BANCA DATI UNGULATI

Distribuzione, gestione, prelievo venatorio e potenzialità delle popolazioni di ungulati

Luca Pedrotti, Eugenio Duprè, Damiano Preatoni, Silvano Toso

 

ISTITUTO NAZIONALE PER LA FAUNA SELVATICA

PARTE QUARTA

 

Capriolo

Superordine: Ungulata

Ordine: Artiodactyla

Sottordine: Ruminantia

Famiglia: Cervidae

Sottofamiglia: Odocoileinae

Genere: Capreolus

Specie: Capreolus capreolus  Linnaeus, 1758

Sottospecie italiane:

-          Capreolus c. capreolus Linnaeus, 1758

-          Capreolus c. italicus  Festa, 1925

 

 

Il capriolo è il Cervide europeo più comune e diffuso ed è anche la specie più importante dal punto di vista venatorio.

Nel passato esso seppe adattarsi perfettamente ad un ambiente sempre più manipolato dalle attività umane. Nonostante l’importante pressione venatoria che subisce, il capriolo ha oggi raggiunto probabilmente consistenze superiori a quelle che caratterizzavano le popolazioni insediate negli ambienti naturali non alterati dall’azione umana.

Dalla macchia mediterranea alle foreste boreali, dalle pianure intensamente coltivate all’orizzonte alto-alpino, il capriolo occupa oggi  quasi tutte le tipologie ambientali che caratterizzano l’Europa e  fa registrare consistenze notevoli soprattutto nella parte centro-orientale del continente (nel 1982 veniva stimata una presenza complessiva di oltre sei milioni di esemplari).

La specie risulta assente in Islanda, Irlanda, nelle isole del Mediterraneo e nella Penisola scandinava a Nord del golfo di Botnia mentre è distribuita in maniera discontinua o caratterizzata da basse densità in Inghilterra e Scozia, in Finlandia, nella Norvegia settentrionale, in Spagna, Portogallo, Grecia ed Italia peninsulare.

E’ diffuso anche in Asia minore, Iran, Palestina ed Iraq ; più ad est, dalla Russia europea attraverso l’Asia centrale sino all’Amur è sostituito da una specie affine, ma caratterizzata da maggiori dimensioni, il capriolo siberiano.

Il limite settentrionale dell’areale europeo è rappresentato dal 67° parallelo in Scandinavia, quello meridionale dalla Turchia e quello orientale da una linea ideale che unisce il lago Ladoga al Mar Nero.

L’optimum ecologico per il capriolo è rappresentato da territori di pianura, collina e media montagna con innevamento scarso e poco prolungato nei quali si sviluppa un mosaico ad elevato indice di ecotono  caratterizzato dalla continua alternanza di ambienti aperti con vegetazione erbacea e boschi di latifoglie. Tuttavia la specie accetta una vasta gamma di situazioni ambientali diverse, dalle foreste pure di conifere alla macchia mediterranea. In Italia, contrariamente a quanto avviene in altri paesi europei, manca quasi totalmente dalle pianure intensamente coltivate, mentre è diffuso lungo le due catene montuose principali, dal piano basale al limite superiore della vegetazione arborea ed arbustiva, nonché nei rilievi minori della fascia prealpina e in quelli che formano l’Antiappennino toscano.

 

Distribuzione

Il capriolo è attualmente presente in 67 province su 103 (65%); e in 36 (59%) di esse è presente con popolazioni consistenti e ben distribuite, in 16 (26%) occupa il territorio in modo ancora discontinuo e con nuclei tra loro isolati e in 9 (15%) la sua presenza è ancora sporadica come conseguenza naturale  (Fig. 31). In tre province è infine presente la forma autoctona dell’Italia peninsulare. L’areale attualmente occupato si estende  complessivamente per 95.700 km2.

In Italia sono  attualmente individuabili due grandi subareali: il primo comprende senza soluzione di continuità tutto l’arco alpino, l’Appennino ligure e lombardo sino alle province di Genova e Pavia ed i rilievi delle province di Asti ed Alessandria; il secondo si estende lungo la dorsale appenninica dalle province di Parma e Massa Carrara sino a quelle di Terni e  Macerata ed occupa anche i rilievi delle province di Pisa, Siena, Livorno, Grosseto e Viterbo, nonché la Maremma toscana (Fig. 30). Questi due subareali sono tra loro separati da uno iato spaziale grosso modo compreso tra i fiumi Scrivia e Stirone (La Spezia e Piacenza). La provincia di Grosseto, l’Umbria e le Marche  settentrionali appaiono come il confine meridionale dell’areale principale del capriolo. Più a sud esistono solo piccoli areali disgiunti e nuclei sparsi ed isolati, relitti delle popolazioni anticamente presenti nella penisola o frutto di recenti reintroduzioni.

Tra le popolazioni reintrodotte vanno ricordate quella del Parco Nazionale d’Abruzzo ed aree limitrofe e quella della Sila, entrambe originate da immissioni condotte a partire dal 1970. La prima ha dato avvio al processo di colonizzazione che attualmente interessa tutte le province abruzzesi. Altre operazioni di reintroduzione sono state realizzate negli ultimi decenni nel Parco Nazionale della Majella e dei Monti Sibillini, nel Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga e nelle province di Ascoli Piceno, Pescara, Verona, e Imperia.

Le popolazioni di capriolo diffuse sull’arco alpino e nell’Appennino settentrionale si sono originate per immigrazione dall’Europa centrale o sono frutto di reintroduzioni operate con soggetti provenienti da quest’area e debbono dunque essere attribuite alla forma tassonomica C. c. capreolus.

Nell’Italia centro-meridionale sono presenti tre piccoli nuclei isolati che rappresenterebbero le uniche popolazioni relitte del capriolo un tempo presente in tutta l’Italia centro-meridionale, riconducibile secondo Festa (1925) alla forma C.c. italicus. Le tre popolazioni sono presenti nella Tenuta Presidenziale di Castelporziano (Roma), nella Foresta Umbra (Gargano, Foggia) e nei Monti di Orsomarso (Cosenza). Recenti ricerche di carattere genetico sembrano confermare questa tesi, almeno per ciò che concerne la popolazione di Castelporziano. I caprioli presenti nella Toscana meridionale (colline senesi e Maremma grossetana) potrebbero mantenere almeno in parte, il genotipo originario o derivare dall’incrocio di quest’ultimo con il genotipo appartenente a soggetti importati dall’Europa centrale.

 

Consistenza

Attualmente risulta difficile stimare con precisione la consistenza globale della specie sul territorio nazionale, in relazione alla intrinseche difficoltà di censimento della specie, alla difformità delle tecniche di conteggio territoriale; essa dovrebbe comunque aggirarsi intorno ai 400.000 capi.

L’analisi delle informazioni relative ai censimenti realizzati nel periodo 1996-2000 fornisce una valutazione di consistenza pari a circa 340.000 caprioli. Tale stima deve essere considerata un valore di consistenza minima sicuramente presente in quanto i censimenti non vengono realizzati in tutto l’areale, ma di norma solo nelle aree in cui viene esercitata l’attività venatoria. Inoltre, ben note sono le difficoltà  intrinseche delle stime quantitative delle popolazioni di capriolo, legate alle caratteristiche biologiche ed ecologiche della specie, che possono determinare sottostime dell’ordine del 50-100%. Per ottenere una stima complessiva più vicina alla realtà, nelle aree di estensione limitata per le quali non esistevano dati numerici (in genere Oasi, Zone di ripopolamento e cattura, parti di ATC in cui non viene esercitata l’attività venatoria sulla specie) le consistenze sono state stimate estrapolando le densità medie presenti nelle aree limitrofe.

La specie può essere considerata ampiamente distribuita e relativamente comune in Italia settentrionale e centrale; il suo status distributivo e demografico risulta strettamente dipendente dalla qualità della gestione venatoria che contraddistingue ciascuna regione o provincia. La consistenza delle popolazioni è elevata nell’arco alpino centro-orientale (113.000 capi) e massima nell’Appennino centro-settentrionale (172.000 capi), mentre le presenze restano tuttora inferiori nelle Alpi centro-occidentali e estremamente scarse e frammentate nella porzione meridionale della penisola (Tab. 9).

Le province in cui si rilevano le popolazioni più consistenti (> 10.000 capi) sono quelle di Bolzano, Trento, Arezzo, Siena, Grosseto, Firenze, Belluno, Udine, Forlì-Cesena e Pesaro. La presenza del capriolo è ancora relativamente sporadica o legata a recenti operazioni di immissione nelle province di Imperia, Viterbo, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno, Pescara, Chieti, Teramo, Isernia e Frosinone (Figg. 31 e 32).

Per quanto riguarda l’arco alpino, le consistenze sono di gran lunga superiori nella porzione centro-orientale, dove la presenza del capriolo sull’intero territorio era già stabile e continua negli anni 1970. In  tale periodo esisteva ancora uno iato tra le popolazioni orientali e occidentali dell’arco alpino corrispondente alla provincia di Varese, ed oltre tale limite geografico la distribuzione appariva frammentaria e limitata ad alcune porzioni delle province di Torino, Aosta, Cuneo e Verbania.

 

Tabella 9 Consistenza del capriolo nelle diverse regioni italiane riferita al periodo 1999-2000.

 

Regione

Consistenza

Piemonte

Val d’Aosta

Lombardia

ARCO ALPINO CENTRO-OCCIDENTALE

Trentino-Alto Adige

Veneto

Friuli-Venezia Giulia

ARCO ALPINO CENTRO-ORIENTALE

 

Liguria

Emilia-Romagna

Toscana

Marche

Umbria

APPENNINO CENTRO-SETTENTRIONALE

 

 

Abruzzo

Molise

Lazio

Campania

Puglia (Gargano)

Basilicata

Calabria (Orsomarso)

Sicilia

APPENNINO CENTRO-MERIDIONALE

31.960

1.750

16.480

50.190

69.400

23.150

20.800

113.350

 

12.610

42.240

107.300

9.940

230

172.320

 

presente

assente

460

assente

40

assente

300

assente

800

 

Totale

336.660

Localmente, in particolare in alcuni settori dell’Appennino ligure e tosco-romagnolo, sono state riscontrate densità assai elevate, sino ad oltre 40 capi per kmq, anche se, in generale, la densità delle popolazioni risulta ancora distante da quella potenziale.

 

Status ed evoluzione delle popolazioni

Anticamente il capriolo era abbondantemente diffuso pressoché in tutta l’Italia continentale ed in Sicilia. A partire dal XVI secolo esso subì un destino simile a quello del cervo; il suo areale e le sue consistenze andarono progressivamente diminuendo, arrivando ad una situazione più fortemente critica attorno al XIX secolo. Le sorti del capriolo in Italia non di discostano molto da quanto avvenuto nel resto dell’Europa. La storia della specie in Italia settentrionale è maggiormente assimilabile a quanto avvenuto nelle regioni centro-europee, mentre nella penisola vi sono maggiori similitudini con quanto avvenuto nelle regioni mediterranee.

La progressiva e drastica diminuzione delle superfici boscate, unita ad una pesante persecuzione diretta, ha senza dubbio rappresentato la principale causa di estinzioni locali o a larga scala delle popolazioni. La costante crescita delle popolazioni umane a cui è legata la diffusione delle attività agricole e di pastorizia può essere considerata un fattore altrettanto importante ed intimamente connesso con il primo. La crisi sociale ed economica, occorsa alla metà del XIX secolo, accentuò il fenomeno della colonizzazione di molte aree montane che fino ad allora erano rimaste disabitate. Tali zone furono in breve tempo sfruttate per la coltivazione di cereali, il taglio a raso di vaste porzioni di bosco ed il pascolo in foresta anche al di sopra dei 1.500 m. La conseguente costante diminuzione del capriolo caratterizzò tutti i territori italiani, e fu particolarmente intensa nell’Italia meridionale ed in Sicilia, dove la specie si estinse prima della fine del XIX secolo.

La scomparsa del capriolo in numerosi settori dell’arco alpino (principalmente nel settore orientale) avvenne in concomitanza della prima guerra mondiale e la situazione rimase critica per i tre decenni successivi.

La fase più acuta di questo fenomeno corrisponde al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, quando il capriolo era presente con poche popolazioni tra loro isolate, concentrate soprattutto nell’arco alpino orientale e nella Maremma.

Secondo Perco e Calò (1994), tra il 1920 ed il 1936 il numero complessivo di caprioli presenti in Italia scese da 60.000 a 30.000, per toccare il minimo storico attorno al 1945, periodo in cui veniva stimata la presenza di non più di 10.000 capi, distribuiti tra Valtellina (Lombardia), parte delle Alpi centro-orientali (Trento, Bolzano, Belluno e Udine) e Italia centrale (Maremma toscana); alcuni nuclei isolati si conservarono anche nel Gargano ed in Calabria.

A partire dagli anni ’60 due principali fattori contribuirono al graduale recupero numerico e distributivo del capriolo. Le aree montane vennero progressivamente abbandonate (o comunque meno intensamente sfruttate da un punto di vista agricolo e zootecnico), con un nuovo incremento delle superfici boscate e degli ecotoni ed un conseguente miglioramento delle condizioni ambientali per gli Ungulati selvatici.

La pressione diretta da parte dell’uomo sulle popolazioni relitte cominciò a diminuire  grazie all’introduzione di norme tese a vietare o regolamentare la caccia alla specie. In conseguenza di ciò iniziò un fenomeno di immigrazione in nuovi territori da parte di soggetti provenienti dai nuclei residui, spesso favorito, soprattutto negli ultimi decenni, da operazioni di reintroduzione operate in più settori geografici soprattutto dalle pubbliche amministrazioni.

Attorno al 1960 si stimava la presenza di 50.000 caprioli. A partire da questo periodo si assistette (perlomeno in alcune aree della penisola) ad un vero e  proprio  boom demografico, che portò le consistenze a valori prossimi ai 100.000 caprioli nel periodo 1975-80.

Dal 1990 le presenze si fecero cospicue anche in alcune porzioni dell’Italia centrale (180.000 capi complessivi). Perco e Calò (1994) stimavano per i primi anni ’90 una presenza di circa 240.000 capi.

A partire dai dati sopra riportati, in tabella 10 sono stimati i tassi medi di incremento annuo tra il 1960 ed  oggi.

Come già accennato, il progressivo recupero è avvenuto in parte per dispersione e colonizzazione spontanea ed in parte per immissioni da parte dell’uomo, spesso non completamente documentate. I caprioli a più riprese immessi in molte parti dell’arco alpino e dell’Appennino centro-settentrionale hanno avuto le origini più disparate: Danimarca, Ungheria, ex-Jugoslavia, Alpi orientali, Francia e paesi dell’Europa centrale.

La Toscana appare la regione che ospita le popolazioni più numerose, seguita delle province autonome di Bolzano e di Trento e dall’Emilia-Romagna.

Se tuttavia si prende in considerazione l’areale  potenzialmente idoneo per il capriolo (calcolato come l’insieme delle aree boscate, delle aree aperte e degli incolti improduttivi quali cespugliati e boscaglie) si nota come questo sia tre volte più esteso in Toscana, rispetto a quanto avviene nel Trentino-Alto Adige. Nell’Italia settentrionale il capriolo ha occupato quasi l’80% del suo areale potenziale (in quest’area è presente il 49% della popolazione totale), nell’Italia centrale la percentuale di occupazione dell’areale potenziale non è ormai lontana da valori simili, mentre nell’Italia meridionale non supera l’1%.

Complessivamente l’estensione dell’areale potenziale è pari a circa 175.000 km2 ed è occupato per il 47%. Supponendo una densità potenziale media per l’Italia pari a 15 caprioli per 100 ettari, lo status attuale di consistenza delle popolazioni non supera il 15-20% di quella sostenibile ed evidenzia lo scarto tuttora presente.

La velocità di colonizzazione di nuovi ambienti è stata stimata in 2,2 km/anno in aree aperte all’attività venatoria (Friuli) e nell’ordine dei 5-7 km/anno dove l’attività venatoria non era ancora premessa (Modena e Reggio Emilia; Perco e Calò, 1994).

Tabella 10 -  Stima degli incrementi annui medi del capriolo negli ultimi quarant’anni; le stime di consistenza pregresse sono tratte da Perco, 1981 e Perco e Calò, 1994.

 

 

Periodo

Tasso di incremento

 

1960-75

1975-90

1990-94

1994-2000

 

5%

4%

10%

6%

 

Negli ultimi anni anche in Italia il capriolo ha cominciato ad adattarsi agli ambienti caratterizzati da agricoltura intensiva inframmezzata a piccoli nuclei isolati di aree boscate; il fenomeno risulta evidente nelle zone planiziali e pedecollinari del Friuli-Venezia Giulia, nelle province di Siena, Arezzo e in alcune aree della pianura emiliano-romagnola.

 

Piani di prelievo e abbattimenti realizzati

Il capriolo è cacciato in tutte le province dell’arco alpino ad eccezione di Varese, Asti e Imperia, in Emilia-Romagna ed in Toscana (ad eccezione delle province di Piacenza e Lucca). A sud di tali regioni la specie è ufficialmente “protetta” (non viene citata nei calendari venatori quale specie cacciabile). Complessivamente la specie è cacciata in 41 province sulle 67 in cui è presente. In tre di queste la caccia è al momento ammessa solo all’interno delle Aziende faunistico-venatorie (Fig. 33).

Nella  tabella 11 vengono riportati i risultati ufficiali dell’attività venatoria nelle diverse regioni. Per il periodo 1998-99 è stimabile un prelievo  complessivo annuale di 30.000  capi.

Il capriolo viene cacciato nella maggior parte delle province solo mediante sistemi selettivi. Al momento si può affermare che solo nelle province di Trento e Bolzano la caccia al capriolo abbia raggiunto una fase ottimale di gestione “a regime”, mediante la quale si preleva l’intero incremento annuo, mantenendo le consistenze su valori di densità sufficientemente equilibrati (i piani di abbattimento variano dal 20 al 30% del totale degli animali censiti).

Nell’ultimo decennio la gestione venatoria del  capriolo  ha fatto segnare notevoli progressi anche nell’area dell’Appennino tosco-emiliano, con particolare riferimento alle province di Arezzo, Forlì e Siena.

La caccia con il cane segugio (e con i fucili a canna liscia) viene permessa ed è praticata in Friuli-Venezia Giulia (con esclusione delle province di Trieste e Gorizia), in alcune province del Veneto (Treviso e Vicenza e, in parte, Belluno) e in un Comprensorio alpino della Provincia di Brescia (nel 2000 tale permesso è stato revocato). Nel caso del capriolo i problemi di carattere  biologico e tecnico connessi con la pratica della caccia in braccata risultano particolarmente evidenti e, di fatto, la condizione della specie è mediamente peggiore nelle aree ove tale forma di caccia viene consentita.

 

Tabella 11Entità e distribuzione media dei prelievi annuali di capriolo nel periodo 1998-99

 

Regione

Abbattimenti

Piemonte

Val d’Aosta

Lombardia

ARCO ALPINO CENTRO-OCCIDENTALE

 

Trentino-Alto Adige

Veneto

Friuli-Venezia Giulia

ARCO ALPINO CENTRO-ORIENTALE

 

Liguria

Emilia-Romagna

Toscana

Marche

Umbria

APPENNINO CENTRO-SETTENTRIONALE

 

 

Abruzzo

Molise

Lazio

Campania

Puglia

Basilicata

Calabria

Sicilia

Sardegna

APPENNINO CENTRO-MERIDIONALE

807

191

1.100

2.098

 

13.311

2.315

3.445

19.071

 

318

2.569

6.041

160

Cacciato in AFV

9.088

 

Non cacciato

Non cacciato

Non cacciato

Non cacciato

Non cacciato

Non cacciato

Non cacciato

Non cacciato

Non cacciato

Non cacciato

Totale

30.257

 

In Friuli-Venezia Giulia, dove vengono praticate entrambe le forme di caccia, le statistiche venatorie sembrano comprovare questa tesi. Il 41% del totale degli abbattimenti viene infatti realizzato in quelle riserve che praticano la sola caccia di selezione anche se le stesse occupano solo il 15% dell’areale della specie (Perco e Calò, 1994).

L’organizzazione della gestione del capriolo appare più efficiente dove i cacciatori si attengono ai criteri della caccia di selezione con un conseguente miglioramento dei livelli di densità  e della struttura delle popolazioni.

 

Principali problemi di conservazione/gestione

Nella parte centro-settentrionale del Paese il capriolo mostra uno stato di conservazione soddisfacente ed in progressivo miglioramento, anche se non mancano situazioni locali nelle quali una cattiva gestione tende a mantenere tuttora densità di popolazione assai inferiori a quelle potenziali o ad impedire, attraverso il bracconaggio sistematico, la naturale ricolonizzazione dei territori. Mediamente meno buono appare lo status delle popolazioni in numerose aree dell’arco alpino centro-occidentale. Questi fattori limitanti andrebbero rimossi in modo da ottenere una diffusione più omogenea della specie e la saldatura dei due grandi subareali in corrispondenza delle province di Piacenza e La Spezia, eventualmente anche attraverso reintroduzioni mirate.

Ancora troppo spesso la pianificazione dell’entità dei prelievi concessi non è finalizzata al raggiungimento di densità ottimali di popolazione, ma più semplicemente al soddisfacimento delle richieste del mondo venatorio (Fig. 36). Fino al raggiungimento delle consistenze  ottimali di gestione i tassi di prelievo dovrebbero essere direttamente proporzionati alle densità in modo da garantire l’ulteriore crescita delle popolazioni.

Nell’Italia centro-meridionale il capriolo versa in uno stato di conservazione estremamente precario e risulta prioritaria la messa in atto di azioni tese da una parte a salvaguardare i nuclei autoctoni residui, favorendone l’espansione e dall’altra lo sviluppo di programmi di reintroduzione ovunque gli enti gestori siano in grado di ridurre in maniera significativa il bracconaggio ed il randagismo canino, che rappresentano i principali fattori limitanti per il successo di tali programmi.