Cavaleri (Bachi da seta)
di Graziella Rigo

Circa cinquanta - sessant'anni fa in Vallarsa erano quasi tutti poveri, chi più chi meno. Le entrate erano poche e i soldi scarseggiavano alquanto. I gelsi nei prati e nei campi abbondavano e siccome la foglia di gelso era l'unico nutrimento dei "cavaleri", era consuetudine che quasi tutte le famiglie li coltivassero. Fruttavano abbastanza, malgrado le fatiche di quel mese. Vorrei ora descrivervi la storia del periodo dei cavaleri.
La "semenza, cioè le piccole larve di baco, bisognava ordinaria all'Associazione Agraria; la quantità variava da un quarto a mezza, od ad un'intera oncia, a seconda dei gelsi e della capacità della famiglia. Questa "semenza" era posta su di una carta bianca ricoperta da un'altra carta bianca traforata e assieme v'era anche il nutrimento: foglia di gelso tritata. Bisognava tenerla in una stanza con la temperatura costante di circa venticinque gradi.
I primi "cavaleri" che venivano uscivano dai buchini erano chiamati "la prima scelta", vale a dire i migliori, poi c'era la seconda e anche la terza. La terza scelta veniva chiamata "el cuzo" dato che non era materiale pregiato, si dava ragazzini affinché lo coltivassero. Erano pochi ed i ragazzini si divertivano ad avere dei "cavaleri" tutti loro.
Certe donne di allora, per avere i "cavaleri" tutti di prima qualità, tenevano la semenza nel seno sempre al calduccio, ed ottenevano così dei buoni risultati.
Quando i bachi diventavano più grandini si disponevano per bene sui graticci di canna, "arelini". Mangiavamo sempre e solo foglia di gelso, per quattro pasti al giorno.
All'inizio mangiavano solo le foglie poi, man che crescevano, venivano collocati fra rami di gelso, sollevati in modo che i piccoli bruchi ci salissero sopra e non rimanessero soffocati.
Per quattro volte essi cambiavano la pelle e durante questa fase dormivano tutto il giorno senza mangiare, così la gente si poteva riposare. Il cambio della pelle veniva chiamato: "Dormono dalle una", "Dormono dalle due"',"Dormono dalle tre" e "Dormono dalle quattro".
Dopo ogni dormita bisognava cambiare loro il letto, composto da avanzi del mangiare e dalla loro pelle. Il mio lavoro di bambina era quello di cercare i "cavaleri" persi nel letto vecchio.
La temperatura della stanza doveva essere sempre a venti gradi; se c'era bisogno si accendeva anche la stufa, e niente correnti d'aria!
Prima di metterli sul letto nuovo, gli "arelini" venivano disinfettati e profumati strofinandoli con un mazzetto di assenzio, il cosidetto "menego maistro".
Diventando sempre più grossi, mangiavano molto, anche di notte, così mettevano a dura prova le persone. La pulizia ora veniva fatta una volta al giorno.
Che lavoro! E quanto mangiavano!! Era un piacere starli a guardare: divoravano con i loro dentini le foglie così rapidamente, frastagliandole, sembrava che le ricamassero prima di passare allo strato successivo. Nella stanza si diffondeva un rumore simile ad una musica. Io mi ci incantavo.
Dopo circa un mese, ecco che erano pronti. Belli maturi!! Grossi e trasparenti, pieni di seta!! Alzavano la testa e la scuotevano di qua e di là, cercando un appiglio. A me facevano uno strano effetto, mi sembravano tante lucette fosforescenti.
Allora si mettevano tutti sulle "rame", coperti con dei sacchi di iuta. Dopo diversi giorni, si alzavano i sacchi e si controllava se i bozzoli, chiamati "galete", erano fatti. Si scopriva allora che qualche baco era morto, altri che invece del bozzolo avevano fatto dei fazzoletti, ma la maggioranza aveva fatto il proprio lavoro. Era un spettacolo ammirare quella bella distesa di bozzoli dorati. Li raccoglievamo staccandoli dai rami ed io mi divertivo un mondo. Mettevo quelli color oro da una parte e quelli più giallo chiaro dall'altra.
Poi si dovevano spellare!
Coloro che possedevano l'apposita macchinetta facevano presto; gli altri, la spellatura la dovevano fare a mano. Con la spellatura, che si chiamava "spelaie", le donne facevano trapunte, molto soffici e calde, per l'inverno.
I bozzoli così bei puliti, si mettevano nei sacchi e si caricavano sul carro fino a Rovereto e si vendevano.
Dopo un mese e più di fatiche, ecco che arrivava la ricompensa: dei bei soldini! Solitamente in questa occasione si usava fare qualche regalino ai bambini che avevano aiutato in casa a curare l'allevamento.
Ricordi del passato. Ora non c'è più nessuno che tiene i "cavaleni", ma sono rimembranze così belle che affiorano ogni tanto nella mia mente e che ho ritenuto doveroso metterle per iscritto.
Se non altro per i nostri giovani di oggi, che quando ammirano la seta non ne comprendono di sicuro la provenienza e non immaginano che i loro nonni, con umile e paziente lavoro, hanno contribuito a quel bel risultato.



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