sono germogliata un metro più in là, al riparo tra quelle cinque ortiche.

Ho deciso di partire.

Il biglietto aereo l’ho comprato stamattina, tra dieci giorni si parte. Lo so, fuggire dai problemi non è mai la soluzione migliore, bisognerebbe affrontarli sempre a viso aperto, sbatterci contro e imparare dagli eventuali errori. La teoria la conosco benissimo, cinque anni di collegio dalle suore mi hanno formata parecchio. Tre mesi in coppia con mia sorella a zonzo per l’Australia, mi aiuteranno a dimenticare quell’inconsistente capriccio di nome Riccardo.

Ho sempre pensato che si potessero raccontare bugie, ma non viverle… non riesco a fingere di non volergli bene, e non posso nemmeno chiudere gli occhi e tapparmi il naso di fronte alla nauseabonda certezza che per lui sono solo un corpo caldo che respira.
Australia, terra dei canguri, sto arrivando! Almeno questa volta varcare la frontiera mi porterà da qualche parte.






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