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Preghiere di Germana Resch

     
     

Germana Resch 

(Basilea, 22 Settembre 1883 - Vicoforte-Fiamenga, 27 Aprile 1934)

 

Una donna tutta di Dio

 

(don Franco Locci)

 

 

PREFAZIONE

 

     Scrivo una nota introduttiva nella mattina stessa di Pentecoste. Non credo che questo sia fortuito. Di fronte ai doni e alle opere di Dio, e Germana Resch é tale, c'é sempre la necessità di avvicinarsi in modo sommesso, buono, disponibile per poter comprendere, senza sovrapporre pensieri nostri, esigenze nostre, desideri nostri. E Pentecoste é il giorno più adatto per riannunciare con semplicità e chiarezza l'azione dello Spirito.

    

     La "piccola" vita di Germana Resch ha un unico centro: Gesù, il Signore. Quasi presa per mano, dotata umanamente di soavità fisico-psichica, di dedizione, di attenzione duttile al bene e alla condivisione, é stata una figliola pronta al cammino della fede, anche con doni eccezionali nel rapporto fondativo: quello di ogni persona con Gesù, il Signore Dio, che ha rivelato nella sua storia personale il divino disegno del Padre sull'umanità e su ogni persona umana, e l'azione dello Spirito, che permette anche a Germana Resch di proclamare sempre  più intensamente: "Gesù é il Signore" (1Corinzi 12,3).

    

     Con questo centro, concretamente riconosciuto, adorato e amato nell'Eucaristia, si possono individuare anche quattro punti cardinali:

     Le esperienze "mistiche" di Germana Resch fanno parte di quel rapporto unico e irripetibile che Gesù fa vivere ad ogni credente che pone Lui al primo posto e accetta di essere da Lui accompagnato nel cammino della vita, che diviene così davvero " la strada del Signore".

 

     La vita di Germana, raccontata con sobrietà e con linguaggio fluente, ne siamo grati all'autore, ci ripropone la grande possibilità di non vivere invano i nostri giorni e di poter avere, nella nostra Chiesa Monregalese e nelle strade di tutto il mondo, una compagna di viaggio che ci riveli il valore di ogni piccolo gesto e pensiero d'amore e che ci doni la possibilità di dare il valore che ha il soffrire, come e con Gesù di Nazareth, il Signore.

 

      E tutto appare di nuovo meraviglioso.

 

                                                                                                   Pentecoste 2003

                                                                                                  + Luciano Pacomio

                                                                                                  Vescovo di Mondovì

 

 

 

UN INCONTRO E UN SALUTO

 

Una sera, sul finire dell’ottobre 1902, mentre i primi freddi pongono decisamente fine ai miti tepori di un colorato autunno, a Basilea, alla porta dei Padri della Missione, due donne, madre e figlia bussano e chiedono di parlare con il Superiore, Padre Bottassi.

Le due sono conosciute in quella casa: hanno più volte aderito alle iniziative dei missionari e sovente, anche con il resto della famiglia, hanno partecipato alle loro celebrazioni.

Le due donne sono madre e figlia. La madre, lo si vede dal suo portamento anche se i vestiti sono curati ma umili, è certamente di famiglia di origini distinte, la figlia di 19 anni è una bella ragazza, alta, sottile, dai lineamenti delicati, occhi di un limpido azzurro in cui ci si può rispecchiare, sguardo assorto. Anche lei porta vesti indossate con molta proprietà, ma semplici, senza orpelli di sorta.

Quando nel piccolo parlatorio entra don Bottassi, la madre, la signora Resh, prende la mano del missionario e la bacia.

“Sono venuta con Germana perché vuole salutarvi prima di partire” – dice, e nella sua voce si sente una profonda nostalgia.

Germana alza gli occhi sorridenti per fissare il suo sguardo negli occhi del missionario.

“Finalmente i miei genitori hanno acconsentito al mio desiderio. Posso partire come novizia per la clausura presso le suore domenicane di Saint Nicholas–Etrepagny”

“E’ sempre stato il tuo desiderio e il tuo sogno, Germana, e poi quelle suore le conosci bene perché sei già stata nel loro educandato, anzi, già tre anni fa tu avresti voluto fermarti con loro, ma, giustamente, i tuoi hanno preferito che fossi più adulta e più consapevole per una scelta del genere”

A questo punto interviene la madre:

“Vede, don Bottassi, il permesso per entrare in convento, suo padre ed io, glielo abbiamo dato con difficoltà, non tanto perché non crediamo alla sua vocazione, questa ci sembra evidente, quanto perché Germana ha così poca saluta e noi abbiamo paura che non regga ad una vita così dura… e poi il distacco… e poi, Germana è la maggiore e avrebbe potuto essere utile alla sua famiglia e anche a tanti poveri che ha sempre amato”.

“Signora Resc, lei e suo marito siete persone di fede. Abbandonarsi nella mani del Signore, cercare di capire e di fare la sua volontà, è questo che deve darci animo. Siamo tutti davvero in buone mani, se ci fidiamo di Lui e la Provvidenza non abbandonerà né voi né Germana”.

Poi, don Bottassi, rivolgendosi a Germana le disse:

“Io lo so che la tua non è una fuga e neppure un ghiribizzo, la tua è una chiamata: tu vuoi amare il Signore con tutta te stessa. Guarda, proprio in questi giorni è giunto un missionario nuovo, viene dalle mie parti. E’ anche lui molto giovane, ha 26 anni, anche lui non ha molta salute, ma in quanto a zelo! E’ venuto per seguire il gruppo delle Figlie di Maria e in questo campo non ha ancora molta esperienza, ma sono sicuro che ce la metterà tutta, è ‘un piccolo San Luigi’. Voglio presentartelo. La tua persona e la tua scelta certamente lo incoraggeranno e tu avrai un ricordo indelebile di qualcuno che, come te, si è totalmente consacrato al Signore”.

Poi, rivolgendosi nuovamente alla mamma aggiunse:

“Mi sembra giusto presentarlo anche a lei. Voi che restate e soprattutto gli altri vostri figli potranno avere in lui un punto di riferimento sicuro”

Suono un campanellino e ad un inserviente accorso disse:

“Per favore, mi chiami Padre Ferreri, deve essere in camera sua”.

Sembra un incontro fortuito quello tra una aspirante monaca e un prete che vuol fare il missionario, è invece la Provvidenza di Dio che incomincia a tessere una storia dove i personaggi non riusciranno a fare quanto era direttamente nei loro propositi ma, lasciandosi guidare da Dio, realizzeranno un progetto di amore da lui voluto.

L’incontro tra Germana e don Stefano rimase nel cuore di entrambi. Germana aveva visto in lui, l’uomo innamorato di Dio, suo ministro desideroso di servirlo nei fratelli, uomo di preghiera, profondo nei suoi pensieri: ecco colui al quale avrebbe affidato volentieri la propria anima, sicura che egli l’avrebbe guidata con serietà e amore.

Don Ferreri, da parte sua, rimase colpito da questa ragazza che, anche nel suo gestire e parlare, lasciava trasparire la squisitezza di un’anima profonda, totalmente dedicata a Dio, capace di grandi scelte e di grandi sofferenze per Lui e per i fratelli.

Si salutarono, si confortarono vicendevolmente nei rispettivi cammini, promisero di rimanere uniti nel ricordo vicendevole della preghiera e don Ferreri assicurò a Germana e a sua madre che non avrebbe dimenticato la loro famiglia. Poi don Ferreri fece un piccolo gesto che rimase però impresso nel cuore di Germana  al punto che anche lei spesso, molti anni dopo lo userà con le sue consorelle, le fece un piccolo segno di croce sulla fronte, segno di benedizione e di affidamento totale al Cristo.

Due strade che sembravano dividersi per sempre e che nella volontà di Dio diventeranno un unico cammino.

 

 

LA FAMIGLIA DI GERMANA

 

Germana era nata a Basilea il 22 settembre 1883. Era figlia di Germain Resh che, originario francese, lavorava a Basilea come impiegato ed aveva conservato per sé e per la sua famiglia la cittadinanza francese. La mamma si chiamava Marie Zwingelstei, donna distinta e decisa, capace nel condurre seriamente la propria famiglia.

Germana è la prima figlia ad allietare questa giovane coppia. Dopo di lei seguiranno altri cinque figli, due ragazzi Germain e Jean e tre ragazze Jeanne, Cecile e Mary

Anche solo guardando i nomi scelti per i due primogeniti, Germana e Germano, ci rendiamo subito conto che ci troviamo in una famiglia dove domina la figura del Padre, Germain.

Entrambi i coniugi erano cattolicissimi, osservanti scrupolosi di ogni norma religiosa, devoti secondo la religiosità tipica del loro tempo dove erano molto sottolineati i valori del sacrificio, dell’obbedienza assoluta fino alla piccole norme, della figura di un Dio Padre ma a seconda delle caratteristiche dei padri delle famiglie patriarcali.

Non che in casa Resch ci fosse tristezza, Germana stessa nelle sue lettere ricorderà con tanta nostalgia la gioia familiare di certi Natali in cui dopo la partecipazione alle funzioni religiose esplodeva una festa serena fatta di doni, di canti e di banchetti, certamente le norme erano ben chiare ed andavano rispettate con molta rigidezza.

Il padre era di una onestà a tutta prova, attento sempre alle più piccole cose. Germana racconta che, essendo egli impiegato e dovendo scrivere in continuazione, ad ogni sosta, nettava accuratamente il pennino per non doverlo cambiare sovente e recare quindi un danno economico ai suoi padroni.

Essendo la maggiore, Germana fu educata in maniera ancora più severa dei suoi fratelli. La madre infatti la voleva sua stretta collaboratrice nella cura della casa e nella educazione degli altri figli.

Tutto questo ambiente, dove da una parte scorre amore in abbondanza e dall’altra una religiosità severa influiranno nelle scelte e nella formazione di Germana. Anche la vita della Chiesa di quei tempi ed in particolare in quei luoghi era soprattutto presentata negli aspetti dell’amore a Gesù, un amore spesso intimistico, nella osservanza delle tante norme della chiesa, in una visione giansenistica del mistero di Dio, in una contrapposizione di norme serie e nette anche per distinguersi dai molti protestanti. La città di Basilea contava poi circa 100 mila abitanti e molte erano le nazionalità rappresentate, svizzeri, francesi, tedeschi, e molti italiani venuti in cerca di lavoro. Anche dagli scritti di don Ferreri comprendiamo che molti di questi si erano allontanati dalla religione, c’erano parecchi casi di bambini e di adulti non battezzati. Alla Chiesa sembrava dunque necessario presentarsi con un volto di madre attenta specialmente nella carità alle povertà dei suoi figli, ma nello stesso tempo anche attenta a non farsi contaminare dalla mentalità del mondo e ferma nel presentare il mistero di Dio nei suoi dogmi e una vita morale e religiosa ben regolata da norme precise.

Un’altra esperienza che segnò profondamente la vita di Germana fu la sofferenza.

Questa entrò prepotentemente nella sua vita fin da piccina. Ebbe dei gravi problemi ai denti per cui, quasi quotidianamente, attraverso aghi sottilissimi, in una operazione dolorosissima, il dentista doveva arrivare all’alveolo di essi, per estrarre il pus che continuamente si formava. Una volta, per disgrazia i suoi fratellini le fecero cadere in viso del materiale incandescente che rischiò di lasciarla deturpata. Aveva soli tre anni quando provò con la sua famiglia lo strazio della morte di un fratellino. Raccontano che le bimba si stese accanto a lui e che volesse anch’essa “andare con lui”. Quando era fanciulla poi, la madre si ammalò gravemente e Germana fu vicina alla sofferenza della madre  con la paura di perderla.

Tutte queste sofferenze materiali e morali segnarono la ragazza. Essa, però, le viveva con amore, sentendo in questo modo di potersi unire maggiormente alle sofferenze della passione di Gesù, e di aver così motivo anche lei di poter offrire qualcosa per la salvezza dei fratelli. Germana infatti, prima in famiglia, poi frequentando il catechismo si prepara a ricevere la prima Comunione (notiamo che la riceverà a 13 anni e questo non certo perché non fosse preparata a riceverla prima, ma proprio per la mentalità corrente che ritardava l’età dei sacramenti per paura che i bambini non fossero in grado di capirli).

E’ questo un periodo molto bello della sua vita, Germana non solo si prepara imparando i fondamenti della propria fede, ma sente la presenza concreta di Gesù nel suo cuore, gli parla come all’amico più caro, ascolta ciò che Gesù le dice.

Già nel Natale 1893 – è il racconto che Germana stessa ne farà su espressa richiesta del suo Padre Spirituale – dopo la Messa era andata in estasi, aveva visto la Trinità e Gesù le aveva parlato dicendole che l’aveva fatta sua per sempre.

Queste esperienze mistiche si ripetono proprio in occasione della Prima Comunione. Fra l’anima di Germana e quella di Gesù esiste una unione tale al punto che è Gesù stesso a dirigere Germana e lei sente nel suo corpo le gioie e i dolori del suo Salvatore.

Il 19 aprile 1896 nella Chiesa di santa Chiara di Basilea, Germana riceve Gesù per la prima volta. Come scrive don Ferreri riportando le sue confidenze: “Tutto il giorno Germana è continuamente rallegrata dalla visita di Gesù, il quale la assicura prima della funzione, che sta per venire nel suo cuore, da cui non si separerà mai più”.

Da quel giorno il suo amore a Gesù Eucaristia cresce a dismisura. Germana vorrebbe ricevere l’Eucaristia quotidianamente, ma sua padre, da uomo scrupoloso, fedele agli insegnamenti dei suoi tempi, non essendoci ancora istruzioni precise della Chiesa sulla Comunione frequente, per paura che i figli abusassero di questo dono e, nel caso di Germana anche per motivo della sua salute, per evitarle digiuni e risvegli mattutini, li invitava a comunicarsi solo raramente. Racconta allora Germana di una sua disobbedienza a suo padre per amore di Gesù Eucaristico: spesso si alzava cheta cheta  per non svegliare la sorellina Giovanna che dormiva con lei, per recarsi di nascosto alla prima Messa, alla chiesa della missione e ritornare poi mentre ancora tutti dormivano e rimettersi a letto, fingendo di svegliarsi con tutti gli altri.

Essendo stata sua madre educata presso le suore domenicane di Saint Nicholas, Germana, a sua volta, fu indirizzata presso di loro per la sua formazione. Qui crebbe ancora più forte il suo amore per Gesù e il desiderio di consacrarsi a Lui nella vita di clausura. Quando in occasione di un suo rientro a casa per festeggiare la Prima Comunione di una sorella, espresse questo desiderio, trovò l’opposizione dei genitori, dato che aveva solo 15 anni.

 

 

IN CONVENTO

 

Ora che ha 19 anni e che ha avuto, anche se un po’ a malincuore, il permesso dei suoi genitori e che è giunto il momento di entrare in Noviziato, Germana è attraversata da sentimenti diversi:

“Gesù, sono felice. Finalmente posso dedicarmi tutta a te, nel nascondimento, nell’umiltà, nell’offrirti la mia povera vita, ma sento anche il dolore e la sofferenza di questa separazione dalla mia famiglia e anche quanto questo costi a loro…” ma poi aggiunge: “Gesù è per te questo fiore che ti offro sorridendo, perché il taglio della separazione dei genitori mi è causa di angoscia profonda”.

La casa e l’ordine che la accolgono sono austere, ma anche serene, in essa si respira un clima di preghiera e di gioia intima. Germana, desiderosa di compiacere in tutto Gesù, si sente a suo agio in questo ambiente.

Viene presto anche il giorno di fare la conoscenza con il Confessore di questa comunità.

Germana desidera trovare qualcuno che non solo le dia il Sacramento del perdono ma la consigli, la illumini, la guidi. Si inginocchia, chiede perdono, si presenta e chiede aiuto al sacerdote. Chissà quale stupore l’avrà colpita quando sente il confessore dirle: “Oh, siete voi l’anima che il Signore mi ha fatto sentire che mi avrebbe affidata?”

Germana si confida:

“Il Signore mi vuol bene e io voglio bene a Lui, voglio essere un cuor solo e un’anima sola con Lui. Sento la gioia del suo amore ma anche tutte le pene che affliggono il suo cuore. Sento le sofferenze della sua passione e con le mie sofferenze vorrei riparare alle offese e ingratitudini che con il peccato gli vengono fatte”

Il sacerdote, colpito da questa anima eletta, permette a Germana di imporsi anche gravi pene corporali. Per fortuna, la Madre Superiora, molto più equilibrata, ridusse di molto queste penitenze che Germana, per amore, avrebbe aggiunto a quelle che già naturalmente incombevano sul suo gracile stato di salute.

Da poco iniziato il Noviziato, Germana deve mettersi a letto per tutti i mesi invernali. Il suo stomaco è debole, non riesce a trattenere il cibo. Le sue consorelle vedendo la sua debolezza e il suo mangiar così poco, insistono. Le portano dei grandi porri che lei non sopporta ma che si sforza di ingoiare per obbedienza, ma questi sforzi non fanno che peggiorare la situazione. Intanto una mano si rattrappisce, non riesce più a muoverla o a tenere qualcosa e le sparisce anche la voce.

Vengono chiamati dei medici che sono concordi nella loro diagnosi: Germana rischia di morire. Dovrebbe cambiar aria e genere di vita. Le suore, conoscendo la sua volontà, il valore e la bontà di Germana, pur essendo solo novizia, la terrebbero volentieri in convento, ma interpellano il padre di Germana e lasciano a lui l’ultima decisione.

Papà Resch decide di seguire il consiglio dei medici e di riportarsi a casa Germana.

Era stato un sogno quello di Germana? Eppure Gesù sembrava averla chiamata a quella vita di consacrazione totale, una vita da lei scelta, gradita, ricercata… Come mai allora succede questo? Alle sofferenze fisiche di chi voleva offrirsi vittima per amore di Gesù si aggiunge anche questa sofferenza morale, il non riuscire a capire il perché e a vedere quale sia la strada indicata da Gesù.

Ma i piani di Dio, anche se misteriosi, hanno sempre un motivo e questo poco per volta si rivelerà a Germana.

 

 

RITORNO IN FAMIGLIA

 

Dal giorno in cui Mamma Resch e Germana erano andate alla Missione per salutare don Bottassi ed era stato loro presentato il padre Stefano Ferreri, questi, fedele alle promesse fatte alla signora Resch, si era recato più volte nella loro casa ed era nato così un profondo rapporto tra lui e tutti i membri di quella famiglia. Le ragazze: Cecil, Giovanna e Mary trovano nel missionario una guida spirituale preziosa e i due fratellini German e Jean sono felici di vedere questo bravo prete anche perché spesso dalle sue tasche escono meravigliose arance che alcuni amici gli mandano  dalla Liguria e che riempiono di luce gioiosa gli occhi dei due ragazzini..

Quando Germana, malata, rientra dal convento è proprio don Ferreri ad accoglierla, a seguirla spiritualmente, a portarle quotidianamente la Comunione.

Il Padre cercherà di aiutarla a capire la volontà di Dio:

“E’ Gesù che ti ha chiamata al convento, ed è sempre Gesù che ti ha fatta tornare qui. E la sua volontà è sempre santa ed adorabile. Gesù vorrà qualcosa da te. Chiedigli di fartelo capire. Io cercherò di aiutarti dicendoti tutto quello che Egli mi farà capire giusto dirti”.

Il rapporto tra Germana e don Ferreri, col passar dei giorni, si approfondisce. Entrambi scoprono che se Dio li ha fatti incontrare è perché hanno bisogno l’uno dell’altra. Germana sostiene soprattutto con la preghiere e il sacrificio offerto, la missione di Padre Stefano, e don Ferreri diventa il padre Spirituale equilibrato e profondo, capace di comprendere e indirizzare un’anima mistica come quella di Germana. Infatti aprendosi al sacerdote, Germana rivela il suo cuore e i doni meravigliosi che il Signore le ha fatto. C’è un profondo rispetto vicendevole, una meraviglia continua per la scoperta dell’amore che Dio ha per ciascuno, un rispetto totale delle reciproche vocazioni, un sentimento di delicatezza e di rispetto  nei confronti delle esperienze che ciascuno dei due vive.

Non sempre potranno vedersi di persona anche perché i molteplici impegni del missionario lo porteranno spesso lontano da Basilea. Inizia allora fra i due una corrispondenza che don Ferreri, su suggerimento del suo Padre Spirituale, conserverà e che permette a noi, oggi, di avvicinarci a queste due belle anime totalmente innamorate di Dio.

Credo che questo rapporto di amicizia vera tra un sacerdote e una ragazza che vuol scoprire la sua strada di consacrazione a Dio sia uno dei doni maggiori che questi due personaggi offrono al mondo di  oggi. E’ possibile volersi bene spiritualmente. E’ possibile aiutare i sacerdoti, sostenerli nel loro ministero, è bello poter insieme ricercare i propri cammini individuali di fede. Tutto questo è possibile se lo si fa nell’amore di Gesù.

La salute di Germana stenta riprendersi anzi, ci sono momenti in cui peggiora. I medici pensano addirittura ad una qualche operazione chirurgica.

Mamma Resch è sconsolata nel vedere le tante sofferenze della figlia e scrive a Don Ferreri. La risposta di don Stefano è illuminante sul fatto che questo giovane sacerdote (ha appena 27 anni) sia riuscito a conoscere così bene il cuore di Germana. Scrive così:

“L’anima di Germana è un’anima che passa sulla terra senza toccarla! Vive nel mondo senza conoscerlo; scese dal cielo con la missione di attirare la Misericordia sui poveri peccatori.

E’ come una visione di paradiso che addolcisce un po’ il triste pellegrinaggio della vita umana; per questo vive di cielo ove sono tutti i suoi desideri, tutte le sue aspirazioni, ove sono diretti gli slanci del cuore. La morte per essa sarebbe il compimento dei suoi voti; per questo non può vivere in questo mondo, vi si trova in uno stato violento, ben più penoso che la morte.

Gesù è morto di amore per le creature, ed essa muore d’amore per Lui. Il suo allontanamento dal convento è una prova dell’amore immenso di Gesù Cristo per la sua anima ed è un mezzo che la renderà più simile al divino Fidanzato. So bene che avrà delle agonie sanguinose! Ma gli Angeli raccoglieranno con cura le sue lacrime! Il buon Dio ascolterà i sospiri del suo cuore ferito e, dopo il Venerdì santo verrà la risurrezione”.

Brevi miglioramenti e lunghe ricadute, questo è l’altalenarsi della malattia di Germana. Intanto anche un periodo di ristrettezze economiche si è abbattuto sulla famiglia Resch. Tutti cercano di fare qualcosa. Le sorelle di Germana fanno le sarte e anche lei cerca di dare una mano, ma si stanca facilmente e il non poter aiutare come vorrebbe e qualche battuta da parte dei suoi familiari la fanno soffrire particolarmente.

Nell’aprile del 1904 Germana si reca nuovamente a quello che era stato il suo convento a Saint Nicholas, per fermarsi un po’ di tempo, ma Gesù, che spesso le appare, le fa capire che dovrà nuovamente lasciare quelle mura perché la sua missione è un’altra.

Germana torna a Basilea ma con nel cuore una lotta nuova. Le sembra che Gesù le abbia chiesto “se desidera morire il giorno della Ascensione e andare in cielo oppure restare in questo mondo tra grandi sofferenze, tenebre, pene e qualche rara gioia”. Germana ha tempo fino a Natale per decidere e dare una risposta.

Lei vorrebbe andare in cielo per incontrare e stare per sempre con il suo Sposo senza dover più correre il rischio di offenderlo, però pensa anche che la sua sofferenza unita a quella di Gesù potrebbe contribuire a salvare qualche anima.

Germana prega molto, chiede consiglio a don Ferreri e a Natale dice a Gesù Bambino che sceglie di restare per compiere l’opera che Egli le avrebbe affidata e per offrire se stessa come vittima di amore.

Germana racconterà a don Ferreri che Gesù fu estremamente contento della sua scelta e che quello fu per lei un Natale indimenticabile.

Dopo questo breve momento di gioia mistica la malattia e le sofferenze aumentano. Germana continua a deperire. Non riesce a mangiare quasi nulla, al massimo succhia un po’ di carne e di verdura, il suo stomaco non tiene più nulla. Anche i medici, ormai non insistono più per forzarla a mangiare, le suggeriscono, però, di cambiare aria. L’aria dell’Italia potrebbe farle bene. Mamma e papà Resch sono poco convinti ed hanno anche seri problemi economici, ma davanti a Germana che sembra lentamente spegnersi, si decidono. Alla missione hanno conosciuto le suore Giuseppine che vengono da Cuneo. Chiedono loro di ospitare la figlia.

Intanto don Ferreri, a causa della sua precaria salute era stato mandato dai suoi superiori a casa per un periodo di riposo.

 

 

GERMANA A FIAMENGA

 

Quando nell’agosto 1905 mamma Resch e sua figlia arrivano a Torino, ad accoglierle c’è Maddalena Ferrari che le fa ospitare per qualche giorno presso il figlio Matteo che abitava in città. Ripartono per Cuneo dove però le suore Giuseppine stanno ristrutturando la loro casa per cui non possono ospitare Germana.

Le due Resch si recano a Fiamenga di Vicoforte per un saluto a Don Ferreri ed anche perché desiderano recarsi a visitare e a pregare al Santuario..

La famiglia Ferreri, come è d’uso presso gran parte delle famiglie contadine, offre gioiosa ed ampia ospitalità alle due donne. Lo zio di don Stefano, che era sacerdote anche Lui ed esercitava il suo ministero a Fiamenga, riconoscendo il valore e la fede di Germana, insiste  perché sia ospitata in casa Ferreri, e così succede.

Germana da una parte è felice in quanto può spesso vedere il suo direttore spirituale il quale con molto equilibrio mitiga il suo desiderio, a volte esagerato, di soffrire ma, d’altra parte, presto sente la nostalgia della famiglia e della patria ed anche la convivenza specialmente con Caterina, la sorella di don Ferreri che pur essa ama come una sorella, non è sempre facile.

Germana, già affinata dalla sofferenza fisica e dall’amore di Gesù, pur soffrendo interiormente, sorrideva sempre e pur facendo fatica ad adempiere i suoi compiti, vi era sempre pronta, cercava scusanti per chi aveva un carattere troppo autoritario, preferiva essere sempre la prima a chiedere perdono anche quando erano gli altri ad offenderla.

Quello che sarà una specie di suo motto e un consiglio che darà volentieri a chi la frequenterà e alle sue consorelle: “Cercare di fare in modo perfetto le piccole cose.”, lo metterà in pratica in mille modi.

Quella casa e quel paese diventano poco per volta testimoni della sua carità, della semplicità e delicatezza del suo comportarsi, del suo lavoro umile e della sua preghiera ed anche se lei cercherà di tenerli nascosti, dei suoi fenomeni mistici.

Ecco una testimonianza del fratello di don Ferreri, il dottor Giovanni:

“Un mattino verso le 10, fui chiamato da mio fratello don Ferreri che mi disse: "Ti ho chiamato per farti assistere ad uno spettacolo che ti farà molto piacere", e mi introdusse nella camera ove Germana era ospitata.

Vi era inginocchiata sul nudo pavimento, con le braccia incrociate sul petto, in atto di preghiera. La sua fisionomia trasfigurata, il suo volto di intenso colore rosaceo, la mostravano di una bellezza e di una felicità sovraumana impossibile a descriversi. Il sorriso era celestiale ed io confesso che i miei occhi non potevano staccarsi da quella visione di paradiso.

La contemplai a lungo; quindi, per timore di rompere quel meraviglioso incanto, in punta di piedi mi allontanai con l’anima piena di dolcissimo stupore, persuaso che essa era in colloquio con Gesù.

Domandai a mio fratello se quella estasi durasse molto e se si ripeteva spesso. Mi rispose che si manifestava abbastanza sovente quando era in preghiera, che durava alquanto; e che si interrompeva solo se interveniva l’obbedienza del suo padre spirituale.”

Anche Caterina, la sorella di don Ferreri, testimonia fatti mirabili come questo:

“Delle sue estasi, mi accorsi la prima volta dalla  immobilità  della sua persona, nulla altrimenti l’avrebbe fatto notare. Terminava la celebrazione dei vespri, tutti andavamo a casa ed essa restava immobile al suo posto. Le prime volte credetti volesse pregare e non la disturbai, ma una volta, essendo passato molto tempo, cominciai a temere che si sentisse male ed allora la chiamai, la scossi, ed essa mi disse: "E’ cominciata la funzione?" era finita da un pezzo e la gente se ne era già andata via.”

Dal giovedì al venerdì soffriva sempre qualche cosa in unione con Gesù.

E’ ancora il dottor Giovanni Ferreri che ci parla della sofferenza di Germana quando rivive la passione di Gesù:

“Io fui presente negli anni 1910, 1911 e 1912 alle immani sofferenze di Germana, durante la Settimana Santa di ognuno degli anni citati. Soffriva le pene della Passione del Redentore.

Si iniziavano quelle sofferenze nel tardo pomeriggio del Giovedì Santo e duravano, con un crescendo impressionante, fino alle ore 15 del Venerdì santo, quando con un sospiro dava l’impressione di spirare anche lei con il Redentore.

Impossibile descrivere la varie fasi delle sofferenze per cui passava questa santa creatura man mano che si avvicinava l’ora del “tutto è compiuto”. La sua fisionomia sempre dolce, si cambiava in uno specchio palpitante di immenso dolore; il volto emaciato, coperto di sudore andava progressivamente impallidendo; le labbra quasi tumefatte ed arse, davano l’impressione di una persona in coma e in dolosa agonia.

Furono visioni che si impressero indelebilmente nella mente e nel cuore di quanti ebbero la ventura di essere presenti alla sua reale Via Crucis.

Dopo le 15 del Venerdì Santo, rimaneva inerte, come corpo morto, non ricordo per quanto tempo; a poco a poco, in seguito, riprendeva vita. Il suo volto si distendeva, si coloriva e tornava normale, come se nulla fosse avvenuto.

Sono fatti che non si possono dimenticare e che lasciano nell’anima un’impronta profonda e rigeneratrice”.

Anche durante la sua permanenza a Ceva il canonico Torelli e molte suore e fanciulle dell’Ospizio furono testimoni di fatti straordinari e meravigliosi. Ad esempio la vigilia di Pentecoste Germana non si trova. Le suore la cercano dappertutto, poi intuiscono che deve essere in camera. La porta è chiusa, ma le suore per una porticina segreta riescono ad entrare. Germana è in estasi, ma in estasi dolorosa: partecipa all’agonia di Gesù.

Le suore ne sono impressionate, sembra che stia per morire. Ad un tratto, però, si scuote e chiede che le sia portato il Signore. Le viene portato solennemente e Germana si comunica. E’ adesso una nuova estasi, ma di dolcezza e di soavità che si protrae fino a sera. Il canonico Torelli tenta di capire il suo dialogo con Gesù, perché Germana parla ma non riesce ad afferrare che queste parole dette in francese: “Arrivederci Gesù”.

Terminata l’estasi Germana si scuote, scende dal letto e svelta, come se nulla fosse avvenuto dice: “Andiamo in cappella a ringraziare Gesù.

In questo periodo ci fu un’altra sofferenza causata a Germana dalle male lingue che, come succede sempre, godono ad infangare qualunque cosa bella e pulita. Queste persone scatenarono calunnie contro di lei ed il suo Padre spirituale. Essi, sereni, soffrirono in silenzio.

 

 

IL PROGETTO DI GESU’ SU GERMANA

 

Nell’agosto del 1905 Gesù cominciò a rivelare a Germana il suo progetto su di lei, su don Ferreri e su una grande Opera da istituire.

Visto che si parla di rivelazioni dirette di Gesù a Germana, mi sembra sia giusto lasciar parlare proprio lei. Infatti don Ferreri aveva chiesto a Germana di mettere per scritto queste sue esperienze. Certamente sono passati parecchi anni, la mentalità è diversa dalla nostra e non tutto ci può apparire semplice e facilmente comprensibile, ma Gesù parla sempre un linguaggio comprensibile per chi lo ascolta, quindi qui Gesù parla il linguaggio di Germana.

“Gesù mi disse che voleva una Congregazione che fosse completamente libera da ogni pensiero, azione e desiderio di orgoglio. Mi ricordò che nel mondo c’erano tante anime belle che avrebbero  voluto consacrarsi a Lui, ma non avevano il denaro (quello che sarebbe dovuto per costituire la dote richiesta per l’ammissione da molte congregazioni religiose) o non avevano salute (non venivano accettate tra le suore le malate) o avevano oltrepassato una certa età (ed anche l’età era un requisito necessario per entrare a far parte di una congregazione religiosa). Mi disse che avrebbe voluto un opera proprio per non abbandonare queste anime: "E per questo ho scelto te, perché voglio servirmi del nulla perché risplenda la mia potenza".

In un’altra visione mi disse che lo scopo principale dell’Ordine sarebbe stato di dedicarsi ai poveri, curandoli durante le loro malattie, aiutandoli nell’allevare, educare, istruire la famiglia. E’ questa una missione non solamente ripiena di gioia e di soddisfazione, ma che porterà con sé molte pene, noie ed ingratitudini, poiché in questo mondo bisogna lavorare soffrendo per poter fare il bene..

Quest’opera sarà pertanto una Congregazione attiva – contemplativa. I cui soggetti si divideranno in tre categorie: coloro che saranno deboli di salute si dedicheranno alla preghiera, i più robusti ai lavori della casa e alle diverse opere per i poveri, per i bambini e per gli ammalati e la terza categoria sarà di coloro che soffriranno per il bene spirituale della congregazione

Naturalmente il fondamento di quest’opera saranno la povertà, l’obbedienza, l’umiltà, la carità”.

Ma, nonostante queste indicazioni che vengono più volte ripetute, l’opera stenterà a prendere il via e a trovare un suo cammino e una sua identità. Germana stessa sarà duramente tentata dal diavolo ed avrà un periodo in cui crederà addirittura di essere un’illusa. Sarà ancora don Ferreri a rincuorarla come pure Germana continuerà ad invogliare don Stefano nei momenti difficili che anche lui attraverserà.

Il 2 Agosto 1909 succede un altro fatto apparentemente casuale. Al mattino entra al santuario di Vicoforte una signorina che veniva da Sestri Ponente. E’ Elisa Pomati. Desidera ricevere la Comunione, chiede informazioni ad un’altra signorina inginocchiata a pregare. Insieme si preparano e poi ricevono Gesù. Non si sono neanche presentate. Nel pomeriggio le due si ritrovano presso la parrocchia di Fiamenga, vogliono infatti acquistare il Perdono di Assisi. Si riconoscono per le due del mattino.. All’uscita della chiesa si presentano e nasce tra loro una profonda amicizia spirituale. Ma anche questa volta non è ancora il momento voluto dal Signore per dare inizio alla sua Opera.

Negli anni successivi un gruppetto di signorine si raccoglie intorno a Germana, ma anche questa volta molte si allontanano.

Si arriva fino al 1919 quando a don Ferreri viene affidata la parrocchia di Fiamenga e quando l’anziano viceparroco don Sebastiano Piovano mette a disposizione di don Ferreri e dell’opera la sua casa nella regione Pasquero. Ecco allora che finalmente, con molta umiltà, può cominciare l’opera di don Ferreri e di Germana che prenderà il nome di Piccola Betania.

A Fiamenga abita anche un ricco signore, il Cavaliere Giuseppe Boglio che ha un grande desiderio: far costruire a suo nome un asilo infantile. Don Ferreri ne viene incaricato e decide la costruzione proprio vicino alla casa che don Piovano ha lasciato per la Piccola Betania. L’inizio della costruzione è nel 1921.

Tra mille difficoltà e un succedersi di eventi provvidenziali, grazie a tante iniziative parrocchiali, viene costruito un salone teatro dove sotto la guida di Don Ferreri (un ottimo musico) vengono rappresentate piccole opere e dove il coro si trova a preparare i canti per le celebrazioni liturgiche. Sempre lì don Ferreri predica gli Esercizi spirituali, seguiti da numerosissimi parrocchiani.

Nel 1923 si celebra la prima Messa nella cappellina della casa. Inizia anche un  “laboratorio di taglio e cucito e ricamo grazie ad Irene Sandrone. Succederanno però dissapori e gelosie e nel 1924 la Sandrone se ne andrà. Così pure altre ragazze genovesi che sembravano ben avviate verso l’Opera, diraderanno i rapporti.

Però si riparte sempre. Già nel novembre 1924, grazie ad Annetta Ghiglia riparte il laboratorio di taglio e cucito. Nel maggio 1925 prende il via anche l’asilo Cavalier Boglio. Nel 1930 arrivano le prime vocazioni. Il gruppo all'inizio ha come intento pratico quello di gestire l'asilo e di aiutare in parrocchia per il catechismo.

Il 31 Luglio 1932 arriva anche una prima benedizione e l’incoraggiamento del Vescovo di Monovì Giovan Battista Ressia..

Germana sempre sofferente, fu sorella, madre, maestra del primo piccolo gruppo (all’inizio erano cinque) Seppe, insieme a don Ferreri sostenere, richiamare, indirizzare, ma sempre con carità e fraternità.

 

 

LA MORTE DI GERMANA

 

Tutta questa attività, le realizzazioni e le delusioni non fanno che peggiorare la sua salute. Ormai non mangia più e sta sviluppandosi in lei un tumore maligno.

Dai primi di marzo 1934 Germana non riesce più ad alzarsi dal letto. Le sofferenze aumentano giorno per giorno. Soffre e non si lamenta, si affida a coloro che si prendono cura di lei e ancora riesce a donare il suo sorriso.. Piaghe, afte in bocca, estrema esilità… Il 15 aprile don Ferreri le propone l’unzione degli infermi e lei accetta subito Annetta Ghiglia che l’assistette racconta:

“Il giovedì 26 Aprile, vigilia della sua morte, alle ore 14,30, Germana vide una gran croce avanzarsi. Rivolgendosi a me chiese dove avrebbe potuto metterla. Non vedendo nulla le dissi: "La metta sul letto". Soggiunse Germana: "Ma è troppo grande, non ci sta". "La metta in quell’angolo della camera". Germana accondiscese e da quel momento i suoi occhi rimasero fissi in quel punto senza mai allontanarsene.

Alle 21 distolse lo sguardo dalla croce e cominciò a parlare in tedesco. Era il momento di salutare i suoi parenti. Il venerdì 27 aprile le sofferenze aumentarono in modo straziante. Dopo mezzanotte don Ferreri le portò ancora il Viatico. Fu l’ultimo momento terreno di trasfigurazione: seduta sul letto appoggiata ai cuscini, con il crocifisso tra le mani aveva più la sembianza di un Angelo che di creatura umana.

Poi ripresero le sofferenze, qualche volta a voce sommessa esclamava: “Ho paura”. Germana era sulla croce con Gesù. Alle 15, mentre suonava la campana per annunciare la morte di Gesù anche Germana moriva. Era il 27 aprile 1934. Germana aveva vissuto su questa terra 50 anni ed ora iniziava la sua eternità con Gesù.

 

 

E LA PICCOLA BETANIA?

 

Questa molto in breve è la storia di Germana Resch.

E l’Opera della Piccola Betania da lei voluto insieme a don Ferrari com’è andata?

Molti di voi la conoscono, è ancora un Opera piccola, ma a Fiamenga e dintorni ci sono ancora delle “suore senza divisa” che cercano di amare Gesù con tutto il cuore. Che vogliono servire e aiutare i sacerdoti, che si danno da fare per i poveri, che insegnano il catechismo, che sia nel dolore che nella gioia sono serene e trasmettono serenità perché hanno Gesù nel cuore.

La loro casa si chiama ancora Piccola Betania ed è, come la Betania del Vangelo una casa ospitale dove si ascolta volentieri Gesù e dove ci si dà da fare per accoglierlo e servirlo in tutti coloro che hanno bisogno.

Germana e don Stefano, dal cielo, vedono e seguono l’Opera che Gesù ha voluto con il loro contributo e certamente benedicono tutti coloro che in mille modi diversi l’aiutano, in semplicità e umiltà a crescere secondo la volontà di Dio.

 

 

INTERVISTA A GERMANA RESCH

 

Credo che la figura di Germana, la sua storia, il suo modo di pensare abbia suscitato in voi non solo ammirazione ma anche alcuni interrogativi, come è capitato a me specialmente leggendo le sue lettere e i suoi taccuini scritti per obbedienza. Da questo scritti Germana mi è diventata familiare per cui, chiedendole perdono in anticipo se le impresterò le mie parole, alcuni di questi interrogativi e domande li rivolgo proprio a lei.

 

Germana, parlare ad un santo mette in imbarazzo, ma parlare ad una mistica e cercare di comprenderla è ancora più difficile!

 

Perché dovresti essere imbarazzato? Dio non ci ha forse detto “siate santi perché io sono santo?. La santità non è per qualcuno, è per tutti e non consiste nell’aureola che sembra allontanare il santo dai comuni mortali, è semplicemente lasciare spazio a Dio perché sia Lui a manifestare in noi la sua santità.

Mistico, poi non è qualcuno che fa cose speciali, mistico è semplicemente uno che ha scoperto di essere amato da Dio e vuole amarlo con tutto il cuore.

 

E’ vero, però che nella tua vita ci sono stati fatti straordinari: parlavi direttamente con Gesù, venivano a trovarti i santi, andavi in estasi…

 

Dio è buono con tutti, vuole tutti salvi, ma ama anche uno per uno, personalmente. Non a tutti sono stati dati gli stessi doni e non a tutti sono chieste le medesime cose.

Ma se a me e a tanti altri è stato dato di essere intima di Gesù non è forse vero che  chiunque può incontrare Colui che ci ha promesso: “Io sono con voi fino alla fine dei tempi”, che ci ha detto che un bicchier d’acqua dato ad un piccolo, perché suo, è dato a Lui, con Colui che si è fatto acqua viva per il nostro Battesimo, perdono per la nostra conversione, pane vivo per il nostro nutrimento e cammino? Non tutti hanno magari il dono di sentire Gesù Bambino vivo tra le braccia, ma quando andate a fare la Comunione non toccate e mangiate il corpo reale di Gesù? E la preghiera? Se non è un biascicare formule non è forse un ascoltare e un parlare a Colui che ci ama e a cui vogliamo bene?

Non preoccupatevi troppo dei doni che possono essere diversi: per ciascuno c’è una strada e una possibilità concreta e personale di amore di Dio. C’è chi lo ama con le lacrime, chi con il sorriso, chi sa dirgli belle parole e chi lo adora nel silenzio.

 

Nei tuoi scritti tu parli di una “cella interiore” e sembra sia il luogo dove ti avvenivano le apparizioni e le esperienze mistiche…

 

Si, ognuno di noi dovrebbe avere una “cella interiore” non tanto per le eventuali apparizioni o esperienze mistiche, quanto come luogo, momento per incontrare se stessi e Dio.

Vivete in un mondo fracassone, correte vi agitate, sembra che il tempo e le cose vi sfuggano sempre dalle mani… ma siete ancora voi a vivere o sono le cose che vivono voi?

Anche con Dio spesso si finisce per dargli i ritagli di tempo, spesso “gli si tirano dietro quattro preghiere”. Fermatevi! Trovate voi stessi, scoprite la vostra povertà e il bisogno di Dio. Lasciate che la natura e i fatti della vita vi portino il suo messaggio. Imparate ad apprezzare il silenzio, contemplate la bontà di Dio che si manifesta nella Storia sacra, portate la vostra giornata a Dio  e lasciate che Dio la riempia di sé. Portate a Lui le sofferenze del mondo intero, affidatevi alla sua misericordia. La “cella interiore” è stata per me quella cella di clausura che avevo desiderato ma dalla quale Gesù mi ha tolto per altri suoi scopi, ma è una cella che ciascuno di voi può avere, magari anche in mezzo alla gente, Per me era il posto di Gesù e di Germana e per ciascuno di voi può essere lo stesso.

 

Ma, permettimi l’impertinenza, nella tua vita, nei tuoi scritti, non eri un po’ “esagerata”, sembra quasi che non ti sia accorta del mondo in cui vivevi, di una guerra mondiale che si è vissuta tragicamente nei tuoi anni. Non è una fede un po’ troppo intimistica la tua?

 

Può essere vero. Quando guardate alle altre persone, però, non imprestate loro i vostri sentimenti, i vostri metri di giudizio. Nessuno sulla terra ha la perfezione totale. Bisogna però tendervi. E nessuno è tenuto a copiare di peso neppure i santi. Io dico solo che chi ama Gesù, ama stare con Lui, parlare di Gesù, portare Gesù agli altri e gli altri a Gesù. Ognuno questo lo fa con una mentalità e con delle forme che gli sono proprie…

 

Ma la tua mentalità non era un po’ troppo rigida, la tua religiosità un po’ troppo formale e legata alla paura?  Vedere il peccato ovunque non significa quasi vivere nella paura di Dio?

 

Ognuno di noi nasce in un’epoca, con una determinata cultura, ognuno di noi deve giustamente essere figlio del suo tempo. Io sono vissuta in un’epoca in cui  si era educati alla grandezza e al mistero di Dio, E non ditemi che, salvate certe forme, questo non sia valido anche oggi: Dio è ancora e sempre un “Totalmente altro”; forse si esagerava in certe cose un po’ come succedono oggi certe esagerazioni che puntando al Dio che perdona sono arrivate a dire che non esiste più il peccato.

Dio ha scelto di parlarci attraverso la storia, quindi ha accettato i nostri limiti, ci parla usando la nostra lingua limitata. Sta a noi rispondergli nel migliore dei modi ma anche con la lingua e i limiti della nostra epoca e della nostra cultura. Se però posso suggerirvi una cosa: state attenti a non far di tutta l'erba un fascio. Anche in campo religioso, il bene, il vero, il giusto non esistono solo nella vostra epoca e nella vostra mentalità e il male e l’ipocrisia non sono solo nel passato. L’equilibrio  sta sempre nel saper cogliere il bene di ogni cosa e di farlo fruttificare nella volontà di Dio.

 

Germana, hai usato una parola che mi dà adito ad un’ultima obiezione; tu non eri molto equilibrata a proposito di sofferenza. Io capisco il dover cercare di vivere con fede e con amore le varie sofferenze della vita e ce n’è per tutti e di tutti i gusti, ma andarsele a cercare, desiderare di soffrire, chiedere di rimanere in vita solo per soffrire…

 

Non voglio assolutamente giustificarmi ma vi faccio un esempio: una mamma che vede il suo figlio ammalato non soffre anche lei? Non sarebbe disposta a dire: “Signore, facciamo un cambio: la sua sofferenza dalla a me!”. Chi ama vive nella sua carne le sofferenze dell’amato, non è forse questo ciò che voleva dire San Paolo quando scriveva: “completo in me le sofferenze di Cristo”?

E’ vero che Gesù è l’unico Salvatore, che “è morto una volta per tutte per la nostra salvezza”, ma non vi sentite partecipi della sua missione e non desiderate anche voi che il Signore non sia più offeso, che non ci sia ingratitudine verso il suo amore, che tanti peccatori possano trovare la gioia di incontrare la salvezza di Gesù?

Chi ama  è capace di ogni forma di amore. E se oggi anch’io vi dico di non cercare la sofferenza, vi invito però ad amare la croce e di sapervi formare ai valori anche attraverso il sacrificio, certamente vi invito ad amare di più e forse anche certe domande diventano superflue e ciascuno mettendo la sua goccia di gioia, di sacrificio, di sofferenza insieme a Gesù contribuirà a far sì che il suo regno venga e venga presto.

     
     
 

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