Dario Fo, Nobel 97: Biografia

 

 

Ecco un biografia di Dario Fo, Nobel '97 per la letteratura. Purtroppo non ricordo le fonti :-(
Più giù nella pagina: A proposito di Dario Fo, giullare e vate disoccupato.
 
 

Dario Fo nasce nel 1926 a S. Giano in provincia di Varese; suo padre un ferroviere, sua madre una contadina. Nasce in una famiglia proletaria, di tradizioni democratiche e antifasciste. Del primo periodo della sua vita parlerà in questi termini lo stesso Fo, in appunti inediti del 1960:

"Ne sono certo, tutto comincia da dove si nasce. Per quanto mi riguarda, io sono nato in un piccolo paese del Lago Maggiore, al confine con la Svizzera. Un paese di contrabbandieri e di pescatori più o meno di frodo. Due mestieri per i quali, oltre una buona dose di coraggio, occorre molta, moltissima fantasia. E' risaputo che chi usa la fantasia per trasgredire la legge, ne preserva sempre una certa quantità per il piacere proprio e degli amici più intimi. Ecco perché, cresciuto in un simile ambiente, dove ogni uomo è un personaggio, dove ogni personaggio cerca una storia da raccontare , mi è stato possibile entrare nel teatro con un bagaglio piuttosto insolito e, soprattutto, vivo, presente e vero; come vere sono le storie inventate da uomini veri.

Forse sembrerà un po' gratuita la provenienza di cui sopra, circa quel certo surreale, fantastico, grottesco che è alla base dei miei lavori. Forse non tutto nasce di lì, ma è certo che dai miei compaesani ho imparato a guardare e leggere le cose in quel certo modo.

Quando, giovanissimo, arrivai in città (in Lombardia per città si intende Milano) non potei fare a meno di usare gli occhi alla maniera dei contrabbandieri, cioè classificando tutto in personaggio e coro, in costruttori di storie (autori) e in ripetitori (attori). Con ancora l'aggiunta di un enorme piacere nel ravvisare il grottesco, il rovesciamento, l'illogico".
A Milano giovanissimo, frequenta l'accademia di Brera. Si iscrive alla facoltà di architettura del Politecnico, che frequenta fino a sette esami dalla laurea. Sono anni di entusiasmo per un ambiente nuovo e in movimento, per le "Scoperte", per i rapporti umani che si aprono e gli crescono intorno. Dario Fo si inserisce nella città (che molti anni dopo definirà in una canzone "la brutta città che è la mia") con un profondo istinto per la partecipazione attiva e creativa nel rapporto con gli altri, un forte senso del positivo, della realtà concreta, una sana voglia di vivere che rifiuta ogni atteggiamento di introversione, di abbandono decadente.

Si porta addosso la fantasia dei "fabulatori" che giravano intorno al lago Maggiore:

"Giravano il lago Maggiore dalle mie parti, dove sono nato, raccontando nelle piazze, nelle osterie, strane storie, un poco ingenue, un poco matte. La semplicità era la loro caratteristica. Le loro storie erano semplici iperboli desunte dall'osservazione della vita quotidiana, ma al di sotto di queste storie "assurde" si nascondeva la loro amarezza; l'amarezza di una gente delusa e di una satira acerba - rivolta al mondo ufficiale - che forse pochi coglievano. Raccontavano, sempre in prima persona, di strani pescatori che, dando troppa forza al lancio della lenza pescavano dall'altra parte campanili; di strani corridori su barche, che si dimenticavano di mollare gli orrneggi e arrivavano al traguardo logicamente secondi; persone che gareggiavano nella corsa con le lumache e quando la lumaca, per arrivare prima, si sfracellava contro una pietra, si commuovevano e, cavallerescamente, non si sentivano più di raccoglierla per mangiarla; di strani esploratori del mondo sottomarino dove scoprivano un paese "tel-quel sura " (tale quale sopra), ma immobile e pulitissimo con tutti i suoi personaggi.

Poi, studiando architettura, mi sono interessato alle chiese romaniche. Rimasi stupito come opere così poderose potessero essere espressione non di intellettuali o artisti con l'A maiuscola, ma di semplici scalpellini, di semplici operai e muratori, ignoranti e analfabeti. Scopersi improvvisamente una cultura nuova. vera: la forza creatrice di coloro che sono sempre stati definiti i "semplici" e. gli "ignoranti", che sono sempre stati i "paria" della "cultura ufficiale" .

E' in questo periodo che dipinge molto e frequenta Morlotti, Cassinari, conosce Vittorini; sono gli anni del "Politecnico", in cui si vuole decisamente rompere con il tradizionale provincialismo culturale, nell'immediato dopoguerra, e si ricerca un'apertura a livello europeo.

E' in questo stesso periodo che Dario Fo inizia a improvvisare storie, che lui stesso recita, in chiave farsesca e satirica; il bersaglio principale sono le idiozie e le banalità della cultura scolastica, una storia in cui gli "scalpellini" delle chiese romaniche non hanno alcun posto e in cui si susseguono personaggi boriosi e ridicoli in una dimensione di cartapesta, privi di qualsiasi umanità concreta, gonfi di retorica astratta.

Tutto il periodo ruota su alcuni cardini: l'infrazione alla norma ed al conformismo, la provocazione del potere, il gusto della sorpresa, una specie di risarcimento rispetto alla quotidianità subita. Risentimento e astuzia ironica ne fanno un personaggio straniato, aggressivo e fantasioso rispetto al mondo grigio e stupido del diritto di proprietà, del potere, della "storia tramandata". Il personaggio prende coscienza di sé, si determina un brusca inversione, dallo spettacolo nella vita alla vita nello spettacolo.

Le elezioni del '48 servono a Fo per ricreare all'interno dello spettacolo "Ma la Tresa ci divide" le tensioni e le ansie dello scontro politico. La disputa tra paesi confinanti e di opposta fede politica sulla proprietà di una mucca è il filo conduttore per varie "scenette" a chiave che avvaloravano i diritti del paese rosso.

Conosciuto da Franco Parenti, Fo viene introdotto alla RAI, dove inizia una vera e propria attività di produzione; siamo nel 1952, per diciotto settimane Fo scrive e recita per la radio le trasmissioni del "Poer nano", monologhi in cui viene portata avanti una spassosa demistificazione di situazioni e personaggi calati in una dimensione di gioco grottesco, di ruoli rovesciati: al bell'Abele, fine e aristocratico, prediletto da Dio e dalla natura, si contrappone il goffo Caino, "emarginato" e incapace di portare a termine qualsiasi buona intenzione; con le sue grosse mani sciupa ogni cosa, finche, giustamente arrabbiato, ammazza l'Abele con una bastonata.

Nel 1952 i testi del "Poer nano" vengono rappresentati al Teatro Odeon di Milano. E' il primo contatto di Fo con il teatro ufficiale, ed è da questo momento che - conclusasi la collaborazione con la radio (che tra l'altro limitava fortemente le capacità espressive dell'attore Fo) - entra in rapporto di lavoro con autori come Franco Parenti e Giustino Durano.

"Erano storie assurde, commenta Fo, ma con dentro dei temi ben precisi: l'ironia sui luoghi comuni e la liturgia della gente perbene, l'astio e l'orrore per il mondo dei ricchi, l'amarezza e la ribellione per la propria condizione, il senso della paura e del bisogno"

Dalla collaborazione con Parenti e Durano nasce "Il dito nell'occhio" (1953). E' uno spettacolo di rottura nel campo della rivista tradizionale; la satira sociale e politica vi si affermano con chiarezza. All'interno di una carrellata che abbraccia l'intera storia dell'umanità, si ride sui valori di cartapesta della storiografia ufficiale, vengono colpiti sui loro piedistalli gli "eroi" , a cui viene contrapposto il buon senso, lo sghignazzo.

Una rivista assolutamente "nuova", che della rivista tradizionale ha stravolto tutti i caratteri, e che viene accolta con entusiasmo dai giornali della sinistra.

L'anno successivo, nel 1954, Fo, Durano e Parenti, ancora insieme, presentano "Sani da legare", che sviluppa il discorso del "Dito nell'occhio", portando l'arma della satira nella vita quotidiana dell'Italia della "legge truffa".

Il testo viene massacrato dalla censura di Scelba.

La repressione nei confronti del gruppo provoca la fine della collaborazione "a tre". Durano torna alla rivista tradizionale, Parenti incontra grosse difficoltà di reinserimento nella RAI ed anche in, semplici compagnie, Fo avvia un periodo di esperienze nel campo del cinema: scrive con altri e recita nel film "Lo svitato" (regia di Lizzani), storia "buffa" di un reporter ingenuo e impacciato, continuamente in corsa nel caos della grande città, Milano. Con Age, Scarpelli, Pietrangeli, Pinelli, lavora a varie sceneggiature.

Da questo primo periodo di attività, di esperienze teatrali e cinematografiche, nascono le "farse", attraverso cui Fo tenta un primo esplicito legame con una tradizione di teatro sviluppatasi a margine del teatro ufficiale, la tradizione che affonda le sue radici lontane nella "commedia dell'arte".

Nel 1959 Dario Fo e Franca Rame decidono di organizzarsi in "compagnia"; dal 1959 al 1967, Fo scrive, mette in scena e recita nelle "commedie" : "Gli arcangeli non giocano a flipper" (1959-1960), "Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri" (1960-1961), "Chi ruba un piede è fortunato in amore" (1961-1962), "Isabella, tre caravelle e un cacciaballe" (1963-1964), "Settimo: ruba un po' meno" (1964-1965), "La colpa è sempre del diavolo" (1965-1966), "La signora è da buttare" (1967-1968).

E' il periodo cosiddetto "borghese" dell'attività di Fo, "borghese" perché si agisce all'interno del teatro borghese, davanti ad un pubblico sostanzialmente borghese.

Ma è proprio in questo periodo che Fo, spettacolo dopo spettacolo, precisa il significato del suo teatro sempre più "politico", precisa l'esigenza di ricollegarsi fino infondo alla cultura popolare, sempre meno lontana, nei testi medioevali che saranno reinventati in "Mistero Buffo", e sempre più individuata nel presente, nel movimento reale della lotta di classe.

E' in questo periodo che l'ironia, il grottesco, diventano armi di critica, e i bersagli inizialmente solo intravisti (le banalità della cultura ufficiale, i Garibaldi di cartapesta) vengono individuati, per poi essere colpiti con sicurezza.

Così la critica alla "burocrazia" statale in "Gli arcangeli non giocano a flipper" diventa critica dello stato borghese e dell'imperialismo americano in "La signora è da buttare".

All'interno di questo periodo, due esperienze centrali. "Canzonissima" (1962) e lo spettacolo "Ci ragiono e canto n. 1" (1966). La collaborazione con la televisione aveva già portato Fo a recitare, nel gennaio 1959, nella commedia "Monetine da cinque lire". Ma è con la nascita del primo governo di centro-sinistra che Fo viene chiamato a lavorare in televisione: vengono rappresentate cinque delle sue "farse", quindi gli viene affidata la direzione di una rivista musicale "Chi l'ha visto?". Nella trasmissione televisiva vengono affrontati temi di attualità, messi in ridicolo i luoghi comuni del qualunquismo. Subito dopo, a Fo viene affidata la più popolare trasmissione televisiva, "Canzonissima".

Sono pocbi mesi di "apertura" dell'ente di stato, in coincidenza con la fase iniziale del centro-sinistra. Nelle sue trasmissioni Fo mette sotto accusa gli industriali, il clero, la mafia, parla dei problemi di vita delle masse popolati; la satira rimane l'arma principale di comunicazione.

Ma ben presto I' "apertura" nei confronti di Dalio Fo si chiude, in occasione di uno sketch sulle speculazioni degli impresari edili, proprio mentre nel paese è in corso una dura lotta dei lavoratori di questo settore. La censura televisiva fa a pezzi il copione della trasmissione, Datio Fo e Franca Rame respingono il ricatto e denunciano la repressione dell'ente di stato nei loro confronti.

L'esperienza di Canzonissima è stata importante per Fo non solo in quanto è stata per lui una "lezione pratica" sulla natura profondamente reazionaria dello stato e dei suoi strumenti di oppressione e controllo delle masse popolari; è stata soprattutto importante perchè‚ quel contatto con milioni di telespettatori ha posto in maniera evidente a Fo il problema del "pubblico"; per ora si tratta essenzialmente di una esigenza di "teatro per molti", di teatro "non per pochi".

Sarà dopo l'esperienza del "Ci ragiono e canto n. 1", e su spinta del movimento di lotta, che Fo si porrà il problema del "pubblico" in termini nuovi, in termini di necessità di uscire dal "teatro borgbese" e riportare "alle masse" quei contenuti culturali che sempre più chiaramente "dalle masse" imparerà a recepire ed esprimere.

Nel periodo 1959-1967, a fianco delle "commedie", Fo cura adattamenti e regie di testi teatrali "Gli amici della battoneria" (1963), "La passeggiata della domenica" (1967), produce numerose canzoni (particolarmente importante la collaborazione con Jannacci con cui allestirà nel ,1967 uno spettacolo, componendo in quest'occasione alcune fra le sue canzoni più note ("Prete Liprando e il giudizio di Dio", "L'Armando", "Veronica" ecc.).

Nel 1966 allestisce "Ci ragiono e canto", spettacolo sulla ricchezza della cultura popolare attraverso i suoi canti. Collabora con cantori popolari, dal gruppo "Padano di Piadena" al gruppo sardo dei "Galletti di Gallura" di Aggius.

In un intervista del 1967, dice: "Non è un caso che io mi sia rifatto a una nostra tradizione, ai gesti della commedia dell'arte e alle musiche antiche popolari, in quanto ritengo che a teatro, tanto più si va sperimentando verso il nuovo, tanto più occorre affondare nel passato...ed a me interessa soprattutto un passato che sia attaccato alle radici del popolo...sulla base del concetto del "nuovo nella tradizione" al quale sono legato." E criticando gli sperimentalismi astratti di chi ricerca "il nuovo per il nuovo", dice: "Io temo il gratuito, quello cioé che viene offerto per se stesso come fonte di dilettazione personale o di fantasia intellettuale o di indiscrezione tra pochi, e anch'io a suo tempo ho ceduto a questa tentazione, ma me ne sono allontanato ben presto, dopo avere subito varie crisi di maturazione in questa direzione; perché mi sono reso conto che per quella via non soltanto non avrei progredito teatralmente, ma anche sarei andato contro il mio modo di sentire e di vedere il mondo, e quindi di proiettarmi verso il pubblico".

Negli anni 1966-1967 in Dario Fo si afferma la consapevolezza che l'enorme ricchezza culturale del popolo, sistematicamente oppressa dalle classi dominanti, deve tornare al popolo; il passato deve integrarsi con il presente e con il futuro del movimento di lotta. E' la sua sensibilità al nuovo che lo porterà da artista "amico del popolo" ad artista al servizio del movimento rivoluzionario proletario, "giullare" del popolo, in mezzo al popolo, nei quartieri, nelle fabbriche occupate, nelle piazze, nei mercati coperti, nelle scuole.

E' così che al termine della stagione teatrale 1968-1969 la "compagnia Fo-Rame", si scioglie, e viene costituita la "Associazione Nuova Scena", che afferma nel proprio statuto di porsi "al servizio delle forze rivoluzionarie non per riformare lo stato borghese con politica opportunista, ma per favorire la crescita di un reale processo rivoluzionario che porti al potere la classe operaia". La rivoluzione culturale in Cina, il maggio francese, il movimento di lotta in Italia hanno avuto una ripercussione 'immediata in Dario Fo, in Franca Rame e nei compagni che lavorano con loro: viene deciso di aprire "fuori del teatro borghese", sul circuito teatrale del PCI, l'ARCI.

Nel 1968 Fo scrive e mette in scena "Grande pantomima con bandiere e pupazzi piccoli, grandi e medi", sulla continuità dello stato dal fascismo alla "repubblica democratica", sulla lotta di classe fra il "drago" del proletariato ed il "pupazzone" della borghesia. Non mancano accenni di critica all'Unione Sovietica della "coesistenza pacifica". Chiarissimo il collegamento con il teatro popolare nell'uso delle maschere, dei burattini, delle marionette.

Nel 1969, "Ci ragiono e canto n.2", in cui viene portato avanti il collegamento tra la cultura popolare del passato e la lotta del proletariato urbano del presente: vengono così inserite canzoni di lotta, in gran parte scritte da Fo, da "Povera gente" ad "Avola" a "Non aspettar San Giorgio".

Alla stagione teatrale 1969-1970 appartengono inoltre "Mistero buffo", "Legami pure che tanto spacco tutto lo stesso", "L'operaio conosce 300 parole, il padrone 1.000, per questo lui è il padrone" (critica al PCI che perde la sua indetità di partito rivoluzionario). In "Mistero buffo" si sviluppa e approfondisce la ricerca di Dario Fo sulle origini della cultura popolare. Per più di tre ore si susseguono testi medioevali liberati dalle incrostazioni aristocratiche, reinventati, recitati in dialetto ("padano") di sapore arcaico, da un "giullare" del popolo che riesce a coinvolgere il "pubblico" in uno spettacolo corale di straordinaria efficacia, di satira violenta degli antenati dei padroni di oggi. Questo spettacolo, che sarà sviluppato in edizioni successive si affermerà come lo spettacolo più popolare di Dario Fo, continuamente richiesto nelle situazioni di lotta più diverse.

Nello stesso tempo, "Mistero Buffo" è un discorso di metodo: contro la storiografia borghese, in cui la borghesia racconta dal proprio punto di vista le imprese dei propri "eroi" e contro la storiografia revisionista che attraverso una lettura sociologica di Marx riconosce l'esistenza delle classi e nella lotta di classe la molla dello sviluppo storico, ma non sottopone a ribaltamento critico la storia passata, per ribaltare la storia presente (senza cioè affermare la necessità della "dittatura del proletariato" sulla borghesia), in "Mistero Buffo" si pone concretamente, nella pratica dell'operazione svolta, la necessità insostituibile, irrinunciabile, di conoscere "da dove veniamo" per sapere "dove andare", secondo il concetto gramsciano, che significa conoscere la dinamica dello scontro di classe nel suo sviluppo storico, non in una dimensione statica di astratta constatazione sociologica.

Nell'ottobre 1970, Fo e gli altri compagni si costituiscono in "Collettivo Teatrale la Comune" e lanciano la proposta di un "circuito culturale alternativo" della sinistra rivoluzionaria, alternativo non più soltanto alla borghesia ma anche ai revisionisti. Questa radicale scelta di campo colloca Dario Fo, Franca Rame e i compagni che lavorano con loro in una dimensione di militanza politica sul fronte della cultura, con dichiarata funzione di sostegno al lavoro politico delle organizzazioni rivoluzionarie costituite in quegli anni dalla sinistra extraparlamentare.

Alla cultura borghese vanno contrapposti i valori profondi della cultura del popolo, nella sua integrazione tra passato e presente, alla luce delle esperienze internazionali del proletariato. In questa visione la rivoluzione culturale cinese diventa il punto di riferimento principale dell'attività di Fo e della Comune.

Un ruolo importante nel preparare le masse alla rivoluzione gioca la controinformazione contro le continue manovre mistificatorie della borghesia, contro una interpretazione "di parte" della realtà quotidiana.

All'indomani del "suicidio" del ferroviere Pinelli , Fo mette in scena lo spettacolo "Morte accidentale di un anarchico" che prende spunto da un episodio accaduto in America di un anarchico scaraventato a forza dalle finestre della questura centrale di New York.

Solo l'enorme consenso di massa che lo spettacolo conquista in pochi mesi riesce a salvarlo dalla repressione della polizia e della magistratura, impotenti di fronte ad uno spettacolo che "dice tutto" senza esplicitare nomi e cognomi, stabilendo un rapporto immediato e diretto con l'intelligenza critica del pubblico.

E' lo stesso Fo a spiegare il perché di "Morte accidentale di un anarchico" come farsa tragica.

"Noi facciamo del teatro popolare. Il teatro popolare ha sempre usato del grottesco, della farsa - la farsa è un'invenzione del popolo - per sviluppare i suoi discorsi più drammatici. Perché la risata rimane veramente nel fondo dell'animo con un sedimento feroce che non si stacca più. Perché, la risata fa evitare uno dei pericoli maggiori, che è la catarsi... Partendo dall'VIII secolo in poi, si ritrovano sempre storie drammatiche raccontate in forma grottesca. Questo in tutta la tradizione. Se poi andiamo con i greci, ancora di più. I romani lo stesso...Noi non vogliamo liberare dalla indignazione la gente che viene. Noi vogliamo che la rabbia stia dentro, resti dentro e non si liberi, e che diventi operante con lucidità nel momento della lotta."

I dibattiti che seguono allo spettacolo sono tra i più accesi: sulla necessità di opporre al riformismo una strategia rivoluzionaria, perché "lo stato borghese si abbatte e non si cambia", sulla necessità di organizzarsi, senza perdere un giorno, per opporre al potere un contropotere rivoluzionario. Per sostenere il dibattito e il processo di presa di coscienza su questi problemi, la "Comune" si impegna anche in un'attività di circolazione di materiale politico: stampa, e diffonde durante gli spettacoli, gli articoli del partito comunista cinese contro il revisionismo togliattiano.

La critica alla politica di Togliatti viene portata avanti attraverso una approfondita disamina della lotta di classe in Italia nel periodo 1911-1922 e si esplica nello spettacolo "Tutti uniti, tutti insieme! Ma scusa, quello non è il padrone?".

Nel titolo la critica alla linea interclassista portata avanti dal PCI, la linea della collaborazione fra proletariato e "ceti medi produttivi" per una "democratizzazione" della società istituzionale. "Tutti uniti?" si, ma contro il padrone. Contro l'unità interclassista, unità di classe.

Ancora Fo sul perché della messa in scena di "Tutti uniti! Tutti insieme!...".

"Girando per le Camere del Lavoro, nei saloni delle cooperative, dove la classe operaia ci invitava ai dibattiti, sempre saltava fuori questo periodo storico: gli anni dal 1911 all'avvento del fascismo. E anche molti vecchi che avevano vissuto questo periodo dimostravano nei loro interventi di non aver acquisito la coscienza del significato storico di quegli anni. Da qui la necessità di una informazione anzitutto, previa ricerca approfondita. Noi che siamo usciti dal teatro borghese per metterci al servizio della 'classe' avevamo l'obbligo di sviluppare questo discorso, di sciogliere questo nodo perché è l'origine della storia di tutto il movimento operaio in Italia"

A fianco degli spettacoli prosegue il lavoro di costruzione del "circuito teatrale aternativo". Alla fine del '71 sono già un centinaio i circoli "La Comune" che in varie città si sono costituiti, su iniziativa del collettivo teatrale. I circoli nascono come momenti unitari in cui si uniscono le varie organizzazioni della sinistra extraparlamentare della città o del paese.

Nella stagione 1971-1972, Dario Fo e Franca Rame scrivono e mettono in scena: "Morte e resurrezione di un pupazzo", "Fedayn", "Ordine per DIO.OOO.OOO.OOO!".

"Morte e resurrezione di un pupazzo" è la riedizione de "Grande pantomima con bandiere e pupazzi piccoli, grandi e medi" del '68. Viene mantenuta la chiave teatrale del "pupazzone", lo stato borghese nella sua continuità dal fascismo al dopoguerra, al regime democristiano, strumento della borghesia contro il "drago" del proletariato.

Lo spettacolo è mordente, violento, duro; la satira non permette respiro, c'é troppo sangue nell'Italia del 1972, le manovre golpiste della borghesia si sono intensificate, il terrorismo fascista sta per svilupparsi con una cruenza senza precedenti, coperto dai "corpi separati dello stato", dalla polizia, dalla magistratura.

Nel capannone di Via Colletta ogni sera si raccolgono fondi di "soccorso rosso" per sostenere i compagni, i lavoratori, gli studenti che continuamente vengono arrestati. "Soccorso rosso" che da attività di solidarietà militante con i compagni colpiti dalla repressione, dal 1972 si svilupperà in organizzazione di sostegno al movimento di lotta nella carceri.

Con "Fedayn", Fo porta in scena le testimonianze del popolo palestinese da sempre costretto a subire gli attacchi degli israeliani.

Il periodo dal 1970 al 1972 rappresenta un momento di crisi. E' necessario far evolvere il collettivo verso nuove forme di rappresentazione superando il concetto di teatro itinerante e portando i circoli ad essere momenti di produzione e intervento, espressione delle diverse situzioni locali per diventare centri di iniziativa e non "botteghini teatrali".

Del periodo è lo spettacolo "Pum! Pum! Chi é? La polizia!" con il quale viene portato avanti il discorso iniziato con la messa in scena per la morte del compagno Pinelli. Dura la repressione dello Stato. Di Fo e Franca Rame si occupa la magistratura ipotizzando collegamenti con le Brigate Rosse e denunciando l'attività sovversiva di "Soccorso Rosso" nelle carceri.

A Milano nel quartiere periferico di Quarto Oggiaro, teatro di forti tensioni sociali, con frequenti scontri tra gli occupanti delle case e la polizia viene affittato un cinema nel quale rappresentare gli spettacoli della "Comune". Per la prima volta si tenta di stringere un rapporto forte tra il teatro e la strada, il quartiere attraverso nuovi strumenti di propaganda come il "giornale parlato" (una macchina attraversa il quartiere e via megafono riporta le principali notizie alternate da canzoni di lotta e testimonianze).

E' in questa situazione di aperto scontro tra la "Comune" e il potere che, nel 1973, Franca Rame viene sequestrata da un commando fascista, a due passi dalla sede della DC e da un caserma della "Celere", per essere percossa e violentata.

Sul piano della produzione il lavoro va avanti: viene messa in scena una terza edizione di "Ci ragiono e canto" che segna l'inizio della collaborazione di Fo con Ciccio Busacca, il più popolare cantastorie siciliano, che da anni presenta le sue ballate nelle piazze del sud, canta la morte dei sindacalisti assassinati dalla mafia, la tragedia dell'immigrazione...

A causa di contrasti interni, Fo viene accusato di soffocare la creatività degli altri, alcuni "scissionisti" tra i quali lo stesso Fo e Franca Rame insieme a pochi altri si allontanano dalla "Comune".

Stanchezza, amarezza, la fatica accumulata in anni e anni di scontri, rotture spesso violente sullo stesso terreno della sinistra extra-parlamentare portano Fo ad un breve ma sofferto periodo di crisi.

Nel 1973 scatta il colpo di stato in Cile; Il governo di "Unidad Popolar" costantemente indicato dal PCI come esempio di "passaggio pacifico al socialismo" crolla tragicamente sotto i colpi della reazione interna, armata dalla CIA.

Lo spettacolo di Fo "Guerra di popolo in Cile" vuole essere insieme una denuncia delle stragi fasciste ed insieme la testimonianza di come non siano possibili accordi "pacifici" con la DC. La traslazione della storia dal Cile in Italia avviene, in scena, attraverso la simulazione di un colpo di stato durante lo spettacolo. Eccezionale il coinvolgimento degli spettatori con reazioni di ribellione e sgomento nei momenti di maggiore tensione.

A Sassari per la rappresentazione, come sempre, viene affittato un cinema. La Questura, ponendosi al di fuori della stessa legge che riconosce ad un cinema affittato la qualifica di circolo "privato", fa ingresso con la forza al'interno del locale. Lo spettacolo viene sospeso, si trasforma di assemblea contro la presenza della polizia. Il giorno successivo, dovrebbe essere rappresentato "Mistero Buffo", la polizia arriva in forze prima ancora dell'inizio dello spettacolo. Dario Fo ed altri si oppongono all'ingresso dei poliziotti. Ha inizio la carcerazione di Dario Fo e l'immediata mobilitazione popolare a favore di un immediato rilascio. Dopo soltanto 19 ore, grazie alla protesta di migliaia di persone che si riconoscono nei contenuti che porta avanti, Fo è di nuovo libero.

Nel 1974 la "Comune" porta in Francia la rappresentazione di "Mistero Buffo".

In una carrellata veloce dal 1975 ad oggi, troviamo Fo di nuovo in televisione con "Il teatro di Fo" nel 1977 (ben 15 anni di esilio!) e poi con la trasmissione degli ultimi spettacoli.

L'assenza di biografie aggiornate rende questa sezione incompleta. Visto l'enorme interesse che ha suscitato l'assegnazione del Nobel, la case editrici non mancheranno di pubblicare nuovo materiale.

"Il Premio Nobel per la Letteratura viene assegnato a Dario Fo perchè, insieme a Franca Rame, attrice e scrittrice, nella tradizione dei giullari medievali, dileggia il potere e restituisce la dignità agli oppressi".
L'Accademia di Svezia

"In tutt'Italia Fo è conosciuto come attore, poco come 'autore'. Invece in tutto il mondo i suoi testi sono conosciuti e rappresentati. E' un premio meritato".
Umberto Eco

"Come Molière, Fo ha usato il riso come arma contro i bigotti".
Le Monde




A proposito di Dario Fo, giullare e vate disoccupato.

Dario Fo è con Umberto Eco il rappresentante dell’arte italiana contemporanea più noto all’estero.

Da decenni ormai le sue commedie riscuotono ovunque successo, sia sulle scene del Broadway che sui palcoscenici europei più prestigiosi, sia nei teatri radical-chic sperimentali più famosi come il Neumarkt di Zurigo che all’aperto ad Hallein, nell’ambito del festival di Salisburgo, sia nei teatrini di scuole che in circoli operai.

Questo fenomeno può stupire soprattutto se si considera che i testi di Fo rompono con qualsiasi tabù politico e sociale e con tutte le regole del decoro. I suoi testi esilaranti, spesso scritti o ideati con sua moglie Franca Rame, hanno suscitato regolarmente scandali e provocato numerosi tentativi di censura culminati nell’uso della forza fisica nei loro confronti. In questi ultimi anni però Fo tace: il suo compito di commentatore sarcastico e satirico della società e della politica italiana diventa sempre più arduo.

Giustamente Jan van der Putten osserva a proposito delle vicende intorno alle dimissioni di Di Pietro nel Volkskrant del nove dicembre 1994:

' Il maestro Dario Fo è stato battuto sul proprio campo da Silvio Berlusconi & Co. Il mostro sacro del teatro ha con molto successo saputo infondere nuova vita alla vecchia opera buffa [ci si riferisce alla messinscena amsterdamese dell' "Italiana in Algeri", n.d.a.]. Ma l'attuale presidente del consiglio e i suoi amici, i nuovi interpreti di questo genere arcicomico, hanno soppiantato il maestro. L'ultima opera in cui eccellono si chiama "Lutto per Antonio di Pietro, ovverosia la valle di lacrime di coccodrillo" '

Negli anni sessanta e settanta la società italiana aveva bisogno di personaggi come Dario Fo e Leonardo Sciascia (altro personaggio scomodo che alla fine si trovò contro tutti), che esplicavano, tramite l’analisi dialettica della situazione politica e socio-culturale e soprattutto del linguaggio eufemistico e accomodante di cui si avvale tuttora la classe politica, per mostrare il marciume, le fallacie logiche, le segrete connivenze fra le classi dominanti e i favoreggiamenti che si celavano, non troppo in fin dei conti, sotto il perbenismo politico.

Commedie come "Morte accidentale di un anarchico" – questa pièce sull’improbabile suicidio del presunto terrorista anarchico Pinelli durante un interrogatorio in seguito alla strage di piazza Fontana a Milano (11 dicembre 1969) è, insieme con la giullarata Mistero buffo, il capolavoro di Fo – non sono altro che il coerente accorpamento di tutti i dati e di tutte le comunicazioni ufficiali, sempre contrastanti e sconcertanti, se raccolti sistematicamente, e segno dell’arroganza del potere.

Gli interventi di Fo sull’argomento sono tipici della Commedia dell’arte e della tradizione comica italiana così come della più feroce satira politica tedesca: la forma rende il testo umoristico, esilarante, irresistibile e nel contempo mette a nudo i soprusi del potere e la crudeltà inarrestabile della burocrazia, la fabula vera e propria invece è desunta dalla realtà.

Ora invece la situazione politica è diventata di per sé così assurda, che qualsiasi intervento di Fo, nonostante le esagerazioni satiriche, non potrà avere più quell’effetto rivelatore di vent’anni fa. La commedia "Settimo: ruba un po’ meno" del 1964 che si occupa del problema delle tangenti e della corruzione verte intorno alla vendita del terreno di un cimitero con il successivo trasferimento dei cadaveri e l’automazione del processo di sepoltura.

Gli scandali che ormai travolgono l’Italia da alcuni anni hanno rivelato intrallazzi, intrighi e mosse economiche decisamente più macabri: quello che una volta poteva passare per satira (e quindi come esagerazione retorica della realtà) ora viene semplicemente scavalcato dalla realtà ancora più assurda e tenebrosa (si pensi al ministro della sanità De Lorenzo).

In questi ultimi anni Fo si è occupato soprattutto di didattica teatrale: ha pubblicato lo splendido Manuale minimo dell’attore nel 1987 e si è dedicato alla messinscena di opere buffe di Rossini come Il barbiere di Siviglia e ultimamente l’Italiana in Algeri che vedete in questi giorni all’opera di Amsterdam.

Il successo italiano e internazionale così duraturo è sorprendente. I contenuti iconoclasti, politici, per non dire spietati, sono tutt’altro che facilmente adattabili alle aspettative dello spettatore medio. Inoltre sembrano riflettere contenuti provinciali nel senso che interessano solo l’Italia e certi aspetti settoriali della società peninsulare. Si deve quindi desumere che nei testi di Fo devono esistere anche altri piani importanti in grado di accattivare i più disparati pubblici.

Prendiamo in esame alcuni dati biografici che hanno condizionato la poetica teatrale di Fo, nato nel 1926 a San Giano sul Lago Maggiore da una famiglia di umili origini. Da giovane frequentava spesso i bar del paese dove ascoltava le affabulazioni grottesche e caricaturali dei pescatori e dei contrabbandieri.

Come Ariosto questi descrivevano e commentavano la propria condizione di vita dura attraverso la narrazione straniante, fantastica e grottesca della realtà. Un simile influsso esercitò suo zio, un venditore ambulante, che accattivava l’attenzione dei suoi clienti con le sue storie e con la sua lingua efficace, diretta, sempre in contatto con la realtà del suo pubblico.

Più tardi, ormai studente di architettura a Milano, Fo rimase stupito dalla creatività degli ignoti scalpellini che crearono tutto l’immaginario scultorio del Duomo.

Per Fo questi elementi erano segno che l’arte non è elitaria, per pochi iniziati, e che l’arte non deve essere didattica, nel senso che l’autore deve dirozzare un pubblico ovviamente meno intelligente e colto di lui. Anzi, la gente ‘semplice’ è secondo la concezione di Fo altrettanto in grado di creare arte efficace ed esteticamente completa. Spesso l’arte viene solo usurpata dalla classe dominante che si appropria delle opere del popolo e che così le sottrae alla loro sfera e destinazione. I testi di origine popolare sono acuti, rivelatori, il che mostra che anche la gente ‘semplice’ è perfettamente in grado di esaminare e di intendere la propria situazione.

Presto lo studente Fo cominciò a recitare. Si trovò subito nel giro del varietà e dell’avanspettacolo.

Nel frattempo incontrò Franca Rame, figlia di una vecchia famiglia di commedianti itineranti che possedevano ancora vecchi canovacci. Un canovaccio traccia sommariamente l’azione e i personaggi di una commedia o di una tragedia.

Alcune parti, dialoghi, monologhi, momenti di transizione ecc., sono più o meno già elaborati e possono essere usati senza cambiamenti, il resto, soprattutto la realizzazione testuale, viene improvvisato. Le compagnie teatrali di una volta, soprattutto quelle che operavano in provincia, non usufruivano di infrastrutture stabili e viaggiavano di paese in paese. Erano confrontati con il problema di dover accattivare il pubblico, di convincerlo ad assistere alle rappresentazioni: i canovacci permettevano a una compagnia teatrale esperta di mettere in scena testi attuali in poche ore.

Bastavano pochi interventi per costruire parallelismi tra vicende che scuotevano un paese in cui si recitava, ad esempio un assassinio o un furto, e i contenuti di un canovaccio già esistente. I canovacci permettevano quindi di creare rapidamente nuovi testi drammatici perché si basavano sull’esperienza degli attori e al contempo offrivano dei moduli drammatici collaudati nel tempo e di sicura presa sul pubblico.

Fo ebbe la fortuna di poter studiare questi canovacci, testimonianze di un’antica cultura ormai estinta, di verificare la loro efficienza e di adattarli alle nuove esigenze. Per noi oggi, i canovacci sono principalmente legati alla Commedia dell’arte cinque e secentesca, un’altra forma teatrale studiata da Fo nel suo intento di recuperare forme d’arte popolari, travolti dell’estetismo e da una concezione artistica elitaria.

Fo si cimentò nei generi popolari più disparati: varietà, avanspettacolo, Cabaret, trasmissioni radiofoniche di successo, progetti cinematografici.

Nel 1964 venne affidata a lui e a sua moglie la conduzione di uno dei programmi più noti della RAI: Canzonissima. La coppia scrisse vari sketch impegnati che trattavano comicamente, ad esempio, le condizioni di lavoro delle casellanti. Ciò suscitò il malumore della direzione della RAI e dunque dei partiti politici al potere, nonostante il grande successo di pubblico.

Gli effetti non si fecero attendere: Fo e Franca Rame vennero esautorati e furono in seguito vittime di varie forme di censura come il divieto di usare i teatri comunali. Non sorprende che in un primo momento la coppia Rame e la loro compagnia teatrale fosse sostenuta dal PCI, anche se la verve comica e dissacrante, e quindi individualistica e in fin dei conti liberale, non poteva che portare presto alla rottura anche con i partiti della sinistra istituzionale.

In questi anni la coppia Fo e Rame organizzò varie compagnie teatrali, collettivi, ecc., e misero in scena i loro successi più significativi. Negli anni '80 si aprirono di nuovo le porte della RAI, grazie a una trasmissione nazional-popolare: il leggendario show del sabato sera Fantastico condotto da Adriano Celentano.

Quest’ultimo ruppe in pratica l’ostracismo nei confronti della coppia e invitò ad esempio Franca Rame a recitare il monologo sullo stupro in diretta, senza censure o interventi.

Da questi dati vediamo che l’elemento della popolarità è importante per capire Fo, così come la nozione di popolo.

Non dobbiamo intendere questi due aspetti come espressioni di un certo folklore comunista in auge negli anni sessanta, anche se Fo vi ha sguazzato, troppo dirompente è questo eccelso attore da poter essere imbrigliato in camici di forza ideologici, nonostante le apparenze.

Fo non ha paura dei mass media, non ha paura dei grandi contenitori televisivi come Fantastico o Canzonissima, non diffida del cinema o di altre forme d’arte considerate minori o pericolosi, volgari o asserviti al potere, e comunque anche evitate dagli intellettuali di ogni colore.

Qualsiasi oggetto, qualsiasi argomento, qualsiasi genere è necessariamente impegnato e politico: parafrasando Fo si può facilmente constatare che le commedie spumeggianti e leggere di Feydeau rivelano meglio di qualsiasi tragedia borghese la condizione della società francese a cavallo tra Otto e Novecento. L’impegno non dipende dalla scelta del genere ma dalla presa sul pubblico e dall’esecuzione.

Osserviamo alcuni assiomi della poetica teatrale di Fo che derivano dagli elementi rilevati prima.

Il teatro non deve allontanarsi dal pubblico. Teatro senza pubblico non esiste.
Da questo assioma dipendono varie massime:
• Il linguaggio deve essere perfettamente comprensibile. L’uso linguistico in scena non deve scostarsi da quello della strada: la lingua non deve mascherare la realtà e quindi sovrapporre un velo di eufemismi sui contenuti.

• Gli argomenti devono essere attuali, quelli di ogni giorno: non interessano temi estetizzanti, astratti o filosofeggianti.

• I testi, secondo le lezioni della arte popolare, devono divertire, devono rivelare la verità attraverso il comico, così come succedeva proprio nella Commedia dell’arte, nel Varietà, nell’opera buffa, nelle commedie, nei film dei fratelli Marx, generi considerati spesso meno alti della tragedia classica o borghese o dell’opera seria. Fo applica quindi la lezione di Pirandello e della sua teoria dell’umorismo.

Questi assiomi hanno risvolti concreti sulla forma dei testi drammatici di Fo:
• Attualità: i testi di Fo non sono finiti, ma cambiano nel tempo: ogni testo drammatico è per lui solo uno scenario che va adattato estemporaneamente agli sviluppi degli argomenti trattati. Questo è vitale poiché i testi drammatici di Fo seguono da vicino le vicende politiche. A Fo non interessa creare un testo drammatico perfetto, cioè scrivere una falsariga normativa che contenga in sé lo spettacolo migliore. Il testo scritto è solo un supporto.

• Tecniche esecutive: per poter garantire l’attualità gli attori devono conoscere a menadito le tecniche di esecuzione. Fo e le sue compagnie erano in grado di mettere in scena, ovunque, entro pochi giorni uno spettacolo che verteva, chessò, intorno all’ultimo aumento dei prezzi o alla caduta del governo Allende in Cile. Fo e i suoi collaboratori non disdegnano a nome di una visione artistica ideale l’artigianato, cioè la capacità da parte dello scrittore e degli attori di poter immaginare uno spettacolo concreto: non a caso Fo afferma spesso che gli autori di oggi non sanno più scrivere per il teatro e che per questa ragione gli attori devono creare testi nuovi da sé.

• Trasferibilità e semplicità dei mezzi: il teatro di Fo non è legato a determinate infrastrutture. Ciò si nota ad esempio nella assenza di didascalie nei testi drammatici. Le poche indicazioni sono semanticamente povere, del tipo ‘a sinistra’, ‘a destra’, ecc. o riguardano l’attività dell’attore, il che vuol dire che non dipendono dal luogo di esecuzione ma dalle capacità del commediante. Se uno spettacolo vuole comunicare con il pubblico, allora deve essere trasferibile e facilmente adattabili alle varie esigenze: deve essere possibile sia sotto un tendone che per strada, sia in una sala di un circolo operaio sia in uno stabile con tutte le infrastrutture immaginabili.

• Riconoscibilità: I testi di Fo non scombussolano le attese di un pubblico medio: Fo non sperimenta come un Peter Sellars con aspetti formali. Gli elementi principali della sua arte vertono intorno all’attore e alle sue possibilità. Lo spettatore riconosce nelle commedie ogni singolo elemento. Così come nella concezione classica prevale l’imitatio e la variatio, la variazione di elementi noti: ritroviamo quindi tutto l’armamentario della comicità operistica, dell’avanspettacolo, delle comiche del cinema muto, e così via. Fo non vuole stupire tramite l’inventiva formale, ma tramite la dialettica che mette a fuoco l’inconsistenza dei ragionamenti e i condizionamenti socio-culturali.

• Studio delle espressioni artistiche popolari: Per poter creare questo suo teatro particolare, Fo si basa sullo studio di espressioni artistiche spesso considerate ‘popolari’ come la commedia dell’arte. Al contempo studia però anche l’arte ‘elitaria’, con l’intento di mostrare la loro perfetta comprensibilità e attualità anche per il lettore comune. Questa intenzione a prima vista storicistica, ma ovviamente intesa in chiave ironica, ammiccante e manipolatrice, culmina nell’one man show Mistero buffo, dove Fo reinterpreta in chiave erotico-volgare, ad esempio, Rosa aulentissima, una poesia di Cielo d’Alcamo.

Non è questo il momento di mettere a fuoco le molteplici antinomie, sui cui mi sono soffermato in altra sede, che caratterizzano l’opera di Fo e che certamente possono essere dedotte in parte dalle nostre osservazioni.

Speriamo comunque di aver mostrato alcuni momenti vitali della poetica teatrale di Fo.

I meriti di questo grande protagonista del teatro e di sua moglie vanno cercati soprattutto nella perfetta miscela di perfezionamento tecnico sia dell’esecuzione sia della produzione, cioè il ritorno alla professionalità e alla tradizione intesa in senso dinamico, nella creazione di copioni perfetti, adattabili senza difficoltà alle esigenze degli attori, e nell’integrazione, nella divulgazione e nell’attualizzazione del patrimonio artistico italiano sia popolare sia colto, così come nell’intento dissacrante e demistificante di cercare il contesto di riferimento dello spettatore medio e di rendere accessibili e attuali anche testi ormai travolti e uccisi dall’erudizione.