Dal libro di memorie di Ettore Combattente “Rosso Antico-memorie di vita di sezione e di vita sindacale” in via di pubblicazione da Edizioni Liberetà
Valenzi vs De Gennaro
La battaglia contro l’approvazione della legge elettorale maggioritaria in Parlamento e la campagna elettorale che si svolse con quella legge, per me furono momenti esaltanti. Non fu solo una campagna di blitz propagandistici, alcuni tra l’altro molto efficaci, come quello dei “forchettoni” democristiani, uno slogan su cui si spese molto Giancarlo Pajetta, ma fu pure occasione di un’ampia discussione pubblica, politico-culturale, sulle possibili conseguenze del voto del 7 giugno nella politica e nelle istituzioni nel caso fosse scattato il premio di maggioranza come previsto dal nuovo sistema elettorale, approvato dalla maggioranza di quadripartito nonostante un’epica battaglia parlamentare condotta dalle opposizioni. La chiamammo “legge truffa”.
Ci fu un confronto pubblico, tra De Gennaro, noto esponente del Partito liberale italiano, già vice sindaco di Napoli nelle amministrazioni centriste, e Maurizio Valenzi, allora giovane vice segretario della Federazione Comunista. Si parlò a lungo nelle sezioni degli argomenti di Maurizio contro la “legge truffa”, De Gennaro fu messo in difficoltà.
Questa è la storia che si raccontava in giro per chi non era stato presente all’incontro, cui parteciparono un numero di invitati divisi equamente tra avversari e sostenitori della legge truffa come concordato dagli organizzatori. Poi, molti anni dopo, fu Maurizio che mi raccontò come erano andate realmente le cose: fu lui, giovane dirigente del Pci alle prime armi del confronto democratico, a essere messo in difficoltà dall’esperto dialettico e polemista avvocato napoletano, il quale, appena Maurizio iniziò, con notevole imbarazzo ma con grande coraggio, a leggere il suo lungo intervento scritto, lo interruppe dichiarandosi meravigliato di un suo argomento e chiedendogli se non avesse letto un certo articolo della Costituzione.
Grande imbarazzo di Maurizio, che cercò nella sua borsa la copia della Costituzione che ricordava di avere portato, ma non la trovò. La cosa lo mise ancor più in agitazione, che cercò di superare riprendendo la lettura del suo intervento. L’avvocato De Gennaro gli aveva sfilato il libricino dalla borsa, uno scherzo che gli rivelò dopo la riunione tra il divertimento di amici e compagni, e manifestandogli grande simpatia e affetto. De Gennaro aveva fama di avere una gran memoria, ed era solito fare nei dibattiti al Consiglio comunale lunghi elenchi di citazioni di articoli di legge con numeri, date e commi, che mostrava di conoscere come le sue tasche; ma, una volta, Gino Bertoli, capogruppo del partito, lo sgamò e si capì, allora, che a volte bleffava, fidandosi dell’ignoranza degli altri.