Leone GRAZIANI

 

 

QUESTA MIA VITA TERRENA

 

NELLA DIMENSIONE GIURIS-DAVIDICA

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA TORRE DAVIDICA

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ROMA – Maggio 1990

Leone GRAZIANI

 

 

QUESTA MIA VITA TERRENA

 

NELLA DIMENSIONE GIURIS-DAVIDICA

 

 

 

 

 

 

 

 

CON DODICI ILLUSTRAZIONI

E SCRITTI DI DAVID LAZZARETTI

 

 

 

LA TORRE DAVIDICA

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ROMA – Maggio 1990

 

 

INDICE

 

 

      – Presentazione

 

PARTE PRIMAI primi trentasei anni

 

  1. – La nascita                                                                                             pag.              7
  2. – L’ambiente e i genitori                                                                                              8
  3. – La religione                                                                                                              9
  4. – Gli studi                                                                                                                 11
  5. – Fascismo e servizio militare                                                                                    13
  6. – Il matrimonio                                                                                                         15
  7. – Un esame su di me                                                                                                 18

 

 

PARTE SECONDAIl mio risveglio spirituale

 

8.   – Un nuovo destino                                                                                                   20

9.  – Come è iniziata la mia spiritualità                                                                            24

10. – L’apertura in Roma, della chiesa giuris-davidica                                                      28

11. – Alla scoperta delle “conoscenze creative”                                                               32

 

 

PARTE TERZAI successivi 36 anni, fino ad oggi

 

12. – Suddivisione e premessa                                                                                        39

13. – Impegno di lavoro e doveri sociali                                                                          40

14. – Impegno spirituale                                                                                                  46

15. – Inno alla Regina della Vittoria, (di David Lazzaretti)                                                89

 

 

 

 

PROPRIETÀ RISERVATA

00198 Roma – Via Tevere, 21 – Tel. (06) 84.53.840

copyright by “La Torre Davidica” Roma

Stampato in ITALIA

30 Maggio 1990

 

©

 

Edito a cura dell’autore

Supplemento al periodico: “La Torre Davidica”

Autorizzazione Tribunale di Roma 47/89

STAMPATO IN PROPRIO

Roma – Tel. 84.53.840

 

 

 

RACCOMANDATA R.R.

Lettera al Direttore de La Nazione

Via F. Paolieri, 2 - 50100 FIRENZE

 

Eremo Giuris-davidico 21/8/198

Monte Labro - 58031 Arcidosso

 

 

"LA GLORIFICAZIONE DI DAVID LAZZARETTI"

 

Signor Direttore,

                           ho letto alcuni ritagli del suo giornale, circa il Profeta dell'Amiata: David Lazzaretti.

Ai sensi della legge sulla diffamazione a mezzo della stampa, La invito a moderare e a rettificare le gravi offese contenute nei titoli in grassetto a più colonne, perché quando si degrada di male in peggio, occorre poi arginare gli errati giudizi usando la saggezza. (La Nazione del 14/8; del 18/8; del 20/8).

In tempi di libertà religiosa non è onesto usare certi titoli denigratori verso il fondatore della religione Giuris-davidica, già conosciuta dallo Stato italiano, e trattarlo come fosse un delinquente da esporre al pubblico scherno. Il "titolista" del suo giornale ha caricato troppo le notizie, fino all'equivoco, forse per ragioni di cassetta.

David è morto da martire! Era incensurato! Non ha bisogno di essere riabilitato dalle accuse infondate che lo vogliono infangare, solo perché, con la sua Missione annunciava necessaria una Nuova Riforma della Chiesa Cattolica, per riportarla alla umiltà e alla povertà francescana.

La Giunta Comunale di Arcidosso, rievocando vecchie e superate delibere di 110 anni fa, più che riabilitare David, intendeva riabilitare se stessa (con molto ritardo) per ridare prestigio al paese, che allora aveva perfino rifiutato la sepoltura al suo concittadino (sepolto poi a Santa Fiora).

In David agiva il Cristo Duce e Giudice, manifestatesi per aprire il "Libro dei Sette Sigilli" del progresso evolutivo umano, come annunciato al n. 5 dell'Apocalisse. La sua opera resta incisa ed è raccolta nei suoi 17 libri e opuscoli pubblicati. Il Risveglio dei Popoli è avvenuto, anche se Stato e Chiesa lo hanno respinto.

Ma i "conservatori", i codini ci sono ancora, come il Signor Giovanni Pini di Massa, che nella lettera al Direttore, pubblicata ne La Nazione del 20/8, lo tratta da truffatore in lega con gli estremisti francesi e gli anarchici. Vergogna! In nome di quale Cristianesimo il Signor Pini si erge per accusare e offendere un galantuomo, vissuto 110 anni fa? Con quali prove, con quale limpidezza di coscienza cristiana, questo signore cita fatti che non conosce e che non ha approfondito? Si capisce bene da che parte proviene.

Gesù disse: "Amatevi gli uni con gli altri, come io ho amato voi da questo conosceranno che siete miei discepoli".

L'istruttoria su David e la sua Chiesa Universale, svolta nel 1957 dal Ministero degli Interni, Divisione dei Culti, venne conclusa nel Decreto Ministeriale del 26 luglio 1960 (Tambroni, Scalfaro) di riconoscimento del Culto Giuris-davidico, morale, non contrario al buon costume, e ammesso fra i culti dello Stato.

 

Sacerdote Giuris-davidico

ing. Leone GRAZIANI

ing. Leone Graziani   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leone GRAZIANI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

QUESTA MIA VITA TERRENA

NELLA DIMENSIONE “GIURIS-DAVIDICA”

 

 

PRESENTAZIONE

 

 

Ho voluto qui raccontare i fatti rilevanti della mia vita: sociale e spirituale, che mi hanno maturato in un crescendo continuo e molto movimentato.

Come spettatore e collaboratore di vicende eccezionali vorrei testimoniare gli avvenimenti vissuti, fino a trovarmi a fianco di un personaggio speciale: umile e alta più che creatura, inconfondibile, meravigliosa, che ha dovuto restare velata e nascosta, dopo che non fu proclamata.

Spero che questa mia esposizione sia almeno utile a coloro che desiderano comprendere, perché riguarda anche qualcosa sul come condursi nella vita terrena.

Fin dalla nascita ognuno parte con il suo fardello dell'inconscio, senza rendersene conto, e di esso poco sappiamo, perché dovuto alle "vite precedenti". Poi vengono le tappe della vita, gli incontri, le scelte al bivio, e bisogna saperle giostrare per il meglio, come al gioco delle carte, lì sul momento quando arrivano. Ma non sappiamo ancora che raccoglieremo domani quanto abbiamo seminato oggi, sia nel bene che nell'errore. Perché ogni causa ha il suo effetto.

I miei errori mi hanno aperto gli occhi, la mia sofferenza mi ha fatto cercare la strada giusta, ricominciando daccapo e con il distacco da ogni vena materiale. Sono arrivato poi alla maturità e alla riflessione, col rinascere verso la luce spirituale, abbracciando l'Ordine Giuris-davidico, fondato da DAVID LAZZARETTI, il profeta dell'Amiata.

Oggi vedo le cose in modo diverso dal passato, e ho capito molti "perché" della nostra esistenza. Questa sarebbe ben misera se non avesse uno scopo da raggiungere!

I fenomeni medianici sono la porta del "risveglio" spirituale in chi è pronto a capirli, perché la vita terrena è solo un banco di prova, per ritornare a quella dello spirito, da cui proveniamo. Questa è una verità importante da far sapere agli uomini, ed è il gioco della vita. Poi quando si muore, non ci portiamo niente di là, solo le nostre azioni compiute.

Il dover rivangare il mio passato mi ha amareggiato ed è stato un riaffiorare di note dolorose e di sconfitte che avrei preferito lasciare nella dimenticanza. Da quando però è avvenuto l'incontro "speciale" tutto e cominciato a cambiare, e – lottando per un ideale – mi sono fortificato.

In certi punti del libro vi sembrerò "infatuato" nel credere ad eventi inusitati e incredibili, dovuti all'esistenza di un mondo parallelo e invisibile, esteso fino al "cosmo". Cose reali però e vere, di cui sono convinto.

Ma, rassicuratevi, è una "infatuazione" che non danneggia, e aiuta a capire certe situazioni, altrimenti inspiegabili: all'altezza della evoluzione dei nuovi tempi.

Mi sono detto: meglio esser audace che tiepido e prudente, ed ho scritto tirando a mio viaggio, dicendo quello che penso.

Il salire certi gradini non mi ha mai danneggiato. Anzi! L'importante è capire.

Perché non provate anche voi a crederli veri? Questo fa parte del gioco.

La porta è aperta.

 

Leone GRAZIANI

Roma, 30 Aprile 1990

 

                                                   "Il Regno di Dio è simile al lievito che

                                                   una donna prende e nasconde in tre

                                                   misure di farina, finché tutto fermenti".

                                                   Matteo: 13/33   -  Luca: 13/21

QUESTA MIA VITA TERRENA

NELLA DIMENSIONE GIURIS-DAVIDICA.

 

 

 

            PARTE PRIMA - I primi 36 anni.

 

 

Raccontare senza annoiarvi i 72 anni della mia vita non è cosa semplice per me, dovendo limitarmi all'essenziale.

Nell'insieme posso dirvi che è stata una vita fortunata, anche se ho dovuto lottare e faticare moltissimo.

 

1. - La nascita

 

Sono nato fuori sede, perché dovevo nascere a Livorno nella casa paterna, ma per un fatto imprevisto, mia madre mi ha fatto nascere a Roma. Forse fino da allora avevo una predestinazione.

L'annuncio della gestazione per la mia nascita aveva portato gioia in famiglia, specie per il nonno Graziani che vedeva rallegrare la casa dopo la sua lunga vedovanza.

Si era già al quarto anno della grande guerra mondiale e mio padre era al fronte a rischiare la vita volando su aeroplani primordiali, come ufficiale osservatore di aviazione. Ecco che riceve l'ordine di recarsi in missione a Roma, per qualche settimana presso il Ministero. Passando da casa decide di portarsi dietro la moglie, nella sua gravidanza avanzata e di farmi nascere a Roma, per starle vicino.

Si pensò anche al nome da darmi. Doveva essere quello del mio bisnonno Leone Graziani. Però mia madre si preoccupava che io portassi un nome così imponente. E se da grande io fossi risultato di statura ridotta? Poi, in memoria del compagno di guerra Leonetto Vigo, morto in volo di combattimento accanto a mio padre, quel nome venne modificato in Leonetto.

Così il giorno 30 ottobre 1918, alle ore 5,20 di mattina, nascevo io, a Roma, in Via Salaria 53, primogenito di tre fratelli. Venni registrato all'anagrafe di Roma con i nomi di Leonetto, Alberto, Attilio.

Dopo qualche mese fui portato nella casa di Livorno ove sono cresciuto in una villa magnifica, fino a quando andai via militare.

L'anno dopo nacque mia sorella e crescemmo di pari passo sempre insieme. Mio fratello invece, nato dopo sei anni, è sempre rimasto distaccato.

Fatti salienti della prima infanzia ve ne sarebbero da raccontare. Dirò solo di una caduta con una frattura tripla all'avambraccio sinistro che mi ha lasciato traumi psichici. (Un caso classico per gli studiosi di psicologia). Mi trovavo in campagna, nell'estate 1924, assieme ai genitori e altri loro amici, in passeggiata pomeridiana. Io stavo più indietro assieme a una coetanea dai capelli rossi che mi piaceva. Per lei mi sono esibito camminando sopra un muretto al bordo della strada, ma d'un tratto caddi malamente. (O vi sono stato spinto?) Non solo ci fu la brutta frattura, ma anche una contusione alla nuca, che ancora oggi è dolente.

L'operazione al braccio fu difficile, venne ripetuta tre volte, e poi finì perfettamente. La contusione alla nuca venne del tutto trascurata. Questa caduta e le sue conseguenze lasciarono un segno profondo. Io che studiavo privatamente con una maestra in casa, e avevo quaderni di un modello di precisione e di bella scrittura, dopo le tre ingessature mi trovai del tutto cambiato. Ero passato da uno scolaretto diligente a uno svogliato terribile e dispettoso: cattivo verso tutti e di studiare non ne volevo più sapere.

Il piccolo idillio interrotto durante la passeggiata con la coetanea dai capelli rossi aveva lasciato la traccia in profondità. Non sapevo più né leggere né scrivere ed il mio carattere era peggiorato.

Questo cambiamento non venne notato subito e nemmeno fu messo in relazione alla caduta. Avevo allora poco più di 5 anni. Me ne sono reso conto da grande, riflettendo alle cose della mia vita trascorsa, e vado pensando che fu causato da forze negative invisibili.

 

 

2. - L'ambiente e i genitori

 

La villa paterna dagli alberi secolari e dalle aiuole piene di fiori stava in Via della Porta alle Colline, n. 27, a Livorno.

Casa patriarcale di molte stanze. Spazio e agiatezza hanno improntato la mia gioventù di libertà.

A fianco della casa sorgevano altri fabbricati di proprietà di mio padre. La fabbrica delle candele da chiesa, la casa dei contadini, con l'orto, la stalla, le mucche, il cavallo, il calesse, i pagliai e tanta frutta. (Il grande orto e la casa dei contadini erano dati in affitto). Stavano però nel mio dominio incontrastato. Dovunque salutato e rispettato come il padroncino. Per compagni dei giochi avevo mia sorella e i cani. Poi le lunghe corse in bicicletta per i viali fiancheggiati di bosso e di alloro.

A Livorno avevo anche la nonna materna, Annetta Pugliese, che viveva con sua figlia, la zia Clelia, per conto suo in una grande casa col giardino, distante da noi dieci minuti a piedi. Una nonna insegnante, intelligente, dinamica, attiva, professoressa di italiano, storia e geografia all'Istituto Magistrale, di Livorno. È il più bel ricordo di affetto, di gioia, di riconoscenza che io porto con me nel cuore, da quella dolce nonna, che tanto mi ha voluto bene e tanto si occupava di me.

Anche la casa della nonna era un mio regno di nuove sensazioni e di libertà. Poi è morta, e se ne è andata in punta di piedi, quasi sorridendo, quando io già avevo 18 anni. I genitori mi lasciavano molto solo e autonomo. Gli bastava vederci puntuali a tavola nell'ora di mangiare.

Mio padre era occupato con la fabbrica delle candele e mia madre passava molte ore del giorno a fare l'ammalata e a dormire. Non so quanto grave fosse il suo male in quel suo affermarsi malata, perché si trattava di prevenzione alla TBC, ma è poi vissuta fino a 96 anni.

Chi si occupava veramente di noi fratelli erano le domestiche di casa, e le prime fiabe, i primi spauracchi del lupo mannaro, le ho raccolte da loro.

Ci incontravamo all'ora di pranzo, che veniva servito con tutta la etichetta del lusso, mentre io disprezzavo tanto quelle formalità.

Avevamo molto spesso invitati di riguardo a pranzo. Mia madre scendeva in abbigliamento elegante, facendo sfoggio dei gioielli di famiglia e teneva una conversazione brillante.

Spesso faceva dei ricevimenti pomeridiani di salotto, che io disprezzavo, ove gli invitati conversavano e giocavano a carte. Poi, dopo queste esibizioni della sua ambizione, si rimetteva sul letto, facendo l'ammalata e si praticava da sola iniezioni di canfora e di forgenina.

Usciva anche in città, per fare le visite e si serviva nelle migliori sartorie, perché mio padre, che l'amava molto, avesse ad apprezzarla di più.

Anche mio padre era ambizioso e gli piaceva andare ai ricevimenti. Si dedicava al lavoro in fabbrica e quando lo andavo a cercare lo trovavo vicino alla caldaia a vapore, o a un tino di cera calda, o alle macchine delle steariche a guidare il lavoro degli operai. Sempre attivo e dinamico. Ma non era molto capace a dirigere l'azienda. Ci sono stati periodi di poco lavoro e per andare avanti ricorreva ai debiti per l'acquisto della stearina e della paraffina.

Il terreno dell'orto poi fu venduto. Ricordo che ci fu un lungo periodo che l'attività dell'azienda andava proprio male. Lui se ne occupava pochissimo e passava i pomeriggi al Circolo a giocare a bridge.

Rincasava tardi e noi tardavamo a cenare per aspettare lui. Tornava sempre nero perché perdeva al gioco. E quando domandava se avevo fatto i compiti di scuola, alla mia risposta negativa, subito pioveva una scarica di botte sulla mia schiena, sulle gambe, sul sedere. Io mi gettavo per terra per evitarne qualcuna, ma lui continuava a darmele. E tutto questo si ripeteva quasi ogni sera.

Non era certo il metodo correttivo per rimettermi sulla via giusta. Avrò avuto 13-14 anni.

Io non lo temevo per niente, anzi cercavo solo di stare lontano da lui e di evitarlo, ma in quanto a studiare, la mattina andavo a scuola e il pomeriggio ero sempre abbandonato a me stesso, in quel grande regno di attrattive, dove avevo troppi motivi per rimandare lo studio e nessuno che mi guidasse.

Si era stabilito un conflitto inconscio fra me e lui. Voleva raccogliere da me dei risultati vistosi, che io non gli sapevo dare.

Così nasceva tra me e i miei genitori un grande abisso: loro mi mortificavano senza aiutarmi e io non avevo né metodo né volontà per rimettermi in pari.

Tanto il papà che la mamma hanno dimostrato molto affetto per noi, ma questo affetto veniva a parte, perché lasciavano che noi fratelli si crescesse da soli. Per loro, quando i vestiti che indossavamo erano in ordine e curati, tutto era a posto. Quando avevano detto con degli urli: "Vai a studiare", oppure: "Hai fatto i compiti?" per loro era tutto finito. Mai che fossero venuti a scuola a parlare con i professori, mai che approfondissero i nostri stati d'animo. Guardavano solo la pagella e dopo le loro regolari arrabbiature davanti ai voti brutti, tutto tornava come prima.

A noi fratelli mancava la spinta nel confidarsi con i genitori. C'era come un muro, un distacco. Molti erano gli argomenti che non si potevano toccare, e finiva che ce ne stavamo per conto nostro.

Voglio spiegare la provenienza di tanto benessere della famiglia, perché è merito di capacità e di onestà laboriosa.

Mio nonno Leone Graziani era dotato di un buon cervello ed era un gran lavoratore.

Si tratta del periodo degli ultimi trent'anni del secolo 1800. La chiesa cattolica prescriveva che sull'altare venissero accesi soltanto ceri e candele fatti di cera d'api.

Il nonno "brevettò" un procedimento per sbiancare la cera d'api e fabbricava e vendeva ceri e candele fatti con quella materia prima, sbiancata.

Il sistema ingegnoso da lui brevettato era quello di esporre la cera d'api al sole. La esponeva a quei raggi, sottoforma di truciolato, immersa in grandi vasche di rame con l'acqua, e l'acqua stessa impediva che il calore del sole la fondesse.

Ricordo di aver veduto fin da bambino qualcuna di queste grandi teglie rettangolari di rame stagnato, residuate da quel trattamento solare e di averne raccolto ogni spiegazione da mio padre.

 

 

3. - La religione

 

Prima dei 18 anni sono vissuto senza alcuna religione, per decisione presa dai genitori, quasi atei, che avendo origini di fede differenti, non vollero imporre ai tre figli nessun credo, lasciandoli liberi di scegliere da grandi, e privandoli per questo di ogni dottrina.

Così da adulto mi sono battezzato cattolico e ho abbracciato quella fede con molta serietà e convinzione.

Papà e mamma si erano sposati soltanto in municipio e mia madre, che era battezzata cattolica fin dalla nascita, non aveva nessun sentimento religioso. Era letteralmente atea. Mio padre aveva avuto il bisnonno ebreo, ma in fatto di religione non aveva raccolto niente. Si era allineato al modo di pensare di mia madre.

Così i tre figli sono cresciuti senza preghiere, senza devozione verso il Creatore, e senza entrare mai in una chiesa (tra lo stupore e i commenti mormorati alle spalle dai conoscenti e dalla servitù).

Secondo i genitori, i loro figli avrebbero dovuto essere morali per se stessi, anche senza guida religiosa, e noi figli non ne parlavamo mai con loro, perché certi argomenti non ci erano permessi. Ma fra di noi sì, ne parlavamo e in diverse occasioni io confidavo a mia sorella che il sentirmi diverso, soprattutto a scuola, mi metteva a disagio, e che volevo essere cristiano come gli altri. Anche lei un giorno mi disse che lo desiderava, ma tutto rimase immutato.

Urti con la realtà in fatto di religione, ve ne furono diversi. Per esempio quando alle elementari la maestra iniziava la lezione con la preghiera, io assistevo seduto nel banco in silenzio, senza capire nemmeno il significato di quelle parole. Nella mia timidezza mi vergognavo, specie al vedere rivolti su di me gli sguardi dei compagni.

Loro pensavano che io pregassi altre preghiere differenti, ma io tacevo loro la verità perché di preghiere non ne avevo nessuna.

Una volta un compagno lo venne a scoprire per mia ammissione. Avrò avuto l'età di 10 anni, e lui concluse dicendomi: "Se non preghi, allora sei una bestia". Fu una ferita profonda. Io mi chiudevo in me stesso tacendo e mal sopportando quella situazione.

Molti credevano che io fossi ebreo, ma io di ebreo non avevo niente, nemmeno la circoncisione.

Nell'armadio dei libri di mio padre scopersi che ci stava la Bibbia. Una vecchia edizione a caratteri gotici faticosi a leggere. La cominciai dalla prima pagina per venirne a sapere qualcosa, ma le pagine e pagine di nomi delle discendenze dei patriarchi mi tolsero la voglia di continuare, e mi ci addormentavo sopra.

Una volta venne a trovarci mia cugina Anna, che viveva a Milano, più grande di me di due o tre anni. Io le domandai di che religione fosse, e lei mi rispose che non aveva religione e non serviva proprio averne. Così da quella parte non trovai quello che cercavo.

Venni a sapere che la nonna materna ogni domenica andava alla Messa e un giorno mi disse di avermi battezzato lei stessa di nascosto a tutti, con l'acqua santa presa in chiesa. Tale battesimo, in tali situazioni era valido.

Al tempo del fascio ero un Balilla e un Avanguardista e mi portavano ad ascoltare la Messa. Entravo in chiesa inquadrato senza reclamare, ma non avendo nessuna cognizione mi annoiavo a morte. Quelle parole latine che non capivo: orate fratres, tecum spirito suo, mi davano repulsione. Poi quello stare un po’ seduti e un po’ in piedi senza capirne il significato per me era ridicolo.

Quando arrivai al liceo fra le materie di insegnamento c'era anche la religione. Veniva un prete ad insegnarla, molto basso di statura che si chiamava monsignor Formichini ed io ero portato a non prenderlo sul serio. Ma quando arrivò la disposizione del Ministero che l'ora di religione non era più obbligatoria, io feci domanda e venni esentato dal frequentarla.

Nella adolescenza le giornate più brutte della mia vita, sotto l'aspetto religioso, erano proprio il giorno di Natale e quello di Pasqua. In casa mia nessuna delle consuetudini cattoliche venivano osservate. Non si mangiava di magro alla vigilia, non si andava alla messa di mezzanotte, non si faceva l'albero di Natale con le candeline. C'era consentito solo di mettere la calza al camino per la notte della Befana.

A pranzo si mangiava qualche dolce in più, ma era giornata moscia; mancava la vivacità ed era soffocato quel senso di festa che le campane annunciavano anche ai sordi.

Mia madre dava il pomeriggio libero alla servitù. La casa piombava nel silenzio. I genitori andavano a dormire ed io stavo solo con me stesso a sperdere il tempo nei vari angoli del giardino, oppure in bicicletta con i cani. Giornate di desolazione e di isolamento.

Passarono gli anni. Per il timore della TBC, e come cura preventiva, i genitori volevano che durante l'estate andassimo in montagna, e ci portavano per quattro mesi all'Abetone (sull'Appennino pistoiese) in casa di affitto. Vi andavamo tutti e tre i fratelli, con mia madre e la domestica. Mio padre andava avanti e indietro.

Mai che io pensassi a Dio, che esistesse, che occorresse pregarlo, o che fosse necessario saperne di più in fatto di creazione.

All'Abetone ci andammo tutti gli anni di seguito, dal 1929 al 1939, e questo immergermi nei boschi, di faggi e di abeti, fare delle escursioni sulle cime dei monti, o sostare lungo i ruscelli pietrosi, giocando con l'acqua limpida, mi conciliava molto. Mi ero fatto amico il pastore, il calzolaio, il carrettiere, lo spaccapietre e stare con loro mi piaceva di più che andare a fare le passeggiatine, vestito a nuovo, lungo il corso del paese.

Intanto la nazione, attraverso il fascismo, si era alleata con i tedeschi, e Adolfo Hitler faceva degli interminabili discorsi alla radio accusando gli ebrei.

La questione non mi riguardava personalmente, ma mia madre aveva dei timori sulla mia sorte. Dicevano che gli ebrei non potevano fare più il servizio militare ed erano segnati a dito e perseguitati per la razza. Mia madre si allarmava sempre più e un giorno incontrando un frate domenicano, vestito di bianco, e anche lui in villeggiatura per motivi di salute, gli volle raccontare le sue angosce sulla questione razziale dei figli per via del bisnonno. Non per la religione, dunque, lo aveva fermato, ma per la politica di protezione verso il solo figlio maggiore. Attraverso una vernice di copertura lo voleva salvare.

Fu così che Padre Innocenzo Vinci venne a casa a conoscermi e a propormi di battezzarmi cattolico. Io risposi che non volevo differenze tra me e i miei fratelli. O tutti e tre, o niente. Mia madre obiettava, ma io fui irremovibile, e fu dello stesso mio avviso anche il frate.

Iniziò il catechismo cattolico incontrandoci ogni giorno e si concluse con i tre battesimi nella chiesa parrocchiale di Abetone Boscolungo. Presi felice quel battesimo, in grazia di Dio, convinto di quello che facevo. Ero assetato di quelle nozioni, che da tanti anni volevo conoscere, e anche pieno di buoni propositi nel comportamento cristiano: avevo 18 anni.

La carica iniziale di entusiasmo cattolico nei mesi e anni successivi, venne diminuendo.

I rapporti sessuali con le ragazze mi facevano sentire in colpa con la mia coscienza e non avevo coraggio di avvicinarmi al confessionale, sapendo che sarei caduto ancora, e sentivo la serietà del mio impegno. Avevo un modo particolare di seguire la religione con la mia grande purezza infantile.

Io continuavo ad andare alla Messa, ma in quanto alla confessione la praticavo di rado. Mi sembrava ipocrita pentirmi con un proposito che non avrei saputo rispettare.

Poi mi sono sposato, nel rito cattolico, a Firenze. Era l'8 maggio 1942 e, quando nacque mio figlio Giovanni, anche lui venne battezzato nel rito cattolico.

Nel 1950 a Roma per il Giubileo, facemmo tutti insieme la visita delle Sette Basiliche attraverso la Porta Santa. A me bastava la mia famiglia, ed essere in pace con Dio. Tornavo a casa la sera stanco e soddisfatto del mio lavoro. Ero il padrone di casa, leggevo il giornale, fumavo le sigarette, trovavo la cena pronta, la casa in ordine e andavo al cinema con la moglie. Mai e poi mai avrei pensato che la sorte mi avrebbe fatto perdere quell'armonia e trasformato in un sacerdote al servizio del Creatore.

E di questo ne parleremo più avanti.

 

 

4. - Gli studi.

 

La ripresa dei miei studi dopo la ingessatura del braccio fu di una difficoltà enorme. Ricordo che alla prova di ammissione in terza elementare nelle scuole pubbliche non ho saputo scrivere correttamente nemmeno il mio nome e fui respinto.

Nessuno dei due genitori si occupava di me. Non avevano capito che il peggioramento era dovuto al trauma psichico. (La Psicologia era allora ancora ai primordi). E non seppero starmi vicino con pazienza per instradarmi di nuovo.

Ero molto solo in questo tentativo di ripresa, non capivo e passavo il tempo a giocare in quel grande mondo della villa, piuttosto di piegarmi al tavolino di studio.

Gli anni scolastici scorrevano con insuccessi ripetuti. Bocciai l'ammissione al Ginnasio e poi ancora altre volte. Mia sorella era più brava di me, riusciva a mandare avanti bene i suoi studi ed io restavo indietro. Ero incapace di applicarmi. Mia madre mi chiamava: zuccone. Io ero timido e incassavo le sue mortificazioni.

A mia nonna stava molto a cuore che io proseguissi gli studi e suggeriva i miei su come rimettermi in carreggiata. Saltai gli anni studiando privatamente. Ma poi finalmente approdai alla 1a liceo scientifico.

Era l'anno 1935 ed avevo 17 anni. La più grande difficoltà per me erano i componimenti ed il latino. Il liceo riuscì a portare un cambiamento al mio interesse di apprendere. Materie nuove, insegnanti nuovi che mi piacevano, maturazione interiore, avevano portato una nuova impronta, pur restando io ancora molto infantile. Lentamente si era formato il complesso di inferiorità, che mi umiliava.

Vedendomi poco emancipato, mio padre per rendermi più disinvolto e rafforzarmi nello studio della lingua, mi spinse a fare un viaggio tutto da solo in Germania, in occasione delle Olimpiadi di Berlino del 1936. Fu un interessante esperienza durata una decina di giorni.

Poi con molta volontà e amor proprio riuscii anche a saltare un anno scolastico andando a ripetizione e a presentarmi all'esame di maturità, ove venni promosso con diversi voti buoni.

Nel 1938 entrai all'Università, recandomi a Pisa in treno, quasi ogni giorno. Ero divenuto di statura molto alta (m. 1,87) e mi piaceva praticare lo sport. Facevo del canottaggio. Mi presentavo nella stagione buona al pontile del Circolo Canottieri livornesi, salivo su una imbarcazione (iole) e mi passavo tre, quattro ore vogando. Attraversavo il porto fra le barche dei pescatori e i piroscafi; ed arrivavo a mare aperto fino al molo della Vegliaia.

Il canottaggio mi faceva abbronzare la pelle ed ero un bel morettino dai capelli castani, simpatico e piacente. Quell'anno non ero ancora fidanzato e a Pisa, di giugno, si svolgevano le "agonali" femminili. La città si era riempita di studentesse universitarie che arrivavano da tutte le città d'Italia.

Io me ne camminavo lungo la spalletta dell'Arno al sole e mi piaceva guardare quel passare a gruppi di belle figliole, lanciando qualche frase di approvazione a quelle che più mi colpivano. Passeggiando fu così che una di loro si staccò dal gruppo e accettò di conversare con me. Simpatia per simpatia stemmo insieme tutto il pomeriggio. Lei era di Jesi e voleva visitare Firenze. Cercava un compagno di gita per vederla assieme e aveva scelto me. Io mi offersi subito di accompagnarla, ma non avevo quattrini. Lei disse che le spese erano poche. Ognuno avrebbe pagato per sé.

Dovevo andare a Livorno a bussare soldi da mio padre. Fu una cosa seria, serissima, ma i soldi ci volevano comunque. Passammo parte della notte sulla panchina a conversare. Alle 4 di mattina presi il treno e andai a Livorno. Mi misi a letto come se avessi dormito lì tutta la notte. Mio padre che era mattiniero fu sorpreso nel vedermi, e mi domandò: "Quando sei rientrato? Non ti ho sentito rientrare ieri sera". Gli dissi che avevo bisogno di soldi e lui mi dette cinquanta lire, fatto inconsueto, che in quei tempi erano una cifra favolosa.

Partii subito per Pisa, come se andassi all'Università. Ritrovai la ragazza di Jesi e andammo insieme al treno delle sue compagne, che partivano per Ancona e tutte già sapevano della nostra parentesi fiorentina. Saluti festosi dal finestrino di tutte quelle belle bimbe simpaticissime. Poi iniziò l'avventura fiorentina.

Viaggiammo io e lei, come amiconi da tempo. Eravamo coetanei e spensierati. Lei era molto sicura di sé e non avrebbe mai ceduto ai miei tentativi più azzardati. A braccetto per Firenze passammo da Ponte Vecchio a Boboli, da un ristorante in Borgo Ognissanti a piazza della Signoria. A sera allo stesso albergo, ma ognuno per conto suo. Niente compromessi. Trascorsero i due giorni bellissimi. Ci lasciammo per sempre; lei non rispose mai alle mie lettere, ma il ricordo rimane ancora come un bel sogno.

Frequentavo le lezioni, feci la matricola, passai gli esami e mi trovai al 3° anno di ingegneria, quando dovetti presentarmi alle armi.

Ero divenuto ufficiale di Artiglieria Alpina, destinato a Belluno, ed ero fidanzato con la mia ragazza, che ho sposato.

La scelta di iscrivermi alla facoltà di ingegneria mi fu quasi imposta da mio padre autoritario, che mi voleva instradare presso lo studio dello zio di Milano, ingegnere, mentre io ero propenso a seguire il corso di Medicina.

Qui giocò molto il fatto che mi ero innamorato della mia ragazza e volevo al più presto sposarla. Mio padre mi dava il consenso a condizioni che io mi fossi laureato. Divenne così una corsa a dare gli esami con qualsiasi risultato pur di accelerare alla laurea.

A Belluno in caserma avevo qualche ora libera e mi leggevo le dispense universitarie. Poi, come mi davano una licenza correvo a casa per dare un esame. Il corso di 5 anni di ingegneria era composto di 35 esami, e il 14 dicembre 1942 venni finalmente laureato; presentando io una tesi di laurea in Macchine termiche: un progetto di caldaia a vapore Babcock e Wilcox con i più moderni criteri di rendimento calorico.

La guerra poi, i bombardamenti, l'occupazione tedesca, travolsero la situazione universitaria e sono certo che se io avessi tardato a laurearmi, per tale situazione non l'avrei mai portata a termine.

Non andai più a lavorare con mio zio e trovai lavoro nell'industria aeronautica. Se avessi scelto il corso di Medicina forse non mi sarei mai laureato, perché negli otto anni del corso ne sarei stato distolto dalla guerra.

In quanto a lavorare nella azienda di mio padre io non me la sentivo. Lui era troppo autoritario e io non mi trovavo con lui. Avrebbe voluto che io mi avviassi in qualche grande attività: o dirigente di azienda o ispettore delle ferrovie, che portasse lustro anche a lui e dai miei guadagni elevati, rimettere in sesto la sua fabbrica delle candele.

Avevo dei compagni di scuola coi quali passavo molte ore insieme. L'argomento preferito erano le femmine. Ma la vita ruotava le situazioni e ci si perdeva di vista. Molti di loro sono morti in guerra. Ne è rimasto però qualcuno col quale ogni tanto ci scriviamo e ci sentiamo amici da sempre, anche senza scriverci. E quando ci incontriamo abbiamo tante cose da dirci.

 

 

5. - Fascismo e servizio militare.

 

In Italia si sa c'è stato il fascismo, un partito politico di dittatura. Io ho vissuto in quel clima, con gli occhi bendati, non ho fatto una scelta ho solo raccolto l'entusiasmo delle rivendicazioni dell'impero romano, il patriottismo, i canti e la spensieratezza giovanile. Non potevo comprendere, confrontare, conoscere tutti i risvolti che possono nascere quando si è adulti.

Mi trovavo Balilla in camicia nera, andavo alle adunate, tornavo a casa soddisfatto. Piano piano mi sono accorto che in casa non c'era l'entusiasmo che avevo io. Non so (ancora oggi) come mio padre la pensasse, perché anche questo era un argomento tabù, di cui non si poteva parlare. So che mio padre non era iscritto al fascio e non voleva esserne costretto.

Lui lo poteva fare perché avendo una azienda propria non veniva ricattato sul lavoro. Mio padre, da ufficiale in congedo, decorato di due medaglie d'argento, e una di bronzo si sentiva di avere fatto il suo dovere verso la patria. Ambizioso, aveva creato a Livorno il circolo aeronautico, l'Aero Club, ove teneva delle conferenze. Poi il fascio lo ha estromesso, sempre a causa della tessera e non ne fece più di niente.

Mia madre non aveva idee in proposito. Mia nonna Pugliese era antifascista ma lo teneva nascosto. Un giorno trovai in una cassetta tra i suoi libri polverosi, la tessera socialista del nonno defunto e scopersi questa situazione tenuta segreta.

Mio padre aveva tutto l'interesse a lasciarmi fare nel mio entusiasmo fascista, per fare di me uno scudo che lo proteggesse agli occhi critici del fascio. I miei fratelli mi seguivano pedestremente, ma senza l'entusiasmo che avevo io.

Alle adunate ci esercitavamo alle sfilate, al saggio ginnico, si cantava, e si facevano delle marce di allenamento.

Da Balilla passai Avanguardista, poi feci il corso di Capo Centuria, poi il premilitare, ed ogni sabato pomeriggio andavo alle esercitazioni, fino ad essere chiamato al Corso Allievi Ufficiali di Artiglieria.

Furono quattro mesi intensi, nell'estate 1940, alla caserma della scuola di Artiglieria Alpina di Lucca. Un ricordo bellissimo!

Quanto era bello sellare il cavallo e cavalcare sulle rive del Serchio alla mattina prestissimo e attraversarlo a guado. Il mio istruttore mi aveva preso in simpatia perché ero molto attento, e mi aveva affibbiato il nome di "puro folle", prendendo dal Parsifal questi aggettivi.

Una sera in camerata (una lunga fila di stanzoni attraversati da un corridoio) mi venne in mente di fare il fantasma. Misi il lenzuolo sulla testa e percorsi il corridoio, fra le risate di tutti. Quando fu il momento di tornare indietro mi accorsi che avevano organizzato una "cuscinata" generale. Decisi di salvarmi con una corsa velocissima per risparmiarmene qualcuna. Ma l'ufficiale di picchetto era già sul posto. Volle che il responsabile del disordine si presentasse e mi scaraventò in camera di punizione a dormire sul pancaccio.

Pensavo alle peggiori punizioni che mi aspettavano, ma quando l'indomani venne informato il colonnello, non se la prese proprio. A lui bastava che avessi passato la notte in guardina. La nostra irrequietezza dopo il ritmo intenso della faticosa giornata, denotava molta vitalità, e non era indisciplina.

Andammo al campo in montagna. Ci si lavava la gavetta con le radici terrose dell'erba, dormivamo sulla paglia sotto la tenda e vivevamo spensierati.

Finito il corso, venne la nomina a sottotenente di complemento e fui destinato a Belluno. Una vecchia grande caserma piena di muli, circondata da un paesaggio dolomitico meraviglioso.

Fu molta la mia sorpresa, quando trovandomi nel cortile, vicino all'abbeveratoio, scopersi che quel preciso attimo io l'avevo già vissuto. Quelle stesse immagini dei muli, quei tetti delle camerate e quel paesaggio di montagne dintorno, l'avevo già visto in un sogno molto precedente alla mia nomina di ufficiale.

Come era possibile questo? C'era forse una predestinazione? Eppure non ero mai stato a Belluno, prima di allora.

Fu questo fenomeno a riportarmi spesso alla realtà invisibile di un altro mondo sconosciuto, e a domandarmi cosa c'è dietro al mondo materiale in cui viviamo.

Intanto arrivavano le reclute, giovanissimi della classe 1921, che noi istruttori dovevamo accogliere e addestrare per sparare il cannone, anzi l'obice 75/13 Skoda, di preda bellica, che avevamo in dotazione.

Era questo il più grande cannone someggiabile, cioè: che, scomposto in parti, poteva essere trasportato a dorso di mulo, attraverso le montagne.

Ogni mattina andavamo al maneggio a fare un'ora di equitazione. Facevamo delle marce lunghissime fra quelle meravigliose montagne dolomitiche e sulle rive del Piave. E si cantavano felici i cori alpini.

Al campo invernale passammo i valichi nevosi. Ricordo le Pale di San Martino, Falcade, Agordo e poi Feltre e il Monte Grappa.

Un giorno il capitano mi dette l'incarico di andare a comprare il vino per tutto il reparto (la batteria). Mi dettero un cavallo e io galoppavo su quei prati pieni di fiori bellissimi, (mai visti prima) da una casa all'altra dei contadini, legavo il cavallo a una inferriata e chiedevo il vino. Subito arrivavano le ragazze di casa che mi circondavano di attenzione ed io combinavo l'acquisto del vino con il fattore.

Un giorno ho scoperto nella fureria una grossa cassa di saponette nascosta. In tempo di guerra mancava anche il sapone! Era destinato ai soldati ma qualcuno aveva pensato a non distribuirlo. Quel giorno avevo il comando io e detti l'ordine di darlo fuori, con grande sorpresa e soddisfazione delle reclute.

Mi ero fatto degli amici tra gli ufficiali e anche tra gli alpini. Fra questi voglio ricordare l'artigliere alpino Chemello Mario di Sandrigo, che mi fu di devozione unica. Lo voglio ricordare perché, pur di stare con me, si fece assegnare nel mio reparto destinato in guerra nella Jugoslavia, dove morì in un agguato. Ma io non partii più, c'era un destino diverso. Venni sorteggiato per partire nella campagna di Russia e il mio nome venne affisso nell'albo del Circolo Ufficiali. Un collega in servizio effettivo di nome Prez, criticava ad alta voce la mia assegnazione, sostenendo che mi ero fatto raccomandare. Io dissi la verità, che non era così e lui mi chiese davanti a tutti se ero io disposto a cedergli il posto. Andammo dal colonnello per chiarire, e questo ci spiegò subito come stavano le cose. Aveva tratto a sorte il mio nome, e per lui poteva andar bene sostituirlo sulla lettera da inviare al Ministero, se noi eravamo d'accordo. Spiegai di essere fidanzato e che pensavo solo a sposarmi e non alla carriera.

Nella primavera successiva arrivò la notizia che il tenente Prez di Torino era morto in Russia sotto una cannonata.

Rimasi a Belluno ancora come istruttore di reclute classi '22 e '23. In tutto furono quasi tre anni: cioè dal 1940 al 1943, quando venni il licenza per laurearmi.

Poi ci fu la disfatta, cosiddetta di Badoglio, dell'8 settembre, mentre ero in licenza. Si sciolsero le caserme e tutti se ne andarono a casa, braccati dai tedeschi. Allora mi presentai al Distretto e fui messo in congedo.

 

 

6. - Il matrimonio

 

Fin dalle scuole elementari mi innamoravo e mi piacevano le bimbe. Non avevo il coraggio di dirglielo e mi accontentavo di mettermi sulle loro orme, per incontrarle, salutarle e poi rincasavo tutto soddisfatto.

Mia sorella si portava a casa delle compagne di scuola e io non sapevo chi scegliere, ma ero da loro considerato un ingenuo, tanto che mi avevano soprannominato Platone.

Occasioni di approccio sessuale ne ho avute nella adolescenza, specie d'estate all'Abetone, ma ebbero corso brevissimo.

Ci sono state ragazze innamorate di me che inspiegabilmente scartavo. Ne ricordo una di famiglia altolocata, bella, buona, semplice, intelligente, che si lasciava fare qualunque sgarbo da me. Andava a far visita a mia madre pur di avere qualcosa di mio.

Con mia sorella organizzavamo gli inviti di amici a casa nostra, per ballare, e passavamo dei bei pomeriggi, ma quel genere di divertimento mi lasciava poco soddisfatto.

Verso i 18 anni andavo a ballare nei "dancing" sul mare, in abito da società. La mia giacca bianca aveva i risvolti segnati di rossetto dalle ragazze che mi stringevo al petto.

Avevo già compiuto i 22 anni quando incontrai la ragazza che faceva per me. Me ne innamorai come un fulmine e fui corrisposto. Passavamo lunghe ore assieme, passeggiando nei boschi dell'Abetone o seduti nel salone del suo albergo, pur di stare insieme. E ci siamo fidanzati.

Poi durante l'inverno la andavo a trovare a Firenze a casa sua e passeggiavamo per Fiesole e San Domenico. Ci scrivevamo lunghe lettere, senza contare le telefonate interurbane.

Ero studente universitario e non potevo ancora parlare di matrimonio. Mancava una laurea e un lavoro che mi rendesse autonomo. Non volevo contare su mio padre. Anche lei, studentessa, si stava laureando in lettere a Firenze ed io l'apprezzavo come intelligenza. Mi piaceva come fisico, bionda, slanciata, attraente, anche se più bassa di me.

La guerra, il servizio militare, gli studi ostacolavano gli incontri, ma rafforzavano il desiderio di stare insieme.

Arrivò il giorno dell'esame di laurea, e poi quello della licenza matrimoniale. Il professore che mi aveva laureato era anche il direttore dello stabilimento aeronautico di Marina di Pisa (Fiat-CMASA) e mi offerse lavoro ed esonero militare, che io accettai subito.

Ci sposammo a Firenze, durante un allarme aereo. Andai all'Altare vestito da ufficiale e lei con un tailleur ed il velo bianco. C'erano tutti i familiari e anche i miei genitori che avevano ostacolato in tutte le maniere le nozze. Dicevano che ero troppo giovane e che la sposa non era la donna adatta per me. Mia suocera si era rassegnata a vedere uscire di casa la figlia, e mio suocero, un magistrato della Corte d'Appello, era un uomo tranquillo che tutto approvava.

In viaggio di nozze andammo a Perugia e ad Assisi. Le coste italiane erano tutte presidiate dai tedeschi.

Organizzammo il nostro nido in affitto a Marina di Pisa dove io lavoravo. La guerra, il lavoro, l'amore, si intrecciavano. Aspettavamo un bimbo con tanta gioia e quando nacque c'era in corso un bombardamento. Lo abbiamo chiamato Giovanni in comune accordo. Un nome che ci piaceva e non apparteneva a nessun parente.

Poi l'azienda di Marina di Pisa venne trasferita a Bellinzago in provincia di Novara, per motivi della guerra, e anche noi ci facemmo trasferire.

Eravamo andati a vivere in una cascina di contadini disabitata a Varallo Pombia. Avevamo per noi solo una stanza ed un balcone. L'acqua era quella piovana raccolta dai tetti in una cisterna e la dovevamo tirare su col secchio e la corda. Il gabinetto era vicino al pollaio, fuori nell'orto e il materasso era fatto di foglie del granturco.

Eppure in quella penuria di cibo, in quelle ristrettezze, e nel mezzo della lotta tra brigate fasciste e partigiani e tedeschi, noi vivevamo felici col nostro magnifico bambino. Mia moglie sapeva cucire bene e lavorare a maglia, rimediando a quanto poteva servire. Venivamo chiamati "gli sfollati".

Avevo trovato in mia moglie il traguardo inconsciamente desiderato. Il ruolo che mi lasciava: di capo famiglia, lo sdoppiamento della sua figura femminile, che diveniva al tempo stesso quella di una madre che aveva cura di me e di una moglie compagna della vita, educatrice di mio figlio. La donna che accettava le mie stesse condizioni di vita, che mi capiva nel fondo dell'animo, e che giustificava le premesse della mia fuga da casa.

Un carrettiere della mia fabbrica per simpatia e solidarietà verso di me e la nostra famiglia di "sfollati", mi venne a portare a casa un quintale di farina bianca, a poco prezzo e di nascosto dalle autorità. Questa risorsa fu di grande aiuto per il nostro sostentamento soprattutto per il bambino che cresceva bene. Poi terminò la guerra.

I partigiani avevano scoperto Mussolini mentre fuggiva all'estero travestito da militare tedesco e lo avevano giustiziato. L'Italia era ridotta in macerie per lo sbarco americano e la ritirata dei tedeschi.

Noi trovammo il modo di tornare a Firenze viaggiando su un camion che trasportava maialini e anche il personale della fabbrica un po’ alla volta rientrò tutto a Marina di Pisa.

La sorte della famiglia era legata alla sorte del mio lavoro. Ma io venni licenziato. Non c'era produzione. Provai alla Fiat di Firenze per un anno e poi a Milano per qualche mese, quando mi proposero di andare a lavorare a Roma alla Vetreria S. Paolo, e accettai.

Si era nell'anno 1948. Io lavoravo molte ore nella Vetreria alla costruzione dei forni a bacino del vetro. Un poco alla volta mettemmo su casa, in affitto, e Giovanni cresceva bene.

Mia moglie passava ogni anno i vari mesi d'estate al mare di Ischia col suo bambino ed io restavo in città assorbito dal mio lavoro. La raggiungevo per le mie ferie. Lei aveva delle amicizie altolocate ed aveva raggiunto gradualmente una sua indipendenza economica: prima con l'insegnamento e poi perché aveva trovato un lavoro di ufficio ben remunerato. Il mio guadagno non le bastava. Si erano risvegliate in lei esigenze che durante la guerra stavano assopite. Ed io ne scoprivo i nuovi atteggiamenti. Non era più solidale con me.

Ma, come la vita in Italia si andava riprendendo con la "ricostruzione" così i rapporti coniugali divenivano sempre più difficili, fino alla rottura, che è avvenuta poi nel maggio 1954.

Avevo preso l'impegno matrimoniale davanti all'Altare ed ero più che intenzionato a mantenerlo. Lei invece non aveva di questi scrupoli.

Più volte ho cercato di spiegarmi cosa avvenisse tra noi, e quali potessero essere le cause di quel suo cambiamento.

Il mio atteggiamento sicuro e antiquato del padrone di casa, che aveva diritto di decisione, e di tutela, proprietario anche della moglie, era forse determinante? Il mio rifiutare di entrare nella politica, come voleva lei, approfittando delle sue amicizie democristiane, all'inseguimento di guadagni facili e abbondanti, poteva essere un altro motivo. Il mio dedicare il tempo totalmente alla Vetreria, trascurando di passarlo con la moglie, o viaggiando con lei, o andando a spasso con gli amici, poteva essere un ulteriore motivo.

Lei voleva che mi rivolgessi a mio padre per farmi partecipe del benessere della discendenza e lo affrontassi chiedendo i miei diritti. Ma io non riuscivo a farlo, per orgoglio e per non dovermi dichiarare fallito. Con lui ero rimasto sostenuto, non aprendo mai un dialogo. Le ferite e le mortificazioni non erano ancora sanate. Non volevo, non sapevo affrontarlo. Preferivo fare da solo.

Non lo avevo mai apprezzato nel suo modo di condurre tutta quella proprietà, tenuta immobilizzata senza rendere. Gli avevo suggerito di fare dei campi sportivi, un tennis, un modo di rimandare decisioni, e di raccogliere qualche rendita.

Poi il dover vivere con mia madre non era il mio ideale. Questa mi ripeteva che non avrebbe voluto vivere con mia moglie. Io non volevo perdere la mia indipendenza, ero fuggito proprio da quella incomprensione, dove non volevo tornare, in quell'ambiente dove i genitori ambiziosi non mi stimavano e dove io non riuscivo a farmi capire. Ero in conflitto con loro, nel subcosciente, senza rendermene conto.

Avevo bisogno di crescere ancora, di divenire adulto anche dentro, facendo da solo, per riabilitarmi, e questo l'ho raggiunto negli 11 anni di matrimonio, sciogliendo inconsapevolmente quel trauma psichico di inferiorità della prima infanzia.

Mi comportavo così inconsciamente verso mia moglie, sicuro di lei, senza rifletterci troppo. Invece si stava determinando una rottura fra noi perché io non volevo piegarmi e non approvavo le sue decisioni ambiziose. E questo perché non ero pronto.

I litigi cominciarono a prendere piede. Lei mi nascondeva la verità e non ci comprendevamo più. Io ero molto irascibile e nervoso, un carattere difficile. Il torto, si sa, non è mai da una parte sola, anche se la mia fedeltà coniugale non aveva mai fatto uno sgarro.

La sua frase ricorrente era questa: "Sii generoso, lasciami la mia libertà". Poi per stanchezza, decisi che dovevamo vivere per un certo tempo ciascuno per conto suo. Trovavo che aveva il cuore inaridito.

Forse il nostro matrimonio poteva essere salvato se mio padre al quale avevo scritto, mi avesse aiutato a comprarmi una casa a Roma. Ma per sua lentezza o per sua mancanza di disponibilità, non lo fece. Le sue difficoltà erano dovute all'azienda traballante e non voleva rivolgersi alle Banche che aveva già impegnato.

In quei giorni avevo fatto anche lo sbaglio di licenziarmi dalla Vetreria, inseguendo un lavoro futile, che non ho mai raggiunto. Questo dette però il crollo finale alla crisi coniugale.

Stendemmo un accordo scritto, con tutta fiducia di rispettarlo. Lei chiedeva a me la sua libertà e accettava di rinunziare al suo bambino e anche a qualsiasi sovvenzione di mantenimento. Io chiedevo che questo accordo di separazione risultasse registrato sugli atti del Tribunale. Intendevo mettere ostacoli alla sua decisione, per farla desistere. Ne ero ancora molto innamorato e non volevo lasciarla. Non credevo ancora che si fosse arrivati alla rottura.

Non capivo, non mi rendevo conto cosa le capitasse, e perché avvenisse un mutamento così profondo. Proprio dove avevo riposto la mia fiducia vi trovavo opposizione e rifiuto.

Forse lei voleva piegarmi, sicura che sarei tornato a lei pentito? I nostri obbiettivi non combaciavano più, nessuno dei due sapeva cambiarli.

Fumavo molto fino ad arrivare a una forte intossicazione del fegato. Compresi che dovevo smettere il fumo e con grande fermezza ho chiuso, ricorrendo a vari espedienti per non cedere. Tenevo un pacchetto di sigarette in tasca, e quando mi offrivano da fumare io offrivo le mie, dicendo che non mi sentivo. Smontavo la loro insistenza senza dire mai della mia decisione. Mi avrebbero provocato e non intendevo arrendermi. Davanti ad una foglia secca di tabacco tagliuzzata dovevo essere io il più forte. Da quel giorno non ho più fumato.

Iniziammo le pratiche con l'avvocato e si mise di mezzo un suo amico legale. Al momento dei fatti io non me la sono sentita di essere così drastico. Togliere il bambino undicenne a sua madre era un torto soprattutto a lui. Non avrei saputo sostituirmi alla madre.

Lo aveva cresciuto molto bene e con ogni cura. Sarebbe finito: o dai nonni o in collegio.

Toglierlo di casa era un altro torto a lui: il fargli cambiare scuola lo avrebbe danneggiato. Mi mancava la coscienza di farlo.

Decisi che una volta separato in Tribunale sarei uscito io di casa e andato a vivere in camera ammobiliata, facendo credere al figlio che partivo per lavoro. E così avvenne, ma questo gesto non fu chiarito per scritto nello stringato rapporto dei legali, da me firmato.

Si disse di farne oggetto di uno scambio di lettere private, che non vennero più scritte, né firmate. E col tempo mi sono sentito negare tutto e accusare di abbandono del tetto coniugale, e anche di non aver adempiuto all'obbligo di pagare gli alimenti alla moglie. Non ero costante a inviarglieli. Io sapevo che i soldi che le mandavo non erano negli accordi e lei li usava per pagare gli avvocati contro di me. E questo mi indispettiva.

Il 22 maggio 1954 è la data della separazione consensuale in Tribunale, che rimase definitiva. Altri atti giudiziari successivi la confermarono, come vedremo al Cap. 13, fino al divorzio, avvenuto nel 1983.

Andavo al lavoro alla mattina e mi accorgevo che dai miei occhi scendevano una dopo l'altra, lacrime silenziose, senza singhiozzi. Non capivo più cosa mi fosse capitato addosso, la realtà si deformava.

Cosa era giusto fare? Non conoscevo nessuno che mi chiarisse dove avevo sbagliato, quali mosse dovessi compiere, anche se parenti ed amici si davano da fare per trovare una rappacificazione.

Stava cambiando la mia vita e non me ne rendevo conto. Era colpa del mio carattere? O forse in questo distacco c'era una volontà superiore, una decisione esterna del destino, già presa sul mio futuro?

Questo l'ho poi scoperto negli anni successivi, quando andavo ripensando a questo triste finale.

 

 

7. - Un esame su di me.

 

Ho sempre voluto essere me stesso, senza cercare di identificarmi con qualcuno preso a modello.

Ho cercato di risolvere le vicende della vita da solo, con le mie forze, un po' per sfida con me stesso, un po' per verificare e misurarmi fino a dove ero capace, un po’ per fierezza.

Nelle avversità che incontravo, negli insuccessi, mi chiudevo in isolamento e mutismo. Lottavo e tiravo avanti cercando di sorridere.

Affronto le difficoltà con disinvoltura senza scansarle. Amo avere vicino a me i libri e ne compro più del necessario, però non romanzi ma quelli di saggistica. Per intero ne ho letti pochissimi. Scorro l'indice ne guardo le figure, ne scavo fuori la sostanza, che spesse volte è contenuta in poche pagine. Ne estraggo il messaggio e poi li metto da parte. Non con disprezzo, ma in attesa di quando avrò tempo di leggerli. Ho molta memoria e quando mi servono ricordo di averli, e li consulto.

Mi sono conosciuto di carattere sensibile, generoso e buono di cuore. Sento fortemente l'arte, distinguo il bello, lo riconosco subito fra tanto sottobosco di bassa lega. Spiego questa mia sensibilità innata come proveniente da precedenti vite vissute da artista e di cui non so dire nulla.

Ho avuto fin dall'infanzia predisposizione ad ascoltare la musica colta: specialmente quella classica, ma anche lirica e jazz. So riconoscere e ricerco quella che prorompe nel cuore con grande vibrazione, fino ad innalzare al massimo. Mi sono accorto che non a tutti piace la musica che piace a me. È per loro come linguaggio incomprensibile, tanto che mi chiedono di toglierne l'ascolto, per loro molesto. Sento la pittura ed il messaggio che essa trasmette, sia con le figure, sia con il colore. Ne cerco subito il simbolo, ne raccolgo il significato. L'architettura, il teatro, la poesia sono anch'esse di mio intendimento. Ho predilezione per la filosofia, perché sono anche io un po' filosofo nella riflessione e nel ragionamento.

Non mi annoio mai, ed ho sempre tante risorse dentro di me.

Ho tendenze proletarie, comprendo il sacrificio dei poveri che si misurano nella fatica con le miserie della vita e che subiscono ingiustizia e soffro per coloro che sostengono infermità e tribolazione. Faccio tutti i lavori e vi riesco bene. Sono stato sempre un gran lavoratore, senza orario, molto attivo, e quando mi sento stanco, io cambio lavoro.

Ho inclinazione per la scienza medica. Intuisco la malattia e capisco come affrontarla. Mi interessa la medicina naturista, ma non sono vegetariano e mangio poca carne. Accetto la omeopatia, fitoterapia, conosco lo Yin e Yang. Ho scritto molto su questi argomenti: per fermare il mio pensiero. Un giorno forse riuscirò a stampare qualcosa.

Anche questa tendenza sono certo mi provenga da precedenti incarnazioni, vissute come praticone erborista e medico. Ne ho facilità innata e mi esercito su me stesso con successo.

Sono capace di organizzare e guidare il lavoro dei dipendenti. Ho iniziativa e molta volontà di portare a termine quanto ho cominciato, anche se spesso mi riduco all'ultimo momento. Sono anche pignolo, e questo per me è stato sempre un difetto pesante, che mi ha portato a tardare le mie realizzazioni.

Sono impulsivo. Questo è un'altro mio difetto. Prendo decisioni affrettate senza troppo riflettere a questa fretta, senza soffermarmi prima di decidere, mi ha portato spesso a pentirmene.

Quando devo interrompere un lavoro, una attività che sto svolgendo, ne sono molto irritato. Se vengo contrastato nella volontà divento nervoso e anche irascibile, come pure se non riesco a concludere il programma che mi sono prefisso, me la prendo con me stesso.

So che la irritabilità viene influenzata dal mal di fegato, da cattiva digestione, dall'alcool e ora ho imparato a controllare molto il cibo che prendo.

La maggior parte della cattiva salute dipende da quanto, da cosa, da come si è mangiato. Dico questo anche se, superato i 70 anni, molti miei difetti sono cambiati. Ho vinto il difetto della mia ira, armandomi di tanta pazienza.

Fin dalla adolescenza mi ha accompagnato questa ira tumultuosa, e lo scatto nervoso, che hanno guastato la mia situazione nei rapporti con gli altri. Questa ira avveniva anche senza la presenza di nessuno e allora me la prendevo con gli oggetti che scaraventavo con violenza, perché si frapponevano alla mia volontà.

Il mio amor proprio, la mia fierezza, mi spingevano a vincere le battaglie della vita con le mie sole forze. Non ero di certo "l'incapace" come mi rinfacciava sempre mia madre, ma nemmeno una cima di genio, un dirigente valido, come mi voleva mio padre. Il loro atteggiamento di poca fiducia verso di me, aveva finito col farmi cercare fuori casa le mie rivincite.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                  PARTE SECONDA: Il mio risveglio spirituale.

 

 

 

8. - Un nuovo destino

 

Dopo il fallimento coniugale non andai a bussare alla porta di mio padre, come supponeva mia moglie, ed ero deciso a proseguire la vita da solo, in attesa di ritornare insieme.

Il 22 maggio '54 dopo la sentenza di separazione, sono uscito di casa mia, con la valigia. Lasciavo tutto a mia moglie e a mio figlio, per il loro bene.

Mi ero trovato una camera ammobiliata vicino all'ufficio dove lavoravo, un ufficio statale: il C.N.P. (Comitato Nazionale Produttività) e per il mangiare andavo sempre alla stessa trattoria.

Una sera al mio tavolo sedevano due professori che parlavano tra loro di reincarnazione. L'argomento mi interessava molto. Mia nonna me lo aveva più volte accennato. Diceva che io somigliavo a mio nonno e che ne ero la sua reincarnazione.

Così quella sera volli saperne qualcosa ed entrai nel loro discorso. Mentre io parlavo mi venivano i brividi lungo la schiena. Loro se ne accorsero e mi dissero che erano segni spirituali di conferma. Sul più bello della conversazione andò via la luce. Il locale ed i lampioni della strada rimasero al buio per pochi minuti. Anche questo per loro era un segno di conferma.

Tornammo a incontrarci allo stesso tavolo. Uno di loro si chiamava Luigi Serafino Mancini, l'altro Giulio Daneri. Io li cercavo perché ero attratto dai loro discorsi sulla spiritualità. Mi dissero che il sabato pomeriggio frequentavano un circolo spirituale dove una "medium" in trans parlava di argomenti di questo genere. Anche io potevo andarci e mi feci dare l'indirizzo. Ma nella stanza dove credevo di trovare la medium vi era solo un registratore magnetico e molte panche con gente seduta. Una voce femminile dall'altoparlante diceva di essere San Francesco. Un signore, seduto accanto a me, era diffidente e mi domandò se io ci credessi. Io gli risposi: "Che sia San Francesco, o no, non importa. A me basta quello che dice e mi piace molto".

Ci ritornai altre volte, ma non potevo essere ammesso alla seduta originale, cioè alla presenza della medium, perché avrei potuto portare squilibrio alla riunione. Doveva essere la medium stessa ad accettarmi. Rivolsi la domanda la padrone di casa, Otello Petrignani, e lui mi dette risposta nei giorni successivi. Ma quando fui ammesso e mi presentai all'appuntamento, la medium non venne perché indisposta. Ci rimasi male e non ci sono più tornato, senza un motivo.

Sempre dai medesimi professori venni a sapere che frequentavano anche la casa di una signora: Elvira Giro, una veggente che aveva scritto un libro di "rivelazioni spirituali". Riceveva le persone per parlare di queste cose, soltanto il venerdì pomeriggio. Occorreva il suo consenso per andarci e loro lo avrebbero chiesto per me.

Venne il consenso, venne il venerdì stabilito, e già sapevo qualche notizia sul conto di questa signora. Era la rappresentante della Madonna in Terra. Così quel giorno, misi la camicia più bella che avevo, l'abito migliore, sfidai un terribile temporale estivo, con acqua a catinelle, e mi presentai a Via Tevere 21.

 

Trovai la porta spalancata del tutto, nelle due ante. In terra c'era bagnato di fresco, perché avevano asciugato la pioggia. Suonai lo stesso e una voce da una stanza mi disse di venire avanti.

Era il 18 giugno 1954. Iniziava così un nuovo destino per me, imprevisto, imprevedibile.

Seduta a un tavolo una anziana signora, con un rosario alla vita, stava scrivendo sopra delle carte ammucchiate. Mi ricevette molto seria e cominciò a parlarmi di tante cose.

Mi leggeva delle lettere che aveva ricevuto da Arcidosso, da due correnti religiose giuris davidiche: una guidata da Azeglio Righi e una guidata da Nazareno Bargagli. Poi mi ha mostrato le bozze di stampa del suo secondo libro, che stava correggendo. Parlava, parlava, ma io non capivo più nulla. Ero terribilmente confuso e avevo la testa che mi si riempiva di vuoto.

Vedevo sul tavolo tra le sue carte ammucchiate un grosso paio di forbici da sarta. Un forte istinto mi prese di afferrare quelle forbici. Una voce mi diceva dentro di me: "Prendile, e uccidila! È  in tuo potere. La puoi facilmente eliminare!" Ed io replicavo, sempre dentro di me: "Per quale motivo? Non mi ha fatto niente di male e dice delle cose di buon senso".

Quel pomeriggio, forse a causa del temporale, non si era presentato più nessuno. Eravamo soltanto noi due.

Io le proposi di aiutarla a correggere le bozze e lei lo gradì. Vi aveva già messo le mani un suo collaboratore: Oreste Nobile, ma il lavoro andava a rilento. Subito l'indomani andai da lei portandole una risma di carta da macchina, e di giorno in giorno andavo per le correzioni di stampa.

Così venni a sapere la storia di David Lazzaretti, il carrettiere profeta del Monte Amiata, che era stato ucciso innocente nel 1878, mentre procedeva alla testa di una processione religiosa al suo paese. Aveva fondato una religione cristiana Giuris-davidica, basata sulla umiltà e povertà francescana. Andava battezzando i suoi seguaci col battesimo del fuoco, come aveva profetizzato San Giovanni Battista.

Ma soprattutto mi parlava della apparizione della Vergine della Rivelazione, nella grotta delle Tre Fontane di Roma, quando il 12 aprile 1947 parlò al comunista Bruno Cornacchiola ed ai suoi tre bambini, annunciando: "Sono colei che sono nella Trinità Divina", accompagnata da un meraviglioso profumo. Aveva un libro nelle mani ed era vestita con i colori della bandiera italiana. Quel "Libro" delle Rivelazioni Spirituali doveva essere divulgato da un corpo vivente sulla Terra, destinato a rappresentarla fisicamente. Ed era la stessa signora Elvira che aveva ricevuto quel compito, quella ardita Missione di scriverlo e farlo pubblicare. Nei suoi 14 libretti lo portò a termine in 34 anni.

Per il giorno 10 agosto lei aveva l'impegno di recarsi a Sorrento, dove in un grande albergo si doveva tenere un importante "congresso" spirituale. Aveva già presentato il testo della sua conferenza, che doveva leggere, ed aveva ottenuto il consenso e anche l'invito a partecipare.

In quei giorni mi capitarono manifestazioni spirituali e sogni interessantissimi, che ho annotato e custodito fra le mie carte.

Se leggete il 3° libretto di Elvira Giro, alle pagine 93-113 troverete il testo della sua conferenza e molti altri particolari che mi riguardano.

Ricordo che andavo al "Santuario" delle Tre Fontane molto spesso, a pregare. Mi caricavo di gioia e di distensione. Ci rimanevo molte ore, trattenendomi nel bosco di eucaliptus. Mi compiacevo nel vedere tutti quegl'alberi che dal ceppo iniziale si suddividevano in tre tronchi verticali, e gli davo il significato trinitario. Poi negli anni furono tutti tagliati via. La statua della Vergine delle Tre Fontane certe volte si trasfigurava. La vedevo muoversi e illuminarsi di raggi bianchissimi. Era e non era: mi sembrava o non mi sembrava. Ne uscivo senza averne la certezza. Pensavo di essere suggestionato. Oggi posso veramente dire che erano tutte conferme autentiche per rafforzare la mia volontà di ricerca. Non erano fantasie.

Frequentavo anche la "Scala Santa" a Porta San Giovanni, facendomi in ginocchio più volte quella scalinata foderata in legno, e pregando. Andai anche al "Divino Amore", un santuario che non mi è piaciuto, per la troppa bigotteria.

Accettavo invece tutta quella spiritualità, sentivo che quel mondo "invisibile" era verità. Mi rendevo conto che per molti era una follia crederlo, per cui dovevo comportarmi con prudenza, per non passare per un esaltato.

In luglio ('54) andai in ferie da mia sorella e portai con me un libro scritto da David Lazzaretti da leggere. Era per me ancora assai difficile capirlo, così poco allenato a quel genere di argomenti. Ma per il 10 agosto mi trovavo anch'io a Sorrento con la signora Giro. C'erano con noi il dott. Carpanelli di Bologna (uno spirituale colto e filosofo) il prof. Luigi Mancini di Roma ed il figlio Franco della signora Giro.

Portammo con noi molte copie del libro appena stampato, e le abbiamo distribuite.

La conferenza ebbe poi molto successo e venne lanciata la nostra parola d'ordine: "Le stelle ci guardano. Iddio e con noi, e siamo la Sua celeste milizia!" di fronte ai convenuti di 12 nazioni.

Tornammo a Roma tutti insieme, e per il 14 agosto eravamo sulla vetta del Monte Labro, nell'Amiata, terra di David Lazzaretti.

Fu lì che nella notte tra il 14 e il 15, in attesa dell'alba ho compiuto le nozze spirituali di iniziazione, con la signora Giro; poi all'alba, ho ricevuto il "battesimo del fuoco" (un sigillo d'argento col segno  scaldato nell'olio caldo) e mi sono consacrato: niente di meno che sacerdote Giuris-davidico, battezzando a mia volta col fuoco, lo stesso Carpanelli e il Mancini.

C'erano presenti una decina di seguaci "davidiani" del luogo e fra questi il loro sacerdote Nazareno Bargagli, dal quale io fui battezzato col fuoco. La consacrazione a sacerdote invece l'ho ricevuta sia da lui, sia dalla signora Elvira. Mi veniva affidato il compito di condurre l'Opera Giuris-davidica della Grande Madre, col nome di Giovanni, per dare inizio alla Chiesa Giovannitica. Quel rito apriva la conquista spirituale della "Assunzione" al Cielo dei figli solari.

Come sia stato possibile tutto ciò mi rimane ancora inspiegabile, se io non rivolgo il pensiero al Cielo, che aveva predestinato già tutto. Non ero pronto in nulla e nemmeno sapevo di doverlo sostenere. Venne deciso sul momento. Era una forza irresistibile di obbedire e affidarmi, che mi faceva accettare felice.

Così, senza preparazione alcuna, mi trovai ad essere divenuto un sacerdote della nuova religione Giuris-davidica. Un gioco facile a realizzarlo, ma di una responsabilità enorme di fronte a Dio e agli uomini.

Un passaggio che stabiliva un cambiamento della mia vita. Un passaggio sul mio futuro, talmente lontano dai miei pensieri che non mi aveva mai sfiorato nemmeno l'idea. Se me l'avessero preannunziato soltanto l'anno prima, non l'avrei potuto credere possibile, tanto era per me assurdo e diverso dalla mia natura scanzonata, così incapace come ero di parlare di queste cose con la gente. Non vi era mai stato in me un misticismo di questo genere. Non ero certo nato per essere un santo. Non ero il tipo facile da sacrificarmi ed ero proprio inadatto per simile compito. Eppure qualcosa era accaduto che mi aveva cambiato.

Col battesimo del fuoco, la signora Elvira mi aveva cambiato il nome: "Non più Leonetto, (che secondo lei significa: Leone netto) ma d'ora in poi ti chiamerai Leone!".

In pratica nessuno mai mi aveva chiamato Leonetto, nemmeno i genitori che me lo avevano assegnato. Tutti semplicemente mi chiamavano Leo, nome che non mi piaceva affatto, ma io lasciavo correre, perché non mi piaceva nemmeno il primo.

 

Passarono i giorni. Tornai al lavoro in ufficio, prendendo sul serio la mia missione. Distribuivo qua e là il 2° Libretto e frequentavo la casa della signora Elvira, che viveva da vedova, con il figlio Franco, studente liceale, e le sue tre sorelle.

Cominciammo a preparare il 3° Libretto, dal titolo: "Opera dello Spirito di Verità" sulle basi del cristianesimo Giuris-davidico, nella sua Legge del Diritto Divino sopra l'umano diritto.

Comprendeva la parte mistica liturgica dei nuovi riti e cerimonie sacre per il nuovo sacerdozio. Lo facemmo subito ciclostilare in diverse copie.

La signora Elvira riceveva in "chiarudienza" le nuove preghiere e la nuova procedura, ed io le battevo a macchina. Lei riceveva in congiunzione col "Centro Motor dell'Infinito". La parte mia era esecutiva. Le davo qualche mio parere e le correggevo la grammatica. Io – proprio io – quello studente liceale del passato, che bocciava facilmente nei compiti di italiano.

Mi sono offerto di servire Iddio, senza sapere come si facesse. Facevo del mio meglio, e come potevo, e fin dove capivo. Era bello offrirsi e io ci credevo completamente. Poi non avevo altro interesse. Presi l'impegno di lottare per sostenere l'affermarsi dell'Opera giuris-davidica consacrando tutto il fine della mia vita a questo santo servizio. Avevo capito come stava il guasto del mondo e davo uno scopo alla mia vita.

Lottare per l'affermarsi dell'Opera significava lottare contro quelle forze che tentano di portare squilibrio in ogni individuo di buoni propositi, per farlo desistere, per farlo sbagliare e stancare.

Ho accettato di credere senza vedere e di non temere il giudizio degli uomini, ma quello di Dio. Ho anche accettato questa mia strada, convinto di non dover rappresentare la parte del Capo, ma solo quella del gregario, non sentendomene certo all'altezza.

Attendevo sempre la venuta di numerosi altri, che si unissero a noi e fra di loro il nuovo Capo, migliore di me, che si prendesse il compito di portare avanti e risolvere i vari problemi spirituali, al livello della signora Elvira, per divenire io uno dei suoi collaboratori. Ma questo non si è mai presentato.

 

Molti venivano e frequentavano la signora Elvira, attirati dalla sua sicurezza e dai suoi argomenti convincenti, pensando che fosse facile e breve ottenere dei vantaggi senza lottare.

Ne elencherò semplicemente i nomi più significativi: Luigi Mancini, Luigi Carpanelli, Raniero Niccolai, Alfredo Salimei, Oreste Nobile, Luigi Calandrini, Luigi Massa, Alberto Santoni, Francesco Mascitti, Attilio Jurlaro, Franco e Lina Polimeni, ecc..

Poi negli anni che seguirono, ad uno ad uno si sono stancati, e venivano di rado, fino a perderli di vista. Restammo solo in tre: la signora Elvira, Luigi Mancini ed io. Era una scuola di nozioni elevate e di comportamento sociale, fondata sulle Leggi divine e sulla ricerca della salvezza dell'anima.

David Lazzaretti aveva avvertito dovevamo essere "umili, semplici e retti", così forti e risoluti da dedicare a Dio, l'anima e il corpo e tutto ciò che abbiamo di più caro e prezioso al mondo, perché si tratta di distaccarsi da tutte le passioni mondane che predominano sul cuore.

La signora Elvira mi aveva anche parlato di una vecchietta del quartiere della Garbatella: mamma Elena; che era stata la compagna dell'Apostolo Filippo Imperiuzzi, il prete filippino, primo collaboratore di David Lazzaretti. Questa vecchietta nella sua infermità era stata assistita negli ultimi tre mesi dalla signora Elvira. Stava in una poltrona, aveva molte visioni ed era una "veggente".

Al primo incontro con Elvira, le disse tutte le notizie che riguardavano il suo passato, come se le avesse da tempo già conosciute; e aggiunse: "Finalmente sei arrivata! Ora posso anche morire!" Prima della sua morte, mamma Elena le ha consegnato tutto l'archivio di don Filippo Imperiuzzi, che lei custodiva gelosamente in un baule, con i documenti che riguardavano David Lazzaretti, il profeta dell'Amiata.

Fu un vero passaggio di consegne!

 

Il 2° Libretto di Elvira Giro era per me difficile capirlo. Il cercarne i vari significati, soprattutto dei simboli, era una esperienza nuova.

L'intreccio dei fatti sui "Tre Personaggi" del Triangolo del Principio Creativo, in lotta di affermazione sugli spiriti ribelli, mi pareva più che altro un argomento per un dramma da teatro. Ed era assai azzardato per me, cercarne riferimento nella situazione umana.

In più, quella sua esposizione poco lineare, ne complicava la lettura. Eppure erano le basi per comprendere cosa fosse avvenuto nella preistoria, ai primordi dell'umanità , e poter spiegare poi la situazione del presente. Erano "Rivelazioni Spirituali" molto concise e concentrate, da rileggersi più volte e da sciogliersi con la intuizione e la meditazione. I concetti difficili le venivano suggeriti dalla Regina dell'Universo incorporata in lei, senza mai manifestarsi.

Tutti argomenti nuovi, che venivano "rivelati" per la prima volta all'umanità. Era indispensabile crederci, il resto toccava a noi maturarci per arrivare a comprenderli, perché sono verità e si tratta delle "Scienze Creative", necessarie per il progresso umano.

Ero sorpreso e desideroso di sapere, per andare avanti, proprio come se mi fossi trovato ai primi giorni di scuola, di un corso di studi superiore.

Nel Libretto si parla anche del "Corpo Mistico Cristico" con i suoi "Centri di Comando Spirituale", una grandiosa figura umana con tre occhi (uno sta al centro della fronte). Questi rappresentano i tre Centri Solari della SS.ma Trinità di Dio, coadiuvati dai Sette Arcangeli nella loro complessa attività amministrativa, con il compito di organizzare e sostenere l'opera di evoluzione materiale umana.

Venni a sapere che è una istituzione di recente costituita (avvenuta in questo secolo) ed io mi domandavo: "Ma come mai, quelli del Cielo, gli addetti, si sono messi a crearla soltanto adesso"?

La signora Elvira mi spiegava che l'umanità soltanto adesso se la era meritata come conquista collettiva, avvenuta dopo la Missione compiuta da David Lazzaretti.

Noi tutti formiamo col pensiero un anima gruppo che assorbe il suo riflesso spirituale fino a raggiungere la perfetta conoscenza.

Le anime sono state create di varie tendenze: progressive e sociali, e sono in corrispondenza a questo grandioso Corpo Mistico Cristico della Maestà Divina Armonica: cioè ad ogni anima e spirito (che la guida) spetta il posto che si è conquistato sulla Terra e tutto viene registrato in quella grande Centrale. Perché i corpi umani devono sapersi conquistare il regno dei minerali.

Quel "Corpo Mistico" sarebbe dunque come un grande edificio: un ministero, un albergo, un magazzino (tutti insieme) e collocato sul piano eterico spirituale. È stato costruito con tante stanze, o celle, su disegno a sagoma umana: testa, tronco, braccia, gambe. Ad ogni organo, ad ogni arto, un compito differente: 3 comandi, 7 amministratori, 12 movimenti costellari.

La società umana ad esso collegata si comporta in conseguenza dei compiti di appartenenza, derivati dagli organi di questo "Corpo".

Una autentica organizzazione alberghiera, affidata alla direzione dei Tre Occhi, o Centri Solari, e per ogni stanza vi è in corrispondenza un corpo terrestre con l'anima evoluta, collegato da fili invisibili, coordinati dai Sette Arcangeli, mentre i 12 movimenti costellari controllano le varie reincarnazioni umane con grande giustizia.

In quei giorni feci un sogno: Mi avevano condotto in una abitazione dove ho incontrato sette persone, molto espansive ed accoglienti. Tra di loro vi erano due donne. E tutti vollero stringermi la mano con molta effusione.

L'indomani la signora Elvira mi spiegò che avevo incontrato i rappresentanti dei Sette Arcangeli, e da loro ne ho ricevuto il benvenuto, come ingresso nel mio lavoro spirituale.

Sul 2° Libretto essa aveva anche rivelato, per sua intuizione, i loro sette nomi: tre dei quali già noti. Michele, Gabriele, Raffaele (femminile), mentre gli altri quattro erano nomi che ancora qualcuno della umanità doveva scoprire, ed essa ce li ha suggeriti: "Muré, Arlé, Siré, (femminile), Ailé". Ognuno con un compito diverso.

 

 

9. - Come è iniziata la mia spiritualità.

 

Forse ero già pronto a comprendere il linguaggio spirituale e ad accettarlo, perché mi rimanevano facili molti discorsi elevati che afferravo nei vari significati.

Accettavo tutto quel mondo invisibile e sentivo che era "Verità", mi rendevo conto che per molti era follia crederci, per cui dovevo comportarmi con prudenza per non essere passato da matto.

Dovevo tacere e fare i fatti miei, senza raccontarli e senza dare spiegazioni. Non mi avrebbero capito.

Era già troppo difficile fare una doppia vita: quella sociale nel lavoro, accanto alla gente e ai parenti che non capivano, e quella spirituale del sacerdote che portava avanti una Missione.

All'inizio non sapevo che era una missione. Semplicemente cominciai a fare delle opere buone, e cercar di rispondere ai miei quesiti interiori inquietanti.

Ero assetato di sapere tutto di quel mondo, cercavo qualcuno che mi spiegasse di più. Portai avanti la situazione, convinto che durasse poco e che sarebbero venuti in molti, e altri migliori di me.

La mia posizione era semplice: aiutare la signora Elvira, sostenerla a svolgere la sua Opera man mano che le veniva suggerita dal Cielo, mal sopportando il suo energico autoritarismo.

Fin dai primi giorni dopo l'incontro essa mi parlava in "potenza". Certe volte le arrivavano dei "comunicati" dal "cosmo". E questo avveniva stando seduti al tavolino.

Mentre lei parlava lentamente, da sveglia, io scrivevo quanto le veniva suggerito dalle sue "guide" spirituali. Erano "guide" molto elevate, perché dicevano di essere nella Trinità divina e ci trasmettevano dal "Centro Motor dell'Infinito". Ci parlavamo rivolgendosi a tutti e due, ma sempre tramite la signora Elvira.

Io sbalordivo perché erano messaggi di una logica e di una coerenza formidabili, che non potevano essere una improvvisazione, e poi me li andavo a rileggere riflettendoci sopra. Me li tenevo segreti dentro di me. Se avessi raccontato cose del genere a chiunque, sarei passato per credulone e per esaltato, perché la gente non vuol saperne di certi argomenti: li teme come una contaminazione, li considera eretici senza cercar di capire.

Qualche volta ero preso dal dubbio che non fosse realmente l'Eterno Iddio a parlarmi e fosse invece qualche spirito negativo a ingannarmi. Veramente mi sembrava impossibile che avesse scelto me, proprio me, per dialogare di cose tanto speciali, e non mi sentivo degno di meritare la Sua attenzione, ma tanta era la gioia che ne provavo da non respingere mai quei colloqui.

Erano conversazioni durante le quali mi era concesso fare domande e spesso ero interrogato come se mi trovassi davanti ad una prova di esame. Ci venivano spiegate le situazioni e le cose da svolgere, significato dei sogni che ricevevamo, ma soprattutto i "simboli" ed il risultato "incisivo" dei nostri movimenti.

Era più che certo! Non eravamo soli. Tutta una schiera angelica invisibile ci assisteva e spianava il campo alle nostre azioni e alle battaglie che dovevamo superare. Noi dovevamo intuire e usare il nostro ragionamento.

A volte raccontavo i miei dubbi alla signora Elvira che mi rispondeva con questa frase: "A far da matti ci vuole un gran giudizio"!

Fu il giorno 22 giugno 1954 che ho ricevuto il primo di questi "messaggi" interamente rivolto a me. Lo vorrei trascrivere perché chiarisce il modo col quale ho cominciato questa nuova vita, e questo nuovo destino.

"Sei riuscito a ritrovarti. Hai camminato per 13 anni su un sentiero sbagliato. Ora sei nuovamente libero. Ti consegno la mia conoscenza. Devi saperla intendere. Non avere timore, tu che hai forza di volontà! Non avere dubbi tu che senti la Potenza agire in te. Non fermarti ora che hai varcato la Porta della Grande Luce dell'Universo, per la fusione sul piano Terra.

Hai conosciuto come sia amara la vita coniugale, hai conosciuto che i sensi ti porterebbero ancora nel disordine. Sappi vincerli, guidarli, dominarli. Sii padrone di te stesso, giocando con la Grande Luce trasfusa in questa piccola donna, che è la Potenza della più interessante manifestazione cosmica universale.

Lei ti aiuterà molto per avere la parte migliore. Sei sporco, hai detto. La mia Potenza ti fortificherà e ti laverà da capo a fondo. Purezza, castità, onestà, principio sano morale. Niente fanatismi, neppure bigotterie, ma ardimento e difesa della conoscenza. Con tua moglie comportati come verso una amica, e cerca di assimilare con calma, e saggezza, perché conto di darti un comando. Sai che per la Milizia Crocifera occorrono soldati di forza, e tu sei di forza. Ti ho provato prima di forgiarti nella lotta che dovrete sostenere. La piccola donna ti ha dato da leggere le scritture del caro Carpanelli. Tu sarai con lui per la conquista.

Sto per fare di te la persona più adatta per la compagnia della Luce. Dipende da te saperla intendere. Devi avere saggezza, serietà, semplicità. Chi comanda è la mia Potenza che agisce in Lei. Perciò una donna apocalittica guiderà il mondo e gli umani tutti dovranno seguirla. La mia pace ti raggiunga".

 

Questo comunicato che io conservo per esteso assieme a tutti gli altri, fu di grande sorpresa per me. Parole di elogio per alcune mie qualità, mi innalzavano. Il modo paterno di parlarmi e di incoraggiarmi mi consolavano. Spiegazioni convincenti mi edificavano. Ne avevo tanto bisogno, dopo tante amarezze coniugali e disorientamento.

Mi soffermavo sulla prima frase. Era vero che io avevo camminato per 13 anni su di un sentiero sbagliato? (fidanzamento e matrimonio). Certo, non avevo mai pensato di dover rispondere a qualcuno della scelta che avevo fatto.

Altri messaggi proseguirono nei giorni successivi. Ci dicevano di non attenderci successi, di non attendere aiuti da altri, di avere la massima prudenza verso i genitori e i parenti, per non doverci difendere da loro.

E poi ancora dicevano:

"Quello che ti ha condotto qui, non è un gioco di capriccio, ma soltanto il cammino che dovrai intraprendere, perché sei sceso in Terra per questo". E poi: "Il compito a voi affidato per la evoluzione umana è quanto mai arduo e sublime nel contempo". E poi: "La materia è come uno scafandro da palombaro, perciò vi impedisce di vedere e di sentire quello che vi circonda". E tante altre cose ancora.

E sulla "piccola donna" mi ha detto: "...ma intorno a lei ci sono io che con il dito segno e demolisco"!

Non dovevamo respingere nessuno. Chi respinge viene respinto. Potevamo riconoscere le persone evolute dal come si comportavano nei nostri confronti. E questa scuola, questi consigli, questi ordini, (sotto forma di suggerimenti) sono continuati per tutto il resto della nostra vita, sempre tramite la signora Elvira. A volte tutti i giorni, a volte a distanza di settimane: in sostanza avvenivano quando servivano.

Non sempre era la voce dell'Eterno Padre a parlarci. Si manifestavano spiritualmente anche la Grande Madre, Regina del Cielo, o il Cristo Re, o altri personaggi molto elevati, da mettere soggezione. Sempre invisibili per me. Lei spesso li vedeva e me lo diceva, con tutti i particolari. Erano come una proiezione, o come una presenza reale.

La signora Elvira era lo strumento magnifico, così evoluto, così idoneo, che poteva stare alla pari con loro. Era intuitiva al massimo, chiarudiente, veggente, che faceva la parte di ancella, o quella della Grande Madre, a seconda delle situazioni. Un "mezzo" obbediente alla volontà del Cielo, oltre che a svolgere i suoi compiti della vita terrena: per la famiglia, per le sorelle e i parenti. Il bucato a mano dei panni, lenzuola e coperte comprese, stirare, cucinare e fare la conserva di pomodoro, imbottigliare il vino e anche cucire (aveva sempre lavorato da sarta e tagliatrice di modelli, e ne era molto capace). Poi affittacamere (per raccogliere i fondi e fare studiare il figlio e mandare avanti l'opera spirituale intrapresa) e anche amministratrice del condominio. Economa al massimo. Riusciva in tutto, e i suoi studi a scuola furono interrotti alla 5a elementare. Ora poi si andava ad aggiungere il compito di sacerdotessa e scrittrice.

Questo suo cambiare ruolo con disinvoltura, mi sconcertava e sconcertava anche coloro che le stavano vicino. Non sempre era facile accettare che lei fosse nella Terza Persona della SS.ma Trinità, discesa in Terra come corpo carne, per compiere una grande missione. Anche perché spesse volte si sottraeva dal doverlo ammettere, o per sviare, o per mimetizzarsi, ed allora diceva di rappresentare l'Arcangelo Raffaele. E quelle frasi forti, audaci, categoriche che pronunciava, le diceva suggerite dal suo "angioletto".

Io dovevo abituarmi a vivere a fianco a lei, aiutandola nell'Opera spirituale e anche in casa, trattandola normalmente, senza inginocchiarmi. Portarle rispetto in ogni situazione. La chiamavo "signora", come mia padrona di casa, anche se qualche volta l'ho chiamata semplicemente: Elvira.

Cambiava spesso di aspetto, specialmente nel volto: a volte era quello di una giovinetta, a volte quello di una anziana signora. Subentravano in lei delle Entità diverse, a seconda delle situazioni.

Il riferimento alla profezia del numero 10 e 12 dell'Apocalisse, era molto impegnativo. La "donna apocalittica" aveva già consegnato a Giovanni Apostolo il libretto dolce come il miele, ma aveva reso amaro il suo ventre, cioè a quella parte dell'umanità immatura, quella che non l'aveva compreso nella sua importanza.

 

Molte altre cose ci dicevano questi comunicati dal "cosmo"! Ma quando mi dissero che avevano preso me, come incarico, perché non avevano trovato di meglio, io ci "sformavo". È vero: mi sentivo incapace, mi sentivo difettoso, ma non mi andava proprio di passare per la soluzione di sufficienza. Certo, Colui che mi aveva scelto sapeva che io potevo farcela, ma io non lo sapevo.

Oh quante volte mi sono lungamente lamentato di esser stato scelto io, in questo difficile e faticoso compito. Soprattutto perché non mi sentivo all'altezza. "Perché proprio io? Non potevano aver preso un altro al mio posto? e lasciarmi tranquillo in disparte? Io non ce la faccio – dicevo – non mi so muovere, mi sento impacciato, non so parlare in pubblico! E se sbaglio? Quanta mai responsabilità!"

Mentre oggi mi trovo nell'atteggiamento tutto diverso, perché sono "fiero" di esser stato scelto, e pur vedendo me stesso ancora pieno di difetti (anche se qualcheduno sono riuscito a superarlo), riconosco che certe qualità mie, sono state positive e veramente determinanti, in questa lotta titanica contro le forze e le figure invisibili che si accanivano e si accaniscono contro di noi ad impedirci di realizzare l'Opera Giuris-davidica del Cielo e a farla riconoscere ai dormienti.

Fra le mie qualità ci sono: la mia grande volontà, la mia costanza, la mia certezza, il mio sgobbare, il mio battermi a testa bassa come un bufalo per sfondare le barriere, per ottenere un risultato in tutto. Scoprire i simboli, sfidarli e costringerli dimissionari. E poi tanta obbedienza e raziocinio.

Fin dai primi giorni dopo l'incontro con la signora Elvira cominciarono per me le manifestazioni soprannaturali. Profumi intensi, soprattutto di incenso, ma anche di fiori, tuberose, gelsomini, mi arrivavano per premiarmi o per farmi convinto, senza che i presenti si accorgessero di questi profumi, perché erano destinati solo a me. Sogni stupendi e poi le prime visioni, che non capivo, e allora andavo a farmele spiegare dalla signora Elvira.

Un altro fenomeno soprannaturale era il fuoco ardente che mi prendeva sul volto, sulle spalle, sulle braccia, come se mi trovassi di fronte a un grande riflettore o a un grande Sole, che mi incoraggiava a sentirmi sempre assistito e protetto. E questo mi dava tanta gioia.

Le visioni arrivavano da sole, senza che io le cercassi. Non erano frutto di mie fantasie. Ma quando mi provavo a raccontare quello che vedevo, come fatto isolato, capivo che nessuno aveva la prova che io dicessi il vero. Erano doni che dovevano servire soltanto a me.

Questo era il modo di incoraggiarmi. Per il "mondo spirituale" non era ammesso di spiegarmi tutto con chiarezza, dovevo essere io, capace di intenderlo e interpretarlo. Come una scuola, per fortificarmi in questo nuovo esercizio.

 

Col passare degl'anni tutte queste manifestazioni diminuirono molto, rimasero soltanto i sogni e le visioni, ma distanziate nel tempo, perché erano servite per convincermi.

Ogni volta che avevo la visione mi soffermavo a disegnarla su un foglio: un po’ per ricordarmi, un po' per mostrarla alla signora Elvira. Sapevo disegnare abbastanza e completavo la figura con delle scritte. Ne ho conservate dei pacchi e anche dei quaderni interi. Nel loro insieme comprovano la loro autenticità. Ma dovevano servire solo per il mio ammaestramento. Erano dei veri messaggi in forma di simboli, che io dovevo interpretare come i rebus. Ma restava anche da scoprire se erano riferite a fatti già avvenuti o a fatti ancora da venire, sottoforma di annunzio o di avvertimento.

Avevo intelletto spiccato verso le cose divine. Mi piaceva ricevere le spiegazioni elevate, rassicuranti, su quanto mi capitava e su come dovevo improntare le mie giornate. Avevo una particolare sensibilità, una attrattiva, una sete di appagare gli interrogativi che nascevano continuamente dai miei pensieri e dalle situazioni difficili.

Avevo desiderio di esaminarmi a fondo, di approfondire, di cercar di capire e di fermare sulla carta le mie riflessioni, per mio uso, con il timore che passassero via nel tempo, o nella dimenticanza, come l'acqua del fiume che passa e non si ritrova più.

Ma non ero solo. Mi accorgevo di avere alle mie spalle tutta una schiera di protettori invisibili, e anche la mia "maestra", Elvira Giro, che mi spiegava e poi si affiancava con me nella lotta.

Ho detto la mia maestra, ma devo aggiungere che era la mia domatrice, una domatrice di leoni dal carattere forte e risoluto. Un carattere audace, una intuizione fulminea, una risposta pronta, una spiegazione convincente, una presenza costante in tutte le situazioni difficili, una affabilità dolcissima, una disponibilità continua.

Mi ha raccolto che ero uno straccio, un fallito nel matrimonio e nel lavoro; ancora innamorato della moglie, che mi aveva respinto e mortificato. E quando fui licenziato e rimasi senza una lira, col mio amor proprio e il mio carattere orgoglioso, non ho voluto chiedere soccorso al genitore, perché c'era di mezzo un muro di incomprensione e di avvilimento.

Venni raccolto dalla mia maestra con materna assistenza e man mano ho potuto ricominciare e costruire me stesso, sotto nuove vedute, sotto nuove energie, dando inizio così al mio nuovo destino.

Ma non supponevo ancora le tante difficoltà, le tante lotte che avrei incontrato sul mio cammino, andando "controcorrente"!

 

 

10. - La apertura della Chiesa Giuris-davidica, in Roma.

          (una nuova "breccia di Porta Pia" di "incisione" spirituale).

 

Nel mese di ottobre del '54 avevamo completato di scrivere il "rito" della "Funzione", che la signora Elvira aveva dettato in tutti i particolari con le nuove preghiere, e noi eravamo avvertiti che non dovevamo chiamarla più: la Messa.

Erano preghiere molto belle tutte di nuovo conio, dalle quali potevamo raccogliere insegnamenti, per dirigere il nostro pensiero verso l'armonia del creato.

Avevamo conosciuto il maestro di musica Giovanni Lo Savio, che interessandosi alla nostra Opera di sua iniziativa volle musicare la coroncina della dieci preghiere agli Arcangeli. E quelle note, scritte sul pentagramma, ancora accompagnano le nostre preghiere cantate.

Elvira come sarta provetta si diede subito da fare a cucire gli abiti sacerdotali. A Leone era stabilito il colore grigio argento, a Mancini il colore francescano, e a lei il colore bianco, come rappresentanti di una qualità sacerdotale; li indossavamo solo per la Funzione.

In quel tempo Mancini aveva libera in casa sua, a Via Apuania 43, una stanza vuota che metteva a disposizione. Ottenne dalla signora Elvira di farne il luogo delle nostre celebrazioni.

Ci demmo da fare per arredarla: il mobile dell'Altare, i paramenti, i 3 calici (di vetro), l'incensiere, le ostie, il candelabro a 7 braccia, le panche.

Volevamo inaugurare la nostra Chiesa Universale della SS.ma Trinità di Dio nella ricorrenza della nascita di David Lazzaretti, il Cristo in seconda venuta. Così stabilimmo la data del 6 novembre: un sabato pomeriggio.

In quel giorno scadevano i 120 anni della sua nascita e volevamo festeggiare anche le Nozze di Diamante, cioè i 75 anni della fondazione della nostra Istituzione, in riferimento alla profezia di David dei 15 lustri (a partire dal 14 marzo 1878), una data ben nota ai Giuris-davidici.

Avevamo invitato diversi simpatizzanti e anche qualche giornalista, cosicché la chiesetta quel giorno era piena di gente, venuta coi loro amici, anche per curiosità. Il rito si celebra in tre sacerdoti a significare la Trinità di Dio: di regola devono essere due sacerdoti e una sacerdotessa. Io celebravo tremante e inesperto. Ai miei lati avevo la signora Elvira e Mancini, tutti e tre molto convinti di quanto facevamo. "Basta leggere" – diceva Elvira – ed io leggevo, sicuro che ce l'avrei fatta.

 

Non sapevamo però che sopra Roma qualche ora prima si era verificata una eccezionale manifestazione: un centinaio di "dischi volanti" in formazione, avevano disegnato il segno Giuris-davidico, nell'azzurro del cielo limpido, segno da poche persone conosciuto e compreso.

È rappresentato da due lettere C aperte in fuori, con una croce a lati uguali in mezzo. Con quel segno e col sigillo d'argento, David Lazzaretti, il Cristo, Duce e Giudice, battezzava nel fuoco dello Spirito santo.

Nessuna ricorrenza notevole, nessun altro avvenimento si era verificato in quella data, da giustificare o da poter spiegare il perché di tanto fenomeno eccezionale, e noi questo fatto, unico nella storia umana, lo venimmo a sapere molto tempo dopo.

I fratelli extraterrestri sapevano che noi stavamo "incidendo" l'apertura di un'Opera grandiosa, intendevano così manifestare l'importanza del nostro rito di apertura in Roma, un vero ingresso verso una Nuova Era, quella del "Millennio" dello Spirito Santo, ma anche "una seconda Breccia di Porta Pia", che rompeva il cerchio spirituale del vecchio sistema conservatore.

Il 1954 è stato un anno fatidico, una pietra miliare per l'intera umanità, annunciato persino nella Grande Piramide di Cheope (la piramide delle epoche) attraverso la "profezia geometrica", che segna le tappe fondamentali degli eventi terrestri di tutti i tempi (o epoche).

La Grande Piramide fu costruita circa 3.000 anni avanti Cristo. Non era una tomba per racchiudere una camera funeraria, destinata alla spoglia del faraone e della sua sposa, perché la camera del Re e la camera della Regina furono trovate vuote e mai utilizzate. E nemmeno era un monumento di pietre per custodire tesori. Studi recenti affermano che fosse destinata a contenere i Libri di Henoc, però ivi mai rintracciati. Anche se questo immenso edificio conserva ancora il suo "mistero" sembra proprio che la Grande Piramide costituisca un monumento "profetico".

Gli investigatori inglesi del secolo scorso scoprirono che la Grande Piramide conteneva, sotto forma di misure precise, la soluzione di taluni problemi astronomici, geometrici e geodetici. Si accorsero che esisteva uno stretto legame tra le misure interne e quelle esterne dell'edificio e che il sistema dei corridoi racchiudeva una cronologia geometrica delle date future più importanti nella "storia" dell'umanità, un vero marchio nella pietra di un sapere super umano.

Quella precisione delle date, con base matematica, è poggiata su cifre esatte. Non veniva stabilita però la natura degli avvenimenti. Questa è la caratteristica di tale scoperta.

L'avvenire dell'umanità era già scritto nella Piramide come profezia. Vi sono tracciate dunque le date dei grandi eventi: l'esodo di Israele, la nascita di Gesù e della sua crocefissione, ed altre date tra le quali, quelle segnate dal Grande Scalino: 1834 e 1910, e poi 1954, che sono le date che ci riguardano: la nascita di Lazzaretti, quella di Elvira Giro e quella della apertura della Nuova Era, appunto detta della "camera del Re".

Queste notizie l'ho raccolte dal libro di George Barbarin, dal titolo: "Le profezie della Grande Piramide" pubblicato a Roma, nel 1958 dalla casa editrice Athanor. Ed io sento, che sono nel vero. Iddio non colpisce mai alle spalle e si è servito dei profeti e delle profezie per preparare l'uomo ai fatti futuri.

 

Da quel giorno 6 novembre '54 in poi, in ogni domenica e in ogni nostra ricorrenza festiva, abbiamo proseguito a celebrare questo nuovo rito della "Funzione", sia nella chiesetta di Via Apuania in Roma, sia in altri luoghi, dove noi ci trovavamo. E questa nostra grande costanza si è protratta per tutti i 36 anni trascorsi fino ad oggi, e si ripromette di proseguire senza fine.

Molte sono state le feste nelle quali abbiamo celebrato il rito alla presenza di numerose persone, a Roma, ad Arcidosso, a Monte Labro, ma vi sono state anche quelle, che abbiamo celebrato senza alcuna presenza di persone. Un dovere sacerdotale che abbiamo sempre rispettato obbedienti e puntuali.

La manifestazione in cielo dei "dischi volanti" in quel particolare giorno, venne documentata dai giornali di allora, ma soprattutto "testimoniata" in prima persona dal coraggioso console della Marina: Alberto Perego, nei suoi vari libri, il primo dei quali si intitola: "Svelato il mistero dei dischi volanti. Rapporto sull'aviazione elettromagnetica", (Roma, 1957), con abbondantissimi disegni e fotografie.

Il rito della "Funzione", dedicato alla SS.ma Trinità di Dio, è composto da preghiere tutte nuove. Ripropone la eucarestia del pane (grano) e del vino (vite) dell'ultima cena di N. Signore, quando Egli disse: "Fate questo in memoria di me", e viene consacrato nella nuova istituzione del "Corpo Mistico Cristico", come forza gruppo di congiunzione di pensiero in Dio, e tiene conto che i giuris-davidici, accettando la seconda discesa di Dio Padre, il Cristo Duce e Giudice, in David Lazzaretti, si sono forgiati nel fuoco divino e si trovano, non più nella fase della espiazione della crocefissione nella materia, ma in quella della "resurrezione" gloriosa. Un rito quindi che non rinnova il sacrificio e il martirio della croce, ma esalta quello della fase successiva, della resurrezione della carne.

"Nell'accettare David, nostro Consolatore, venuto per scioglierci dalla crocefissione della carne con l'apertura del Libro dei 7 Sigilli, noi ci ritroviamo risorti in lui alla vita eterna, cioè nel trionfo della genesi materiale del corpo umano, e distaccati dai piaceri della materia" (Elvira Giro – periodico "La Torre Davidica" n. 1 febb. 1957).

 

Resurrezione non significa che un certo giorno, le tombe si scoperchiano e i corpi marciti si ricompongono idealmente, ma significa la sublimazione, che la materia ha saputo produrre mediante il corpo, sulla nostra anima umana, cioè l'alchimia della trasformazione, attraverso le nostre opere ed il nostro comportamento, durante le molte vite vissute, fino a conquistarci la "essenza" dei minerali, e la sapienza divina.

Questo è l'oro spirituale incorruttibile nel quale si trasforma la materia, come promozione, col simbolo del Sole Cristico (ostia), del grano col vino, e che viene conquistato quando si "incide" sulla nostra anima.

Ecco la vera ricchezza esoterica, che va cercata in Cielo e non nel sottosuolo, per la propria elevazione e per la propria "autorealizzazione". La vera alchimia dei vili metalli la compie il nostro corpo e li trasforma nel nobile oro sull'anima.

Non è dunque quell'oro metallico materiale che andavano cercando gli alchimisti nei secoli passati, con i loro alambicchi, bollendo invano e calcinando insieme: misture e sortilegi.

 

Dirò che la religione, fin dall'antichità, è stata rifugio e speranza nella divinità "invisibile", per bisogno di protezione, per la sorte delle persone care, per la salute, per il buon esito della caccia, della semina, nel momento del dolore, o nelle avversità.

Vi sono circostanze in cui l'unico scampo è rivolgersi a Dio. Ma non c'è ricchezza materiale al mondo che vi possa sopperire.

Dio non è un uomo, o un Personaggio isolato, ma è il "vertice" di una "Centrale", accompagnato dalle sue gerarchie. Una energia così forte che fulmina, e non può avvicinarci in tutta la sua potenza.

La "preghiera" serve ad esercitare e rafforzare in noi i sentieri del "contatto" con Lui: è donazione, è umiltà, è incontro, è unione, è colloquio, è fonte di aiuto, è protezione, è luce che inonda.

Ma sopratutto è amore, è "cuore" che rinsalda i nostri vincoli e irriga le nostre radici: di carità, di comprensione verso tutte le creature e ci carica delle sue energie.

Imparare a conoscere questi "sentieri" ci rende più forti e più consapevoli. Chi rifiuta questo, e lo respinge, lo fa perché è immaturo e perché non capisce. Senza l'esercizio, questi sentieri si perdono, si inaridiscono come una sorgente che si asciuga.

Chi vive per avere, per accumulare e per imporre il lusso, inaridisce nel cuore.

Elvira Giro scrisse (nov. '49) "La preghiera conta poco se non è accompagnata dalle opere sociali e dal sacrificio, nella serenità. Non vi sarà pace fino a che l'umanità stessa non capirà che deve superare il gradino della fratellanza".

Credere in Dio è come possedere una bussola magnetica che ci guida a navigare nel buio della vita inseguendo quella luce.

Occorre andare in cerca di Dio, raggiungerlo in un divenire continuo a migliorare se stessi, affinandoci nell'onestà, nel rispetto, nell'altruismo. Osservare in ogni momento le leggi sociali e quelle divine, anche quando si possono eludere facilmente e quando non ci crediamo controllati. Ma per essere in pace con Dio occorre rispettare i 13 comandamenti (10+2+1) che sono leggi divine di ordine sociale (Mosé, Gesù, David L.).

 

L'obolo, l'offerta, il lascito per la chiesa non devono più esistere. E la dignità sacerdotale non deve consentire più, di vivere alle spalle degli altri.

Il sacerdozio deve essere di esempio nei fatti, una virtù, lontana da ogni politica di parte e di interessi, perché la fratellanza non ammette privilegi e deve vivere del proprio lavoro, di preferenza insegnante scolastico.

 

La "comunione" ai fedeli, come atto di congiunzione di pensiero per la fusione tra corpo fisico e spirito rigeneratore, viene distribuita durante la "Funzione", con l'ostia consacrata, intinta nel vino.

La "confessione" auricolare è del tutto abolita (da David Lazzaretti) ed è stata sostituita con un esame di coscienza e di pentimento profondo dei propri difetti, un atto che ognuno compie col pensiero rivolto direttamente alla SS.ma Trinità di Dio.

Sul nostro Altare teniamo una croce nuda, a significare i quattro punti cardinali della Terra. Non vi dobbiamo tenere "crocefissi", né immagini di Gesù crocefisso. Per il cristiano è un ricordare come si è sacrificato. Non è che Lui ha dato la vita per noi, ma lo ha fatto per insegnarci il perdono fino allo estremo del sacrificio.

Se io potessi andrei a togliere il modello che rappresenta Gesù da tutti i crocefissi di questa Terra. Quel simbolo di dolore va tolto anche dalle più importanti opere d'arte. Aggiungo che il perseverare a tenerlo ancora sulla croce è una perfida magia, è come volerne perpetuare la sua sofferenza, il suo martirio.

Ora io vi domando: ma se lo avessimo davanti a noi, agonizzante in quelle condizioni, non si andrebbe forse subito a soccorrerlo? e a toglierlo al più presto da quei chiodi? a togliergli quella corona di spine? e a fasciargli le ferite? superando ogni ostacolo? Il non farlo, il tenercelo ancora, è colpa peggiore di quella di avercelo messo. (Ricorda solo la cattiveria umana).

Chi ha interesse a continuare quella sofferenza, anche nel simbolo, è soltanto una forza negativa, perversa, priva di amore, che vuole perpetuare quella speculazione interessata che dice: "Morte Sua, vita mia". E ora deve cessare.

Cristo Gesù sofferente, inchiodato sulla croce è simbolo della umanità crocefissa nella materia.

L'umanità di allora nel crocefiggere Gesù ha crocefisso se stessa per legge di causa e di effetto, perché priva di amore.

Non più Gesù crocefisso ma Gesù sorridente da tenere accanto a noi, che ci incoraggia col suo Amore!

 

Noi giuris-davidici abbiamo compreso che la "reincarnazione" è una verità logica e necessaria. Sappiamo che si torna a nascere nella materia per evolverci, partendo ogni volta dal punto in cui siamo arrivati nel viaggio precedente. E questo spiega le tante diversità sociali.

La vita è dunque un banco di prova che dobbiamo superare, una scuola, nella quale si progredisce con il buon comportamento e con l'accettazione, mentre, si può regredire con il cattivo comportamento.

Questo ripetersi del nostro temporaneo passaggio su questa Terra va veduto come un viaggio dell'anima che, attraverso il corpo carne, assorbe, estrae, raccoglie le esperienze terrene per evolversi e perfezionarsi.

Non si può in una sola volta, cioè in una sola vita, ossia in un solo anno scolastico, raccogliere tanta conoscenza creativa da poter divenire subito perfetti.

Questa verità è utile a spiegarci il significato del perché si vive e per darci una regolata nel nostro modo di affrontare la vita. Però la "reincarnazione" viene ancora negata e avversata inutilmente da coloro che meno sanno, e che dovrebbero insegnarla.

Ed io mi domando: come è possibile negare ciò che non si conosce? e respingere questa realtà incancellabile? Chi nega si dovrà ricredere.

Anche la "reincarnazione" era chiusa alla mente umana e doveva essere compresa, scoperta, dall'uomo stesso, con il suo "ragionamento" e la sua "intuizione". Soltanto dopo che l'aveva scoperta, questa Verità gli veniva confermata dal Cielo.

Un terreno ben lavorato può produrre un buon raccolto. Ad ogni conquista umana ne beneficia l'intera umanità, e chi produce questa conquista è l'ambiente.

Ed è la società umana che ha permesso la maturazione di ogni conquista, con i mezzi che le ha procurato, e con la cultura che le ha messo a disposizione.

Un esempio: la banale penna a sfera, inventata dall'ungherese Biro con le sue osservazioni, è stata una notevole conquista di progresso umano a beneficio di tutti. Una svolta, che ha semplificato la possibilità di scrivere, e che può stare alla pari con le invenzioni delle più complicate macchine.

 

 

11.- Alla scoperta delle "conoscenze creative".

 

Mi venivano consegnate queste nuove "conoscenze" che dovevo pur assimilare e inquadrarle con logica. Questo mio superamento spirituale, questo salire certi gradini, non era poi tanto azzardato, anche se incontravo delle difficoltà. Appagava il mio desiderio di sapere e sentivo la bellezza di quelle conquiste.

L'importante era capire. Poi mi ponevo continue domande cercando di rispondervi.

Volevo spiegarmi la posizione dell'insegnamento di Gesù, quella di David e quella di Elvira, inserite lungo il cammino umano. Tre movimenti di insegnamento svolti in 19 secoli. L'uno che annunzia e conferma l'altro, vicendevolmente. Tre persone distinte in un solo Dio: Cristo Figlio, che opera in Gesù; Cristo Padre, che opera in David; Cristo Spirito Santo, nell'aspetto femminile, che opera in Elvira. E tutto già avvenuto, senza doverli attendere ancora.

Un unico programma didattico, in tre gradazioni, in tre epoche, per aiutare l'umanità a sciogliersi dalla sua arretratezza, per aiutare a crescere il genere umano ancora digiuno di queste cose. Ma per la grave ignoranza degli uomini del potere, quelli che contano, ogni intervento di Dio venne respinto, avversato, offeso, deriso, dagli uomini ribelli, perché non si accettava il nuovo e non si voleva saperne di cambiamenti. (Ma c'erano anche altri "perché", come vedremo).

Il seme lasciato, però è germogliato attraverso le scritture.

Ci sono voluti i martiri del Colosseo, le persecuzioni, i processi, l'ostracismo ai giuris-davidici, per essere valutate nel pensiero umano.

Occorreva maturarsi collettivamente durante le varie incarnazioni e riconoscere la "verità", dai loro insegnamenti.

La parola "cristo" qui significa che un corpo umano, reso "idoneo", viene irradiato da Dio, cioè investito, unto, illuminato, viene scelto e preparato a compiere una Missione e divulgare i nuovi insegnamenti. È Dio che opera in lui: umanizzato.

Ma sia Gesù Cristo che David Cristo furono passati per pazzi, respinti e uccisi da coloro che già stavano bene, nel lusso e nella vita comoda, accecati nel capire, insensibili alle sofferenze della gente. Ne rifiutavano l'insegnamento di solidarietà sociale da essi portato avanti.

Perché?

 

Io mi domandavo: come mai se Gesù è nato e vissuto in Palestina ed in Palestina è morto sulla croce, la sua chiesa ha dovuto esser portata a Roma? Perché San Pietro e San Paolo si sono dovuti imbarcare per venire a Roma?

E poi ancora: perché le peggiori persecuzioni ai cristiani sono avvenute a Roma? Cosa c'era a Roma di tanto decisivo? Perché Santa Caterina nel 1375 si è battuta con così tanto coraggio per riportare la sede del papato da Avignone a Roma?

La signora Elvira mi ha dato questa spiegazione: ROMA è un nome che ha rovesciato il simbolo dell'AMORE. Infatti leggendolo alla rovescia si legge AMOR.

A Roma vi era la sede del più potente minerale della Terra, contrario alla Armonia Divina, ed è stata la legge di Roma che ha condannato Gesù alla crocefissione. Occorreva che la legge di AMOR, portata da Gesù, piegasse la legge di Roma, dominata dal pianeta Plutone, col suo minerale plutonio, simbolo della ricchezza e del potere materiale. Potere che andava contro la evoluzione umana.

Questa sorgente negativa con la sua forza magica aveva la supremazia nel dominio sociale terrestre alla pari delle piante e degli animali privi della ragione, dove il più grosso si mangia il più piccolo. E non era certo solidarietà sociale.

Era indispensabile dover chiudere questa sorgente, collegata a quel minerale plutonio, per iniziare a dischiudere le "verità creative". Ci sono voluti circa duemila anni perché maturasse la situazione favorevole.

Ma nel '52 la signora Elvira, nella intuizione della Regina dell'Universo, è riuscita a togliere il potere di quella forza, rappresentata da una chiave di 25 cm, di colore scuro come la terra, e a sconfiggere il suo rappresentante, alleato con Lucifero (orgoglio e superbia), demolendo simbolicamente anche il tempio magico, esistente nel sottosuolo di Piazza Vittorio a Roma, nel luogo dove si trova la Porta Ermetica, detta anche Porta Magica.

Questa è stata una delle prime mosse del gioco spirituale, vinte dalla signora Elvira.

 

Gesù insegnava la strada per redimersi dai peccati; operava con i miracoli e con le parabole per risvegliare le coscienze dei singoli individui alla realtà del mondo dello spirito, per edificare in ciascuno la spinta ad evolversi nella virtù, nel rispetto umano, nella fiducia in Dio, per aprirlo alla nuova legge divina di amore e grazia, del perdono e dell'altruismo, convincendolo a capire il grande vantaggio di fare del bene agli altri nella solidarietà umana, aiutandosi l'un l'altro, senza sfruttamento né inganno, e senza alzare mai barricate e piedistalli di superbia e di potere. Gesù incoraggiava l'atteggiamento di comprensione verso il proprio simile (specie se incapace e sprovveduto), senza mai fargli torto e sopruso, nel calore umano, nella unione degli animi, cioè nell'altruismo.

Gesù accendeva i cuori e la fiducia nella giustizia divina e infondeva la forza per lenire le sofferenze della vita terrena: nella sopportazione e nella accettazione, donando il coraggio a proseguire il cammino umano: per fede, speranza, amore e giustizia.

Gesù non è poi "l'Unigenito" come alcuni vogliono sostenere, ma è una delle Tre Persone distinte in un sol Dio! Questi si fanno il segno trinitario della Croce e poi non accettano questa Trinità di Personaggi.

Ancora oggi molti vanno affermando che il regno dello spirito non esiste e nemmeno esiste una gerarchia celeste, che ci controlla e quindi, arrivati al termine della vita terrena, tutto per loro finisce, perché – dicono – "polvere sei e polvere ritornerai".

Questo loro vivere nella indifferenza, commettendo trasgressioni su trasgressioni, questo loro annullarsi epicureo, li conduce alla "crisi" di coscienza e poi alla angoscia fino alla disperazione. L'attuale degrado sociale avviene perché manca un freno dettato dalla Legge Morale, che hanno smarrito.

Nemmeno quei maestri in abito talare, pieni di privilegi, l'hanno saputa insegnare con il loro esempio, dimenticando quel "lievito" a loro in consegna, che doveva maturare la Legge Morale nel bene.

Hanno preferito il "vitello d'oro" alle leggi di ordine sociale consegnateci dal profeta Mosé e confermate da Gesù e da David.

Gesù non è l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo! Se ci adagiamo sul fatto che Lui con i miracoli può togliere i peccati del mondo troveremo molto comodo continuare a peccare e a sporcarci, disobbedendo ai Suoi insegnamenti, tanto c'è sempre Lui che ci emenda.

Siamo invece noi umani che dobbiamo togliere i peccati del mondo, correggendoci col Suo aiuto (la via, la vita, la verità, la beatitudine), migliorandoci nel Suo insegnamento. I nostri difetti umani poi si aggravano e si ripercuotono sull'ambiente sociale.

 

Cercavo una risposta agli errori umani ed al guasto del mondo. Cercavo nel Vangelo la conferma dei miei problemi, quando ho scoperto i libri di DAVID, trattato da eretico e da falso Cristo, dal tribunale del Santo Uffizio.

Quel suo scrivere coerente, armonioso, mi saziava. L'avevano respinto e ucciso proprio come avevano fatto a Gesù, senza rispettare nemmeno i "comandamenti" di amore verso il prossimo, in nome dei quali si stavano pronunciando.

Come si può condannare un uomo innocente che porta l'amore cristiano in tutte le sue azioni? Mi sentivo libero di seguirlo ne sono andato in cerca e non l'ho più abbandonato.

Dopo diciotto secoli di cristianesimo egli ampliava questo insegnamento altruista di fratellanza cristiana per applicarlo alla collettività del popolo lavoratore della terra, avviandolo ad organizzarsi socialmente nella rettitudine, spiegando che alla base della società umana e della nazione, sta la famiglia, corretta ed unita nei principi morali e nella educazione severa dei figli; pose dunque il seme della concordia sociale perché gli umani capissero la necessità di una vera conversione in massa.

Non era un impostore come lo vollero accusare, e si macerava in lunghi eremitaggi e astinenze, che offriva a Dio, per aprire la salvezza della umanità.

Anche per David si è badato soprattutto ad eliminare il personaggio che molestava con le sue idee uno stato di cose basato sulla legalità del potere vigente e sulla ricchezza, ma non sull'amore fraterno.

Come annunciato nella profezia (Apocalisse n. 5) egli ha aperto il "Libro sigillato con 7 suggelli" e anche "battezzato nel fuoco e nello Spirito Santo" i suoi apostoli. E andava ripetendo necessaria la "Nuova Riforma" della Chiesa cristiana.

"Ogni volta che sbaglierete per fragilità umana, sarete perdonati, ma non sarà così quando sbaglierete con l'intenzione di compiere del male". Questo diceva.

Noi aspettiamo il suo ritorno tra noi perché egli disse: "mi riconoscerete dal segno che porto in fronte".

 

Ed io domandavo alla signora Elvira. Perché David, il Cristo Duce, e Giudice, è nato e vissuto e ha operato nell'Amiata? Cosa c'era nell'Amiata di così importante per determinare la scelta di questa località per la sua missione.

Ed essa mi spiegava che quella zona vulcanica rappresentava il "fuoco" della Terra e che il suo sottosuolo è ricco di giacimenti minerari. Lui, come Cristo Padre, in seconda venuta, aveva il compito di stabilire il progresso umano sull'elemento "fuoco" (come Gesù Cristo lo aveva stabilito sopra l'elemento "acqua").

David poi doveva portare l'umanità al superamento del minerale "mercurio" che era poi il traguardo della promozione animica. Questo minerale attraverso le sue radiazioni: soggiogava, aveva la padronanza sul vizio sessuale umano, e doveva essere vinto.

La sua "centrale" principale era appunto nel sottosuolo dell'Amiata, con le sue miniere di "cinabro" (solfuro di mercurio).

La signora Elvira mi diceva che gli apostoli di David erano tutti pastori, e contadini, lavoratori della terra umili e intelligenti con i quali David ha potuto fondare la "Società delle Famiglie Cristiane", sulle basi dell'insegnamento francescano di umiltà, povertà, e amore fraterno senza amministrare denaro.

Ma Roma ha respinto e condannato David, e lui per sfidarla ha dovuto farsi uccidere, come profetizzato nel n. 5 dell'Apocalisse.

Ed anche Elvira Giro (vicentina) ha dovuto operare, a Roma, ove nel sottosuolo c'era la "centrale" del dominio del minerale "plutonio", il dominio della "ricchezza" e degli interessi materiali. Ed è stata a Roma la lotta spirituale più impegnativa.

Per "apostoli" la signora Elvira ha avuto: gli scienziati e gli studiosi delle scienze spirituali. Un'opera molto vasta e più impegnativa di quella di David, ma David le aveva preparato la strada quale Regina delle Vittorie.

 

Elvira Giro aveva da compiere un'Opera diversa da quella di David, il profeta dell'Amiata, il Cristo in seconda venuta sulla Terra, ma doveva nel contempo confermarla, perché David le aveva preparato le basi, e lei ne è il suo coronamento.

Noi dovevamo prima di tutto fare conoscere l'Opera di David e proseguirla sulle basi della sua missione, realizzata dal 1868 al 1878. E questo nostro procedere voleva dire affrontare l'avversione e la incredulità di coloro che erano del tutto impreparati a comprenderlo.

Nessuno ammetteva possibile che David fosse veramente il Cristo Consolatore, lo Spirito di Verità promesso nel Vangelo, mentre lo provano i fatti avvenuti: tutte le opere compiute e i suoi libri che ha lasciato documentati, anche se sono stati soffocati.

Ci ascoltavano incuriositi di sapere queste cose che non conoscevano, e ci domandavano: "Ma perché mai David, Cristo, Duce e Giudice, non è stato proclamato nella sua giusta sede: la Santa Madre Chiesa del Vaticano?"

Poi noi dovevamo sostenere i "nuovi eventi", quelli avvenuti dopo, in proseguimento alla missione di David, spiegando il "nuovo" movimento di risveglio giuris-davidico, anche questo profetizzato, nel "libro dei sette sigilli" nato a distanza di soli 75 anni. (15 lustri).

Questo terzo movimento venne aperto e annunziato dalla "Vergine della Rivelazione" quando è apparsa alle Tre Fontane di Roma, nel 1947, come apertura del "millennio" della "terza epoca".

Era la potente maestà Materna che si manifestava! Era la Regina dell'Universo che annunciava l'inizio della sua missione sulla Terra e l'inizio dell'Era dello Spirito Santo. Oggi non tutti sono preparati a comprendere che Essa non è la stessa figura di Maria SS.ma, la madre di Gesù, Regina del Sole. (Nel cosmo vi sono diversi centri solari).

Fu per noi ancora più difficile fare accettare le Sue "Rivelazioni Spirituali" e la sostanza delle Sue "verità creative" di ordine divino e umano, da Lei scritte per mano della signora Elvira, per poi stabilirle in Terra, come Legge del Diritto Divino.

Non tutti sono maturi a comprenderle. La gente è digiuna da certi ammaestramenti spirituali e manca loro l'interesse a studiarle e ad approfondirle.

Molti ci domandavano: "Perché il libro delle "Rivelazioni" non è stato accolto e proclamato nella sua giusta sede? La Santa Madre Chiesa del Vaticano, e neppure dai "davidiani" della montagna"?

Si trattava di accettare i due "nuovi" passaggi di evoluzione per il progresso spirituale della società umana, che si realizzavano dopo quello di Gesù Cristo, di 2000 anni fa. I due movimenti rientravano nel completamento dell'Opera Trinitaria del nostro Creatore: Iddio Uno e Trino, in "tre fasi" successive e in "tre epoche" diverse.

 

Eppure il Vangelo di Giovanni (Cap. 14) ci aveva preparato bene dicendo che, se avessimo continuato ad osservare gli insegnamenti di Gesù, il Padre SS.mo che operava in lui, ci avrebbe inviato in Suo nome il Consolatore, lo Spirito di Verità.

E anche Giovanni Battista aveva chiaramente annunciato (Matteo 3, 11) che l'Opera del Creatore non era ancora compiuta, e che sarebbe venuto qualcun'altro dopo di lui, più potente di lui, che ci avrebbe battezzato nello Spirito Santo e nel Fuoco.

Con l'Apocalisse n. 5 viene profetizzato che l'Agnello sgozzato in piedi è degno di aprire il Libro sigillato con i 7 suggelli, e che da allora in poi si poteva cantare un inno nuovo. L'agnello non è Gesù, ma David! Infatti la "profezia" del Libro dell'Apocalisse di Giovanni Apostolo è successiva alla crocefissione e non può riferirsi a Gesù, ma a David!

L'Apocalisse n. 10 ci prepara alla venuta di un Angelo del Cielo ravvolto in una nuvola (nascosto) e con l'arcobaleno sopra il capo, dal volto come il Sole, ed in mano un Libro aperto, che avrebbe annunciato il "mistero di Dio", (che sono le "Rivelazioni Spirituali").

Quell'Angelo solare annunziato è la Grande Madre, Regina del Cielo e della Terra, la "Colomba Madre", incarnatasi per consegnare all'umanità le "conoscenze creative" in Elvira Giro.

Noi giuris-davidici, come cristiani diligenti, abbiamo riconosciuto i nuovi eventi, manifestati dal Cielo e siamo stati guidati sicuri nel procedere speditamente, come maestri di insegnamento di queste "conoscenze".

I cattolici e i gentili erano avvertiti di tenere gli occhi aperti e di farsi trovare pronti, camminando con la ragione. Perciò le sacre scritture andavano assimilate per saper riconoscere gli eventi, e perché oggi si è tutto avverato. E mentre hanno dormito, si è fatto giorno.

Il "libricino dolce come il miele" è già stato consegnato a Giovanni ed il "mistero di Dio" è contenuto proprio nelle "rivelazioni spirituali". Adesso sono le viscere della Terra che sono amareggiate per il dolore, di non essere pronte e preparate a riceverlo, perché scenderà la Potenza Eterna del Cristo Re e Signore del Sole Cristico, a confermarlo.

Nessuno ha il coraggio di fermare quel "libricino", di smentire, e dire che non sono verità, perché sono realmente verità che provengono dal Cielo.

 

L'evoluzione dell'anima umana nel suo soggiorno terreno aveva bisogno di progredire e salire di gradino in gradino, come di gradino in gradino era scesa fino agli abissi.

Non tutti hanno raccolto gli avvertimenti dei profeti, che attraverso i secoli hanno indicato la via giusta da seguire. Anche nel consesso umano ci sono stati gli scolari diligenti e quelli svogliati. Questi ultimi sono gli adoratori della bestia, e in essi si intendono gli interessi per la ricchezza materiale.

Occorre fermarsi e riflettere un momento.

Gesù era un uomo, David era un uomo, Elvira è una donna! ma il loro operato è Opera del Centro del Sole Cristico. In loro hanno potuto operare quelle "potenze" cosmiche nei simboli di: Acqua, Fuoco, Aria, perché hanno trovato dei corpi puri e affinati, idonei a rappresentarLe.

L'Opera del Creatore è proseguita egualmente, nonostante gli oppositori e l'avversione dei meno evoluti. IDDIO non "incide" due volte l'Opera Sua.

Non tutti potevamo comprendere che il "piano di DIO" era quello della "riforma" spirituale della Terra. E quando non veniva obbedito proseguiva oltre, come ha fatto con il popolo di Israele.

Di oppositori alla nostra opera ne abbiamo incontrati molti, ed è già tanto che siamo riusciti a fare riconoscere con un decreto del Ministero dell'Interno la nostra "Chiesa Universale Giuris-davidica della SS.ma Trinità di Dio" in data 26 luglio 1960, ammessa fra i culti dello Stato italiano, perché morale e non contraria al buon costume.  

 

Allora compresi bene che si trattava di andare contro corrente, e in contrasto con la dottrina della Chiesa Cattolica Apostolica Romana, la quale – attraverso il suo procedere prudente – era troppo restia ad accettare innovazioni in favore del progresso spirituale.

Si era resa colpevole di fronte a Dio, di avere respinto e condannato il Cristo Giudice, in seconda venuta, nel corpo fisico di David Lazzaretti, in un primo tempo accettato.

Poi aveva sobillato contro di lui, lo aveva scomunicato, processato e condannato eretico, respingendolo. Tutte le sue scritture furono poste "all'Indice" dei Libri Proibiti. Indirettamente lo aveva fatto uccidere durante la storica processione religiosa ad Arcidosso, in uno scontro con le forze dell'ordine che ebbero il compito di sbarrargli il passo. Era il 18 agosto 1878.

Si era ripetuto lo stesso comportamento avverso, del Sinedrio della Chiesa Ebrea di Gerusalemme, di duemila anni prima, quando questa aveva respinto, sobillato contro, processato e-fatto indirettamente crocefiggere dallo Stato: N. S. Gesù Cristo.

Ma se il nostro Creatore intendeva correggere i loro errori di impostazione, prima fra tutti la pretesa sbagliata di voler restare autonoma e indipendente dallo Stato sociale, se voleva riformare la loro condotta attuale, perché essi parlano bene e razzolano male, saremmo noi riusciti a farle accettare queste "verità" divine? che io sentivo valide dentro al mio cuore e di portarla dunque, con l'aiuto di Dio, a riformarsi, ed abbandonare gli interessi politici e materiali fino ad abbracciare la umiltà e la povertà francescana del "vero cristianesimo"? Questo era il nostro ardito compito.

Invece continuano a negare la reincarnazione, tengono la donna al ruolo di inferiorità, si oppongono al controllo delle nascite, soffocano eventi soprannaturali profetizzati, di primaria importanza, che sono avvenuti per il progresso umano. Perché?

Nel suo libro delle "Esortazioni ai miei fratelli eremiti" David scrive:

"Ne io ne voi siamo nemici e contrari all'insegnamento della cattolica Chiesa, ma siamo nemici degli abusi che sono portati in essa, e siamo sostenitori delle sue verità, che il privilegio della malizia degli uomini ha travolto nella superstizione e nel rigoroso pregiudizio, a solo fine di trarne un utile proprio e mondano, con il danno e disonore della cattolica cristiana fede, davanti al mondo colto e credente, che diffida della bontà e misericordia di Dio" (giugno 1878).

Tante altre spiegazioni ha scritto David nei libri che ci ha lasciato.

 

La signora Elvira Giro non ha mai detto di essere lei in persona la Regina dell'Universo, ma di essere soltanto lo strumento che opera per Lei ed in Lei.

Un giorno mi ha detto: "Non è vanagloria, non è presunzione che io dica di esserne la rappresentante, perché tutti devono essere avvisati. E non dovranno dire un giorno: Mi avete colpito alle spalle! Se io non lo dicessi farei loro un grande tradimento".

In varie occasioni l'ho sentita dire, come già diceva Gesù agli Apostoli: "Vedete me, vedete la Madre, sono io in Lei che la rappresento, perché Lei è in me".

Ognuno lo doveva comprendere da solo, con la propria evoluzione, con il livello che aveva saputo raggiungere. E in quanto all'Opera Sua doveva essere riconosciuta e proclamata dal Pontefice Pio XII, Eugenio Pacelli, come lei ha pubblicato e documentato nei suoi libri.

Gli aveva inviato molte lettere e tutti i suoi libri delle "Rivelazioni Spirituali", senza mai ricevere risposta, e senza riuscire a incontrarlo.

In una di queste lettere, scritta e abbinata ad un'altra, indirizzata al Presidente della Repubblica Italiana, aveva loro chiesto la restituzione della "Verga preziosa a cinque nodi", dello "Anello con smeraldo" e del "Sigillo del battesimo del fuoco" che David aveva loro affidato, quando venne processato e condannato dal Santo Uffizio.

A seguito di queste due lettere abbinate, i due capi si incontrarono, ma sul loro atteggiamento, riguardo alle lettere, non venne fuori mai nessuna notizia.

Ha dovuto proseguire da sola per dissodare un terreno contrario e reso arido dal loro silenzio, senza alcun aiuto e con molta sua fatica e grande sacrificio. Ma aveva l'aiuto del Cielo che non l'ha mai abbandonata. È stata uno strumento poliedrico, imprevedibile, ricevente e trasmittente. Oltre al suo lavoro sul piano Terra, operava anche nei dieci piani eterici spirituali. Così, mentre lei costruiva il "nuovo", il "vecchio" mondo si andava sgretolando.

Nell'aprile '83 essa così diceva: "Io non sono della Terra, sono venuta per una Missione sulla Terra, per salvare la Terra. Io posso chiedere la protezione del Cielo su coloro che meritano. Se tu mi aiuti, (rivolta ad una seguace) io posso chiedere di aiutarti". E proseguendo le disse: "Quanto ho lavorato, quanto ho faticato nella vita,quanto ho sgobbato. Devo collegarmi col pensiero col centro della Terra, con la superficie terrestre, col Centro Solare Cristico e col Centro Cosmico, in più provvedere alle faccende di casa e scrivere lettere e telefonate. Non sono da invidiare. Ne risento con la salute. È la responsabilità di avere in consegna la Terra, ove ci sono da aiutare anche i Vegetali e gli Animali. L'ansia di cercare di salvare il massimo dell'umanità. Il mio perdere conoscenza dipende dalla circolazione del sangue nel labirinto dell'orecchio. Ma io penso che sia dovuta alla troppa energia. Non ho mai avuto mal di testa, non mi ricordo di averlo mai avuto. Io sono una forza nuova e devo essere pura. Assorbo energie negative e le devo trasformare e purificare".

Nella apparizione ad Elvira, della SS.ma Grande Madre, essa le disse:

"Io non sono nata sulla Terra. Sono migliaia di anni che lavoro per salvare la Terra e tu Elvira ti devi sacrificare".

Nella sua "Conferenza" da lei pronunciata nel '54 al Congresso spirituale UARKA di Sorrento, aveva detto: "Dichiarandomi l'Opera della Colomba, lo Spirito di Verità, temo che non mi accettiate! Vi do la mia parola che io sono! Se non volete che io sia Lei, resto chi sono e vi dono la sua conoscenza".

Nel suo 2° libretto ('54) ha scritto: "L'armonia del Cielo è scesa sulla Terra; accoglietela amorevolmente, non respingetela più; vi dico che sarebbe come voler mettere il mare in un guscio di noce tanto è assurdo il vostro sforzo per respingerla".

Un'altra volta mi disse: "Noi non siamo quelli che debbono insegnare la Verità, ma solo dobbiamo consegnarla attraverso i libri. Noi non abbiamo il compito di fare proseliti. Ma siamo coloro che debbono "incidere" spiritualmente con le nostre azioni, l'Opera di Dio, "per salvare il salvabile dell'Opera Cristica".

"Iddio non colpisce alle spalle, ma opera sugli uomini in forma leale e a tempo utile".

Ecco un'altra frase che le ho sentito dire: "Sia fatta la volontà dell'Eterno Iddio e del popolo, poiché Dio è nel popolo e tu non sai quale entità è giusta e non è giusta. Allora devi trattare tutti bene".

 

Nel libro "Il manifesto ai popoli" (Lione 1876) David Lazzaretti aveva profetizzato la venuta della Gloriosa Pastorella, con queste parole:

"Quando sarà ultimata la costruzione dell'Arca uscirà la "nuova" Colomba, con un ramoscello di olivo, simbolo della Nuova Alleanza tra Iddio e gli uomini".

Ne chiarisce ancor più i particolari in un "sogno profetico", da lui ricevuto nel settembre del 1868, che ora cerco qui di riassumere, lasciando a chi legge la facile interpretazione dei simboli.

Nel sogno David si trova tutto solo in un vasto e meraviglioso prato verde. Il Sole è già alto, nel cielo terso e sereno. L'aria è leggera, piacevole, inebriante e intiepidita dai raggi del Sole.

Ecco venire avanti una "Pastorella", accompagnata da un piccolo numero di pecore, bianche come la neve. Ciascuna ha la testa coronata di fiori. Due di esse, di ineffabile bellezza, hanno l'aspetto piuttosto umano e portano sulla fronte un giglio dal profumo dolcissimo.

La giovane Pastorella veste un abito di molti colori, come l'arcobaleno, ed alla vita un nastro di colore azzurro. I piedi, bianchi come la neve, calzano dei sandali turchini fermati da un nastro scarlatto e sulle spalle porta un manto di porpora, raccolto su un lato.

Sulla testa ha una corona di fiori meravigliosi che brillano come le stelle. Capelli biondi e folti le scendono fin sotto il petto. Nella mano tiene un gambo di giglio fiorito sul quale si è posata una colomba dello stesso colore della sua veste. Bellezza ed eleganza hanno del soprannaturale, tanto che David non si stanca di contemplarla. La saluta, ricambiato, e cerca di andarle incontro, ma vano fu ogni suo sforzo, perché rimase fermo sul posto, trattenuto da una inspiegabile forza.

Vedendo quei tentativi di svincolarsi, la Pastorella gli spiega che lo trattiene una forza dovuta al suo peggiore nemico, che gli tende insidie e impedisce ogni suo agire.

David si volta e vede alle sue spalle un orribile serpente. Subito la Pastorella si precipita come una folgore davanti al rettile, che sibila furente e poi gli infila nella bocca il gambo del suo bianchissimo giglio.

David vorrebbe sì schiacciare il serpente fra le sue mani, ma deve retrocedere. Essa sola può schiacciare l'orribile mostro e così lo affronta e gli pone i piedi sul collo e sul dorso.

Poi, quasi subito, spira tra convulsioni spaventose. La Pastorella, vittoriosa sul suo nemico, viene allora circondata dalle sue bianche pecore che le dimostrano la loro gioia.

Il passo ora è libero. David può avvicinarsi e le dichiara con ammirazione che la sua bellezza ha del soprannaturale.

In lei opera un essere divino ed essa abita là dove regna il Padre suo. Quelle pecore non hanno alcuna macchia sul corpo, perché nutrite nei pascoli eccellenti, ove le passioni della Terra non hanno recato alcun danno.

Il cadavere immondo del serpente viene ora afferrato da una enorme aquila, venuta dal cielo e con i suoi artigli lo porta via. È l'aquila che dona la gloria all'Italia, ed il prato verde è il campo della gloria, ove possono accedere solo coloro che ne sono degni.

La pastorella profetizzata, si è poi incarnata sulla Terra, per attaccare e vincere il suo orgoglioso nemico.

 

 

 

 

 

 

              TERZA PARTE - I successivi 36 anni, fino ad oggi.

 

 

 

12. - Suddivisione e premessa.

 

D'ora in poi la mia attività, durante i successivi 36 anni viene qui ripartita come segue:

 

- quella di provvedere a me stesso col mio lavoro di ingegnere dipendente da aziende industriali (anche di pensionamento) e poi di adempiere i miei doveri sociali.

 

- quella dedicata al mio impegno sacerdotale, nel rimanente tempo libero, al fianco della sacerdotessa Elvira, impegno che si riassume in: collaborazione nella stampa e divulgazione dei nostri libri e giornaletti; viaggi e incontri con persone di studio che si sono rivolte a noi per approfondire il nostro messaggio spirituale; corrispondenza postale impegnativa per sostenere l'Opera; direzione lavori nella costruzione della strada interpoderale che sale al Monte e della nostra sede a Monte Labro, assieme ad altri locali del culto.

 

- quella di migliorare spiritualmente me stesso e di rendermi utile agli altri, con graduale approfondimento nelle Verità Creative, attraverso i libri di studio di queste scienze religiose.

 

In conseguenza la storia di "questa mia vita terrena" prosegue e pari passo con la storia della nostra Chiesa Universale Giuris-davidica portata avanti come collaboratore, sostenitore e protagonista, e che ho scritta per testimoniare i vari fatti salienti avvenuti.

Il nostro compito è stato quello di "incisori" delle azioni compiute, in obbedienza e nel volere di Iddio, maturando noi stessi nei corpi fisici, azioni che venivano "incise" spiritualmente sui piani eterici della Terra Astrale, e quello di "seminatori" ovunque ci davano ascolto, anche verso persone da risvegliare. Deponevamo il seme lasciando al tempo che germogliasse fino alla maturazione. Si trattava di aprire una porta. A ciascuno secondo il proprio "libero arbitrio" di scelta.

Tutto avveniva in modo invisibile ai nostri occhi umani, come attraverso una telescrivente inserita su di noi operatori, che trascriveva e ritrasmetteva i nostri movimenti nel Centro Solare Cristico, per improntare la nuova vita umana.

Passeranno le nostre vite incarnative, ma non passeranno le "incisioni spirituali", che nessuno potrà modificare e la strada verso l'armonia dei popoli, di coloro che hanno ereditato la Terra, è stata già tracciata. E Iddio non incide due volte l'opera sua.

 

Nei primi venti anni, o poco più, abbiamo avuto il sostegno dei fedeli giuris-davidici della montagna, discendenti dei primi seguaci di Lazzaretti, i quali partecipavano con entusiasmo alle nostre riunioni di preghiera. Poi ad uno ad uno i vecchi sono trapassati e i giovani, che non riuscivano più a comprenderci, si sono allontanati.

Questa nostra attività si è svolta per lo più tra Roma (in inverno) e Arcidosso (in estate).

Non starò a soffermarmi nella descrizione delle località e nemmeno della storia di Lazzaretti: il Cristo in seconda venuta sulla Terra, ucciso a 44 anni, compreso il suo movimento religioso di "cento" anni fa (dal 1868 al 1878), per le quali esistono abbondanti libri giuris-davidici che le chiariscono. Una storia densa di eventi "soprannaturali" eccezionali, e di testimonianze.

La questione economica era indispensabile per conservare una situazione decorosa e sostenere il compito che mi ero assunto.

La questione sacerdotale era tutto lo scopo della mia vita, il mio rifugio, la mia ricreazione, la mia rivincita, su tutte le amarezze subite e costituiva la mia rinascita, con un ideale puro. Da essa traevo ogni mia energia per battermi come un leone e proseguire con lena, non importa se incompreso. Mi ero arruolato e obbedivo al mio impegno che avevo preso con molta serietà.

Piano piano mi resi conto di non essere io un privilegiato particolare, e che, il mio protagonismo, poteva essere svolto anche da altri, aperto a tutti coloro che lo avessero intensamente voluto, o che si fossero messi in condizione di meritarlo, ivi comprese nel loro insieme, le loro vite delle precedenti incarnazioni.

Come ho già detto, il salire certi gradini non mi ha mai danneggiato. Accettare per veri: eventi invisibili, basandomi sulla mia intuizione e sulla logica del mio ragionamento, mi ha portato alla maturazione di situazioni che oggi posso pienamente comprendere, anche se ancora devo svolgere nuova strada. Ne ho ricevuto benefici spirituali che mi ritroverò anche dopo. Comunque mi hanno portato ad aprirmi un varco e mi hanno dato serenità e sicurezza nel mio procedere.

Volevo spiegarmi come avessi fatto a ricevere il bellissimo e difficile compito di questa responsabilità, ma per spiegare a me stesso la mia situazione, occorreva conoscere qualcosa delle mie vite precedenti (che non mi è dato sapere "per legge di oblio") e dovevo solo supporto e poi implicitamente ammetterlo.

Il ruolo di un giocatore sportivo viene stabilito dal suo allenatore che lo soppesa durante il suo impegno agonistico.

Niente nel "mondo spirituale" viene regalato, ma, per legge di giustizia, deve essere frutto di nostre conquiste, raggiunte con le nostre forze nel salire la scala della evoluzione.

Tutto su di noi viene registrato lassù, e contabilizzato con un punteggio. E tutte le nostre azioni, le nostre parole, i nostri pensieri sono valorizzati, o puniti; perché, come ho già detto, il nostro passato incide sul nostro presente e questo presente incide sul nostro futuro.

 

 

13. - Impegno di lavoro e doveri sociali

 

Nei primi mesi del 55 venni licenziato del lavoro e rimasi lungamente disoccupato. Facevo grande economia, ma i soldi che avevo da parte non bastavano. Se da un lato mi sorreggeva l'entusiasmo verso la spiritualità, dall'altro i problemi con la alimentazione e l'affitto erano irrimandabili. Prendevo qualche sovvenzione irrisoria per la disoccupazione e quando andavo a bussare per chiedere lavoro mi rispondevano: "Ripassi tra un mese". Solo io capivo cosa volesse dire far passare un mese con quelle poche risorse. Finalmente trovai impiego presso una fabbrica di infissi metallici a Magliana, ma durò solo un anno. Fui licenziato. Tutti i noviziati sono faticosi ed io non avevo ancora un buon controllo del mio comportamento.

Ricordo che facevo i miei conti in tasca su cosa comprare per nutrirmi con poca spesa e convenni che pane e uova erano la migliore scelta. Mangiavo pezzi di pane secco, foglie di lattuga e bevevo acqua.

I miei genitori a Livorno erano allarmati per la mia sorte coniugale e per quella di mio figlio. Volevano prendersi il nipote con loro, ma non gradivano rapporti con sua madre. L'ostacolo alla rappacificazione stava proprio in quella religione di cui poco avevano stima e speravano che io mi stancassi e la lasciassi presto.

Quando a Livorno spiegai a mia madre cosa mi si stava aprendo davanti col mio impegno sacerdotale e quale strada avevo scelto dopo la separazione coniugale, essa rimase molto preoccupata. Non aveva fiducia nelle mie decisioni, perché mi stimava debole e influenzabile. Pensava che fosse solo una infatuazione dalla quale potevo raccogliere soltanto ridicolo e danno.

Però davanti a mio padre, anche lui molto allarmato sul mio conto, lei cercava di difendermi. Sosteneva che era preferibile quella mia infatuazione, piuttosto di vedermi perduto nella droga, nei "nigth", o nelle mani di cattive femmine. Ambedue si sentivano responsabili di non avermi dato una base religiosa qualsiasi, fin dall'infanzia.

In quel tempo mia madre fece un sogno che poi mi ha raccontato.

Vide un cavallo bianco, vivace e forte sulla spiaggia del mare. Sentiva che quel cavallo bianco ero io, suo figlio. E quando vide che gli mettevano al collo una corda per legarlo ad un grosso palo, piantato lì sulla spiaggia vicino alla riva del mare, essa ne soffrì fortemente, perché, chi ve lo aveva legato se ne era andato via.

Sentiva che quel cavallo era stato soggiogato alla forza del mare. Intanto fortissime ondate si abbattevano sopra al cavallo, notte e giorno, con raffiche di vento impetuoso, pioggia e sole. Non poteva fuggire. Mia madre voleva tanto aiutarlo e porvi qualche riparo, ma non poteva farci nulla.

Al suo risveglio il dolore, la sofferenza provata per le sorti di quel povero cavallo, continuarono sul suo corpo fisico, come se veramente lei avesse vissuta tutta quella situazione.

Era un sogno premonitore sul mio avvenire, che si è realizzato nel corso della mia vita, ma in tutt'altra forma. Quelle ondate a raffiche, nel vento impetuoso sono sì arrivate, ma avevo una tale serenità, una tale volontà di resisterle, che mai ho pensato di fuggirle.

 

Il 3° libretto della signora Elvira, pubblicato in ciclostile, già parlava delle mie nozze mistiche nella nuova religione, ed era capitato nelle mani dei legali di mia moglie. Intanto un giornalista presente il 6 novembre '54 alla Funzione di apertura, ci aveva intervistato per un articolo di due pagine, con fotografie, uscito sul settimanale "Cronache" (del 23/11/54) dal titolo: "Il Terzo Cristo si chiama Elvira", mettendo in piazza molte notizie sul mio conto.

Quel titolo era volutamente caricato nella sua ironia, ma nessuno aveva capito che diceva proprio il vero.

Mia moglie pensò bene di documentare tutto in Tribunale e farmi condannare per aver cambiato religione. La causa si trascinò dal 1° grado, alla Corte d'Appello e poi alla Cassazione, ove fui giudicato colpevole ('58) per "ingiuria grave" per quel motivo. Dovetti anche corrispondere una cifra mensile per gli alimenti.

I rapporti con lei erano peggiorati. C'erano spirito di rivalsa, e una volontà di punirmi perché non mi ero piegato a lei e anche risentimento per aver preso io una imprevista svolta mistica, che secondo le sue vedute non ci voleva.

Cercò di impedirmi di incontrare mio figlio con mille pretesti e mi ha sempre negato di averlo con me nelle vacanze. Credeva di proteggerlo, ma anche di ferirmi.

Poi cambiò casa e respinse tutti i miei mobili come fossero contagiati e non seppe gestire la sua libertà tanto cercata. Mio figlio, nella successiva adolescenza cambiò carattere, divenne chiuso. I suoi studi andavano male e procedevano a fatica.

Mio padre avrebbe voluto che io mi fermassi a lavorare a Livorno, ma offrirmi di lavorare nella fabbrica di candele gli sembrava di poche prospettive per un grande ingegnere come lui mi voleva.

Ci fu anche un breve periodo che ho vissuto a Livorno. Facevo il venditore di autocarri-trattori Mercedes Unimog, con sede a Borgo a Mozzano (Lucca), ma non riuscii a venderne nemmeno uno.

Avevo chiesto a mio padre di costruire un capannone su una parte dell'orto ancora di nostra proprietà, e con il capannone svolgere qualche possibile attività di officina o di deposito. Ma occorrevano soldi e fiducia sulla mia riuscita. Lasciò cadere la mia proposta e non ne fece niente.

Allora mi procurò un impiego ('57) ad Avenza (Carrara) in una raffineria di petrolio. Da qui venni mandato al deposito costiero di carburanti di Civitavecchia, per seguire la costruzione dei grandi serbatoi interrati. Mi pagavano pochissimo e lo lasciai volentieri quando, a seguito di una lettera, fui chiamato a Terni presso lo stabilimento Polymer del gruppo Montecatini. Presi servizio nel '61 e vi rimasi per 15 anni, fino a quando venni posto in pre-pensionamento.

Ogni sabato e domenica cercavo di andare a Roma per svolgervi la mia seconda attività.

Quando fui a Terni i genitori mi vollero regalare un automobile Fiat 1100 comprata di seconda mano. Speravano di distogliermi per sempre dalla religione di Lazzaretti. La macchina, la lontananza da Roma, mi avrebbero fatto trovare qualche avventura femminile e cambiare rotta.

Ma quando si accorsero che io l'auto la usavo per recarmi al Monte Amiata cominciarono a chiedermi di essere rimborsati della loro spesa che io non corrisposi loro.

Lo stabilimento petrolchimico di Terni (3.000 dipendenti, 80 laureati) produceva materie plastiche: poliviniliche e polipropileniche. Cominciai ad occuparmi di montaggio di nuovi impianti, ma non era facile introdursi in un genere di attività così nuova e ambientarsi come capo reparto. Finii con l'occuparmi della gestione di nuovi macchinari e materiali residuati dai montaggi. Dormivo a Terni in camera ammobiliata, mangiavo alla mensa e alla sera, in trattoria. Ma come avevo tempo libero me ne andavo a Roma.

Sul lavoro ero molto attivo. Le ore mi passavano velocissime. Avevo amici. A mensa si parlava di musica, del festival di Spoleto, di extraterrestri, ma mai niente della mia religione. Lo tenevo nascosto.

Un giorno in fabbrica mi capitò un fatto molto increscioso. Un settimanale (ABC) pubblicò un articolo sulla nostra religione con una mia fotografia, mentre ricevo la Comunione dalla sacerdotessa Elvira. Quel giorno tutte le edicole di Terni ne ebbero esaurite le copie. La notizia si era sparsa in un baleno.

Non avevo mai detto a nessuno in fabbrica di essere un sacerdote di una nuova religione e la notizia fece colpo. Un ingegnere sacerdote! Colleghi e dipendenti sorpresi non sapevano come prenderla.

Per me c'erano due modi di comportarmi: o sparire per qualche giorno e ritornare in ufficio quando le acque fossero più calme; o affrontare la situazione col sorriso. Io rimasi, e questa fu la scelta migliore. Non c'era nulla da vergognarsi ed ero senza colpe. Passavo le ore lavorando a testa bassa, evitando di dare spiegazioni a quanti mi cercavano.

Qualcuno mi fu amico, ma qualcun'altro incontrandomi mi guardava col sorrisino. Chissà quante risate alle mie spalle. Io logicamente rimasi male in quella situazione e mi chiusi nel mio lavoro e in me stesso, facendo buon viso a brutto gioco.

Quella sera stessa, per confortarmi, invitai in trattoria due carissimi colleghi che capirono la mia situazione e mi furono vicini e solidali senza parlarne.

Io volli spiegare loro che la fotografia mi fu rubata dal giornalista, da un album che gli avevo mostrato. E nemmeno sapevo per quale giornale lavorasse: era un autentico avventuriero.

Quel giornale arrivò anche in direzione, ma la mia attività religiosa fuori dell'orario di lavoro, in epoca di libertà costituzionali, non era passibile di alcun provvedimento.

Quello fu uno dei giorni più difficili che io ricordi.

 

Ogni tanto mio padre e mia madre venivano a Roma per incontrare dei loro amici e perché mio padre si occupava di politica, (democristiano).

Quando venivano, alloggiavano in alberghi di lusso. Mi telefonavano per andarli a trovare perché non volevano incontrare la signora Elvira presso la quale io abitavo. Andavo a pranzo con loro in quella trattoria.

Ogni volta mia madre si portava da Livorno tutti i suoi migliori gioielli: collana di perle, braccialetto, spille, per farne sfoggio, indossandoli. Ma passava anche lunghe ore in albergo a sonnecchiare.

Quel giorno la telefonata di mio padre che passava a prenderla per scendere a pranzo le arrivò sul tardi, all'improvviso per lei. Con grande ingenuità e per fare presto lasciò i suoi gioielli nella valigia, ma al suo ritorno non c'erano più.

Fu un duro colpo per la sua ambizione, perché l'albergatore negava ogni responsabilità. Mio padre non ha mai rimproverato a sua moglie questo suo errore.

 

Con la sua maturità classica, mio figlio Giovanni si è ripreso e rimesso bene in carreggiata. Si è iscritto all'Università e poi al corso allievi ufficiali. Da militare si è trovato a suo agio ed ha continuato la sua carriera di ufficiale effettivo. Si è laureato in psicologia, ma non si è voluto mai interessare ai miei problemi religiosi.

Si è dimostrato un ragazzo serio, prudente, coscienzioso. I miei rapporti con lui sono ottimi. Mi rispetta e mi vuole molto bene.

Quando si è fidanzato mi ha fatto conoscere la sua ragazza: Ottavia, che mi è piaciuta. Spigliata, intelligente, simpatica, brava, di parola pronta e vivace, ma soprattutto saggia di consigli. Si sono sposati e hanno messo al mondo Luca: la mia gioia.

L'ingresso di Ottavia nella nostra famiglia fu un premio per Giovanni e una consolazione per me. Con mia nuora è rimasto un rapporto di simpatia e di massima fiducia. Sempre disponibile a rendersi utile con premura.

È stata una buona compagna per mio figlio, ma anche una mamma coscienziosa, che ha cresciuto con molta dedizione suo figlio.

 

Essere divenuto nonno ('71) è stato una grande gioia, una cosa nuova, molto più forte che essere divenuto padre. Non so spiegare, ma la nascita del figlio mi ha trovato forse immaturo di responsabilità. Il prodigarsi in aiuti alla puerpera, e al nuovo nato, distoglie, assorbe, sottrae un padre. Ma il nonno non ha che da raccogliere la gioia di godersi questa piccola creatura, e attraverso di essa, rinnovare le esperienze già vissute col figlio.

Mi sono messo in viaggio per andare a conoscere Luca, a Ravenna in clinica dove è nato. Lo sono andato a ritrovare dopo pochi mesi. Avevo con me il microfono per registrare i suoi gridini gioiosi, ma con sorpresa, nel riascoltare il nastro inciso: c'era racchiuso anche il suo respiro che io non prevedevo. C'era il suo sforzo del ricambiare l'aria nei polmoni. Una sensazione così commovente! C'era la sua forza di voler vivere, di conquistarsi il posto nella vita. Provai una grande tenerezza ed insieme constatavo la sua immensa fragilità.

Non mi è stato dato di poter vivere accanto a lui, ma incontrandolo spesso, l'ho visto crescere uguale a mio figlio e questo mi ripagava del vuoto sofferto in passato.

Un giorno all'età di diciott'anni io gli dissi: "Sei fortunato ad avere dei bravi genitori come i tuoi". E lui di rimando, subito mi rispose: "Sono fortunato ad avere un nonno come te".

In questa frase si poteva raccogliere il termometro del suo animo e del suo ambiente, nel quale i genitori lo hanno educato. Perché, per i figli, l'ambiente ed il calore nel quale i genitori li hanno cresciuti, è tutto il loro futuro.

 

Il mio impiego a Terni, ormai stabile, dette modo a mio fratello di prendere piede a fianco di mio padre, nella fabbrica di candele.

Non era così facile, per via del carattere accentratore di mio padre il quale, da padrone unico incontrastato, e anche incapace di iniziative, si trovò sì un collaboratore, ma dovette pure cedergli il passo.

Mio fratello aveva la stoffa del commerciante interessato e seppe mettere riparo non solo ai debiti di mio padre, un poco alla volta sanati, ma anche dare un impulso alla azienda in ripresa.

Cosicché per riconoscenza mio padre accettò di fare il passaggio di proprietà della azienda in suo favore, per il quale occorreva il consenso scritto degli altri fratelli. Lasciava però indefinita e rimandata l'assegnazione della proprietà dei fabbricati e del terreno.

Fu questa la prima mossa della arrampicata di suo figlio Alberto in famiglia.

Il suo timore erano le mie reazioni e trovò gioco sui genitori, tratteggiandomi come uno sprovveduto e influenzabile; che poteva farsi prendere la mano sulla proprietà familiare, da due fronti esterni: le possibili pretese di mia moglie per accampare diritti; e la possibile scalata del gruppo dei giuris-davidici, che secondo lui erano temibili, perché avrebbero influito su di me per ottenere sostegni economici. Ed io così divenni per loro il punto debole di penetrazione nella loro roccaforte, poiché essi non mi sentivano un alleato della famiglia. Questo era l'atteggiamento dimostratemi in svariate situazioni.

In realtà le cose stavano in tutt'altro modo. Non avevo nessuna ingordigia di farmi avanti con pretese, perché contavo su un rispetto fraterno e sulla giustizia di equità dei genitori. Ormai avevo fatto la mia scelta con il distacco da ogni vena materiale.

Sapevo che fratelli e genitori erano negati per le cose del Cielo e che davano importanza solo agli interessi materiali. Per giunta mio fratello si era sposato con una donna egoista e interessata più di lui, che lo consigliava in conseguenza.

Con la mia totale assenza da casa (gli assenti hanno sempre torto) ero alla mercé della loro onestà, che non è stata mai manifesta: diversità di vedute, diversità di opinione, diversità di fiducia, confluivano sulla sorte di quella immensa fortuna.

Addossandosi il compito di condurre l'azienda, unito a quello di provvedere ai genitori anziani, mio fratello si era assicurato dei diritti nei confronti dei fratelli. In suo favore poi, capitarono altri fattori importanti.

L'ospedale civile di Livorno, nostro confinante, avvalendosi di leggi di esproprio, costrinse mio padre ad una vendita forzata di tutto il terreno (oltre un ettaro in città) ed al trasferimento della azienda delle candele e della abitazione.

Col ricavato venne comperato il nuovo terreno, trasferita l'azienda e acquistati tre appartamenti sul mare, per il nuovo alloggio dei genitori e dei due figli. L'equivalente di un piccolo alloggio, ('74) venne assegnato a me come spartizione della vendita. La rimanenza, più esigua, venne messa in banca per coprire la vecchiaia dei genitori.

Un secondo fattore fu il grosso incendio che distrusse la fabbrica delle candele, avvenuto nell'agosto '75 nella nuova sede. Rimase solo il terreno.

Con tali fattori a suo favore egli poté giustificare la frantumazione di quella grande proprietà e prendersi anche la ricompensa per la sua gestione indisturbata.

Dal punto di vista sociale, come uomo di questo mondo, io non ci ho fatto una bella figura, perché trascurando i miei interessi facevo la parte dell'incapace e danneggiavo gli interessi di mio figlio come erede. Ma avevo capito che sarebbe stata una lotta di litigi e atti legali, che mi costringevano a risiedere sul posto e poi non avevo ancora superato quel mio complesso nei riguardi di mio padre. Mettermi in causa di interessi contro i miei fratelli non era davvero da sacerdoti giuris-davidici. Presso di loro non avevo nessuna presa, nessun credito di persona ragionevole.

Da parte mia ero assorbito dal realizzare i miei impegni religiosi, abitavo lontano, e non venivo mai consultato, perché le decisioni di famiglia, figuravano prese solo da mio padre, anche se non era così.

La mia quota la passai tutta in regalo a Giovanni ('74) che la utilizzò subito come anticipo per comprarsi una casa a Roma, di valore superiore. Questo mio dono fu una mossa felice, suggeritami da Elvira, che mise in buona disposizione i miei di Livorno verso di me e verso di lei.

Giovanni poi dimostrò avvedutezza e buon senso nel condurre le sue cose e mi regalò anche la sua Fiat 128, che non poteva più mantenere, per via del mutuo, contratto sulla nuova casa. ('74).

Poi mio padre morì ('76) e il capitale residuo venne lasciato in banca, destinato all'assistenza di mia madre. Questa visse ancora 13 anni ('89) con i frutti di quel capitale. Alla sua morte mio fratello spartì ancora la rimanenza. Ne ho destinata una parte per eseguire una statua cm 62x18x18 a David Lazzaretti. Una fusione in argento compreso il basamento, ed anche una mattonella in terracotta a rilievo cm 56x28, che rappresenta la Grande Madre, nel comando terrestre con i due pargoli, (la figura di pag. 46 del 5° Libretto).

 

Nel corso di "questa mia vita terrena" sono passato più volte negli ospedali per interventi chirurgici: almeno 5-6 volte, dalla asportazione della cistifellea e quella dell'appendice, dall'intervento sulle emorroidi a quello sulla prostata e alla mano (Depuytren), ricoverato sempre nelle corsie comuni, con la mia completa accettazione per quanto mi avveniva dintorno.

Quando arriva il male per lo più è conseguenza di qualche errore commesso: eccesso, strapazzi trascurati, sregolatezze, mancanza di controllo. I piccoli errori si sommano, si aggravano, e se non li prendiamo in tempo il corpo non li può superare simultaneamente.

Soltanto in età avanzata (a 66 anni) ho scoperto che per guarire il mio costante mal di fegato dovevo risalire alla causa: cioè al tipo e al modo di mangiare, e non attendermi dei miracoli dagli sciroppi.

Per sopravvenuta angina pectoris mi avvelenai con troppe medicine, prescrittemi dai medici. Era una seria intossicazione da farmaci.

Sospesi allora ogni cura e mi sanai da solo con il digiuno completo e le tisane di ortica, che raccoglievo sotto casa (in estate, mentre stavo a Monte Labro).

Conobbi così l'efficacia della medicina naturista, appresa da un libro di Manuel Lazaeta, che mi avevano regalato e che non avevo mai letto prima. Fu per me un risveglio verso questa scienza medica dei semplici, degna di ogni rispetto, una vera passione per tutti quei libri, che studiavo a tavolino, con molto interesse e predisposizione. Mi riusciva tutto facile.

Avevo anche scoperto il grande beneficio della spugnatura totale fredda, seguita da una reazione calda sotto le coperte, nota col nome di "ginnastica vasale", utile alla depurazione del sangue, attraverso i pori della pelle. Spugnatura che io praticai ogni mattina per più di un anno. Non mi stancherò mai di parlarne bene per i suoi risultati decisamente benefici. Anzi mi vanto di essermi guarito da solo dalla angina pectoris, con le erbe depurative e la spugnatura, senza più entrare in farmacia.

Divenni medico di me stesso. Controllavo e selezionavo il cibo ingerito e per ogni disturbo ne facevo da solo l'indagine, col risalire alla causa e trovarne i rimedi.

Ho scoperto poi la questione della dieta dissociata, imparando a riconoscere i cibi compatibili tra loro, vera e grande conquista per la salute, adottata oggi anche dalla medicina omeopatica. E poi la questione della frutta fresca che va mangiata da sola, un tipo per volta lontano dai pasti, per evitare la fermentazione tossica intestinale provocata dall'incontro digestivo, non compatibile, con i cereali. Ma soprattutto l'importanza di una meticolosa masticazione, utile non solo alla digestione degli amidi, ma anche ad altri motivi.

Dormivo con la finestra socchiusa anche d'inverno, coprendomi con un maglione in più. Un grande beneficio gratuito di primaria importanza.

 

Una volta mi sono guarito da solo da una grave ustione al viso dovuta ad una fiammata che mi aveva investito.

Quella mattina (estate '85) stavo aspettando il muratore che non si è poi presentato. Per occupare il tempo bruciavo nel caminetto dei cartoni con dentro delle vecchie cartacce di cui volevo disfarmi, quando una esplosione ha sprigionato una fiammata che mi ha investito il volto, bruciandomi pelle e carne dalle orecchie ai capelli, ciglia e sopracciglia comprese. Salvai gli occhi perché portavo gli occhiali.

Spensi subito il maglione in fiamme che indossavo, togliendomelo e pestandolo. Tremavo per lo spavento improvviso. Allora pensai ad ungermi di olio di oliva le ustioni ed a "ribruciarmi", esponendomi di nuovo al fuoco fino a resisterlo, come avevo imparato in vetreria.

Non cercai l'aiuto del Cielo. Ma in quel momento mi apparve in visione la figura maestosa di Gesù che mi rassicurava.

In quei giorni ero solo in casa, al Monte Labro, e avrei dovuto telefonare all'ospedale in paese per farmi soccorrere, ma esitavo, perché non trovavo il libretto sanitario e perché mi rincresceva farmi notare dalla gente.

Subito mi venne un grande appetito (alle dieci del mattino) e decisi di mettermi a mangiare. Nel frattempo avrei pensato sul da farsi.

Il libro della medicina naturista mi suggeriva un cataplasma di fango freddo direttamente sulle ferite: calmante, rigeneratore. Lo preparai subito e lo applicai. La terra del campo è carica di radiazioni solari energetiche, curative. Mi avvolsi poi in un asciugamano la testa, lasciando un canaletto per respirare e mi addormentai. Le mie narici e le labbra erano le più colpite per via dello spavento che mi aveva fatto trasalire e avevo respirato anche il fuoco.

Tutto sommato mi era andata bene: almeno gli occhi erano salvi. Alle sei pomeridiane nel togliermi il fango che si era ormai seccato si staccavano anche la pelle e la carne delle guance, senza alcun dolore. Non volevo più ripetere il fango e l'ho sostituito con la ricotta, come suggeriva il libro. All'ospedale vi sarei andato l'indomani. Forse mi avrebbero praticato antibiotici e pomate allo zinco, che il mio libro naturista vietava.

Invece l'indomani proseguii a curarmi da solo con gli impacchi di erbe, e il sudare.

Misi il fornello a gas sul pavimento con sopra il pentolone delle erbe a bollire: "equiseto" e "iperico". Tre volte al giorno me ne stavo seduto per mezz'ora sotto un asciugamano che raccoglieva il vapore della pentola a farmi i suffumigi al viso, per sudare molto. Poi proseguivo con gli impacchi delle stesse erbe, bevendone anche l'infuso.

Meravigliose erbe benefiche! Le avevo raccolte io stesso fresche nel campo intorno casa.

Nei giorni successivi si formarono delle brutte croste scure, molto vistose a vedersi. Evitavo di incontrare la gente per non stare a spiegare ogni volta le stesse cose. Me ne andavo in macchina alle sorgenti di Saturnia dove l'acqua calda sulfurea mi aiutò rapidamente verso la guarigione. Non è rimasto più niente: guarito completamente.

Oggi non si vede più nemmeno una cicatrice.

Il primo fondamentale aiuto lo devo al mio aver sudato molto, moltissimo. Il sudare ha ripristinato perfettamente i tessuti della carne mangiati dal fuoco. Poi alle due erbe, compresa l'acqua sulfurea.

Lo devo comunque alla mia fiducia nelle forze della natura giustamente equilibrate, ricorrendo al loro efficacie aiuto.

 

 

14. - Impegno spirituale

 

Quell'anno 1955, dopo il ciclostilato del 3° libretto distribuito in diverse copie, frequentavamo a Roma una serie di conferenze, tenute ogni settimana dal prof. Giuseppe Macaluso, dedicate alla storia di "David Lazzaretti, profeta e martire della verità Cristica, che ha fondato una nuova religione".

La sala si riempiva di gente e con l'occasione facevamo interessanti conoscenze.

Nel mese di agosto, quando andammo per il pellegrinaggio alla Torre Davidica sull'Amiata, invitammo quel professore a tenere una conferenza su David al Teatro Comunale di Arcidosso. La organizzammo con i manifesti sui muri del paese.

Dopo la conferenza del professore prese la parola anche la signora Elvira, riscuotendo molti applausi e vi presi parte anch'io. Superato il gelo del palcoscenico e dell'incontro col pubblico, parlai improvvisando, timido e coraggioso insieme, con il compiacimento di Elvira.

Conoscemmo a Roma ('55) l'On. Ezio Bartalini, nativo di Santa Fiora (in frazione Bagnore) che possedeva un suo giornaletto: "Bollettino di Informazione: La Pace". Acconsentì che noi pubblicassimo le nostre notizie sul suo foglio, con ampia libertà di spazio e divulgazione.

Ne uscirono sette numeri che ci riguardano: dal 25 agosto '55, al 14 aprile '58. Avemmo modo di diffondere, soprattutto alle agenzie di stampa e ai giornali, le nostre notizie, dimostrando di essere battaglieri e coraggiosi. Logicamente questa iniziativa partiva dalla signora Elvira ed io ne ero il suo collaboratore principale nella parte: pubblicazione e diffusione.

Il numero uscito il 18 luglio '56 di quel "Bollettino", con il quale si invitavano i lettori al pellegrinaggio alla Torre di David Lazzaretti, per la nostra festa del 14-15 agosto, ci procurò una denuncia della Pubblica Sicurezza per: riunione abusiva non autorizzata; nonostante la libertà costituzionale di culto, di riunione e di stampa.

 

Nel mese di ottobre ('55) volli andare a visitare la "grotta" del diruto convento di S. Angelo in Sabina, nella quale David trascorse tre mesi di penitenza, murato dentro e quasi in digiuno, dove avvennero mirabili avvenimenti soprannaturali.

Vi andai tutto solo intenzionato di trascorrervi la notte. Raggiunsi il paese di Ponticelli in corriera e ho proseguito a piedi fino alla grotta, che non fu facile rintracciare fra gli alberi, nascosta nel roveto di foglie e di spine. Con gran devozione vi accesi le sette candele, e poi il fuoco e pregai a lungo.

Il 18 giugno successivo ('56) vi tornai con la signora Elvira, e Mancini. Vi celebrammo la nostra Funzione. Usciti fuori, incamminandoci verso una piccola sorgente, ci imbattemmo in due animali morti. Erano due simboli significativi: un rospo e un serpente vaccinaro. Il serpente morto aveva la bocca sopra la schiena del rospo ripugnante, che era tutta mangiata in profondità. Ma la carne velenosa del rospo aveva fatto morire il serpente. Uno spettacolo da fare molto riflettere, sapendo che il rospo è simbolo della politica e il serpente simbolo della chiesa docente. E ciò significa che i ciarlatani politicanti sono il tossico corrosivo che avvelena e uccide la chiesa.

Subito dopo vi fu un altro incontro interessante, di cui sono stato spettatore. Racconto solo quanto mi diceva la signora Elvira mentre si svolgeva, perché io ero lì presente senza vedere.

Poco più sopra di noi, mentre salivamo nella stessa valletta, lei vide su verso la cima del Monte Serrapopoli, un enorme serpente che, scorgendola, subito si è allontanato. Poi, qua e là sul prato in salita, c'erano delle grandi uova nere, deposte dal serpente a ridosso di alcune pietre, di cui era cosparso il terreno.

Ci trovavamo infatti nel nido del serpente (maschile e femminile) la centrale di una delle 7 teste del pianeta Saturno.

Allora, sdoppiatasi, lei andò con il suo bastone, a rompere tutte quelle uova e mi disse che da quel momento in poi, la progenie di quel serpente non si sarebbe più riprodotta.

Occorreva che un corpo umano, molto affinato e sensibile, le vedesse, per demolirle spiritualmente per sempre. Erano fatti grandiosi soprannaturali e sorprendenti.

Dovetti abituarmi a quel genere di episodi e crederli, perché in seguito ne capitarono molti altri, fino a quando, perfezionandomi nella intuizione, anche io ne divenni protagonista in prima persona.

 

Nel maggio '56 è uscita una edizione di ristampa del 1° e 2° libretto delle "Rivelazioni Spirituali" al quale avevamo aggiunto il 3° e 4° libretto.

Le spese della tipografia le sosteneva tutte la signora Elvira. La mia parte era invece la battitura e poi la correzione delle bozze, l'indirizzo e la spedizione del plico postale. Non dovevamo venderlo, né accettare offerte in denaro. Questo era il nostro compito, la nostra missione spirituale. La signora Elvira diceva che se ne avessimo fatto commercio, la nostra chiesa diveniva un'altra bottega, come nella chiesa cattolica. E poi aggiungeva che: "la Verità non si vende".

Così la donazione dei nostri libri è stato l'atteggiamento costante per tutte le numerose altre pubblicazioni che in seguito hanno accompagnato il nostro lavoro di divulgazione dell'Opera, fino ad oggi.

 

Eravamo tornati ad Arcidosso ('56) per il pellegrinaggio alla Torre Davidica di Monte Labro, che si tiene ogni anno (fin dal 1870) per la veglia della notte tra il 14-15 agosto, festa dell'Assunzione. Vi andammo con una batteria di accumulatori da motocicletta, e un grosso faro che ci eravamo portati da Roma, e questo rimase acceso sopra la Torre per tutta la notte a farsi notare con la sua luce nei dintorni.

Come mezzi di trasporto avevamo le nostre gambe. Viaggiavamo in treno fino a Grosseto e poi in corriera. Per il resto a piedi per strade provinciali e sentieri petrosi fino alla vetta del monte. Questo nostro procedere si è ripetuto tutti gli anni fino al 1970, quando cioè noi abbiamo costruito una strada interpoderale di 5 km che raggiungeva la vetta. Ma, sempre con grande costanza, non siamo mai mancati a quel pellegrinaggio.

 

La signora Elvira aveva composto una grande corona di alloro e suggerito di portarla sulla lapide commemorativa in paese, nel luogo dove nel 1878 morì David, per una fucilata sparatagli da un drappello di carabinieri. Per ordine della Giunta Comunale sbarravano la strada alla storica processione religiosa da lui guidata.

Proseguimmo ogni anno a portare una corona di alloro su quella lapide per la ricorrenza del 18 agosto, anniversario della sua uccisione.

 

Quell'anno ('56) abitando a Bagnoli ricevemmo un inatteso invito. Era morto il bidello delle scuole elementari del paese, un acceso fervente comunista, che aveva lasciato detto ai figli di non chiamare il prete per il suo funerale. In casa sua con la salma ancora sul letto erano sorte delle controversie. Le figlie e la vedova volevano seppellirlo con almeno qualche benedizione, i figli si opponevano.

Qualcuno suggerì loro di chiamare i Giuris-davidici e noi accettammo. Ci presentammo, la signora Elvira ed io, per impartire la benedizione al defunto e pregare con le nostre preghiere, anche se avevamo davanti il corpo di un miscredente, portando pace e consolazione in quella famiglia. Fummo poi invitati a tornare per il funerale.

Per l'ora stabilita si era radunata una grande folla, perché il bidello era conosciuto da tutti. Io indossavo la mia camicia rossa con il segno giuris-davidico sul petto, camicia che la signora Elvira mi aveva cucito l'anno prima, in ricordo della camicia rossa garibaldina che indossava David il giorno della sua storica processione.

E quando il feretro si mosse dalla casa, noi due ci incamminammo dietro al carro con gli altri. Subito, il capo della federazione comunista mi venne a prendere (me solo) e mi portò davanti al carro, ad aprire la strada al corteo.

 

Camminammo così per una strada di campagna, mentre io pregavo, ad alta voce, ma arrivati al paese, anziché voltare per il cimitero, vollero transitare per il corso. Aumentava la folla ai bordi della strada e tutti guardavano in silenzio. Mentre avanzavo pregando mi sentivo una grande commozione, per la soddisfazione che ci avevano dato.

Sentivo che entrando nel paese di quella cittadinanza tanto avversa a David, io lo stavo riscattando con grande suo onore, per il suo sacrificio.

Quando poi deposero la salma nella fossa e io diedi la benedizione, vidi tutte quelle numerose persone in silenzio, ferme a guardarmi, che mi imitarono facendosi tutti insieme il segno della croce.

Non sono, e non sono stato mai comunista, ed io partecipando a quel corteo funebre facevo il mio dovere di sacerdote e quello di non respingere nessuno.

Dopo il "Bollettino" dell'On. Bartalini la signora Elvira suggerì di fondare il nostro giornalino e ne ottenemmo l'autorizzazione dal Tribunale. Volevamo chiamarlo "La Milizia Crocifera", ma poi decidemmo di intitolarlo "La Torre Davidica". Gli articoli li preparava tutti lei stessa e qualcosa toccava a me: lo copiavo dai libri di Don Filippo e di David. La impaginazione la facevamo insieme. Di questo giornaletto ne facemmo in tutto 10 numeri in sette anni. Tutti di 3.000 copie, formato 25x35, composto da 4-6 pagine e con le illustrazioni per renderlo vivace. Divulgati per posta alle biblioteche e vari indirizzi e anche consegnati a mano.

Fin dal primo numero (luglio '57) si era associato con noi Francesco Polimeni il quale si riservò due pagine da dedicare agli UFO, una rubrica intitolata: "I Dischi di quest'anno". In quel tempo avevamo conosciuto Eugenio Siragusa di Catania e assieme ad Armando Brunner gli organizzammo una conferenza con dibattito, all'Hotel Universo di Roma, sull'argomento: "Dischi volanti e contattismo".

Ma questo argomento di avanguardia non venne apprezzato dai seguaci della montagna e fu molto criticato. Noi proseguimmo a pubblicare ugualmente queste due pagine sugli UFO, perché eravamo più che certi della loro realtà. Si era nel 1957.

 

La nostra attività destava preoccupazione soprattutto dalla parte clericale, per intolleranza religiosa e fummo chiamati in giudizio su tre differenti accuse, per impedirci: libertà di contenuto dei nostri libri; libertà di riunione per il nostro culto in luogo aperto al pubblico; libertà di battezzare col fuoco.

Le "cause", suddivise in diverse udienze, nel periodo da ottobre '56 ad aprile '58 furono tutte da noi vinte. Si svolsero presso la Pretura di Arcidosso e presso il Tribunale di Grosseto. Non è mancato il ricorso alla Corte Costituzionale dalla quale fummo prosciolti con una sentenza, quella molto contrastata dal Vaticano, dell'8 marzo '57 firmata dal presidente On. avv. Enrico De Nicola (dimissionario).

Dopo quelle assoluzioni, vinti gli ostacoli, eravamo liberi di esercitare e propagare la nostra Opera Giuris-davidica.

Merita soffermarsi sulla udienza del gennaio '57 a Grosseto quando io fui chiamato a rispondere di lesioni personali colpose, perché il "battesimo del fuoco", da me praticato ad un seguace aveva creato una ferita guaribile oltre i 25 giorni. Era un caso limite e fu chiarito che la infezione alla piccola vescica, prodotta dal sigillo riscaldato nell'olio, era dovuta a poca protezione settica, per il lavoro nei campi del seguace che aveva chiesto di essere battezzato. Era Carlo Danielli di Roselle Terme (Grosseto).

La denuncia era stata presentata da un prete della curia vescovile ed io ne avevo subito data notizia ai giornali, che mandarono i loro "inviati" presenti alla causa.

Quel giorno si presentarono a piede libero, al giudice che mi processava, anche la sacerdotessa Elvira e il sacerdote Mancini chiedendogli di essere giudicati assieme a me, perché anche loro avevano partecipato al rito. Durante il dibattito chiedemmo alla corte, che se il rito del battesimo del fuoco era considerato un reato per lesioni colpose, dovevano essere chiamati in giudizio anche tutti i rabbini d'Italia i quali, nel compiere la "circoncisione", erano colpevoli di lesioni.

Come ho detto fummo assolti con formula piena e liberi di battezzare col fuoco. Quel Battesimo  è stato istituito da David Lazzaretti, il Cristo Duce e Giudice ed era stato profetizzato da San Giovanni Battista. Il segno  rappresenta l'apertura del Cielo verso la Terra.

 

Nel '58 avevamo iniziato i lavori di ricostruzione e restauro di due stanze dell'Eremo (devastato dal vandalismo avverso) e fatto costruire da David sulla Vetta del Monte Labro. Io lavoravo in fabbrica ad Avenza (Carrara) e a stento cercavo di raggiungere la Torre, nelle festività, per essere di aiuto alla signora Elvira, che agiva tutta da sola con il lavoro di due muratori.

Avevo disegnato l'Altare e passato le misure al marmista di Roma. Si trattava di impiantare l'Arca della Nuova Alleanza tra Iddio e gli uomini, di cui profetizza più volte lo stesso David, ma costruito da Elvira.

Poiché non esisteva ancora la strada per arrivare fino alla cima, venne utilizzato un carro agricolo con i buoi per portare i marmi, arrivati da Roma. Per il 14 agosto era tutto ultimato e ne facemmo la inaugurazione con il vino spumante, gettatevi sopra, proprio come si fa per varare una nave.

La signora Elvira, come sempre, era guidata spiritualmente dalla Regina dell'Universo, come era stato guidato anche David Lazzaretti.

 

Il nostro andare lassù in quella ricorrenza e la nostra Funzione della mezzanotte destavano curiosità e soddisfazione tra i seguaci della montagna, che per il pellegrinaggio arrivavano su dai paesi circostanti. Il fuoco che accendevamo al tramonto sulla vetta si vedeva da tutta la zona ed era un forte richiamo. Arrivavano anche i villeggianti e i giornalisti.

Un giornale pubblicò un articolo dal titolo: "Una tenace vicentina continua l'opera di David e fa ricostruire l'eremo del profeta".

Un altro disse: "Il fatto che li distingue è che essi adorano un Cristo Risorto mentre i cattolici adorano un Cristo crocefisso".

 

Nel dicembre '57 morì il sacerdote giuris-davidico Pietro Tommencioni di Arcidosso, che era il capo sacerdote dei giuris-davidici della montagna, succeduto ad Arcangelo Cheli, e noi, dopo aver partecipato al suo funerale, prendemmo in affitto la sua casa, in località "Le Fornaci", dove si trovava anche l'archivio dei giuris-davidici della montagna.

Per la nostra festa del 14 marzo '58 ci trovammo colà riuniti in numeroso gruppo e la signora Elvira lanciò la proposta di fare la domanda per il "riconoscimento" dello Stato alla nostra chiesa giuris-davidica. Dalla assemblea ebbi il mandato di rappresentare la chiesa e presentare gli incartamenti al Ministero degli Interni, affari per il culto, con tutte le loro firme. A partire dal 3 aprile ('58); la pratica è andata a buon fine soltanto il 26 luglio 1960 (S. Anna). Dovemmo presentare i nostri libri con i nostri riti, e una relazione con lo statuto della comunità. E quando la prefettura di Roma e quella di Grosseto ebbero accertato la fondatezza della richiesta e che non si andava né contro la morale, né contro il buon costume, venne firmato il Decreto Legge che approvava la nomina mia a ministro di culto, con le prerogative di un capo religioso. E implicitamente veniva riconosciuta anche la nostra istituzione: la Chiesa Universale Giuris-davidica della SS.ma Trinità di Dio.

Il decreto venne firmato all'On. Tambroni, all'ultimo momento, quando era già dimissionario da Capo di Governo. Venimmo a sapere dal funzionario della Divisione affari per il culto, che per vie traverse si erano mossi alti prelati per impedire che questo decreto venisse concesso.

Anche qui fu una vittoria nostra sui nostri denigratori e avversari di David, soprattutto clericali, ma anche spiritualmente fu un grande evento di superamento e di conquista umana, avvenuto con il grande aiuto delle gerarchie del Cielo. Solo un miracolo poteva realizzarlo dopo tanta avversione coalizzata. Un riconoscimento che dava conferma sia all'Opera di David, sia all'Opera di Elvira.

Per questo riconoscimento, da parte nostra avevamo rafforzato l'attenzione delle autorità locali su di noi, organizzando per due anni di seguito ('59-'60) una processione religiosa di fedeli che, partendo dalla Torre Davidica, ripeteva per 8 km di strada, la storica processione di David, del 18 agosto 1878, interrotta dalle fucilate dei carabinieri che gli sbarravano la strada alle porte di Arcidosso.

Per quella occasione avevamo preparato una statua di David, un manichino rassomigliante, in grandezza naturale, vestito da garibaldino con gli abiti uguali a quelli da lui indossati nella storica processione. Sopra una portantina fu portato a turno dai vari seguaci, che in gran numero erano accorsi entusiasti a parteciparvi. Nell'ultimo tratto fummo accompagnati anche dalla Banda Musicale, che suonava (per nostra commissione) l'inno: "Cristo regna , Cristo vince".

Arrivati alla lapide commemorativa, in località Cansacchi, facemmo un discorso alla presenza di oltre un migliaio di persone, che lungo la strada si erano accodate alla nostra processione. Avevamo bandiere e stendardi, ma soprattutto tanta emozione e tanta gioia in cuore. Con noi erano presenti tutti i seguaci e i simpatizzanti giuris-davidici della montagna, nessuno escluso, concordi ed esultanti.

Proseguimmo ancora, entrando in paese e concludemmo il percorso sulla scalinata della Chiesa della Madonna Incoronata, ove avvenne la mia consacrazione in pubblico.

L'anno dopo ('60) abbiamo ripetuto la processione con lo stesso percorso, ma gli ostacoli da parte della Questura di Grosseto nel rilasciarci i permessi e le loro restrizioni furono tali da farci desistere dal continuare negli anni successivi questa processione nel giorno di ferragosto.

I giornali locali ne trattarono ampiamente e uscì anche un articolo di quattro pagine sul settimanale L'Europeo (28 agosto '60) con nostre fotografie.

 

In quel tempo il consiglio mondiale delle Chiese (Church World Service) aveva messo a disposizione per la assistenza alle famiglie povere dei giuris-davidici, oltre 30 quintali di pasta alimentare. Poi farina, riso, indumenti che vennero distribuiti in otto occasioni diverse, dall'aprile '59 a marzo '60.

Il sindaco di Arcidosso ci aveva concesso di depositarli nel fabbricato del Tiro a Segno comunale. E questa distribuzione ben accetta fece parlare tutto il paese, tanto che la signora Elvira la chiamò: "un tiro a segno ben riuscito".

Intanto la signora Elvira aveva scritto e indirizzato due lettere abbinate: una al Papa Pio XII, Eugenio Pacelli, e una al Presidente della Repubblica On. Gronchi per chiedere la restituzione ai giuris-davidici della Verga preziosa a 5 nodi, dell'Anello con smeraldo e del sigillo del Battesimo del Fuoco, che David aveva consegnato durante il processo del Santo Uffizio, e dal quale venne condannato e respinto come falso Cristo e indemoniato. Queste lettere, passate ai giornali, costrinsero quei due personaggi a incontrarsi, ma con nessun risultato successivo. E furono pubblicate poi per intero sul nostro "notiziario": La Torre Davidica (dic. '63) e ripetute nella sostanza ad ogni successivo Pontefice cattolico: da Pio XII, Paolo VI, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II.

 

Nel dicembre '59 per iniziativa di Elvira comprammo un terreno di 5 ettari, sul quale si trova la costruzione della Torre Davidica, fatta da David nella vetta di Monte Labro e lo comprammo dividendoci le spese, con l'accordo: che rimaneva indivisibile e destinato come fondo dell'Opera Giuris-davidica.

 

In tutti quegli anni la zona circostante al Monte Labro per parecchi chilometri quadrati era stata occupata per le esercitazioni estive dalle truppe militari, considerata Poligono di Tiro. Il bersaglio delle loro esercitazioni era stato posto proprio nella parte più alta del nostro monte, cosicché il monte della predicazione della pace era utilizzato per le esercitazioni di guerra. Facemmo le nostre rimostranze ai comandi militari e al prefetto di Grosseto, fino a riuscire a far sopprimere questa annuale consuetudine, l'ultima delle quali avvenne nel 1970.

E non per ragioni religiose, né di transito per la costruzione di una strada fu soppressa, ma perché bastava che un proprietario del terreno si opponesse. E questo, nessuno ancora l'aveva fatto prima di noi.

 

Nel marzo '60 avevamo preso in affitto una nuova abitazione dentro al paese, in via Talassese, 76 ed ivi creato un bel locale di culto, frequentato dai nostri seguaci. Ma questo non fu gradito dal parroco nei quattro anni di nostra permanenza, il quale fece in modo di farci mandar via, facendo sciogliere dal proprietario (suo parrocchiano) il nostro contratto di locazione (maggio '64).

Andammo ad abitare a le Bagnore, frazione di Santa Fiora, paese che accolse morente il nostro David, dopo le fucilate di Arcidosso.

Aprimmo anche qui un nuovo locale di culto e festeggiammo l'apertura con banda musicale, bengala e fuochi artificiali.

Dal '58 al '65 conoscemmo tante nuove persone che ci hanno aiutato, nell'affermazione della nostra Opera. Meritano esser ricordati con tutto il nostro affetto e riconoscenza: Valente Fioravanti, Paolo Tognazzini, detto Gigione dell'Aiole, Assunta Fatarella, Guido Rosati, Osvaldo Bianchini, Pietro Tommencioni, Aspasia Pellegrini, Adina Bianchini, Beppina Danielli, Maria Mancia, Davide Mariani, Rovena e Adelia Mucci, Domenica e Sandro Paganucci, Romeo Innocenti, Aristodemo Vichi, Maddalena Fioravanti, Iva e Niccolò Santi, Vinicio Conti, Paolo Aluigi, Idrio Bindi, Luigi Deciné, Paolo Conti, Claudio Cannone (nostro sacerdote di Grosseto), ecc..

Assunta Fatarella poi, aveva accolto in casa sua l'archivio dei documenti di David Lazzaretti e si era prodigata quale sacerdotessa giuris-davidica a spiegare e a divulgare l'Opera di David.

 

Intanto qua e là iniziarono ad uscire articoli di giornali per denigrare l'opera di Lazzaretti e nostra. Si può capire bene da che parte erano mossi dietro le quinte. Lanciavano il sasso e poi nascondevano la mano che lo aveva lanciato. (Lo facevano passare per pazzo e per criminale).

Il periodico "Il Giallo Mondadori" del 21 febbraio '60, nella rubrica: "Itinerari del giallo" parlando del comportamento criminale, pubblicò pesanti offese contro Lazzaretti, prendendo spunto dagli oggetti appartenuti a David, esposti nelle vetrine del Museo di Antropologia Criminale, dell'Istituto di Medicina legale, presso l'Università di Torino. Si tratta di abiti indossati dal profeta, paramenti religiosi, stendardi, cimeli, emblemi appartenuti a David e consegnati al prof. Cesare Lombroso dopo il processo ai seguaci Giuris-davidici, tenutosi a Siena nel 1879, e da lui conservati in quel museo universitario.

Noi prendemmo posizione legalmente sia contro l'editore Mondadori, sia contro il Museo. La causa per diffamazione a mezzo della stampa si svolse a Verona ove noi ci recammo per due o tre udienze. Mondadori chiedeva a noi di trattare, ma noi volevamo la sentenza di condanna o la costruzione di una chiesetta dedicata a David. Invece Mondadori si mise d'accordo col nostro avvocato il quale non si presentò in giudizio e la causa venne archiviata.

Per l'altra querela abbiamo presentato diffida al Consiglio di Stato, e chiamato in giudizio il Ministero della Pubblica Istruzione e il direttore di quel museo. Ci eravamo associati con la signora Bianca Lazzaretti, pronipote di David, noi come chiesa, lei come discendente e chiedemmo la rimozione di tutti gli oggetti perché la loro esposizione nel Museo dei Criminali, è offensiva.

Anche qui i magistrati ebbero a eccepire, dopo svariate udienze, perché la diffida non era stata correttamente presentata e occorreva ripresentarla. Le spese erano tante e ricevemmo suggerimento dal Cielo di non proseguirla.

Nella occasione dei nostri viaggi a Verona andammo anche a Noventa Vicentina ed io feci conoscenza dei fratelli della signora Elvira: Giovanni e Giuseppe, ma soprattutto vidi i luoghi dove essa era cresciuta. Andai poi a Torino per parlare col direttore del Museo e là conobbi l'altro fratello: Antonio Giro, che lavorava in quella città.

Inutile dire che quegli oggetti sono ancora nella vetrina di quel Museo torinese anche se David è morto "incensurato"!

 

Nel luglio '61 pubblicammo in ristampa il libro di David Lazzaretti dal titolo "Rivelazioni di Lazzaro". Una pubblicazione in multilih (fotolitografia) di 108 pagine che diffondemmo a biblioteche e seguaci, come avevamo già fatto con la ristampa del "Libro dei sette sigilli" di Lazzaretti nell'ottobre '55.

 

Lazzaro, fratello di Marta e Maria è l'amico di Gesù, risvegliato dal sonno della morte. È Gesù, l'uomo che ha aperto gli occhi al cieco nato, che compie anche quest'altro grande miracolo: la "resurrezione di Lazzaro", morto da quattro giorni, affinché gli uomini credano per la gloria di Dio, e dopo la sua "resurrezione", Lazzaro siede con Gesù nel pasto serale, che gli fu imbandito da Marta.

Lazzaro è lo stesso Lazzaretti che risorge, dopo compiuti i tre giorni, che sono poi le tre Ere di evoluzione umana, nella Trinità di Dio, onde gli uomini credano che il Cristo, Figlio di Dio è stato mandato.

Ma anche allora tutti questi miracoli destarono molta avversione tra i sacerdoti del Tempio, tanto che essi macchinarono di fare uccidere, sia Lazzaro che Gesù. (Giovanni, cap. 11).

 

Nel luglio '62 ci venne a trovare il regista Paolo Nuzzi perché incaricato dallo sceneggiatore Cesare Zavattini di realizzare un film a episodi, dal titolo: "I Misteri di Roma". Uno di questi episodi era destinato a ritrarre noi e la nostra Funzione giuris-davidica.

Accettammo senza farci pagare, a condizione che non venisse posta in ridicolo l'opera nostra.

Questo film, in bianco e nero, passo 35 mm fu poi premiato al Festival di Venezia nel settembre '63 e proiettato in tutte le sale cinematografiche d'Italia. Produttore era Achille Piazzi.

 

A questo filmato prese parte anche il nostro sacerdote Luigi Serafino Mancini. Era una persona di spiccata spiritualità. L'avevamo soprannominato "polmoni d'oro" perché quando parlava di reincarnazione e delle sue esperienze medianiche, aveva una presa convincente e una voce chiara, pronunciata con molto vigore. Sempre concludeva con la frase: "Niente viene a caso, fratellino". Nel '63 è trapassato, spiegandoci prima, che gli angeli lo avrebbero scortato fino in cielo.

 

Intanto avevo iniziato a preparare un libro, intitolato: "Studio bibliografico su David Lazzaretti". Non credevo mai di sapere scrivere un libro, anche se ero facilitato dal mettere insieme solo titoli e dati editoriali.

Tutto è cominciato senza un programma. Dovevo preparare un elenco di libri e opuscoli scritti da David, richiestomi dall'avvocato, per corredare la sua pratica legale in Tribunale. Ed io li avevo quasi tutti in originale nel nostro archivio di Roma, quello ereditato dalla vecchietta: mamma Elena dalla signora Elvira.

Veramente mi attendevo la venuta di qualche bravo scrittore, risvegliato spiritualmente verso la nostra Opera, che si prendesse lui il compito di fare questo libro, ma non si è mai presentato. Io non me ne sentivo all'altezza. Questo elenco poi fu ampliato dal prof. Giuseppe Fatini, valente studioso di biblioteca, incontrato a casa sua a Piancastagnaio, ma preside del liceo classico di Firenze.

E allora, foglio su foglio, ho completato di annotazioni ogni titolo e proseguito questa ricerca, partendo dalla lettura dei testi che trovavo negli schedari delle biblioteche. Allacciandomi alle note e ai richiami incontrati, scoprivo via via altre pubblicazioni.

Di regola le mie giornate a Terni procedevano così: mi alzavo alle 7 del mattino puntuale per andare in fabbrica. Alla sera quando uscivo alle cinque mi mettevo a letto rilassandomi della giornata di lavoro. Alle 8 andavo a cena e dalle 9 alle 3-4 di notte scrivevo il libro.

Il mio fegato ne risentiva, non reggeva a questo ritmo, ed io ricorrevo ai medicinali per aiutarmi. Ma non cedevo.

Nei sabati liberi dall'ufficio andavo nelle biblioteche governative e facevo ogni volta nuove scoperte. Il lavoro in tutto è durato circa tre anni e nell'agosto '64 è finalmente uscito questo volume di 270 pagine, con 16 tavole fuori testo. Il libro riscosse molte approvazioni e fu recensito su diversi giornali e periodici, con molta mia soddisfazione. Ma quante notti di studio, quanta pazienza per me che non sapevo comporre un foglio senza doverlo riscrivere sei, sette volte per farlo meglio.

Ricordo che nelle mie ricerche mancava ancora un testo importante, scritto da David e stampato a Napoli nel 1873; intitolato "Lettere Profetiche di San Francesco da Paola", un volumetto di 70 pagine fatto sequestrare e prelevare dalle autorità ecclesiastiche nella stessa tipografia. È interessante raccontare come ho potuto poi rintracciare la unica copia superstite.

Tra i miei colleghi della fabbrica c'era anche l'ing. Bongiovanni di Napoli. Venni a sapere da lui che la sua fidanzata lavorava nella biblioteca privata, già appartenuta a Benedetto Croce.

Gli chiesi allora di farmi mandare l'elenco dei libri sull'argomento: David Lazzaretti, esistenti in quella biblioteca. Si trattava di pochi titoli. Venne fuori però, con mia grande sorpresa, che vi stava catalogato anche quel libro introvabile, e così me ne sono fatto inviare il microfilm completo.

Era accaduto che il tipografo di allora, Barbieri, ne aveva sottratto una copia dal macero, per darla al suo grande amico, il prof. Croce.

 

Dalla ricerca bibliografica emersero diverse notizie interessanti riguardo a David e agli studiosi che lo presero in seria considerazione.

Tra i più importanti ci fu uno psichiatra danese, Emilio Rasmussen, professore di filosofia alla Università di Copenaghen, il quale venne appositamente a risiedere in Italia (1900-1904) nei luoghi della predicazione di David, per raccogliere alla origine le notizie sul suo misticismo, nel duplice aspetto: ascetico e dottrinario, da permettergli una approfondita comparazione con la predicazione di Gesù Cristo, in una consimile ascesa di spiritualità.

Rasmussen ci ha lasciato notevole documentazione del suo studio, nei suoi libri pubblicati in lingua danese e tedesca, che dovrebbero trovare un volenteroso traduttore in italiano.

Tra gli altri autori molto seri emerge Francesco Sapori allievo di Giovanni Papini, oltre che Filippo Imperiuzzi e Giovanni Battista Polverini, che hanno lasciato importanti testimonianze.

Il prof. Francesco Sapori, senese, si è occupato di Lazzaretti e ha saputo mettere assieme una riuscitissima antologia dei suoi scritti, pubblicata nel '13 dall'editore Carabba di Lanciano dal titolo: "Visioni e profezie".

Egli chiama David: "la grande anima del profeta, tanto denigrata, irrisa, discussa, attraverso i meandri della incredulità, ma lucente di un idealismo vasto più che il mondo".

Nell'archivio giuris-davidico di Poggio Marco sono conservati numerosi documenti autografi degli Apostoli, e Discepoli e Condiscepoli di David, di una schiettezza e genuinità commovente per la loro grande fede.

 

Lo scrivere questo libro fu una palestra di addestramento per me, portandomi a sviluppare le qualità di scrittore in erba, spinto dalla grande mia volontà, di giovare all'Opera di cui ero e sono fortemente convinto.

Anche la stesura dei libri della signora Elvira, che battevo a macchina, correggevo e rileggevo poi nelle bozze di stampa, ha dato una formazione alle mie possibilità di scrivere.

Una delle prime copie l'ho regalata a mio padre, che poco se ne capiva e lui la fece leggere a un amico di sua fiducia che lo apprezzò molto. E nel raccontarmelo ne era proprio sorpreso.

 

In quel tempo scrissi questo appunto, che ho ritrovato tra le mie carte:

"Chi avrò io per amico; mio Dio?

Se i miei difetti mi tradiscono e io ti tradisco, non mi abbandonare. Comprendi le mie debolezze e soccorrimi. Fa che il mio cuore sia riscaldato dal tuo raggio. Fa che io ti senta a me vicino, come già ti ho sentito. Rinsalda i miei vincoli con te, sorveglia i miei passi. Rendimi forte e sicuro, affinché io sappia combattere meglio, per te mio Dio. Ho lasciato senza reagire che tutti intorno a me si allontanassero perché io seguivo te. Ho accettato che il dispregio e la cattiveria si facessero gioco della mia fede, per te. Ora non ho che te, mio Dio.

Comprendimi e riscalda nuovamente il mio cuore, di amore e di perdono. Fa che io mi rialzi e senta la gioia di ritornare come prima. Fa che i miei difetti io non li senta nel rimorso e trovi lo spirito forte che mi conduca sulla strada del giusto. Sono solo, altrimenti.

Chi avrò io per mio amico, mio Dio, se non te? Quando sono con te vivo felice, non sento solitudine e non sento il peso delle avversità!" (24 settembre '64).

 

Nel periodo '63-'64 venne a trovarci un impresario stradale del paese a proporci di costruire una strada interpoderale che portasse fino alla Torre Davidica. Era in vigore una legge dello Stato, detta del "Piano Verde", in favore degli agricoltori che volessero eseguire lavori di risanamento fondiario. Veniva loro assegnato un rimborso in conto capitale, ma solo a lavori approvati e ultimati. Era una iniziativa folle per noi, perché mancavamo di esperienza e di soldi, ma aprire una strada che conduce fino a David era anche spiritualmente molto desiderabile. È finito che ci siamo impegnati e ce l'abbiamo fatta, perché nel giorno di San Giovanni del '70 venne finalmente collaudata, la nostra strada di 5 km.

Ma quante difficoltà e ostacoli abbiamo dovuto superare, perché oltre la nostra inesperienza, oltre la burocrazia, si mise contro di noi la curia vescovile di Grosseto.

"Quella strada non serve, non si deve fare. Ci sono pochi contadini nella zona, serve invece a quella "setta" religiosa, che tanto disturba". Questo aveva detto l'ispettore delle Forestali di Grosseto, parlando con un contadino del luogo, che abitava lungo il tracciato in progetto.

La burocrazia richiedeva di costituire una società di agricoltori proprietari dei fondi attraversati, e la presentazione di un piano di massima per l'approvazione del Ministero, tramite quattro sedi delle Forestali: quella di zona a Piancastagnaio; quella provinciale a Grosseto; quella regionale a Firenze e quella ministeriale a Roma.

Riuscimmo ad essere autorizzati ad eseguire il progetto definitivo e questo venne compiuto durante il periodo di ferie da due geometri molto bravi della fabbrica di Terni (ove io lavoravo), miei amici, che dietro poca spesa fecero rilievi col tacheometro, picchettazioni e progetto (Aldo Fasoli, e Piero Listanti). Il progetto da loro eseguito venne da me firmato come ingegnere.

Dapprima venne presentato un progetto di 3 chilometri di percorso, con il tracciato che andava dalla strada provinciale, (imbocco al Prato del marrone) fino alla vetta, il cui importo preventivato lo assegnava per competenza di approvazione alla sede di Grosseto.

Ma quell'ispettore, tenne bloccato per tre anni il progetto sperando forse di stancarci. Fummo consigliati di fare un progetto di importo superiore e di scavalcare la loro competenza.

Allora ampliammo il nostro percorso di altri 2 chilometri, con un tracciato che proseguiva la nostra strada fino all'altra parte del monte, collegandosi a un'altra interpoderale nella vallata della Fonte del Sambuco, aprendo così un anello stradale che congiunge le due zone.

Quindi altro sopralluogo dei geometri, altra progettazione, altra pratica da presentare.

L'abbiamo però spuntata perché per l'importo preventivato la competenza era passata a Roma e, con l'interessamento di un parente della signora Elvira siamo riusciti a sveltire la pratica che si era arenata.

Si passò poi alla esecuzione, con ruspe giganti e squadre di operai, per completare tutte le opere: scavi e riempimenti, cassonetti, livellette, mine nei tratti rocciosi, muri di sostegno, cunette, tombini di scarico, scarpate, massicciata e imbrecciatura. Il direttore dei lavori ero io.

Poi venne il finanziamento (a misura) per circa 30 milioni ed il collaudo del Genio Civile di Grosseto, nel giugno 1970. Non sto a dire quante altre difficoltà da parte loro. E le spese sostenute furono un terzo di più.

La strada oggi è divenuta asse portante di tutta la zona, con altre strade aggiunte dopo, di interesse sia per gli agricoltori, sia turistico, sia di pellegrinaggio alla Torre di David Lazzaretti.

Avevamo aperto la strada materiale e spirituale per arrivare a Lui, e non era cosa da poco.

 

Questa strada era quasi ultimata, e già pensavamo a costruirci una sede ai piedi del Monte, sul nostro terreno.

Il progetto della casa subì diversi cambiamenti, ma alla fine venne deciso e condotto a termine. Non avevo nessuna esperienza in questo genere di lavoro e con l'aiuto di un geometra mio amico, Franco Rango, avevo già definite le bozze di impostazione del progetto, a muri portanti nel sistema tradizionale.

Ricordo che vi lavoravo durante le serate a Terni, uscito dalla fabbrica, quando disegnavo fermo al tecnigrafo in camera mia, fino a notte inoltrata.

Non potrò mai dimenticare il canto meraviglioso degli angeli e la musica che mi giungeva spiritualmente nella testa, mai sentita prima di allora. Mi facevano compagnia e insieme incoraggiamento in quelle ore notturne, mentre io ripassavo il progetto sul lucido del disegno. Questo venne poi presentato presso l'ufficio tecnico del Comune di Arcidosso. Era 1'8 settembre '69 e venne approvato con licenza edilizia. E come direttore dei lavori e progettista firmavo io.

Quando in seguito andammo a picchettare il terreno per le fondazioni, io volevo costruire la casa al riparo del vento. Ma la signora Elvira disse che andava messa in luogo esposto, alla vista di tutti, perché doveva essere di propaganda.

E molta fu la nostra sorpresa di trovare che un branco di mucche al pascolo brado si erano adagiate a ruminare al sole, proprio nella zona prescelta. E questa fu per noi una conferma del luogo più adatto spiritualmente da preferire.

Eravamo impazienti di vedere costruita questa sede, ma non ne avevamo i mezzi economici. Così un poco per anno i lavori procedevano, mentre stavamo ad abitare a le Bagnore.

Man mano che avevamo disponibilità davamo l'incarico: senza far debiti. Ma i lavori si svolgevano mentre io stavo a Terni a lavorare in fabbrica, e potevo seguirli soltanto nei sabati liberi, spostandomi con la macchina.

Per risparmiare costruimmo i muri con i tufi, ma fu uno sbaglio perché in montagna più che altrove assorbono e trasmettono umidità. Portammo rimedio a questo inconveniente, foderando le facciate di teli impermeabili, conosciuti come: tegole canadesi.

Piano per piano arrivammo alla copertura del tetto. Gli infissi li comprammo usati: porte finestre; poi i pavimenti in piastrelle, le più economiche e così tutto il resto. Passarono otto anni.

 

La costruzione della casa procedeva a rilento ed io ero impaziente di poterla inaugurare. Mancavano ancora intonaci, acqua, gabinetti, ecc. ma io volli passarvi ugualmente una notte, da solo.

Scelsi, per solennizzare quella mia decisione, la data del 13-14 marzo l'anniversario della fondazione della nostra istituzione.

Così in una stanza del piano strada impiantai una cucina economica e un letto. Bruciai tanta legna cenando alla meglio a lume di candela. Ma, tra il vento freddo che fischiava violento e il fumo che mi soffocava, passai molto male quella notte. Al mattino ero tutto preso dal freddo.

Constatavo che nello scegliere quel luogo non avevo tenuto conto dell'inverno e dicevo tra me: "Ma come ho fatto, con tutti i miei studi universitari, andare a costruire proprio qui, su questo poggio ventoso, la nostra casa?" E concludevo che era stato proprio un grosso sbaglio.

Ecco che in tutta quella solitudine assoluta, di isolamento completo dal mondo, sento una voce vibrante parlarmi. Proveniva dall'angolo del soffitto della stanza dove avevo dormito e, proseguendo questa voce il mio ragionamento di quel muto soliloquio, mi ha detto: "Ti rimane poter dire che hai servito Iddio".

Una frase che non mi sono più dimenticata. Un impatto sbalorditivo che non pensavo mai potesse accadere.

Ma come era avvenuto? Come era possibile che mi leggessero nel mio ragionamento silenzioso? e che io fossi così controllato? E poi mi domandavo: "Ma è proprio Iddio a parlarmi?" Non avevo altre spiegazioni che accettarlo.

Avevo insieme: sorpresa e sbigottimento nel constatare quella presenza invisibile, che mi seguiva fino nel più profondo dei miei pensieri.

 

In quegli anni, nel '73, si è presentato un giovane di grande fede che ci ha raccontato le sue traversie sopportate sul lavoro e le sue visioni. Anche lui si era risvegliato alla vita spirituale. Si chiama Rocco Jadanza ed è una vera roccia, una roccaforte che resiste ad ogni avversità, contro la quale imperversano le forze negative.

Vive in campagna nel beneventano con i genitori e non ha mai avuto intenzione di sposarsi. Ha sentito subito la bellezza delle Verità dell'Opera Giuris-davidica e ha voluto il battesimo del fuoco, consacrandosi sacerdote ('75) e celebrando con noi all'Altare. Nonostante la notevole distanza non ha mai trascurato di restare in contatto con noi e di venire a presenziare alle cerimonie nelle ricorrenze. Mi è stato di aiuto ed io lo considero un forte amico, oltre che un fratello.

Rocco è molto filosofo. Vive con le sue visioni, isolato nella lotta spirituale, densa di avversità e conclude sempre con la sua frase abituale: "Leone, prendiamo quello che viene!"

È pieno di accettazione e di rassegnazione, nella lunga attesa degli eventi sperati. Accetta le cose che non può cambiare, chiede la forza di cambiare quelle che può, e la capacità di distinguere le una dalle altre.

Più volte sono andato a trovarlo a casa sua ed ho conosciuto i suoi genitori, anche loro molto spirituali, inseriti nel lavoro della campagna e nella preghiera cattolica. Una famiglia armoniosa.

 

A Terni dove lavoravo conobbi uno studioso di religioni orientali che mi invitava spesso a casa sua, per conversare. Un giorno (nel '72) gli raccontai di essere tanto nervoso e che spesso ero preso da accessi di ira. Così lui mise insieme a questo, il fatto della mia severa continenza sessuale, della quale gli avevo anche parlato.

Allora mi suggerì di interrogare qualche Guru, un maestro indiano, e chiedere a lui consiglio. Ma come conoscerne uno? Dove incontrarlo?

A Roma andai a trovare Maria Belfiore, una energica vecchietta francescana, dai poteri medianici e nel conversare le chiesi se conoscesse qualche Guru che facesse al caso mio. Ma lei non ne conosceva.

Sempre per la questione dei miei scatti di nervoso frequentavo una palestra Yoga dove andavo una volta alla settimana per la ginnastica distensiva e praticavo la respirazione in tre tempi. Così nell'albo della palestra misero l'avviso della conferenza di un Guru, venuto a Roma da Nuova Delhi per pochi giorni. Si chiamava: Saint Kirpal Singh, e andai ad ascoltarlo con molta attenzione. Era il 27 dicembre 1972.

In quel periodo la signora Elvira si trovava in Germania presso suo figlio, che ivi aveva trovato impiego e si era anche sposato. Io per telefono le chiesi e ottenni il consenso di partecipare a questo tipo di iniziazione di scuola indiana, veda-indù.

Appresi così una tecnica del pensiero, che mi ha giovato poi moltissimo negli anni che seguirono, fino ad oggi, e di questo insegnamento gli sarò sempre riconoscente. Voglio qui descriverlo brevemente.

Si basa sull'esercizio del "terzo occhio". Questo "terzo occhio" nel corpo umano esiste solo potenzialmente nella glandola ipofisi che trasmette il pensiero intuitivo. Attraverso la concentrazione della mente e con l'abbandono completo del corpo in una estasi profonda, si può compiere un "viaggio" nello spazio infinito con la propria intuizione.

All'inizio si deve concentrare lo sguardo, ad occhi chiusi, nella direzione centrale della fronte sopra alla radice del nostro naso, e poi attendere di raggiungere qualche risultato. Deve accadere che si inizia a viaggiare con la intuizione, lungo un filo invisibile. Si potrà raggiungere qualche tappa importante a seconda della propria evoluzione, per esempio qualche pianeta, ed è anche possibile incontrare la Luce di Dio. Tutto avviene sotto la protezione della nostra guida interiore.

Le prime volte in questo esercizio avremo poco risultato, perché la nostra glandola ipofisi fino allora è stata poco esercitata e male utilizzata. Ma in seguito la potremo rafforzare e si raggiungono dei risultati importanti.

Questa tecnica suggerisce di non farsi mai distrarre dai pensieri, e quando, in questo viaggio intuitivo, incontriamo un ostacolo, lo dobbiamo spezzare col pensiero, per oltrepassarlo. Dietro di esso si potrà scoprire il vero obiettivo raggiunto, oppure oltrepassare successivi ostacoli e diaframmi.

Nel caso mio le prime volte si presentava sempre la stessa immagine, ed io la sorpassavo, come lanciato ancora in avanti verso una grande fornace di fuoco bianchissimo ed io ho promesso di non raccontare mai quei particolari.

In seguito questi incontri nello spazio variarono ogni volta e fu per me così abituale, che quasi ogni sera raggiungevo i rappresentanti dei vari minerali (portatori di "simbolo") per comprenderne i loro significati, in una "prova" di superamento.

Il filo della intuizione è come un filo di seta che, partendo dalla nostra vista interiore, viene da noi pilotato verso la mèta stabilita (per esempio: nella preghiera) fino a raggiungere il destinatario.

E siamo noi stessi a dirigere questo filo di seta con la forza di volontà verso le figure alle quali ci rivolgiamo, e con l'aiuto della nostra guida evoluta. Il terminale di questo "filo", una volta raggiunto l'obiettivo, si illuminerà con una immagine alla quale ci troveremo collegati.

Questa mia fondamentale esperienza, che ho ricevuto per merito delle persone incontrate e che mi hanno aiutato ad arrivare, forse era prestabilita, ma vi ha influito molto la mia grande aspirazione a progredire e la volontà di riuscire.

 

Fra le varie cose che aveva detto Saint Kirpal Singh durante le sue conferenze ci fu un punto che mi lasciò perplesso.

Lui raccontò di un saggio indiano che andava camminando per una strada vicino al bosco, tutto assorto nella sua meditazione e non si era accorto di essersi inoltrato parecchio addentro nella foresta.

A distoglierlo dai suoi pensieri e a riportarlo nella realtà fu il rantolo di una tigre davanti a lui, che stava per assalirlo. Allora lui disse fra sé: "Questo animale ha fame, diamogli il cibo che cerca" e si lasciò mangiare, senza tentare nemmeno di mettersi in salvo.

A questo punto io pensai che non sarei stato capace di fare altrettanto, anzi lo giudicavo un racconto così assurdo che non riusciva a insegnarmi proprio nulla.

Passarono alcuni giorni e la storia della tigre affamata mi era più volte tornata alla mente, quando una mattina, per telefono il Vice Direttore della fabbrica di Terni dove lavoravo, mi convocò nel suo ufficio.

Probabilmente gli era andata male qualcosa, o qualche sua mossa non era piaciuta ai superiori; oppure andata di traverso, gli aveva procurato delle contrarietà. Entrando nella sua stanza trovai un uomo furente. Mi accusava di aver commesso degli errori che non avevano fondamento ed io iniziai a spiegargli che non era così.

Quando mi accorsi che non sentiva ragioni e che non accettava le mie spiegazioni, compresi di trovarmi di fronte alla tigre che voleva sfamarsi. Smisi di difendermi e non tentai nemmeno di mettermi in salvo. Mi lasciai mangiare. Gli rispondevo sì, quando era no, e tacevo per farlo sfogare, osservandolo nella sua alterazione. Mi ero immolato, come quel saggio indiano, e me ne trovai bene.

Compresi allora che il racconto di Kirpal Singh aveva qualche fondamento.

 

Il movimento religioso di David Lazzaretti da noi risvegliato dette modo a diversi professori universitari di assegnare tesi di laurea su questo argomento, sotto svariati aspetti: sociologia, storia del risorgimento, storia del cristianesimo, antropologia culturale, filosofia morale, scienze politiche, lettere classiche, ecc.

Nel periodo '57-'87 si presentarono a noi uno dopo l'altro studenti e studentesse universitarie in cerca di notizie, di libri, di spiegazioni, per comporre le loro tesi di laurea su David e noi li aiutavamo con nostra grande soddisfazione.

Per spiegare loro gli argomenti della opera giuris-davidica io mi documentavo e finivo con l'istruire soprattutto me stesso col rendere più marcati in me quegli argomenti.

Noi non volevamo mai esser pagati per questo lavoro ma al termine delle loro fatica chiedevamo loro in dono una copia della tesi, cosicché abbiamo nel nostro archivio una ventina di queste tesi, tutte conseguite col massimo dei voti: 110 su 110 nelle varie Università: Firenze, Roma, ma anche da Catania, Genova, Torino, Padova.

Un giorno uno studente di nome Giuliano mi domandò: "Ma tu come fai a credere a queste cose?" Ed io, mettendo la mia mano su petto gli risposi: "Lo sento! C'è qualcosa qui dentro che mi dice che è verità. Non posso pensare diversamente".

Si tratta di risvegliarsi e imparare a nuotare da soli. Il progresso nello scoprire la "verità" ce lo dobbiamo conquistare con le nostre forze e maturarlo nelle nostre convinzioni, perché niente ci può essere donato dal Cielo, in modo palese a chiare note.

 

Nel '73 fui mandato per diversi mesi dalla mia ditta di Terni, nello stabilimento di Vercelli, per disporre la demolizione e la vendita di impianti di produzione tecnicamente superati. Vercelli è la patria del riso e delle zanzare. Una mattina percorrendo a piedi il corso principale cittadino mi soffermai davanti a un portone aperto, che dava su un cortile pieno di biciclette. Un banale palazzo, un banale cortile.

Ma quel portone di legno no, non era banale. Era costruito in una sola anta, verniciato di verde sporco, ma per quanto trasandato e trascurato era artisticamente molto bello: un pezzo da antiquariato. Ne ho sentito subito un fascino particolare e tutta la sua bellezza.

Nessuno passando, forse preso dalla abitudine, gli dava quella importanza che gli davo io? Nessuno ne capiva la bellezza? Mi soffermai a lungo a guardarlo e sono anche entrato nel cortile. Avrei voluto comprarmelo e portarmelo via, nella casa del Monte Labro.

Quando poi fui a Roma la signora Elvira mi spiegò che Vercelli ha il significato simbolico del "varco dei cieli" ed io ne avevo individuati il passaggio, sentendone l'armonia e superando la "prova" intuitiva.

 

L'anno dopo fui mandato allo stabilimento di Napoli (Casoria) e nelle serate libere frequentavo un circolo spirituale dove ebbi modo di parlare della nostra Opera religiosa a diverse persone riunite per interrogarmi. Anche lì superai la "prova" in un dibattito con un prete, dimostrandogli che la "Legge divina" consegnata all'uomo non aveva ancora trionfato e che solo la Grande Madre Scienza, nella parte femminile, poteva venire a trarci in salvo, attraverso la "Scienza Creativa".

Nell'Eterno Iddio androgino operano simultaneamente i due aspetti, quello legislativo che è maschile e quindi cerebrale e sociale, e quello creativo che è femminile e quindi è scientifico e materno.

L'Armonia del Cielo è scesa sulla Terra per rimuovere quelle forze umane rimaste involute, operando con la parte: Legge divina separata dalla parte: Scienza divina.

La Legge divina appartiene al "Padre", cioè alla parte maschile, mentre la Scienza Creativa appartiene alla "Madre" nella parte femminile. Il Diritto Umano delle forze rimaste involute, non poteva reggersi dinnanzi a Dio. Il Diritto Umano avrebbe aumentato il caos, e determinata la distruzione totale dell'umana terrena famiglia (per esempio: la guerra atomica).

Mentre fino ad ora è stato il diritto umano a dominare e a sovrastare il Diritto Divino, che ci veniva in aiuto, adesso è compito della parte sociale: Stato, di assorbire in sé la Legge del Diritto Divino, (nella forma Giuris-davidica) sopra il Diritto Umano, per far sì che la Scienza Creativa debba uscire dalla parte legislativa e non dalla parte chiesa.

David Lazzaretti nei suoi "29 Editti" profetizza la nuova e santa riforma su tutti i costumi degli uomini, necessaria per correggere gli errori di impostazione di "stato" e "chiesa" e gli abusi della chiesa cattolica, per utile proprio e mondano. Primo fra tutti la sua pretesa di voler restare autonoma e indipendente dallo stato sociale. Pretesa sbagliata e ancora perpetrata.

È scritto nel Vangelo che un suddito non può servire due padroni, e David, nell'organizzare la sua "Società delle Famiglie cristiane" fa conoscere come il sacerdozio, nel volere di Iddio, deve vivere povero con fede ed umiltà, ed essere inserito e sottomesso nello "Stato" di un unico governo.

La "donna" come "sposa" e come "madre" avendo sostenuto e sopportato con pazienza e affabilità le pretese e le richieste dei rispettivi uomini, come "sposi" e come "figli" è stata superiore alla qualità esigente e intollerante maschile, da risultare "vittoriosa".

A Napoli andai col mio amico spirituale Mario Pugliese a visitare Pozzuoli e arrivammo fino alla grotta della Sibilla Cumana. Entrammo come turisti. Là dentro attraversammo lo Stige, un piccolo rigagnolo d'acqua, accompagnati da un vecchio custode, che io ho definito Caronte, il traghettatore dell'oltretomba. E mai avrei pensato che spiritualmente tutto fosse nel vero, riferito alle leggende della mitologia, da Orfeo a Ulisse, a Dante e a coloro che varcarono le porte del Tartaro.

Oggi, dopo che mi sono impratichito in questi viaggi intuitivi, posso confermare che: sia il portale di Vercelli, sia lo Stige della grotta della Sibilla Cumana, sono accessi di transito obbligato per questo genere di viaggi intuitivi, verso il Sole Cosmico e il Sole del Diamante Nero.

Quante leggende, quanti miti della cultura ellenica e della simbologia ermetica egiziana si sono per me verificati veri, sicuramente avvenuti in epoche remote sui piani spirituali, a cominciare dalla lotta di Urano contro i suoi figli Titani, le Erinni, i Giganti e Nettuno (Posidone) l'impetuoso dio marino della tempesta e della cattiveria, fino alla Iside: la dea dei minerali, o luna nera, con le due corna dalle estremità appuntite, a rappresentare il 1° e 3° quarto delle fasi lunari.

 

Nel '75 nella fabbrica dove lavoravo a Terni; mi offersero il pensionamento anticipato e una buonauscita. Avevo 58 anni ed erano già maturati i miei diritti di pensione della Previdenza sociale. Accettai. Ero libero e potevo avere disponibilità economiche.

Così feci molti lavori alla casa del Monte Labro: e per primo lo scavo dei due pozzi artesiani per l'acqua (infatti pur trovandoci a mille metri di quota col rabdomante trovammo due vene di un'acqua finissima, a 20 m di profondità). Acquistammo due pompe a vento, un serbatoio in vetroresina per il deposito interrato, che impiantammo sulle pendici del monte, in luogo più elevato della nostra casa, le condutture esterne e quelle dentro la casa. Poi la recinzione a rete metallica, la dinamo a vento e gli accumulatori per la luce, compreso l’impianto elettrico sottotraccia, riuscendo a renderla civilmente abitabile.

Un poco alla volta negli anni successivi completammo con i termosifoni riscaldati a legna per mezzo di un grosso caminetto a giacca d'acqua, poi il telefono ed infine ottenemmo di allacciarci alla rete pubblica dell'Enel.

Vi portammo i mobili (vecchi mobili raccolti qua e là, a Roma e a Livorno). E poiché la casa aveva i muri di tufo che trasudavano umidità, li proteggemmo esternamente con pannelli catramati e vernici plastiche.

Feci piantare una trentina di abeti intorno casa, ed arare il terreno dei campi ove abbiamo seminato il grano come primo raccolto. Per l'anno successivo raccogliemmo il fieno che davo al pastore, nostro confinante, in cambio di poco formaggio. Presi residenza in paese ('78) e mi sono iscritto come Coltivatore diretto ('80).

Alle spese contribuivamo insieme, io e la signora Elvira: era la nostra Sede Giuris-davidica e pensavamo che si sarebbe popolata di seguaci. Ma non fu così.

Stabilimmo di comune accordo che ogni pietra, ogni zolla, ogni oggetto ivi portato erano indivisibili, destinati in futuro alla Chiesa Universale Giuris-davidica, per la quale avevamo lottato, sudato, risparmiato, conquistato insieme.

 

La casa del Monte Labro si trova lungo la strada interpoderale a circa cento metri di dislivello sotto la Torre Davidica.

Nelle giornate di schiarita si può vedere il mare, distante circa 80 chilometri, il Monte Argentario e le isole del Giglio e di Montecristo.

Molti sono stati i visitatori che ci sono venuti a trovare in tutti questi anni: si recano a vedere i luoghi della Torre di David, la grotta, il Santuario, con i loro parenti e figlioli ed al ritorno completano la loro gita fermandosi da noi, per fare delle domande e prendersi i nostri libri in regalo.

Quando si trattava di rispondere alle loro curiosità le domande piovevano una dietro l'altra, ma più che fare domande approfondite si soffermavano su pettegolezzi umani. E quando toccavamo argomenti anche facili, ma nuovi, inconsueti, (reincarnazione, confessione auricolare annullata da David, le donne che celebrano all'Altare, ecc.) subito si alzava dal gruppetto la voce di qualcuno che si opponeva e non voleva saperne.

Però tra di loro c'era anche quello che taceva e ascoltava con molta attenzione, specie fra i giovani. E per loro meritava sì (anche per uno solo di essi) raccontare sempre le stesse cose, e rispondere alle stesse domande, con molta pazienza e saggezza.

Così abbiamo avuto, sia la visita di eminenti studiosi, venuti da fuori provincia, che già conoscevano l'opera di David e avevano per lui una venerazione decisamente elevata, anzi erano fieri che noi sostenitori portassimo avanti il "risveglio" giuris-davidico, come abbiamo sempre fatto.

Ma anche abbiamo avuto la visita di persone digiune di tutto, che venivano a fare due chiacchiere con noi, senza risultati appariscenti. A tutti davamo ascolto e per tutti eravamo sempre disponibili.

Qualcuno di loro sosteneva che già esisteva la chiesa cattolica, e che tutto andava già bene così: non occorreva fare riforme per fondare nuove chiese, tanto che noi giuris-davidici, un giorno, rientreremo tutti – secondo loro – nel branco dei cattolici.

Per lo più volevano sapere i fatti della vita di Lazzaretti senza faticare a leggere, tutto scodellato, anziché mettersi in cammino da soli, come abbiamo fatto noi, per conquistarci la vetta della verità. E così finivano col rimanere nei loro convincimenti, perché mancava loro la sete di conoscere, il pungolo della ricerca, il ragionamento, e non era ammissibile per loro fare un passo avanti.

Venivano studenti di liceo e universitari per completare i loro lavori assegnategli a scuola. Interrogavano, ascoltavano, prendevano appunti, ma nella loro stesura poi si soffermavano solo sulle questioni sociali, evitando con cura di entrare nella questione religiosa, perché terreno pericoloso e scomodo nei confronti dei loro professori.

Molti sono finalizzati a materializzare lo scopo della vita e tendono a demolire ogni argomento che non sia su questa linea, negando che esista ciò che riguarda lo spirituale ed il soprannaturale.

Quando io parlavo di tali argomenti non volevano saperne. Questi discorsi insoliti per loro erano troppo difficili e li respingevano. Era proprio come per la musica "colta" a orecchie non abituate, che per poterla apprezzare occorreva avere un ascolto esercitato. Per loro diveniva un linguaggio incomprensibile, quasi insopportabile.

Spauriti come i pulcini lontani dalla chioccia, mi chiudevano la conversazione per farmi cambiare discorso.

Dal Libro dei Celesti Fiori vi trascrivo cosa ne pensava David: "Gli increduli non solo sono capaci di commettere ogni specie di empietà, ma ancora di negare la verità della fede e della esistenza di Dio. Essi credono solo a ciò che possono vedere e toccare. Gli amatori del mondo, i viziati, i maligni, i maliziosi, come potranno comprendere il mio linguaggio, o Signore? Quando io parlo di Voi, essi sono come una pietra gettata in mezzo al lago. Va subito a fondo!"

 

Nel '76 è uscito un disco fonografico dal titolo: "Vita, profezie e morte di David Lazzaretti, detto il nuovo messia". Una riuscita composizione che rievoca la storia di David Lazzaretti, recitata e cantata da Leoncarlo Settimelli, Laura Falavolti e dalla loro compagnia teatrale del "Canzoniere Internazionale". (Libro-disco Fonit/Cetra - Serie Folk 44, Ipp 300, Roma-Torino, 1976).

 

 

 

 

 

 

 

 

“Sono colei che sono nella Trinità Divina”.

 

 

La Vergine della Rivelazione, alle Tre Fontane di Roma (1947)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leone GRAZIANI, all’età di 56 anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ELVIRA GIRO, NEL 1968

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ELVIRA GIRO, nel 1964 sul Monte Labro

(nello sfondo, la Torre Davidica)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DAVID LAZZARETTI, il Cristo in seconda venuta.

(1834 – 1878)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DAVID LAZZARETTI e la gloriosa Pastorella

 

 

 

 


 

 

 

 

 


 

Il battesimo del fuoco dei giuris-davidici

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bozzetti del Cristo Re.

(Visioni del 1971 e 1976, ricevute da Leone G.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bozzetto: La Grande Madre con il Nuovo Verbo.

(Visione del 1987, ricevuta da Leone G.)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra le musiche popolari di questo ottimo lavoro vengono inseriti anche i canti originali dei giuris-davidici, quelli che si cantavano durante la storica processione del 1878, condotta da David Lazzaretti, e pervenuti fino a noi per tradizione popolare fra i seguaci del Monte Amiata.

Un disco di successo che ha raccolto tutto il nostro entusiasmo e approvazione.

Lo stesso Settimelli fu anche promotore di una mostra rievocativa di cimeli, disegni, libri, oggetti, che riguardano David, allestita nei locali del Municipio de Arcidosso, in occasione del "Centenario" per l'uccisione del Lazzaretti.

In tale occasione ci fu una ondata di interesse per David da parte di numerosi giornali e settimanali, che se ne occuparono per ricordare: storia, episodi, argomenti che lo riguardano. Avevo preparato per tempo un cartoncino di segnalazione e lo avevo diffuso abbondantemente alle agenzie di stampa e ai quotidiani.

Lo stesso Settimelli riuscì inoltre ad organizzare una processione di paesani a carattere laico, che partendo dalla Torre di Monte Labro si è portata per 8 km di strada fino davanti al Municipio del paese, dove per l'occasione venne scoperta una lapide, in riparazione per l'ostracismo Lazzaretti contro che fu respinto dalla Giunta comunale nel 1878. Io ho partecipato soddisfatto ed ho collaborato in tutte queste iniziative.

 

Nell'ottobre '77 ero libero pensionato e mi sentivo attivo e capace, così mi cercai un lavoro. Su un giornale trovai che cercavano per un albergo a Grottaferrata un amministratore che si occupasse del personale, dispensa viveri, manutenzione e servizi. Mi presentai e fui assunto. Pagavano poco, ma potevo mangiare e dormire, compreso nella paga.

Un giorno nello stesso albergo si era liberato il posto della stireria, dove occorreva una sarta. Proposi il nome di Elvira che fu assunta al lavoro: mangiare e dormire compreso. Così sul lavoro ci incontravamo spesso.

Non sapevo però che nel sottosuolo di Grottaferrata vi era la sede spirituale di una delle "centrali" del minerale Plutonio: e questo lo scoprimmo dopo. Eravamo sul posto giusto e avevamo agito come pedine del Cielo, senza saperlo.

A Grottaferrata si svolse in quei giorni una delle prime nostre grosse battaglie spirituali, perché nella Abbazia di San Nilo, nella parte sottosuolo, confinante col nostro albergo Tiberio, vi era proprio questa "centrale" del plutonio: una delle dieci "teste" del pianeta Plutone l'orribile serpente visto da David (vedi pag. 56).

La signora Elvira vivendo nell'albergo si era sdoppiata e, spiritualmente, si era introdotta in questa "centrale"; poi, con i suoi aiutanti spirituali (bianchi) aveva devastato le vetrine di quella "centrale" (nera) dove erano conservati i loro simboli e aveva loro tolto i poteri, contenuti in special modo in una "perla nera". Questo mi raccontò una sera mentre io vedevo in visione gli effetti di questa sua impresa, per esserne poi testimone: vedevo la sede del "drago" Plutone devastata, e l'arresto di tutti i suoi aiutanti neri, che rientravano man mano in sede, e che Elvira chiamava "dragoncini". Erano a migliaia e venivano catturati da una rete di seta nella quale rimanevano impigliati.

Ma anche il proprietario dell'Albergo, non era estraneo a questa situazione, ed era un alleato del "drago" plutonio.

Un giorno la signora Elvira aveva preparato una valigia piena di biancheria stirata, destinata al proprietario, e venne suggerita di mettervi dentro il suo 7° libretto, da poco pubblicato: "La Meccanica Celeste". La valigia chiusa fu ritirata, come di abitudine, dall'autista che gliela portò fino a casa. Così con questa abile trovata spirituale, attraverso il libretto, si è introdotta in casa di questo proprietario, svolgendo il proprio compito spirituale.

L'avergli regalato quel libro, anche di nascosto, non era motivo di licenziamento, ma fummo licenziati tutti e due.

Così opera il mondo spirituale per superare le forze negative. I nostri corpi umani nella carne dovevano superare le forze "invisibili" dei minerali che ci contrastavano e vincerle con la "intuizione" e con il buon comportamento.

 

Nel maggio '79 la Regione toscana, controllata dal partito comunista, ha organizzato un "convegno" dedicato a "David Lazzaretti e il Monte Amiata" dal titolo: "Protesta sociale e rinnovamento religioso", svoltosi a Siena ed a Arcidosso.

Erano invitati a prendervi parte una ventina di professori universitari. Attraverso di loro venne aperto un dibattito sui vari argomenti relativi al Monte Amiata con un tema assegnato. I loro interventi furono poi pubblicati negli Atti del Convegno in un libro della: Nuova Guaraldi Editrice, Firenze, 1981.

A questo convegno noi non venimmo invitati, perché gli organizzatori non volevano dare carattere religioso al loro incontro laico, ma a Siena ed a Arcidosso eravamo presenti fra il pubblico, io e la signora Elvira, e riuscimmo anche a ottenere di prendervi la parola. Io parlai su due questioni: - chiarire che Lazzaretti non era un ribelle sociale, ma un profeta, uno strumento nelle mani di Dio. - chiarire la posizione della Vergine, tenuta dai giuris-davidici nella più alta considerazione.

Questo mio intervento figura pubblicato nel suddetto libro: Atti del Convegno.

 

Nell'aprile '81 Elvira Giro pubblicava il suo 9° libretto spiegando la Divina Commedia nei suoi significati più elevati, secondo la dimensione giuris-davidica.

Io l'aiutavo a battere a macchina il testo e a correggere le bozze di stampa, ma intanto apprezzavo quelle terzine rimanendo sorpreso della facilità di Elvira nell'afferrarne i significati più nascosti. L'aspetto nuovo di questa pubblicazione è stato quello di presentare Dante Alighieri come "profeta", pioniere della resurrezione umana.

Nel leggere quelle cantiche Elvira aveva fatto una scoperta molto importante, anzi sorprendente. David Lazzaretti era lo stesso Dante Alighieri, reincarnatesi nel 1834.

Nello interpretare quanto lo stesso poeta profetizzava sotto le righe, essa per la sua capace e forte intuizione, aveva tolto i veli su questa importante verità, tanto che lei stessa ne ha pianto dalla commozione per tre giorni, durante i quali si presentavano a lei numerosi scienziati spirituali e personaggi celesti, per ringraziarla e supplicarla di pubblicare questo suo lavoro.

Occorreva far conoscere la notizia e divulgarla a beneficio del progresso spirituale umano. L'opera dantesca era abbinata alla "incisione cristica", sia con Gesù sia con David Lazzaretti. Una "rivelazione" questa che ha determinato un passo in avanti, una nuova conquista umana.

Il "profeta" Dante aveva annunziato "un celeste liberatore" che doveva venire per riprendere le sorti della intera umanità, caduta "nel mezzo del cammin di nostra (umana) vita" nella "selva oscura" dei difetti umani, e in questa orrida e fitta selva, "che non lasciò giammai persona viva", l'umanità si è imbattuta nei peccati mortali della lussuria, superbia e cupidigia simboleggiati nelle tre bestie. È così è caduta laggiù, nel vizio dove "il sole tace" e che "poco più è morte" e se vuol salvarsi deve cibarsi di "sapienza", "virtude" e "amore". Perché "Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguire virtù e conoscenza".

Questo "inviato celeste" è simboleggiato in quel "veltro" e in quel "DVX" (515) "cinquecento e dieci e cinque" "Messo di Dio, che anciderà la fuja".

Amo molto la poesia dantesca fin dal tempo del liceo, dove ho avuto un caro professore che ce la ha spiegata e fatta apprezzare.

Dante non fu soltanto "sommo poeta", bensì un "grande profeta", superiore a San Giovanni Evangelista, che ha scritto il libro dell'Apocalisse, perché il poema di Dante è più completo e dal sapere più vasto.

Per poterlo capire "nella dottrina che si asconde, sotto il velame delli versi strani" occorre esser puri ("la veste di lino") e intelligenti ("luci chiare e acute") tanto da "volar senz'ali", cioè evoluti nell'animo, (che è quella perfezione che noi tutti dobbiamo raggiungere per elevarsi in alto: "verso l'ultima salute").

Dante è stato uno dei personaggi più intelligenti della specie umana. Competente in tutti i campi dello scibile; è una intelligenza completa, ineguagliabile, acuta, "sopra agli altri come aquila vola".

Il motivo del suo parlar per simboli e in modo poco accessibile è dovuto alla necessità di dire e non dire: un filtro, aperto solo agli evoluti.

Come strumento spirituale si è reso degno di questo "così alto volo" e ha dovuto conquistarselo "animato di speranza" superando un continuo banco di prove: sia "animiche" sia "cerebrali", indispensabili a ognuno per risorgere: "verso l'ultima salute".

Aveva realmente conquistato i "Sette P" dei poteri dello spirito, lungo il cammino del Paradiso, ed era divenuto degno di reincarnarsi in un personaggio maggiormente eccelso.

L'Apocalisse n. 5 racconta che "non si trovava né in Cielo, né in Terra, né sotto la Terra, un uomo degno di aprire il libro sigillato con sette suggelli e di guardarvi dentro". E quando fu trovato egli: "col suo sangue ha potuto riscattare persone di ogni tribù e lingua e popolo e nazione", meritandosi "la benedizione, l'onore e la gloria per i secoli dei secoli".

È stato proprio Dante, con la sua anima evoluta, quel personaggio umano più qualificato da poter impersonare quel compito, nel Cristo Giudice della umanità, in David Lazzaretti, ed ottenere quei poteri ("sette occhi e sette corna") per aprire il Libro della evoluzione umana, sigillato da 7 sigilli, e poter cantare così il nuovo "cantico", che è la rivelazione delle "verità creative".

Quale vetta di intelligenza umana, colto e preparato, poteva essere scelto fra gli uomini e congiungersi nel divino, a impersonare il Cristo Padre in seconda venuta sulla Terra? se non il nostro sommo Dante? (reincarnatosi sul Monte Amiata nel 1834.)

Solo la Grande Madre, la Regina del Cielo, nascosta e velata col nome di Beatrice, gli era superiore e lo aveva custodito e addestrato per portarlo in seguito a divenire il prototipo della resurrezione umana, il più grande pioniere fra i nati di donna, che portava l'umanità al progresso e al coronamento finale, cioè: "al solo Ovile, per l'unico Pastore".

Ed è Beatrice che annunzia a Dante questa grande "profezia".

Se leggiamo il passo del "celeste liberatore" del "515" (Pg 33,43) troviamo che Beatrice e Dante profetizzano con esattezza, l'anno di nascita di David Lazzaretti. Quei versi furono scritti nel 1319 , più i 515 anni, viene il 1834, che è l'anno della nascita di Lazzaretti.

Il numero 515 in lettere romane: DVX, conferma quel duce condottiero divino, venuto in soccorso della umanità smarrita, nella selva oscura.

Quando l'umanità avrà compreso la verità della "reincarnazione" diverrà più buona, perché dirà: se io in questa vita mi comporto bene, nella prossima vita sarò migliore e più evoluta.

La "reincarnazione" è la chiave per la umanità che vuole essere promossa.

 

La controversia con il gruppetto di seguaci giuris-davidici di Arcidosso si è verificata improvvisa senza alcun incontro di chiarimento, anzi fu una loro mossa che ci ha colpito alle spalle, poco ammissibile per dei religiosi che vanno affermando la concordia cristiana. Certamente hanno influito correnti politiche esterne che niente hanno a che fare con la religione.

Un certo giorno dell'autunno '79 si sono riuniti intorno al loro capo e hanno deliberato che Leone ed Elvira non facevano più parte della loro comunità. Senza comunicare a noi due, né la loro decisione, né il motivo di questa espulsione, hanno redatto un documento, comprovando la loro delibera, senza motivarla e poi, attraverso la Prefettura di Grosseto, l'hanno inoltrata al Ministero degli Interni. A pratica compiuta ('82) e senza che noi lo sapessimo, quel Ministero ha segnalato a me (l'interessato) la "revoca" del Decreto ministeriale.

Praticamente ero stato "scomunicato" sia dalla chiesa di Arcidosso, sia dallo Stato italiano, ma non dalla Opera della Madre Scienza, che è rimasta riconosciuta dallo Stato, per la quale mi sono sempre battuto onestamente, fin dal 1954 in obbedienza al Sommo Iddio e alla Grande Madre.

Il motivo lo potevamo comprendere, eravamo stati esclusi dai "davidiani" della montagna per aver violato le loro convinzioni, però mancando ogni loro motivazione, lasciavano credito al peggio, come ad un nostro mal comportamento sociale, per colpe che non esistono.

Preso alla sprovvista volevo chiarire con atti legali che si trattava di scissione di due correnti religiose, una "conservatrice" (di Arcidosso), guidata da Turpino Chiappini, ed una "progressista" (di Roma) guidata da Elvira Giro. Volevo ricorrere al TAR (Trib. Amm. Regionale), volevo invalidare quella assemblea che ci aveva espulsi , ma le nostre "guide" del cielo suggerirono di lasciar correre. Io ho obbedito e me ne sono trovato bene. Li abbiamo ignorati del tutto e rigirarsi fra loro come volevano, perché in seguito, quando più accesa infierì la persecuzione clericale e politica, io mi sono trovato defilato dal tiro degli avversari.

Per capire in profondità il motivo di questa scissione occorre richiamarci a quanto la Vergine SS.ma spiegò alla signora Elvira nella sua apparizione al Monte Labro, la notte 14-15 agosto '53.

Essa le disse: "Non tener conto di questi conservatori. Io sarò in te e con te e svolgerò la mia nella tua Missione sulla Terra, poiché loro non sono in grado di capire la "Nuova Scienza".

Esaminiamo brevemente nei particolari questo mutare del loro atteggiamento. Fin dai primi anni l'arrivo di noi romani alla Torre di Monte Labro aveva incontrato in quelle famiglie di agricoltori, seguaci di Lazzaretti, una grande accoglienza. Si riaccendevano in loro le speranze assopite, perché finalmente erano venuti da fuori a soffiare sul fuoco giuris-davidico, che sonnecchiava da molto sotto la cenere, fino al tempo prestabilito, e a confermare l'opera di David!

Un’opera così intensamente vissuta da tante famiglie, sofferta e sostenuta tenacemente contro tanta incredulità paesana non poteva finire. La fede, tenuta salda con saggezza e sacrificio dai loro padri e progenitori, in un comportamento esemplare non era stata vana.

La nostra presenza li rincuorava, anche di fronte a coloro che li avevano a lungo commiserati. Noi eravamo gli attesi, come fioritura dell'Opera di David, rimasta spezzata dopo la sua uccisione.

Essi sentivano poi la nostra sincerità: Elvira e Leone erano accolti nelle loro case, chiedevano di pregare insieme con noi come nostra benedizione. La nostra presenza li incoraggiava, e allora ci difendevano apertamente.

 

C'era poi una minoranza di dubbiosi tra i "davidiani", guidati da Nazareno Bargagli, che diffidavano di noi, sospettavano delle nostre intenzioni, pensando a un nostro raggiro, specie quando iniziammo a distribuire la pasta alimentare di assistenza ai bisognosi, consegnataci dal "Church World Service".

Comunque il grande merito di tutti loro davanti a Dio è stato di aver conservata salda la fede per David, e l'archivio dei documenti con le testimonianze, tenendo acceso il fuoco giuris-davidico, per cinque generazioni. Un compito carico di avversità, da sostenere tra derisioni e persecuzioni. Una fatica encomiabile dovuta alla loro grande fede e speranza, anche senza capire tutto, perché David aveva detto di essere: "un mistero" incomprensibile, che gli uomini non potranno comprendere, se non coi lumi della fede, che procede per grazia di Dio.

 

Poi accadde che si infiltrarono tra loro, due estranei, come fossero simpatizzanti, ma fomentarono ombre di dubbio sul nostro conto e scrissero lettere ai più forti per dissuaderli. Ognuno su posizione diversa. Erano un prete gesuita ('57) e un professore ateo comunista ('62). Ci accusavano di deteriorare la sincerità genuina dell'Opera popolare di David, perché noi introducevamo innovazioni e ci definivano ridicoli ed anche esaltati.

Essi volevano far conservare fedelmente quello che aveva detto David, lo difendevano senza capirlo nella sostanza, però lo chiamavano "il Santo David" e mai che avessero parlato di Cristo in seconda venuta, e della sua Legge del Diritto Divino da lui emanata. Mai che fossero saliti alla Torre Davidica o che avessero pregato umilmente. Facevano attenzione alle frasi che noi dicevamo, per trovarvi degli errori da contestarci. Alcuni punti venivano presi a bersaglio, che li allarmavano più del giusto: non volevano le donne a celebrare all'altare, non volevano il "nuovo rito" scritto da Elvira, negavano la reincarnazione, l'esistenza degli extraterrestri e dei loro "dischi volanti", la medianità, tutte cose per loro astruse e preoccupanti, perché David non le aveva dette.

Ci chiamavano "i culturali" che si prendevano burla di loro, oppure dicevano che eravamo degli impostori in mala fede venuti per deformare, e per rovinare l'Opera. Dava loro fastidio di non essere consultati, ma noi non potevamo abitare sul luogo per spiegare loro cosa significava la nostra Missione di progresso.

Cercarono di isolare Leone da Elvira, ma quando Leone si firmò in una lettera: umile servo della gloriosa Pastorella, lo deridevano alle sue spalle e in faccia.

Con il tempo i vecchi, nostri sostenitori, ad uno ad uno morirono e la minoranza che ci ostacolava divenne maggioranza. Avversarono la nostra Opera di progresso, i nostri libri, quasi fossimo più pericolosi dell'ateismo dilagante e della indifferenza religiosa.

Tacciavano le nostre idee come deviazioni. La concordia iniziale, si disperse fra le chiacchiere e le critiche, anche fuori della loro cerchia.

Prese forza la corrente comunista che voleva David un "Santo proletario" da utilizzare per fini elettorali propagandistici, e che intendeva "riappropriarsi della memoria storica, da parte delle classi subalterne", per difendere "l'originale purezza del loro pensiero e difenderlo dagli innumerevoli impulsi esterni e stravaganti interpretazioni, che lo collocano in una ottica distorta". Distinguevano tra la "religione", avvertita come "elemento sovrannaturale delle classi egemoni" e la "fede". (Da una loro lettera pubblicata su i giornali).

La politica si era introdotta anche qui tra le file dei religiosi, per sostenere lotte di parte e di interessi materiali, schierandosi praticamente contro la fratellanza cristiana nell'amore verso il prossimo. Si appropriava del profeta barrocciaio raccogliendo da lui ciò che faceva più comodo, senza abbracciarne il messaggio cristiano.

David per loro era un lavoratore di famiglia povera, che aveva dato luogo ad una protesta sociale, precursore di ribellione popolare e anche di rivolta contadina nelle campagne, "un momento di rottura sovrastrutturale, nel solco e nella cultura della classe subalterna".

Avevano rovesciato il significato della sua predicazione, fondata sul perdono cristiano e sull'amore fraterno, perché David cercava, nel risveglio morale, sociale, civile, religioso, la concordia dei popoli e non la "divisione" e la "discordia" di classe.

Noi non volevamo deformare proprio niente, ma sostenere l'opera sua incisiva, e proseguirla nella evoluzione. Eravamo solo degli strumenti, degli operatori, per "incidere" nel volere del Cielo, ed abbiamo compiuto il nostro dovere senza secondi fini e senza inganni, puntando sul progresso spirituale, e con molto amore e solidarietà.

Era solo questione di incomprensione. La loro lotta contro di noi resterà sterile, perché l'Opera del Cielo non si può demolire.

 

Il 14 gennaio 1870 David compie una simbolica cena nel podere del Vichi, sotto al monte Labro.

Invita 33 persone, scelte fra i suoi seguaci, e chiede ai presenti un "patto" di fratellanza e anche di penitenza per purificarsi.

Gli invitati furono scelti fra quattro categorie sociali differenti: 1) contadini e mezzadri; 2) possidenti; 3) artisti e artigiani; 4) braccianti, e tutti accettano quel patto con grande fiducia e speranza.

Per l'occasione David veste la camicia rossa garibaldina, con il segno  ricamato sul petto. Benedice i presenti ed il cibo che si trova già preparato sulla tavola: un agnello arrostito, del pane e del vino.

Una volta seduti lo distribuisce egli stesso agli invitati e poi fa conservare le quattro zampe ("tibie") dell'agnello a quattro di loro, presi come rappresentanti delle quattro categorie sociali, a ricordo di quel "patto di unione". Quindi pronuncia un discorso, che si trova pubblicato nel suo libro "Il risveglio dei Popoli".

"Una cena questa – egli dice – che racchiude il più grande "mistero" di unione. Essa rappresenta "le nozze del popolo dei fedeli con il divino agnello".

Poi enuncia le basi del nuovo "istituto degli eremiti penitenti", detto anche la associazione della fede nella fratellanza dei popoli, da impostare socialmente sulle "regole" del terz'ordine di San Francesco di Assisi.

Quell'Agnello imbandito sulla tavola, in quella "misteriosa cena" è simbolo mansueto di David stesso, ed è in riferimento alla ultima cena di N. S. Gesù Cristo, quando Egli disse: "Mangiate di me".

Le quattro "tibie" indicano invece il cammino nella unione sociale delle quattro categorie unite e concordi fra loro, cioè: l'armonia fra le classi sociali.

"Agnello", "pane", e "vino" sono tre simboli di unione cristiana. La "misteriosa cena" avviene per volere della "Infinita Sapienza", dalla quale dipendono le cose di questo mondo e tutto l'andamento della gloria celeste.

"Ritornando alle vostre famiglie – egli disse quella sera – portate in esse pace e salute. Siate loro di esempio colla vostra buona condotta, ma non solo per loro, ma per tutti coloro che cercheranno di sapere le cose mie. Amate chi vi disprezza e perdonate a quelli che vi fanno del male. Chiamatevi fortunati e felici se sarete disprezzati da coloro che non apprezzano le verità. Siate contenti e tranquilli, se pure vi trovate in miseria e in tribolazione. Sprezzate gli allettamenti del mondo e le comodità della vita e fate conto della santità dell'anima.

Apprezzate il lavoro, e sia lungi da voi l'ozio e la pigrizia. Offrite, alla fine di ogni giorno, le vostre fatiche a Dio. Esso vi benedirà in seno alle vostre famiglie, dall'alto dei Cieli".

 

Potrebbe sembrare, in questi tempi di tenebre e di confusione, che le nostre convinzioni, siano sempre più isolate e sempre più irraggiungibili, ma qui sta il miracolo della fede e della speranza, perché noi crediamo a David e alle promesse del nostro Padre Iddio: Uno e Trino, in attesa della maturità dei tempi. Ne siamo certi.

Ed è motivo di nostra fierezza di continuatori, davanti a Lui, ma non è frode, né raggiro, come essi vogliono sostenere dando ascolto ai politici, perché si tratta di conflitto sociale, per incomprensione.

David appartiene a tutti, come del resto appartiene a tutti Gesù Cristo, perché David e Gesù hanno operato per aiutare l'umanità a maturarsi verso la fratellanza dei popoli, nel perdono, nella comprensione e nella armonia.

Appropriarsi dei loro libri, spiegarli, interpretarli, assimilarli è come innalzarli, per averne raccolto il "messaggio". Le questioni di interpretazione non devono essere causa di controversie, e nemmeno di divisioni. Appropriarsi dei loro emblemi, dei loro "battesimi", immedesimarsi nel loro progresso evolutivo è come amarli di più, senza intenzioni di rivalità, né di concorrenza sleale.

Considerare noi degli estranei, dei borghesi, è un atteggiamento poco cristiano, che i medici chiamano "rigetto" del nuovo.

Essi non tengono conto che noi operiamo in proseguimento, e ci siamo allacciati all'opera di don Filippo Imperiuzzi, nominato da David il "Successor del Triade". Il voltargli le spalle è come rinnegare ciò che ha deciso David, e se don Filippo ha dovuto portarsi a vivere "a Roma" c'era una ragione, la stessa che ha portato San Pietro "a Roma"!

Accusare una creatura innocente, umile, semplice e retta, Elvira Giro, non è secondo gli insegnamenti di David. Forte, energica, audace, battezzata col fuoco da un loro stesso sacerdote, la signora Elvira ha compiuto per 40 anni una grandiosa Opera spirituale. Obbediente nella sua divina missione, senza far torto né sopruso a nessuno, con immensi suoi sacrifici personali (fisici ed economici), senza secondi fini, spostandosi continuamente da Roma al Monte Labro, non può, non deve riscuotere motivi di biasimo da chi non capisce; e nemmeno devono dire che ha compiuto una impostura, che mira a destabilizzare David, come essi, senza capire, sostengono.

Essa è riuscita a risvegliare e innalzare l'Opera di David fino a farla riconoscere dallo Stato (nel '60) con un decreto ministeriale, in grande obbedienza alle Potenze del Centro Divino, che sono le stesse Potenze che hanno guidato Gesù e David. Elvira Giro, con l'aiuto del Cielo ha piegato Roma all'opera cristica del Monte Labro, in virtù delle Leggi di libertà di religione.

Il gruppetto dei seguaci di Arcidosso si è comportato con noi come si sono comportati i preti contro David, un ostracismo sordo, una "bolla", che equivale alla morte apparente. Ma non sta a noi giudicarli, perché forse era stabilito dal Cielo che avvenisse così. Noi li abbiamo perdonati.

E mentre il Vaticano ancora tace nei riguardi di David, perché non sa come tornare indietro, essi si comportano contro di noi come quei cattolici che respingono David, senza studiarlo e senza capirlo.

Non si avvedono che noi da soli, non potevamo andare "controcorrente", perché era in gioco la "riforma" del Vaticano, e senza l'aiuto di Dio era follia sperarlo.

Compiere una grande opera di "incisione" spirituale, come quella che abbiamo mandato avanti noi, sul campo di battaglia, all'aperto o in sordina, e allo sbaraglio, non era da tutti, e ce l'abbiamo fatta, portandola a compimento, perché Iddio è con noi!

Ora è tutto fatto e si compieranno gli eventi.

Essi volutamente tacciono su quanto noi abbiamo compiuto, e non bastano le opere da noi svolte proprio davanti ai loro occhi, in loro favore, per "risvegliare" e proseguire l'opera giuris-davidica? Le due processioni di popolo alle quali prese parte tutto il paese, la costruzione dell'Arca della Nuova Alleanza, il libro bibliografico su David e la strada che porta alla Torre Davidica, opere raggiunte fra tante avversità: da Elvira e Leone, e senza il loro aiuto.

Essi non si rendono conto che queste opere sono tante nostre vittorie in loro favore, ed in loro soccorso, ottenute contro quelle forze negative invisibili, che anche David combatteva (da lui individuate in tutte quelle bestie feroci nominate nei suoi libri) e avversarie di tutta l’intera opera cristica, della SS.ma Trinità di Dio!

Eppure anche David aveva le sue"visioni", i sogni premonitori e profetici, le apparizioni soprannaturali, parlava con "l'invisibile", specie quando rimase chiuso in astinenza e in eremitaggio per tre mesi, nella grotta del diruto Convento nella Sabina.

Fenomeni "sovrumani" come li chiamava lui, che si ripetevano continuamente, che ogni "giuris-davidico" era pur abituato a conoscere e li accettava con grande fede.

Nell'aprile ('90) David è apparso alla signora Elvira e le ha detto: "Io ho fatto un'opera, ma tu ne hai fatta una molto più vasta. Io ho lasciato detto che verranno da fuori a confermarla, e tu l'hai confermata. Tu sei il coronamento dell'Opera mia!"

 

Devo ora accennare a un grande evento spirituale: la PARUSIA, avvenuta il 25 agosto '81 ad opera della signora Elvira, mentre abitavamo nella casa di Monte Labro, avvenimento al quale io ho presenziato, testimone, assieme ad altri due nostri amici: Grazia e Giacomo Tamberlani.

Questo fa parte delle esperienze di "questa mia vita terrena" e mi ricorda però un periodo molto combattuto per me, e contrastato da forze spirituali negative che io non riuscivo a superare.

Quel giorno tutto è accaduto, come già altre volte, in maniera invisibile, senza che se ne vedessero effetti manifesti nel mondo materiale nel quale si vive.

La pubblicazione del 9° libretto della signora Elvira, uscito nel maggio '81, dove essa ha "rivelato" che Dante Alighieri si è reincarnato nel 1834 in David Lazzaretti, aveva stabilito una conquista a favore dell'umanità, e aveva anche maturato la determinazione, da parte del Centro Spirituale Cosmico, di effettuare il "cambio dello Spirito della Madre Terra", profetizzato dalle sacre scritture con il nome di "Parusia", che vuol dire: "Nuova Presenza".

L'evento è consistito nella sostituzione del vecchio albero luciferico, demoniaco, sconfitto e in disgregazione, collocato al centro della Terra, con il nuovo "innesto" dell'Albero Cristico, rappresentato dalla Grande Anima Femminile Universale, ormai completato, che ha preso possesso del centro della Terra con le sue scienze creative per il comando terrestre, come Madre Terra.

Si tratta dunque di un'Anima Femminile eterica trasparente, di tutti i colori dell'iride, della dimensione di circa 700 metri, che ha potuto prendere posto, introducendosi nelle viscere della Terra con il suo corpo animico, attraverso un cavo arancione di 3 cm, fatto penetrare fino al centro terrestre.

Questo avveniva in quella mattina 25 agosto mentre la signora Elvira, distesa sul suo letto, da noi assistita con la nostra presenza, ci descriveva tutti quei passaggi dei quali noi ne vedevamo solo gli effetti, cioè vedevamo la sua sofferenza per lo sforzo e per la fatica a cui era sottoposta, e ne ascoltavamo le sue descrizioni.

Il corpo fisico della signora Elvira, come strumento della Regina dell'Universo, costituiva la "centrale" di allacciamento sul piano terrestre, dei vari cavi eterici in arrivo da tre provenienze: Centro Cosmico; Centro Solare Cristico; Corpo Mistico Cristico, e poi l'altro cavo quello che proseguiva fino all'Anima fluidica femminile in nuova formazione nel Centro della Terra.

Tutte queste varie operazioni venivano svolte dagli operatori spirituali della "Meccanica Celeste" ed i quattro cavi arancione erano stati allacciati al suo corpo, nel punto dei reni.

Fatti inusitati e sorprendenti da non poterli credere veri. La caratteristica di questo ripetersi di manifestazioni tra il corpo fisico e l'invisibile è la maniera subitanea e all'insaputa degli stessi interessati. Ma a seguito dei quali il corpo ne risente per diversi giorni in stanchezza fisica e spossatezza.

Questi eventi avvengono prima sul piano spirituale, poi attuati nella materia fisica.

 

In quegli anni conobbi Enzo Quartana, divenuto un mio carissimo amico spirituale, molto evoluto, che vive a Grosseto e veniva spesso alla Torre Davidica per devozione verso David e poi passavamo delle belle ore insieme.

Venni a conoscere altri suoi "amici", perché a Grosseto frequentava un circolo spirituale ove ogni tanto si radunavano diverse persone per approfondirsi nelle ricerche in quel campo e un paio di volte vi ho partecipato pure io.

Nell'ottobre '83 mi invitò alla "vendemmia" nella casa di campagna in una bellissima giornata di sole, ove io lavorai assieme agli altri con la gioia di quell'abbondante raccolto della sua vigna.

 

In quel periodo portavo avanti la stesura di un libro sulla storia di Lazzaretti, più che necessario, perché le pubblicazioni esistenti sull'argomento: erano troppo prolisse e faticose da leggere e anche introvabili; altre erano cariche di offese e di errate interpretazioni. Occorreva qualcosa di breve, di scorrevole e di onesto da offrire in lettura alle nuove generazioni, che volevano conoscere David.

Ma fu per me un compito troppo impegnativo perché dopo le prime 30 pagine dattiloscritte mi sono arenato. I molti impegni da mandare avanti e poi la mia difficoltà nello scrivere, mi bloccarono.

Ricordo che stavo trascorrendo il mese di ottobre ('83) tutto solo nella casa di Monte Labro, per dedicarmi al libro, e di avere scritto in uno di quei fogli, che il Sant'Uffizio non aveva compreso David perché mancava di "capacità intuitiva". Ma poco sapevo cosa significassero quelle due parole, che avevo copiate dai libri della signora Elvira ed io mi ritenevo forte e al riparo, tanto da potere lanciare impunemente questa accusa, che non comprendevo nella sua portata.

Invece non era così: perché forte e al riparo era lei, ma non io!

Così mi trovai esposto, debole e incapace di fronte a certe forze invisibili negative che, sentendosi sfidare ce la misero tutta per farmi sbagliare. E quando esse riescono vittoriose da una "prova", possono fare di noi degli squilibrati.

Per spiegare, mi voglio qui riferire a qualcosa del genere che ha saputo mettere in musica: Paul Dukas, nella sua composizione sinfonica: "L'apprendista stregone", quando egli descrive cosa è accaduto all'allievo apprendista che, in assenza dello stregone, non riesce più a contenere le forze invisibili che ha scatenate.

Anche io ero del tutto incapace e impreparato a lottare contro l'invisibile e perdevo ogni volta terreno, pagando a mie spese quella esperienza non voluta, che mi giungeva di sorpresa e imprevista. Mi stavano mettendo alla "prova".

Dovevo cercar di capire da quale parte affrontarle per difendermene e mettere in chiaro quanto avevo confusamente nella testa, riguardo alle energie negative dei minerali, perché era dai minerali del sottosuolo che provenivano, e di cui è impastato il nostro corpo, nutrito a mezzo del cibo digerito e quindi dal sangue.

Sapevo che sono forze dovute a loro radiazioni sopra i corpi umani, con le quali riescono a dominarci, fin tanto che non le sappiamo affrontare e dominare noi, col ragionamento e con la volontà, anche senza vederle, opponendoci a gli effetti da loro determinati e a tutto ciò che è male, ossia al disordine che esse inducono a compiere.

Non starò a raccontare i primi insuccessi e avvilimenti quando mi trovai in balia loro perché le sconfitte continuarono. Ed uno fra i primi fu il minerale "antimonio".

Più tardi ne scoprii i simboli. Aveva il suo rappresentante umano in un ignaro negoziante di Piancastagnaio. Nel regno vegetale aveva: il riccio del castagno; nel regno animale: il cinghiale; nel corpo umano: l'olfatto; nel colore: il marrone; ed il suo pianeta era : la Luna "3". E per difendermi è dovuta intervenire la signora Elvira, quando andai da lei a Roma. Ma in fatto di spiegazioni non me ne dava, perché dovevo arrangiarmi da solo.

Stando al Monte Labro cominciai ad utilizzare la "radiestesia". Ero alle prime armi e riuscivo a comunicare con la mia "guida" e a farmi aiutare, ma non riuscivo un granché, per due motivi: perché il colloquio si limitava a tre sole risposte: "Sì, No, Non so"(ossia "Non te lo posso dire")! E perché spesso subentravano le "interferenze" che non mi davano mai certezza della risposta. Dovevo allora saper distinguere con la mia ragione! Perché niente ci viene regalato dal mondo spirituale, ma dobbiamo saperlo conquistare da noi.

Dovevo arrivare a capire che erano tutte "prove" alle quali venivo sottoposto perché imparassi a fortificarmi.

Era per me un susseguirsi di errori che mi facevano perdere il mio retto equilibrio, ma volevo spuntarla, e qualche risultato, piano piano riuscivo a ottenerlo.

Col passare dei mesi e degli anni imparai a sentire dentro la mia testa la voce della mia "guida", senza operare io più con il pendolo. Ma anche qui c'erano le "interferenze", e dovevo essere io in grado di capire.

 

Il "libero arbitrio" è la capacità di riconoscere ciò che è male ed opporvisi: nei pensieri, nelle parole che pronunciamo, e nelle nostre azioni. È l'esperienza del male sofferto che ci ha fatto scuola così da poterlo riconoscere, per fuggirlo, evitando il ripetersi dei nostri difetti, che abbiamo conosciuti in noi, dannosi.

Ogni volta che ci comportiamo male e perdiamo il nostro controllo, dopo ne restiamo angustiati e ne risentiamo anche nel fisico. Ripetendosi questo errato comportamento, si matura in noi anche la malattia del corpo fisico, perché se ne ammala la nostra anima.

Così ho capito a mie spese che: oltre a degradarci spiritualmente, ogni emotività ci danneggia fisicamente, e ci danneggia anche nei rapporti con gli altri. Si tratta di: astio, risentimento, animosità nel reagire, disprezzo, ira, odio, aggressività, antipatia, ecc., che dobbiamo cercar di evitare. E non è facile riuscire a controllarci, perché dobbiamo lottare tenacemente con la volontà e con la ragione, opponendoci nel nostro comportamento, fino a trovare la calma e la pace. Cioè: dire le stesse cose, con grazia e con amore, senza offendere.

Voglio qui riferire cosa ne pensava David su questo punto:

"Bene inteso che tutto questo glielo riferite con accenti benevoli e con il cuore ripieno di affetto e di vera fede, accompagnato da carità fraterna, perché così vuole e così comanda Iddio". (Dal discorso: nella "misteriosa cena" con l'Agnello!).

 

La ragione per cui l'uomo si trova a vivere sulla Terra è quella di formarsi la veste di tutti i 7 colori dell'arcobaleno, nelle loro gradazioni, veste che è poi la nostra "anima" imperfetta, che deve purificarsi, e quando questa sarà perfezionata il rispettivo corpo fisico ne sentirà il riflesso benefico e obbedirà ad essa, nella pace e nella armonia. Ma deve essere forte, tanto forte, da non lasciarsi dominare dalle energie negative di quei minerali che vorrebbero danneggiarla, e farla cadere.

Queste forze riescono a inserirsi attraverso alcuni spiragli della nostra debolezza umana, per farsi posto e spodestare in noi ciò che è bene. Da un piccolo passo indietro può nascere una successione di altri passi indietro, fino all'irrimediabile.

Come ho detto, queste forze cercano di portare squilibrio nell'individuo per farlo sbagliare. Da qui la necessità di saperle riconoscere man mano che si presentano durante il viaggio della vita umana, e di fortificarci. Tutti possono sbagliare per fragilità, per ignoranza, ma non deve ripetersi lo stesso errore, difetto, peccato, troppe volte. Non è ammesso sbagliare con intenzione di cattiveria. Compiere il male sapendo di fare il male è un errore che si paga pesantemente.

Sono forze dovute a radiazioni di minerali che si prendono gioco di noi, per demolirci e che io chiamo le "calamite", anche se non si tratta di un vero "magnetismo" (ma il loro comportarsi è molto simile).

 

Intanto andavo scoprendo alcuni aspetti che regolano questi rapporti fra il corpo carne e l'invisibile.

Abbiamo visto che ogni minerale ha determinati poteri su un singolo nostro difetto, e che può influire sul nostro corpo umano. Ci sono minerali positivi e minerali contrari alla armonia.

Si conquista un minerale, cioè la sua "essenza" (trasformata in "vibrazione" e in gradazione di "colore" che si va a "incidere" sulla nostra anima) quando lo si vince in noi e quando si è raggiunta la padronanza del nostro corpo fisico in quel determinato difetto o peccato. Tale minerale vorrebbe poter dominare con le sue energie fluidiche, devastanti e scorrette, per rendere il nostro corpo soccombente.

Se riusciamo a "superare" la "prova" con la volontà e la ragione questo potente minerale, o chi per lui, riconosce la nostra superiorità (nel suo campo) e si sottomette.

Però sarà sufficiente agire nuovamente in modo scorretto, ricadere in quel difetto perché ogni buona riuscita venga annullata, per ricominciare daccapo.

Nella "prova" deve essere l'anima che domina il corpo carne (nella materia) e vincere l'invisibile.

Fu qualche tempo dopo che venni a comprendere che ognuno di questi minerali viene influenzato dal proprio pianeta. E qui il gioco si amplia nel cosmo, in una lotta di conquista di forze contrapposte.

 

Dovrebbero esistere sulla Terra circa 1.440 gruppi di minerali, sottoforma di: sali, ossidi, carbonati, solfuri, di varie forme cristalline ed anche in masse amorfe, che esercitano a distanza il loro fluido stellare, ed ognuno di essi è collegato al proprio pianeta, o satellite, o costellazione.

Vi è il minerale che domina sul sesso, per farci sbagliare, e creare disarmonia, quello che domina su l'ira, o sulla violenza, o sul rubare, o sulla superbia. Un elenco interminabile di difetti. Ma ci sono anche i minerali che influiscono verso il bene e l'armonia.

Così ho scoperto che ogni minerale, (come ho già detto) possiede il suo "portatore di simbolo" a rappresentarlo tra le persone viventi: o uomo, o donna. Ho saputo che di questi portatori di simbolo ne esistono diversi contemporaneamente per ogni gruppo composito di minerale e che per ognuno dei tre Regni vi è un vegetale, un animale, un minerale che lo rappresenta, ai quali fa capo una gradazione di un colore, e un organo del corpo umano, e un pianeta, ecc. e li possiamo raggiungere anche con il pensiero intuitivo.

Ancora altre notizie sono andato scoprendo e man mano che le apprendevo mi fortificavo e crescevo dentro, perché capivo le regole del gioco della nostra esistenza.

Scoprivo che nella scala dei valori conquistati, la nostra anima si guadagna uno "spirito guida" adeguato (un maestro), (equilibrato secondo il nostro punteggio raggiunto), e questa "guida" può esserci cambiata. Per lo più il cambio della "guida" avviene durante il nostro sonno, sia in meglio, sia in peggio, a seconda dei meriti o demeriti nostri.

 

Ed ora vorrei tornare alle due parole: "capacità intuitiva", sul significato delle quali oggi ho potuto raggiungere maggiore padronanza.

Riallacciandomi alla mia esperienza del '72 (vedi pag. 87) quando appresi da un "guru" indiano, (venuto di passaggio a Roma da Nuova Delhi), la scuola della intuizione con il "terzo occhio", io mi sono gradualmente fortificato in questo esercizio.

E in circa cinque anni, un poco per volta, mi sono addestrato e rafforzato, ed oggi mi sento molto più sicuro e disponibile quando la mia "guida" me lo chiede. Per merito delle mie "guide", che man mano mi hanno assistito con pazienza, ho perfezionato il mio impegno e superate le mie "prove".

Così ho capito che i "dieci comandamenti" sono stati le prime regole di buon comportamento sociale, legate al superamento di alcuni "minerali", o "pianeti" contrari. (Vi sono vietati persino i desideri: onda pensiero negativo).

Ad ognuno di essi, corrisponde una "tentazione", o "violazione" alla armonia: da vincere in noi, in una "prova" di superamento, il una lotta di volontà e di ragionamento contro di loro, proprio come nel gioco sportivo del "braccio di ferro" e resistere loro fino a che noi siamo divenuti così fortificati dentro, da essere noi a piegare loro, in una gara di capacità che si chiama: "prova".

Deve essere la materia a "vincere" l'invisibile, attraverso la "intuizione", il "ragionamento" e la "volontà".

 

Queste "prove" ci arrivano quando meno ce le aspettiamo e sono commisurate alle nostre possibilità. Tutto viene regolato dalle gerarchie del cielo che tutto vedono, tutto controllano e ci conducono a questo superamento, per farci raggiungere la conquista dei colori dell'iride, da "incidere" sulla nostra anima.

Con grande fede, costanza e accettazione ho tirato avanti con fatica, mi sono perfezionato e in parte ci sono riuscito.

Dopo fasi alterne e con metodi diversi sono andato ancora avanti. Direi che la data: maggio '89 segni l'inizio più impegnativo e positivo nella riuscita di queste mie ricerche, che mi facevano progredire.

Scoprii anche altre cose. Quando si incontra un "portatore di simbolo" occorre comportarsi con lui nel modo più cordiale possibile, senza animosità, senza cioè perdere il controllo del nostro agire, per superarne il simbolo, e concludere poi stringendogli la mano, in segno di pace e di amicizia, perché Iddio chiede a noi, per meta finale: la fratellanza sociale.

Ma come fare a riconoscere questo "portatore di simbolo"? Per non sbagliare: comportandosi bene con tutti, e non respingere mai nessuno. Questa è una regola semplice che è valida sempre.

 

Avevo scoperto quello che nessuno mai ci aveva riferito e che noi umani dovevamo scoprire da soli. La "chiave" per conquistarci quei colori dell'iride, da "incidere" sulla nostra anima, sta appunto nel nostro buon comportamento, nella accettazione delle difficoltà: pazienza, rassegnazione, buon viso a brutto gioco, ecc. e del vivere serenamente contentandosi di poco, in letizia, sopportando il male, per migliorare noi stessi e renderci utili agli altri. E anche saper mettere a freno le esigenze del nostro corpo fisico, riuscendo a controllare se stessi nella educazione e nella legge morale.

Il profeta Mosè, nel consegnare le Leggi di ordine sociale non poteva spiegarlo chiaramente. Non eravamo pronti. A quel tempo nessuno ne sapeva niente: di "guida spirituale", di "prova animica" e di "vibrazioni" o fluidi emanati dai minerali, cioè non sapeva niente di tutto quanto stava dietro a quelle Leggi. E nemmeno di "strette di mano" amichevoli né di "capacità intuitiva".

Ad ogni epoca la sua evoluzione e il suo progresso.

Vi ho raccontato qui le mie esperienze, senza obbligare nessuno, ma credo che questi miei risultati non resteranno isolati e troveranno conferma e completamento. Servono almeno a far sviluppare le intelligenze fino a che non comprenderanno da sole.

 

Per interessamento del prof. B. Crisi, studioso di argomenti giuris-davidici, fummo invitati a Chieti nel novembre '84 a partecipare a due trasmissioni televisive, dedicate alla nostra attività religiosa.

Vestiti nei paramenti sacerdotali la signora Elvira ed io ci presentammo ai telespettatori della emittente "Tivuelle Abruzzo" e spiegammo, nella rubrica: "L'altra faccia della Luna", la nostra attività e la nostra Opera, rispondendo alle varie domande delle telefonate del pubblico.

Ricevemmo molti consensi e molte lettere tra le quali si mise in evidenza una signora religiosa cattolica di Sambuceto (Pescara) di nome Rosa Di Girolamo, che volle conoscerci e ci scambiammo le visite, un'anima molto pura e sensibile.

Successivamente Rosa venne al Monte Labro ('88) dove si fece il battesimo del fuoco e venne consacrata sacerdotessa, assieme alla signora Fausta Cozzi di Firenze.

Quest'ultima invece, ci aveva rintracciato attraverso un libretto della signora Elvira, che aveva acquistato su di una bancherella a Firenze. Anche essa volle conoscerei e rimase entusiasta della nostra missione spirituale. Io la stimo molto perché sente la bellezza dell'Opera che conduciamo, in maniera elevata.

Ognuna di esse a suo modo, è partecipe delle "verità divine" e sono state risvegliate con la lettura dei nostri libri, e rafforzate dalle loro "visioni", nonostante le tante avversità e prove di superamento, che hanno incontrato lungo il loro cammino di ricerca e di fede.

Rosa rappresenta la "parte mistica" ("la nuova chiesa") col simbolo del "sambuco", pianta diffusa in tutto il mondo, e le sue radici profonde, sono molto sviluppate.

Rosa riceve visioni, messaggi spirituali e sogni profetici. Sostiene continuamente delle "prove" a beneficio della salvezza dell'umanità, e molto dolorose, che si ripercuotono sulla sua salute. Essa le subisce con rassegnazione, rivolgendo a Dio le sue fervorose preghiere.

Vive in campagna, è sposata ed è nonna. Un carattere dolcissimo, materno, pronta ad essere di aiuto e a perdonare.

Fausta rappresenta la "parte sociale" (lo "Stato") col suo simbolo del "faggio", pianta forte e resistente, diffusa in alta montagna. Riceve visioni, messaggi spirituali, sogni profetici, ma anche severe prove riversate sulla sua salute, che accetta e sostiene pazientemente nella preghiera. Ha preso su di sé la espiazione di alcune forze sociali che lei sostiene attraverso la sua accettazione, nella sofferenza, ma ciò non le impedisce di rendersi utile al prossimo, e svolgere le sue attività.

Vive in città, non è sposata e si dedica alla assistenza dei malati, come infermiera.

Un giorno tutti gli uomini, eredi della Terra, diverranno tanti "cristi", unti, irradiati dal Centro Solare Cristico, come Gesù, come David, come Elvira. Avranno le "visioni" soprannaturali, ascolteranno la voce delle loro "guide" spirituali, e vivranno nella più grande armonia in pace fra loro.

Noi siamo degli strumenti radiocomandati a distanza, cioè telecomandati, da perfezionare. Come l'uomo ha saputo creare il televisore, così il nostro Creatore ha creato i nostri corpi.

Quando l'umanità capirà "questo", le loro menti cominceranno a diventare apparecchi a dieci valvole.

 

Merita raccogliere in poche parole, una corrispondenza epistolare avvenuta nel giugno '86 tra la signora Elvira e un Centro di studiosi di Blevio (Como), dove nelle loro lettere inviate, si definivano: scuola dei sette saggi, e dei sapienti di occidente.

Si tratta di sette persone, riservate, prudenti, e potenti che si dichiarano i grandi iniziati, di occidente i quali le hanno scritto inviandole una loro rivista dal titolo "PHOENIX".

Era questa come una sfida spirituale, perché – come vedremo – essi sono i rappresentanti di sette pianeti, contrari alla Armonia Divina, coalizzati fra loro per governare le istituzioni religiose e tenere a freno, ogni movimento di risveglio spirituale, e per continuare a dominare nel loro potere materiale.

Io li definirei il gruppo di coloro che, dietro le quinte manovrano spiritualmente i fili di ogni mossa politica attraverso l'organizzazione di affiliati, infiltrati ovunque.

La signora Elvira ne ha destabilizzato la loro forza con le sue lettere scoprendoli nei loro simboli, lettere che io battevo a macchina e spedivo. Una schermaglia molto sottile e difficile da spiegare, ma va detta, perché è terminata in nostro favore, con le loro dimissioni scritte, in forma spirituale, di resa completa.

Per capire occorre riferirsi a quell'orribile serpente che tratteneva fermo David Lazzaretti con una inspiegabile forza: nell'episodio della "Gloriosa Pastorella" di pag. 56, dove il serpente fu vinto con la purezza delle "verità creative" della Pastorella, col giglio che lo ha soffocato mortalmente.

Comincio a trascrivere le otto righe più significative, scritte dalla signora Elvira, a loro inviate.

            "Il pianto umano e le tribolazioni debbono cessare,

            la fiamma della vita deve ritornare.

            Non chiedo onori né ricchezze né svago

            ma di riuscire a passare per la cruna dell'ago,

            poiché il gioco ora è persuasivo, ragionato e puro

            ed il suo riflesso deve abbattere quel muro

            che contaminato, grezzo e duro, si ostina

            a demolirsi con la sua stessa rovina....

In queste rime viene nominato: l'ago, che è il simbolo del Vaticano pungente e penetrante ed è anche quel muro: contaminato, grezzo e duro che si ostina a demolirsi con la sua stessa rovina.

Dopo questa lettera non c'è stata più risposta. Ma i loro nomi sono scappati fuori di nuovo nelle serate di "collegamento intuitivo" da me svolte nel '89 , impegnandomi, con l'aiuto e decisione della mia guida, a raggiungere e superare quella loro centrale di potere: materiale, negativa, e così ne sono usciti fuori i seguenti pianeti, con i loro rappresentanti: nei minerali, vegetali, animali, colori, ecc. della tabella qui riportata. (Blevio significa: via del blè, Como significa la cima).

Poi ho spedito a loro (’90) i 14 libri e i 14 giornaletti di Elvira Giro ed è stato come aver infilato il gambo del giglio, la purezza delle “verità creative”, nella bocca dell’orribile serpente.

La signora Elvira ha saputo passare anche per la cruna dell’ago, perché la “Legge del Diritto Divino” non ce l’hanno loro, ma l’abbiamo noi!

 

 

1. PLUTONE             PLUTONIO       KIWI                  JENA                          NERO         LABBRA               AVIDITÀ

2. URANO                 URANIO            FICO NERO       FENICE                      NERO         RENE destro         DISFATTISMO

                                                                                            Cicogna nera

3. MERCURIO          MERCURIO      TUJA                 MANDRILLO           BLU            UTERO e               FURBIZIA

                                                                                                                                                    MEMBRO V.

4. NETTUNO            COBALTO        BANANO          COBRA REALE        NERO         RENE sinistro       CATTIVERIA

5. SATURNO            PETROLIO        PESCO               PAVONE                   BLU            FIELE                     SUPERBIA

6. PIOVA                   IODIO                VITE                   PIOVRA                     NERO         DISPREZZO          ODIARE

    satellite di                                          VERGINE                                                                   a morte

    Saturnio

7. LUNA NERA        SELENIO           CIPRESSO         PIPISTRELLO           NERO         FALANGI              LA MORTE

                                                                                            delle tombe

 

 

                                                             

Devo ora accennare, anche se brevemente, alla "demolizione"del Grande Dragone, avvenuta il 30 dicembre '86, dalle ore 21 alle 24, ed eseguita in forma spirituale ad opera della signora Elvira, che agiva nella Grande Madre del Cielo, ed alla quale (demolizione) io ho presenziato, anche se in forma limitata, vivendone i fatti, solo nei riflessi.

Questa "demolizione" raccoglie il nocciolo centrale di tutto il lavoro spirituale cristico, ed è stata l'ultimo atto di una grande lotta secolare. In questo ultimo atto, io ho fatto la parte di aiutante e di testimone.

Abbiamo già veduto il modo di operare in tale genere di battaglie spirituali della signora Elvira. Agisce nel suo corpo carne e umano, sdoppiandosi al momento opportuno, per affrontare le potenze negative, a seguito della loro sfida di potere senza preavviso.

In lei opera la Grande Madre del Cielo e Regina dell'Universo caricandola di tutto il suo potere energetico cosmico. Lei, nel corpo carne, percepisce queste presenze, le smaschera; le affronta e le supera con la sua intuizione e la tempestività fulminea. Mentre loro, invisibili, fuori della materia, cercano di farla sbagliare (e cadere) nel suo agire del corpo carne, chiusa come è dentro a uno scafandro, ma così affinata, da poterle percepire, vedere e sfidare a viso aperto.

Quella sera aveva davanti il Grande Dragone, una figura gigantesca di aspetto umano che assommava in sé in l'enorme potere terrestre dei minerali, in un "corpo mistico materiale" fatto di una sostanza spirituale molto densa e scura, e che raccoglie il potere complessivo di tutto il globo terraqueo. Agisce assieme ai suoi alleati: Demone, Satana, Diavolo, che sono poi i rappresentanti di tre pianeti ribelli, con i loro potenti minerali, in opposizione all'ordine divino.

Quel Grande Dragone si era posto sopra al cielo di Roma e dominava col suo enorme potere terrestre dei minerali negativi: sia l'organizzazione sociale umana, rappresentata nel Parlamento italiano, sia la organizzazione sacra umana, rappresentata nel Vaticano, e lui intendeva sfidare la capacità intuitiva della materia, presente nel corpo fisico di Elvira.

Vorrei aggiungere che queste prove di sfida, svolte attraverso la capacità intuitiva nella materia affinata, durano da secoli e che la sconfitta del Grande Dragone è avvenuta in tre tempi, in tre epoche diverse e culminate proprio in quella serata decisiva del 30 dicembre '86, quando venne definitivamente sconfitto e mortalmente colpito.

Il suo "corpo mistico materiale" fu subito tagliato a pezzi e gettato nel Tevere, da una decina di Entità cosmiche, le quali li hanno disintegrati nel mare di Fiumicino.

I colpi mortali precedenti gli furono inferii con l'opera di Gesù, che lo accecò nell'occhio destro (potere dell'acqua) e con l'opera di David, che lo accecò nell'occhio sinistro (potere del fuoco) a seguito del quale il Grande Drago fu gettato dal Cielo giù sopra la Terra, trascinando con sé parte delle stelle del Cielo. (Apocalisse n. 12).

Cosicché quella sera la signora Elvira lo vinse, togliendogli il potere dell'aria, e nella sua sfida, lo colpì sulla bocca (la parola negativa) con la spada tagliente e il doppio spadino (Trinità di Dio) inferendogli altri sette colpi alla testa.

Io ho vissuto intensamente i passaggi di questa immane lotta, durata circa tre ore, assistendo seduto sulla poltrona accanto alla signora Elvira, mentre lei si era sdoppiata per operare, e ogni tanto mi teneva al corrente di quanto accadeva sul cielo di Roma, e che io seguivo con la mia intuizione.

Essa ha agito obbediente, ed ha operato in favore del bene, per la umanità redenta, verso l'equilibrio della armonia sociale.

Quando cadranno le bende che sono poste sopra i nostri occhi terreni e potremo vedere il mondo dello spirito, dal quale siamo circondati, anzi nel quale siamo immersi, ci renderemo conto della verità di quanto ho vissuto quella sera (e anche registrato nei miei appunti).

Iddio opera con giustizia il suo potere a tempo debito e secondo la legge divina alla quale anche Lui si è sottoposto perché tutto è subordinato al superamento della essenza dei minerali cosmici.

 

Nel maggio-luglio '86, per suggerimento della signora Elvira feci eseguire cinque grandi quadri (ingrandimenti fotografici) che ora si trovano alle pareti della nostra chiesetta al Monte Labro.

Sono gigantografie a grandezza naturale applicate su dei pannelli di alluminio, con le loro didascalie e plasticati contro la umidità (dimensioni medie m 1,80x1,10).

Nell'ottobre '88 feci eseguire tre altri grandi quadri (m 1,5x1) a colori, anche questi portati nella nostra Sede al Monte Labro. Le spese di ritoccatore, fotografo, plasticatura, dei pannelli sono state sostenute dalla signora Elvira e da Leone.

I soggetti ivi rappresentati sono: 1) La Vergine della Rivelazione (a colori) 2) Il Corpo Mistico Cristico. 3) David, il Grande Monarca 4) Don Filippo Imperiuzzi. 5) Elvira e Leone mentre celebrano la funzione. Poi: 6) La "Tellus" dell'Ara Pacis (a colori). 7) La SS.ma Trinità 8) Lo Stemma del Grande Mistero compiuto (a colori).

Anche questi grandi quadri fanno parte della "incisione" spirituale della nostra "missione".

Con l'operazione degli otto quadri fissati alle pareti intorno al nostro bellissimo Altare, possiamo considerare completata la nostra Sede giuris-davidica.

 

Il quadro marmoreo rappresentato nel quadro dell'ARA della PACE AUGUSTA, riguarda la "Creazione Materna" assieme ai due "pargoli" suoi, una allegoria cristica molto significativa.

Al centro della composizione, avvolta nel suo candido manto è collocata, appunto, la fiorente "Creazione Materna" (la Tellus) seduta sulla roccia, assieme ai due figlioletti (Raggio e Diritto Armonico), i due "verbi" legislativi della evoluzione umana, circondati da fiori e frutta ed altri simboli di vita pastorale: la messe, gli armenti. Sono un assieme armonioso, come annuncio profetico della PACE TERRESTRE di una età d'oro, al rifiorire della "Nuova Terra".

Il gruppo dei due figli con la loro madre raffigurano anche i tre elementi: acqua, fuoco e aria, che la Grande Madre, presente nella Tellus, raccoglie nei tre simboli. Essa è elemento Aria, cioè la vita umana.

Ai suoi lati si affiancano le due giovanette, avvolte in un velo leggero, mosso dal vento e trattenuto dalla loro mano sollevata ad arco.

Stanno a rappresentare l'una ( a destra della Tellus) l'elemento "Acqua" sorretta dal grosso volatile acquatico e completata dall'anfora e dai canneti di palude. L'altra rappresenta l'elemento "Fuoco", sorretta sul collo dell'antico drago alato; uscito dal sottosuolo e completata dalle lingue delle fiamme che escono dalla voragine sottostante.

Questo magnifico quadro marmoreo fa parte dei moltissimi bassorilievi che, assieme a fregi, festoni, ornamenti di frutta e pilastri fioriti, arricchiscono il Tempio, dedicato alla "PACE AUGUSTA" (Ara Pacis) innalzato a Roma nell'anno 13 avanti Cristo, da Cesare Ottaviano Augusto Imperatore, della gente Giulia: un prodotto della più raffinata maturità dell'arte classica naturalista, di scuola ellenica.

 

Nel maggio '87 a seguito di un invito per posta andai ad Assisi credendo di partecipare a un convegno di vegetariani, ma per disguido non ho trovato nessuno. Allora decisi di visitare Assisi come turista e vi presi alloggio per una notte.

Quella mattina, trovarmi alla Porziuncola, che non avevo mai veduto, fu un impatto fortissimo. Da fuori ne toccavo le pietre dei muri per raccoglierne le vibrazioni di frate Francesco. Si lasciavano amare intensamente. Provai a entrare, ma una ressa di fedeli, lì per la Messa, me lo impediva. Feci allora il giro intorno, all'esterno della chiesetta.

La voce dolcissima di due cantori, che mi arrivava attraverso una porticina, si mise a cantare un madrigale cinquecentesco armonioso. Mi fermai a raccoglierne quella gioia vibrante che scendeva al cuore. Non sapevo staccarmene. Quel canto femminile si lasciava chiaramente distinguere, e diceva: "La stanza è fiorita, la pianta è fiorita"

Scendeva nell'anima, la dissetava, mentre dai miei occhi uscivano lacrime di commozione. Non era la prima volta che mi commovevo alla musica, ma quella volta era speciale.

Decisi di cercar di incontrare quei cantori. Ne dovevo vedere il volto, avvicinarli. La Messa era finita ed io riuscii a entrare dirigendomi verso di loro. Vidi dapprima una giovane suora in piedi: fazzoletto bianco in testa, abito celeste ampio e umile, cordone alla vita, viso pallidissimo esangue, occhi chiusi.

Sembrava una statua di cera svuotata di tutto. La creatura a cui apparteneva non era lì: era come fosse sdoppiata in Cielo, lontana dal corpo dal quale usciva però la sua voce ispirata. Accanto a lei un'altra suora seduta sulle proprie ginocchia in terra, suonava una chitarra accompagnando quel canto. Anche lei ad occhi chiusi; il suo canto usciva da un corpo assente. Una donazione completa nella loro preghiera armoniosa, due anime dolcissime, pazze di Dio.

Mi trovai inginocchiato accanto a loro mentre i miei occhi continuavano a lacrimare in silenzio. Fu lì che esse si accorsero di me e del mio piangere. Erano giovanissime: 26 e 38 anni. Una di Madrid e una di Salonicco.

Continuarono a cantare anche dopo, fuori sugli scalini della Basilica ed io cantai con loro: "Laudato sei mio Signore.." e vivevo attimi di spensieratezza, attimi di devozione, attimi di assenza totale. Un destino unico, irripetibile.

Avevo gioia nel cuore per avere incontrato due Angeli limpidi e armoniosi uniti dall'amore per Cristo. Con loro dimenticavo tutto: la differenza di età, di culto, di decoro. Ero un bambino legato a loro, in un affetto che non era terreno.

Una di loro mi rappresentava Santa Chiara e questo mi venne confermato dalla mia guida e dalle visioni, nella giornata che trascorsi con loro, quando fui invitato alla Comunità francescana, creata in una casa di contadini, donata loro con l'orto, e a loro assegnata dalla Chiesa. Un orto ben coltivato circondato di piante di rose fiorite.

Rimasi a pranzo, e conobbi tutte le altre otto suore. Parlai loro del nostro Eremo del Monte Labro e le invitai! E loro dissero di voler venire a visitare quei luoghi. Restai fino al rosario, recitato insieme sui gradini dell'orto; canti e preghiere dolcissime nell'ora del tramonto, in una sera splendida di maggio.

"Noi, viviamo alla giornata, senza un programma – mi diceva – cerchiamo di esser di aiuto dove ci chiamano". Per mortificare il corpo, alcune di esse dormivano nelle vecchie celle dei maiali.

Dormire in un vecchio porcile, ripulito, e imbiancato, fatto di mattoni forati nel mese di maggio poteva anche esser bello tra quegli alberi fioriti, ma d'inverno? Quanta umiltà, quanta devozione!

L'ho riveduta due anni dopo. Fu molto gentile e accogliente come tutte le altre, ma si erano tanto modificate. Parlavano della conferenza di un guru buddista e, per dargli un luogo di predicazione, avevano persino spostato l'Altare del loro oratorio. Non capivo più se era un segno buono di apertura ecumenica o un segno di disgregazione del francescanesimo.

Questioni di obbedienza poi, ai loro superiori, per la diversità di religione freddarono, impedirono, di continuare quella simpatica fratellanza tra noi. Ne è rimasto solo un gran bel ricordo. Avevo veramente incontrato l'anima di Santa Chiara . Non ho alcun dubbio.

Questo incontro non era certo dovuto al caso; suppongo che era già prestabilito per farmi incontrare il "portatore" di simbolo, e tutto è avvenuto, come al solito, a mia insaputa. Ed io dovevo saperlo riconoscere.

 

Nell'ottobre '87 feci conoscenza di alcuni giovani della Comunità laica di S. Egidio a Roma, uniti nell'amore fraterno cristiano. Hanno impugnato il cattolicesimo da laici e si incontrano ogni sera nella loro chiesa per cantare insieme le preghiere e commentare il Vangelo.

La loro attività poi è di dedicarsi nel tempo disponibile a una vita di carità verso i bisognosi abbandonati.

Andavo da loro quasi ogni sera, perché le loro preghiere erano stupende e l'ambiente era saturo di vibrazioni e di armonia, che io percepivo intensamente.

Loro sapevano che io ero giuris-davidico ma non esistevano ostacoli perché pregassimo insieme le stesse preghiere.

Fui invitato ad un incontro ecumenico delle varie religioni, ove la preghiera per la pace era alla radice della unione di tutte le religioni. Vorrei fare il nome di Stefano Capparucci uno dei più sinceri che ho conosciuto col quale in uno scambio di visite, facemmo lunga conversazione.

L'anno successivo al ripetersi dell'incontro ecumenico venne invitata anche la signora Elvira la quale dopo aver partecipato volle spiegare in una lettera al capo della comunità che la unione delle religioni non poteva avvenire perché ancora non era stata riconosciuta dal Vaticano, l'Opera di David Lazzaretti, che aveva emanato l'unica legge, per l'unico ovile. Dopo il loro riserbo contenuto, e la mancata risposta da parte dei superiori ecclesiastici, abbiamo ricevuto l'ordine dal Cielo di non frequentarli più.

Ne è rimasto il ricordo di una bella gioventù, risvegliata nella fede evangelica e nell'intendimento migliore dell'amore fraterno, frenata nei nostri confronti dalla politica dei superiori o dal loro vescovo. Ma è continuato il ripetersi delle telefonate di Stefano che ci ha seguito con sincerità.

 

Risurrezione significa promozione. Il genere umano nelle sue varie reincarnazioni doveva crescere forte ed armonioso fino a divenire adulto, per arrivare al traguardo della maturità, cioè alla promozione.

Per una grave deviazione che ha portato lo scompiglio tra gli uomini, chiamata "prevaricazione degli angeli" non tutti i corpi terrestri furono guidati dalla parte angelica agnellina e i più numerosi si lasciarono guidare dalla bestia dragona, negativa e ribelle.

Oggi nel 1990 i corpi guidati dalla parte agnellina, dopo secoli di insegnamenti e di lotte di affermazione, sono arrivati a quel traguardo chiamato "Risurrezione".

Questa risurrezione non poteva pioverci dal Cielo da sola, come molti credono, oppure esserci regalata, ma dovevamo meritarcela ed essere proprio noi umani a conquistarcela. Poi, come accade quando dei "pionieri" aprono una nuova strada, oppure quando maturano una grande scoperta, viene aperto un varco e tutti gli altri ne possono beneficiare.

La parola: risurrezione ricorre spesso nelle profezie del Vangelo e dello Antico Testamento, ma per quanto si possa essere dotti e studiosi, nessuno è stato in grado di inquadrare bene, in cosa consistesse, anzi la risurrezione veniva associata col giorno del giudizio universale o con la trasformazione eterica dei corpi fisici.

Ma erano soltanto congetture.

Cercherò qui di raccontare la mia esperienza vissuta e come io mi sia trovato a prendere parte (come collaboratore e protagonista) a questa grande prova, che ha colto di sorpresa anche gli stessi esecutori, al di là d'ogni previsione, perché la "incisione" della "risurrezione" è già avvenuta e si è svolta dal giorno 7 al 10 febbraio 1990, senza che visibilmente nessuno se ne sia accorto. Se ne vedranno gli effetti in seguito.

Per questa prova di maturità occorrevano due corpi, due "pionieri": uno femminile ed uno maschile, resi docili dalla maturazione interiore e capaci per la loro intuizione, tali da operare in obbedienza al proprio "spirito guida", col quale ognuno è collegato.

Questi due corpi fisici hanno superato la prova con successo e sono stati: la signora Elvira (la mia maestra) ed io: l'allievo, per la parte umana maschile evoluta.

Ambedue abbiamo eseguito obbedienti e risposto inconsciamente al compito prestabilito dal Cielo, e vi siamo riusciti perfettamente. E tutto questo doveva accadere nella data prestabilita (da noi ignorata, ma profetizzata: "a febbraio! Cosa c'è in quel mese? Lo capirai!") in un gioco a incastro che i corpi stessi obbedienti non conoscevano.

Ecco! Ancora un attimo ed il gioco, riuscito in tutte le sue parti, diverrà noto.

Un esame di maturità si svolge in pochi giorni, ma ha bisogno di molti anni di lenta preparazione per farsi trovare pronti, specie quando può arrivare di sorpresa, imprevisto e senza preavviso.

Ogni creatura umana, vivente o trapassata, è stata giudicata ed è risultata promossa o bocciata, con una votazione, ivi compresi gli esami di riparazione, in prove successive, e con grande giustizia.

Il gioco della vita lo dovevamo scoprire da noi. Consiste nel superamento dei poteri dei vari minerali, (di cui è composto il corpo fisico), e che inducono all'errore e al disordine. Dobbiamo saperli dominare conducendo il proprio corpo ad opporsi al male, verso un comportamento sociale armonioso, che dobbiamo intuire.

Ma tutto questo avrebbe bisogno di una spiegazione più ampia.

Torniamo al racconto dei fatti sulla "risurrezione umana" incisa spiritualmente dal 7 al 10 febbraio '90. È stato difficile per me capire cosa sia avvenuto, ed ora ancora più difficile esporlo chiaramente a coloro che poco sono abituati a questo genere di esperienze.

Tutto si è svolto nella abitazione della signora Elvira, la quale, con i suoi 80 anni compiuti, sta attraversando un periodo di grande stanchezza per varie ragioni, sia familiari sia spirituali, presa da un forte fuoco spirituale, ed è costretta a trascorrere molte ore del giorno, sul suo letto.

Sono stati quattro giorni di "prove", sostenute spiritualmente, delle quali i corpi fisici che vi hanno partecipato, non sempre erano al corrente "di cosa accadesse" e ne venivano informati in fase successiva.

La prova più forte l'ha sostenuta nel giorno mercoledì 7 febbraio, culminata alle ore 11 del mattino. Rappresentando essa la "nuova Terra" ha dovuto sostenere "l'asse terrestre" misurandosi col pianeta e minerale "Mercurio", aiutata dalle forze spirituali angeliche.

Poi nella notte tra il 7 e l'8 è avvenuta la chiusura della "Vecchia Terra" e la signora Elvira, attraverso una visione, ha veduto la "chiave d'argento" della sua riuscita vittoria.

Anche il giorno 8 è stato difficile per la resistenza fisica della salute di Elvira. Il suo corpo estenuato, logoro, poteva anche non farcela ed io nell'assisterla ho cercato di darle energia, tenendo le mie mani congiunte alle sue.

Con la mia presenza vicino a lei facevo anche io la mia parte di polo maschile.

Alla sera aveva anche la febbre ed io le ho preparato l'infuso di erba "Bardana".

La "nuova Terra" rappresentata da due sole persone stava sfidando la massa umana involuta. Il fuoco spirituale che Elvira riceve ogni giorno, le proviene dalla massa umana che si sta trasformando.

Il giorno 9 alle ore 11 di mattina vi è stata la prova decisiva.

Verso quell'ora stavamo parlando di infuso di "biancospino" e di "bardana" che io le avevo preparato per aiutarla, e lei mi disse che il secondo le aveva giovato più del primo. Cosicché io mi metto a pensare quale significato potesse avere la "bardana" ed ho intuito che significava: "alabarda" con i suoi tre taglienti: spuntone a doppio filo, scure e crocco uncinato.

Verso mezzogiorno la signora Elvira vede entrare nella sua stanza il Cristo Re che ci benedice, senza che io lo possa vedere.

Alle ore 16 la voce che guida Elvira le ha comunicato che avevamo vinto la "Vecchia Terra" con i suoi 4 Regni ed il più difficoltoso è stato il Regno Vegetale con la pianta "bardana" negativa, che noi avevamo superata: sia bevendola lei, sia scoprendone io il simbolo "alabarda", in quel giorno di esame.

La conclusione della nostra "prova" doveva però avvenire il giorno dopo, sabato 10 febbraio alle ore 11, chiudendosi con Saturno il ciclo umano con la nostra "incisione" della "risurrezione".

A seguito di questo superamento spirituale il Centro Cosmico Universale, riunito in Consiglio, ha stabilito che l'"Onda Cristica" venga confermata sul pianeta Terra ed anche il "Trionfo Cristico", e ha aggiunto che il giorno 10 febbraio è stato "un giorno affermativo e confermativo della chiusura dell'Opera Creativa Terrestre".

Abbiamo pregato e poi ringraziato le 3 Potenze del Cielo che ci hanno guidato e aiutato nei movimenti di azione spirituale e poi abbiamo brindato al trionfo Cristico e al trionfo della Regina dell'Universo, alla presenza di una quarantina di personaggi cosmici, che la signora Elvira vedeva, ma io no.

Si è concluso con la visione ricevuta da Elvira: un grande arcobaleno col segno  mentre la voce della sua guida le diceva: "Non si poteva chiudere la "Risurrezione" se non si "incideva" sul piano fisico, e se non si realizzava una coppia uomo-donna completo".

 

Lettera al direttore di un giornale (Aprile '90)

Caro direttore, ho letto la sua interessante proposta di aderire ad una convergenza di animi, disposti a salvare l'umanità in tutto il mondo, che sta precipitando nel baratro della "autodistruzione".

Ed eccomi pronto a raccogliere il suo invito ad accettare, per rendermi utile, sempre, ovunque ci sia necessità di operare il bene sociale.

Sono quattro decenni che mi dedico a questo, per aprire i sentieri della solidarietà e fratellanza cristiana, ma ho constatato che gli animi sono pieni di diffidenza, di sospetto, di rivalità, da superare per poterli unire nella concordia e si dovrà cominciare dapprima a cambiare gli uomini, attraverso una scuola formativa di comportamento, i cui risultati si potranno raggiungere lentamente di generazione in generazione.

Il nucleo dei "probi viri" da lei propugnato è cosa ottima, e si fa presto a raccoglierlo, come pure i mezzi economici organizzativi non sarà difficile procurarli, ma il problema più arduo rimane quello di riformare il cuore degli uomini che si è inaridito, perché essi ignorano la fiducia in Dio e non osservano le sue leggi divine, che sono di ordine sociale.

Occorre liberare l'uomo dal materialismo, cioè andare controcorrente con abnegazione, distaccarsi dagli interessi materiali e puntando verso gli interessi spirituali, che sono ben più validi e duraturi.

Chiamare a raccolta i benpensanti di qualsiasi nazione per spegnere l'incendio del mondo, potrebbe sembrare possibile davanti al pericolo che incombe, ma senza l'aiuto di Dio potremmo fare ben poco. È a lui che dobbiamo rivolgerei obbedendo alle sue leggi di giustizia e di amore fraterno.

Di fronte ai problemi collettivi, non è tanto la lotta tra gruppi di religioni diverse, in concorrenza fra loro, che preoccupa o che danneggia l'umanità, quanto l'ateismo e la miscredenza che dilagano assieme alla più grave indifferenza, dominata solo dalla avidità di ricchezza e dall'egoismo, perché manca loro il freno della legge morale.

Nemmeno i maestri in abito talare, pieni di privilegi, l'hanno saputa insegnare con il loro esempio, abbandonando quel "lievito" che doveva maturarla nel bene. Hanno preferito il "vitello d'oro" alle leggi consegnateci dal profeta Mosè, portando la umanità allo attuale sfacelo.

I segni di ripresa sono sempre più deboli.

A parte questo mio modo di vedere, eccomi pronto!

 

Qui termina il libro, ma non la mia vita. Mi fermo solo per prendere nuove energie, perché forse mi attende dell'altro cammino.

 

 

 

 

 

 

 

 

15 - Inno alla Regina delle Vittorie

 

 

 

 

 

 


Salve o madre di Vittoria

Figlia altissima di Dio

Questo popol santo e pio

Pien di fe' ricorre a Te.

 

         Tu Regina della Terra

         Tu del Cielo Imperatrice

         Pel Tuo amor tutta felice

         Diverrà l'umanità.

 

La vittoria che speriamo

Riportare sopra gli empii

Sarà tal che ai nuovi tempi

Farà epoca di onor.

 

         Col trionfo della Chiesa

         Porteremo tal vittoria

         Che sarà un'eterna gloria

         Dell'immenso Tuo poter.

 

Tutti i popoli e nazioni

Ed i grandi potentati

Riverenti al suol prostrati

Cercheran Tua protezion.

 

         Tu benigna, Tu clemente

         Volgerai pietosa il ciglio

         A ogni Tuo umiliato figlio

         Nell'affetto del tuo cuor.

 

Tu per tutti sei la Madre

Di sollievo e di conforto

E Tu sei sicuro porto

Fida scorta d'ogni ben.

 

         Tu per noi sei quella Stella

         Che brillante sul mattino

         Ci dirigi nel cammino

         Della gloria del Signor.

 

Tu Maria sei consigliera

Mediatrice a tanti scempi

Ami i giusti, ami gli empi

Perché Madre sei d'amore.

 

         Per le Tue virtù infinite

         Ciascun'anima creata

         Al Tuo amor viene trasportata

         Per effetto Arcano in cuor.

 

Non si può volendo, o Madre,

Viver lungi dal Tuo amore

Tu sei face d'ogni cuore

Che desidera il vero ben.

 

         O, Maria, l'Eterno Iddio

         Ti fe' Madre di Vittoria

         E Regina d'ogni gloria

         come in Cielo, in Terra ancor


 

DAVID LAZZARETTI

 

 

Periodico: "LA TORRE DAVIDICA" - Via Tevere, 21 - Tel. (06) 84.53.840 - Maggio 1990

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Corpo Mistico Cristico

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota Biografica

 

Leone GRAZIANI, figlio di un fabbricante di candele da chiesa, ceri, steariche e lumini, è nato a Roma nel 1918 da famiglia livornese. Nella casa paterna a Livorno è rimasto fino al servizio militare compiendo, gli studi e laureandosi ingegnere meccanico presso l'università di Pisa.

Prima dei 18 anni è vissuto senza alcuna religione, per decisione presa dai genitori, quasi atei, che avendo origini di fede differenti, non vollero imporre ai 3 figli nessun credo, lasciandoli liberi di scegliere da grandi e privandoli per questo di ogni dottrina.

A 18 anni si è battezzato cattolico e a 25 anni si è sposato nel rito cattolico. Dal matrimonio ha ricevuto un figlio.

Ha superato il periodo di guerra nel servizio militare come ufficiale di artiglieria alpina a Belluno, passando poi nell'industria areonautica a Marina di Pisa, come ingegnere industriale. Per altri 40 anni ha proseguito il lavoro in diverse industrie fino al raggiungimenti della pensione.

Il matrimonio non è durato a lungo. Dopo 11 anni si è separato e divorziato dalla moglie, e ha cercato nella religione il rifugio e il per che del suo fallimento coniugale.

A 36 anni si è battezzato col fuoco e consacrato sacerdote nella religione cristiana giuris-davidica, fondata nell'Amiata da David Lazzaretti nel 1868-78, militando in questa nuova chiesa, collaborando per l'affermazione del suo credo e dando uno scopo alla sua vita, in unione ad Elvira Giro, rappresentante del Verbo Madre.

Nel 1964 ha pubblicato un libro: Studio Bibliografico su David Lazzaretti. Attualmente da pensionato si dedica a ricerche spirituali oltre che al professare la sua fede giuris-davidica.