TUTTO CIO' CHE VOLETE E DOVETE SAPERE SUL BASKET A STELLE E STRISCE 

ARTICOLO DELLA SEZIONE MAD SKILL

KING OF NEW YORK

Troppe volte riteniamo di poter conoscere il futuro delle cose, soprattutto su avvenimenti che ci sembrano talmente chiari da non farci sorgere alcun dubbio al riguardo.

Eppure la vita riserva sempre sorprese, piacevoli o spiacevoli che siano.

Ma, conoscendo il teatro dove si svolgerà la storia che stiamo per narrarvi, sembrerà tutto più comprensibile.

Parliamo naturalmente di New York City, patria del Basket e dei playmaker, città dove anche la statua della libertà è in quella posizione perchè vuole ricevere in post.

Culla di sogni e di cruda realtà contemporaneamente, NYC è la città dove troppo spesso, chiudendo gli occhi, abbiamo immaginato fior fiore di talenti mandare in estasi le folle con le loro fantascientifiche giocate, ma aprendoli abbiamo visto gli stessi impegnati agli angoli delle strade.

Rammentare le vicissitudini di Manigault, Booger Smith, Lloyd Daniels ci sembra superfluo, così preferiamo parlarvi di una storia attuale, come quella di Omar Cook, e sperare che tutto ciò che sta passando questo play uscito due anni or sono da St. John’s, sia solo un temporale passeggero.

Certo, i paragoni con Booger o The Goat sono pesanti, anche perchè questi due gli angoli delle strade li hanno visti vicini per davvero, ma comunque Cook potrebbe esser ricordato come uno dei tanti che non ce l’ha fatta, che non ha sfondato col basket.

Lo stipendio assicurato, magari arriverà comunque dalla leghe minori o dall’oltreoceano, ma di certo le nostre previsioni andavano in tutt’altra direzione.

Ci sembra ieri quando tutte le riviste specializzate, tutti i siti internet, tutti gli scout, parlavano di un certo Omar Cook, emergente play della Christ The King High School, come del miglior prospetto degli ultimi anni.

Nella Big Apple, lo conoscevano già tutti, e farsi una reputazione a NY vuol dire che con la boccia ci fai quello che vuoi, ma ora l’attenzione nei suoi confronti era divenuta di levatura nazionale.

I paragoni con altri grandi play newyorkesi, quali Kenny Anderson, Steph Marbury, Tiny Archibald si iniziano a sprecare e c’è addirittura gente che è pronta a scommettere che il ragazzo è migliore di tutti questi.

Cook è il nuovo re di New York e a scanso di equivoci, nel suo anno da sophomore alla Christ The King, sul suo bicipite compare la scritta “King of NY”.

Dopo una strepitosa carriera liceale, il ragazzo sceglie la locale St.John’s Univesity, dove Omar può continuare a restare sul palcoscenico della Grande Mela e può imparare dai consigli di un buon coach quale Mike Jarvis.

Il “Re” mostra subito un talento allucinante, una visione di gioco stupenda e doti di passatore che solo i più grandi hanno.

Oh, ci sarebbe anche un difettuccio, peraltro comune alla maggior parte dei play usciti da NYC, nel suo Jump Shot, dato che chiude col 36% dal campo e il 31 dalla linea dei tre punti.

Appare però il tipico ago nel pagliaio, che di certo non potrà fermare la corsa al successo di un grande come lui.

La fiducia nei propri mezzi sale proporzionalmente al bisogno di soldi e così dopo due stagioni di apprendistato, Cook sceglie di abbandonare l’università e dichiararsi eleggibile per il Draft NBA.

“Sono l’unico che ha preso questa decisione – spiega il Re – Tutti mi hanno consigliato di rimanere a scuola ma io ho scelto di uscire”.

Al posto di “tutti” metteteci pure Mike Jarvis, la cui salivazione cresceva ogni giorno di più al pensiero che nel seguente anno ad Omar avrebbe potuto affiancare un talento come Marcus Hatten.

Ma ormai la decisione era presa e da buon ragazzo di strada, Cook non poteva tornare indietro.

Troppo facile dire che fosse la scelta sbagliata e paragonare la sua situazione a quella di Jason Williams, play da sogno di Duke, che aveva scelto di rimanere per un’altro anno all’università.

Ma quando, come Omar, vivi in una topaia senza elettricità, anche i soldi non garantiti delle seconde scelte diventano più che appetibili.

Per stessa ammissione di Mr. New York, “non mi si può paragonare a Williams. Lui è andato a Duke, è cresciuto nei Suburbs e ha sempre avuto tutto per crescere. Io non ho mai avuto niente e per me è stato difficile. Ma bisogna andare incontro alle scelte che si fanno”

Purtroppo i dubbi sul carattere del ragazzo diventano enormi quando il Re sceglie di prendere parte ai provini organizzati solo ed unicamente dalle squadre che scelgono in alto alla lotteria.

Tale sfacciataggine, unita ai dubbi sul suo tiro in sospensione, gli costeranno carissimo al momento delle scelte.

In campo comunque Cook dimostra di non aver alcun bisogno di consigli e al rinomato Camp di Chicago, viene giudicato da tutti i giornalisti e gli scout come il migliore in assoluto, insieme al centro Steven Hunter.

“In internet e sui giornali parlavano di me e Steven come dei migliori a Chicago – ricorda Cook – Credevo al massimo di poter scendere fino alla quattordicesima chiamata”.

Il che significa comunque un contratto garantito da 3 milioni di dollari per 3 anni.

Arriva il giorno del Draft.

Passano le prime chiamate, passa la quindicesima quando viene selezionato Hunter da Orlando, passa New York, all’epoca in disperata ricerca di un play e con Layden subissato di booos dal pubblico per non averlo scelto, passano Forte, Sasser, Armstrong, Raul Lopez, Tinsley, Parker e Arenas.

Di Omar nessuna traccia.

Alla fine, al secondo giro col numero 32, arriva la chiamata da parte ancora dei Magic, che però lo trasferiscono subito a Denver, dove “pensavo di partire titolare o comunque di far parte della rotazione”.

Durante la Summer League, però, i Nuggets gli preferiscono un’altro grande talento proveniente dalla Grande Mela, tale Kenny Satterfield, funambolico play tutto velocità e penetrazioni.

Arriva così la trade che lo porta a Dallas, dove però si iniziano a fare le cose in grande e non c’è spazio per un rookie come lui.

Arriva il taglio e la chiamata, l’8 Giugno, dai Patriots di Fayetteville nella NBDL, meglio nota come “lega di sviluppo”.

L’idea è quella di guadagnare poco, circa 30.000 dollari, ma dare il tutto per tutto per un paio di mesi, aspettando la chiamata dalla Lega che di sviluppo non ha bisogno.

Al debutto gioca 21 minuti segnando 9 punti con 4/6 dal campo.

Diventa immediatamente miglior assist-man della lega con 7,8 di media, aggiungendoci anche 12,2 punti.

“The Call” però non arriva e il Re di New York è costretto a giocare ben 35 gare nella NBDL, peraltro tirando con un ancora pessimo 38%.

Il suo gioco però sembra aver convinto lo staff dei Boston Celtics che a fine Regular Season lo firmano con un annuale.

“La cosa che mi da più fastidio è il fatto di non aver ancora giocato nella NBA, oltre al fatto di esser rimasto troppo tempo nella NBDL – spiega Cook – Le lunghe trasferte in Bus, però, mi hanno aiutato a pensare molto sulla mia situazione. Alla fine credo che questa esperienza mi abbia aiutato più di quanto mi abbia fatto male”.

Nella sua permanenza ai Celtics, Omar lavora come un ossesso in palestra, passando ore ed ore a cercare di migliorare l’efficacia del suo Jump Shot.

I dirigenti sono contentissimi del suo lavoro e credono di aver trovato il loro play del futuro.

Omar viene invitato alla Shaw’s Pro Summer League e si presenta ai tifosi come uno che “ama il basket e lavora duro sia in attacco che in difesa”, oltre che come uno che “non ha bisogno di segnare per giocare bene”.

Tutto sembra finalmente andare per il verso giusto, tanto più che in squadra ci sono diversi buoni realizzatori, pronti a sfruttare i passaggi al bacio di Cook e ad assecondarne dunque lo stile di gioco.

Poi il sogno. Boston spedisce il suo play titolare Kenny Anderson (già proprio il Kenny Anderson a cui era stato paragonato da ragazzino), insieme a Potapenko a Seattle in cambio di Vin Baker e Shammond Williams, anche lui play-guardia di NYC nonchè cugino di Kevin Garnett.

La situazione appare ideale. Gli unici play dei Celtics sono ora Tony Delk e Shammond Williams, che però sono entrambi realizzatori più che registi, e Erick Strickland è Free Agent e non sembra voglia rifirmare per i bianco-verdi.

A questo punto una buona Summer League può aprire addirittura le porte del quintetto al play di St.John’s.

Già, peccato che il fato ci mettesse ancora la manina e portasse alla ribalta il rookie JR Bremer, tanto sconosciuto quanto dal buon tiro.

L’impiego di Cook va sempre più scemando, così come le buone prestazioni, e così la dirigenza pensa seriamente a lasciar andare il ragazzo.

Ad oggi il taglio non è ancora stato ufficializzato, ma appare solo una questione di giorni.

“Ho sempre pensato di poter giocare. Sono stato un All American. Sono stato Mr. New York. E ora devo passare tutto questo?”

Già, perchè? Perchè il Re non trova ancora qualcuno disposto a concedergli il trono? Che sia un’altro di quei brutti sogni?

Gli occhi per guardare alla realtà sono ormai sul punto di aprirsi, ma per piacere, fin quando c’è speranza lasciate che i nostri occhi rimangano soltanto semi-aperti.

Lasciate che i nostri rimangano a metà fra il sogno e la realtà!

 

 

 

di BEPPE GESMUNDO

Clicca qui per guardare la foto di Omar Cook!



HOME
NBA
NCAA
COLLABORATORI