CENTRI DI AVVIAMENTO DELLO SPORT

EDUCARE PRIMA DI FORMARE CAMPIONI

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Ha riscosso un buon successo di pubblico la conferenza-dibattito sul tema de “I Centri di Avviamento allo Sport” organizzata da U.S. Arbor per chiudere il ciclo di conferenze che nel corso del 2002 hanno animato il programma dei festeggiamenti per il 50° anniversario della sua fondazione.

Dagli inerventi dei relatori Daniela Pulcini (responsabile del settore giovanile dell’U.S. Arbor), Stefano Gualdi (istruttore nazionale di minibasket), Maria Chiara Remati (ex atleta nazionale di volley) e Carlina Pattori (docente CONI) è emerso il fondamentale ruolo educativo e di crescita svolto dai centri di avviamento allo sport, cui spetta anche il compito di combattere il fenomeno dell’abbandono della pratica sportiva puntando principalmente sull’aspetto ludico dello sport e sull’importanza di sentirsi accettati dal gruppo e dai propri compagni.

Al dibattito seguito agli interventi dei relatori hanno partecipato – in ordine di parola - il Maestro Franco Zanichelli (tennis), William Reverberi (presidente regionale del CONI), la signora Umbra Manghi Tirelli (titolare della Oil Sistem – costruzioni oleodinamiche, sponsor fedele dell’U.S. Arbor) e Doriano Corghi (presidente provinciale del CONI).

Comprensibile quindi la soddisfazione del presidente dell’U.S. Arbor Ermes Simonazzi e di tutta la dirigenza arborina per la riuscita dell’iniziativa, che ha visto la partecipazione del dott. Carlo Vestrali, responsabile dell’Ufficio Sport del Comune di Reggio Emilia, e di Mondo Grasselli in rappresentanza dell’assessore provinciale allo sport Marco Prandi.

 

Ecco gli interventi dei relatori.

·        Aspetti tecnico-educativi, obiettivi e aspettative

DANIELA PULCINI, responsabile del settore giovanile dell’U.S. Arbor.

“L’obiettivo e la funzione di un Cento di avviamento allo sport sono anzitutto sociali. Purtroppo la scuola è molto indietro rispetto alle società sportive, che devono così soddisfare rischieste sempre più precoci. E’ quindi importante ampliare il più possibile i nostri centri di avviamento allo sport per poter rispondere in modo adeguato alle esigenze dei bambini e delle loro flamiglie e per riuscire a formare quella classe di futuro pubblico competente, futuri dirigenti e giocatori, che rappresentano il nostro futuro.

I centri di avviamento allo sport sono le fondamenta dello sport, e una società deve partire da lì. I centri di avviamento allo sport sono quindi lo specchio di una società funzionale, e hanno quattro obiettivi fondamentali:

1)     Avere a disposizione strutture e fascie orarie adatte ai bambini. Per questo motivo dobbiamo entrare in sintonia con le scuole, per verificare la possibilità di trovare spazi più adeguati.

2)     Fornire le palestre di materiale adeguato. E ancora una volta la collaborazione con le scuole gioca un ruolo di primaria importanza. Gli istruttori devono avere la possibilità di lavorare con materiale ampio e variegato a seconda delle esigenze dei bambini.

3)     Tener conto dell’età dei bambini, che devono avere la possibilità di lavorare con altri bambini aventi i medesimi problemi e le medesime esigenze. E sarà compito di noi istruttori adeguarci alle loro esigenza, altrimenti il rischio di abbandono della pratica sportiva sarà altissimo. E’ importante lavorare con gruppi omogenei di bambini.

4)     Fornire istruttori adeguatamente preparati. Questo è probabilmente l’aspetto più importante. L’allenatore dei centri è innanzitutto un educatore. Deve essere innanzitutto un insegnante di educazione fisica, avere quindi le conoscenze tecniche-relazionali necessarie per adattare e programmare il lavoro in palestra alle esigenze psico-motorie dei bambini. Il bambino deve essere al centro del nostro lavoro, non lo sport che insegnamo. L’istruttore deve essere tanto grande da sapersi adattare al livello dei bambini. Deve essere un modello, sia tecnico che relazionale.

L’istruttore deve quindi essere molto bravo, e va pescato con cura. Deve sapere qual è il modello da raggiungere e conoscere il soggetto in età evolutiva. Allo stesso tempo deve essere in grado di fare quel che insegna, perché i bambini imparano innanzitutto per imitazione. In conclusione un bravo istruttore deve saper far fare per fare innamorare i propri bambini dello sport”.

 

STEFANO GUALDI, istruttore nazionale di minibasket.

“Da dodici anni sono impegnato nell’attività giovanile, legata principalmente al minibasket. Finalmente la legge ci ha consentito di entrare nelle scuole e ha reso l’educazione motoria una materia curriculare a pieno titolo, e da questo punto di vista Reggio ha svolto negli anni la funzione di progetto pilota.

I centri di avviamento allo sport si basano su due principi fondamentali: la polivalenza e la multirelatività. Per polivalenza intendiamo lo sviluppo dell’attività motoria, mentre la multilateralità rappresenta la scelta progressiva di esercizi-gioco atti al raggiungimento delle finalità dei centri stessi.

Dobbiamo considerare il bambino come vero soggetto dei centri, porlo al centro dei programmi. Il nostro obiettivo non è creare nuovi campioni, ma lo sviluppo armonico motorio. I centri sono frequentati da bambini dai 6 agli 11 anni di età, e una buona educazione motoria deve partire molto presto. Alla fine del corso il bambino avrà tutte le porte aperte, e potrà scegliere a quale disciplina dedicarsi proprio grazie alle esperienze motorie e all’aspetto ludico che caratterizzano i centri di avviamento allo sport.

Personalmente sono solito strutturare l’allenamento in questo modo. I primi 5 minuti sono dedicati all’accoglienza: è l’istruttore che accoglie i bambini e non viceversa. Seguono 30-40 minuti di gioco, e gli esercizi sui fondamentali. Gli ultimi minuti sono infine dedicati alla partita.

Proprio il gioco svolge un ruolo fondamentale nell’apprendimento, è stimolante e aiuta il bambino a cercare di migliorarsi e a conoscere meglio il proprio corpo e lo spazio. Io propongo giochi di fantasia, che inseriscono i bambini in una realtà positiva. Spesso abbiamo a che fare con grandi gruppi, e proprio attraverso il gioco anche i meno dotati si sentono inseriti nel gruppo. Non dimentichiamoci che nel fare i giochi si diverte anche l’istruttore, mentre il bambino ha modo di imparare divertendosi a lanciare una palla piuttosto che ad afferrarla. Il gioco infine può avere delle regole: quando l’istruttore chiama occorre andargli vicino e ascoltarlo, è vietato mettersi le mani addosso, ed è obbligatorio divertirsi. Soprattutto all’inizio del corso è necessaria un po’ di rigidità, il primo passo per iniziare l’anno alla grande e garantire un bel clima.

Il gioco coinvolge i bambini a tal punto che non è raro assistere ad un aumento degli iscritti ai corsi, e questo è motivo di grande soddisfazione per l’istruttore e per le casse delle società, che vedono in questo modo aumentare le risorse da reinvestire nell’attività dei centri stessi.

In conclusione il gioco ha un importante valore etico, ribadito anche dal nuovo codice etico degli istruttori di minibasket che definisce l’istruttore un educatore, un comunicatore ispirato ai principi della correttezza e della lealtà sportiva”.

 

·        Testimonianza di un percorso sportivo

MARIA CHIARA REMATI, ex atleta nazionale di pallavolo.

“Ho iniziato a giocare a pallavolo a 12 anni, e ora lavoro come educatrice nei centri di avviamento allo sport della Galileo. Io non ho mai avuto la fortuna di frequentare un centro di avviamento allo sport, e quello che ho vissuto a 12 anni è l’esempio più nitido di cosa  non bisogna fare con un bambino che si avvicina all’attività sportiva. Arrivai in palestra con il fardello della mamma campionessa, e per questo motivo il mio allenatore d’allora diede per scontate molte cose, compreso il fatto che io sapessi già giocare a pallavolo solo perché figlia di una ex giocatrice. Il mio problema è stato non poter vivere tutta la fase iniziale del divertimento che contribuisce a farti innamorare dello sport. E da allora tutto quello che ho fatto è stato frutto di enormi sacrifici. Ho chiuso con la pallavolo professionistica a soli 26 anni perché nessuno all’inizio mi ha mai fatto amare questo sport. Anzi, i primi anni sono stati un vero incubo.

Fortunatamente a 13 anni Massimo Ruggeri mi convinse a cambiare squadra, ricominciando tutto daccapo. Fu la svolta: da allora cominciai a divertirmi e posso assicurarvi che il divertimento inside profondamente sulle motivazioni di un bambino.

Quando ho cominciato come educatrice, ero senza dubbio spaventata. Non ho mai frequentato l’Isef, anche se diversi anni di serie A mi hanno comunque fornito una serie di nozioni importanti sia dal punto di vista tecnico che fisico-motorio. Educare è una responsabilità pesante. In ogni caso preferisco usare la parola disciplinare, mettere delle regole ferree lasciando fuori dalla palestra la sindrome di creare a tutti i costi un campione. Sindrome che colpisce prima i genitori e poi, di riflesso, i bambini.

La palestra è prima di tutto un punto di aggregazione. Al di là delle competenze, è importante riuscire a dare ai bambini una impronta, far capire loro che lo sport ha determinate regole”.

 

·        Aspetti psicopedagogici

CARLINA PATTORI, docente CONI.

“Vorrei fare un grosso complimento a Maria Chiara Remati: mi è sembrata l’esempio di atleta di alto livello che non si pone come idolo nei confronti dei bambini, ma è talemente grande da sapersi adattare ai più piccoli. Un appunto va invece ai genitori, che avrebbero dovuto essere presenti in maggior numero per capire che non è sufficiente limitarsi ad affidare i propri figli a una società seria composta da persone prima che da atleti e allenatori preparati.

E’ importante che le rischieste dei ragazzi non vengano fraintese, e così le loro aspettative e le loro motivazioni, messe alla prova da una grande varietà di offerta sportiva. Oggi si comincia prima a fare attività sportiva, ma i bambini non vanno considerati giocatori in miniatura e occorre fare attenzione perché la pratica sportiva lascia tracce molto importanti nella crescita dell’individuo. La pratica sportiva offre gli stimolo necessari a formare nei bambini l’atteggiamento nei confronti della vita, ma a condizione che questa tenga presente delle loro condizioni e dei loro bisogni. Spesso invece risponde più alle ambizioni dei genitori/allenatori, e questo discorso vale anche per gli sport individuali. A questa età occorere tenere sempre ben presente la dimensione del gruppo, superare l’egocentrismo caratteristico dei bambini in età scolare o prescolare. A 6-7 anni i bambini provano soddisfazione dallo stare insieme, ma solo se viene offerta loro la possibilità di relazionarsi con gli altri attraverso delle regole. Vi assicuro che i ragazzini a sanno apprezzare le regole e ne riconoscono l’importanza, al punto che solo chi le rispetta è approvato e accettato nel gruppo.

Uno degli obiettivi dei centri di avviamento allo sport è gettare le fondamenta per l’autostima. Grazie all’attività sportiva i ragazzi si sentono socialmente accettati e riconosciuti per qualcosa che sanno fare e che ritengono speciale.

Dobbiamo stare attenti a valutare messaggi come ‘non mi diverto più’, o ‘non sono abbastanza bravo’ che sono sinonimo dell’abbandono dell’attività sportiva; e proprio per questo morivo non dobbiamo mai dimenticare la dimensione ludica dello sport. La noia uccide la motivazione più importante: stare bene, divertirsi insieme ai compagni. Abbiamo a che fare con i ragazzini dello zapping, che faticano a dedicarsi per tempi lunghi alla medesima attività. E’ quindi nostro obiettivo soddisfarli con la più ampia diversificazione dell’offerta. Occorrono quinti educatori creativi, dotati di fantasia, che abbiano ben chiaro in testa cosa vogliono fare e quali obiettivi raggiungere senza perdersi in fronzoli inutili.

Per i bambini è importante trasfigurare la realtà in modo personale, ma più avanti hanno bisogno di giocare con regole ben precise che assumere una loro dimensione di singoli all’interno del gruppo. Le regola danno al gruppo una sua dinamica, e in tutto ciò gioca un ruolo prioritario il divertimento. L’educatore deve riuscire a far sentire i propri bambini bravi in base a quello che sanno fare; in questo modo si impegneranno di più perché avranno la consapevolezza dell’escalation sociale che deriva dal loro impegno. Ottenere un buon risultato motorio-sportivo è per loro sinonimo di prestigio. Quando invece la dimensione agonistica assume toni esasperati e arriva troppo presto, nei bambini aumente notevolmente il rischio di sentirsi inadeguati. Ecco perché è fondamentale che restare nell’ambito del gioco. E’ importante sorridere, non far pesare le negatività. A fine partita il bambino si dà un giudizio da solo, anche quando ha giocato male, e non è necessario farglielo notare altrimenti avremo sempre più eroi dell’allenamento e disertori delle partita. Dare quindi anche agli istruttori buoni esempi, piuttosto che buoni consigli.

·        E’ compito degli allenatori ricordare a tutti il divertimento che deriva dall’appartenere al gruppo.

·        Far capire all’allanetore l’importanza di offrire a tutti le medesime opportunità.

·        Insistere sulla collaborazione, da privilegiare rispeto alle gerarchie e alla concorrenza, connotando le capacità motorie con quelle anagrafiche.

·        Saper accettare e sopportare pazientemente le contraddizioni emotive dei ragazzi man mano che crescono.

·        I genitori andrebbero invogliati a fare più figli, perché meno bambini significano meno atleti. E spesso i bambini devono convicere con forti stress causati proprio dalle aspettative dei genitori. Non è detto che il figlio di un grande atleta debbe per forza ricalcare le orme paterne, e al contrario non è vero che il figlio di una non-atleta non possa elevarsi fino ai massimi livelli. Vorrei infine ricordare ai genitori di non avere fretta, perché non è detto che chi è bravo nella prima parte della vita lo sia anche nella seconda.

Per concludere, se troviamo qualcuno che lavora con i bambini secondo queste regole, affidiamogli tranquillamente i nostri figli. Magari non saranno dei grandi atleti, ma saranno sicuramente delle belle persone”.