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UNA PAROLA AL GIORNO

RIFLESSIONI QUOTIDIANE SULLA

PAROLA DI DIO

a cura di don Franco LOCCI

 

 

GIUGNO 1998

 

 

LUNEDI’ 1 GIUGNO 1998

"Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre... ". (Mc. 12,1)

Come è diverso dire "Credo in un Dio" dal dire "Credo nel Dio di Gesù"! Un Dio, più o meno ce l’hanno tutti sia che sia trascendente o legato alla concretezza, astratto o materialista. Il Dio di Gesù è invece un Padre che si prende cura dei suoi figli. Noi, sua vigna, siamo stati pensati, voluti, piantati da Dio stesso. Egli ci ha difeso e ci difende: pensate al Buon Pastore che dà la vita per le sue pecore. Viene a cercarci, è felice quando noi in Lui troviamo la nostra felicità. Ci conosce non solo perché sa tutto ma perché ha sperimentato nella carne di Gesù le nostre gioie e le nostre sofferenze. Siamo suoi figli. Non è da ingrati passare una giornata, avvolti da tanto amore, senza un pensiero di riconoscenza, di affetto verso nostro Padre? Non è una forma di grande egoismo e insensibilità il non apprezzare, meditare, approfondire la Parola che Lui ci rivolge e i sacramenti, segni della salvezza, che Lui ci offre?

 

 

MARTEDI’ 2 GIUGNO 1998

"Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio". (Mc. 12,17)

"Signore, certi santi, tuoi amici, mi hanno confuso le idee. Mentre ce ne sono alcuni estremamente concreti, con le mani impastate di terra, con le scarpe (seppur le avevano) sempre impregnate di polvere per il loro camminare verso i fratelli, ce ne sono altri che sembrano essere passati su questa terra levitando, sempre dediti ad ascetici pensieri, ieratici, e qualche volta direi incuranti e quasi disprezzanti la realtà di questo mondo. Questi ultimi mi mandano in crisi. A Cesare, al mondo, non devo forse dare qualcosa e da esso non devo pretendere qualcosa? Meno male che c’è Gesù perché è proprio Lui che mi aiuta a trovare un po’ di equilibrio. Lui ha amato la vita in tutte le sue manifestazioni, ha gioito di una famiglia, ha mangiato, si è commosso, si è chinato sulle nostre malattie, ha sofferto e gridato per la sofferenza, ha usato il linguaggio semplice degli uomini, ci ha rivelato Dio secondo le nostre capacità di intenderlo. Non ha detto che Cesare, il mondo, era tutto male. Certo ci ha anche aiutato a capire che il mondo non è tutto, ci ha invitato a guardare più lontano, ci ha dato la possibilità di dare senso alle nostre gioie e anche alle prove, ci ha aperto a prospettive di eternità. Dunque, non esageriamo! Il mondo non è tutto, ma è nella realtà di questo mondo che rispondo alla chiamata di Dio."

 

 

MERCOLEDI’ 3 GIUGNO 1998

"Dio non è un Dio dei morti, ma dei viventi!". (Mc. 12,27)

Ma dopo la morte che cosa c’è? Se i nostri morti sono in Paradiso perché non vengono a dirci qualcosa? Come sarà questo paradiso? Come staremo? Che cosa faremo? Tutte domande che in qualche momento ci siamo posti e alle quali, almeno con i nostri ragionamenti, non abbiamo trovato risposta. Che cosa ci ha detto Gesù della vita eterna? Prima di tutto che c’è, e la motivazione è che Dio è il Dio della vita. Ce l’ha garantita con la sua morte e risurrezione. Nella vita eterna si entra attraverso le scelte di questa vita terrena, quindi Dio tiene conto delle nostre scelte e le accetta: il giudizio di Dio è la ratifica delle nostre scelte. La vita eterna, più che essere un luogo è uno stato: è stare con Dio, vederlo, amarlo, lasciarci amare da Lui per sempre. Non ci preoccupa allora il come sarà il Paradiso: se il Paradiso è Dio non può che essere il complemento di tutte le nostre aspirazioni.

 

 

GIOVEDI’ 4 GIUGNO 1998

"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, e con tutta la tua forza". (Mc. 12,29)

Quando, in qualche momento di riflessione, facciamo l’esame di coscienza ci può prendere un senso di angoscia. "Gesù non ci chiede troppo dicendoci di amare Dio con tutto il cuore, la mente e forze? Io voglio bene a Dio, ma il mio cuore non sempre è tutto per Lui, la mia mente spesso divaga, le mie forze sono impegnate in vari campi". Gesù non ci chiede l’impossibile ma chiede la totalità. Ognuno di noi ha dei doni, delle capacità, è su queste che va giocata la nostra vita. Non c e un misuratore per dirci che l’amore è così e così e tutti dobbiamo arrivare a 100. Ricordate nella parabola del seminatore dove viene detto che il buon seme portò ora il 30, ora il 60, ora il 100 per uno? Gesù non chiede 100 a chi può portare 30, chiede però 30! Non scoraggiarti perciò dei tuoi limiti, delle tue debolezze; non perderti d’animo se il tuo modo di amare Dio e i fratelli non corrisponde a quanto indicano certi libri di spiritualità. Sentiti però impegnato per quello che sei, gioca bene le carte che hai, fa fruttificare i tuoi doni, rischiali per l’amore e le capacità che ti ritrovi e fidati dello Spirito Santo e della misericordia di Dio che certamente coprono i buchi della tua povertà.

 

 

VENERDI’ 5 GIUGNO 1998

"Tu rimani saldo in quello che hai imparato". (2 Tim. 3,14)

Una virtù importante, quella della fermezza, suggerita da s. Paolo al suo vescovo Timoteo! Infatti non basta lasciarsi portare come foglie nel vento. Quante persone sono arrivate alla fede con entusiasmo, gioiosità, determinazione, ma poi si sono lasciate andare nella tradizione o nell’abitudine, oppure dopo poco tempo si sono lasciate portare via dalle "ultime novità" in fatto di religiosità! Gesù è unico, è la Parola definitiva di Dio. Non si può andare da Lui e poi allontanarsi al primo sentore di novità. La fede in Cristo non è un optional. Lui è la nostra vita, è la verità, è la via che conduce al Padre. Per avere questa fermezza bisogna allora conoscerlo sempre più, approfondire la Scrittura, esercitare nel vivere quotidianamente i suoi insegnamenti. Se è vero che solo cominciando e continuando ad amare che si impara ad amare, con Gesù è esattamente la stessa cosa: è solo incontrandolo quotidianamente che puoi immergerti nel suo mistero di misericordia e di salvezza.

 

 

SABATO 6 GIUGNO 1998

"In verità vi dico: Tutti hanno dato del loro superfluo, questa vedova nella sua povertà ha dato tutto quello che aveva". (Mc. 12,43)

Due modi diversi di donare, direi due atteggiamenti diversi di porsi davanti a Dio e ai fratelli, sono quelli indicati nel vangelo di oggi: quello di dare del proprio superfluo e quello della donazione totale di se stessi che manifesta una incondizionata fiducia in Dio. Mai, o quasi mai, noi diamo quello di cui abbiamo bisogno per vivere, ci accontentiamo di dare il superfluo. E con questa elemosina avara tranquillizziamO la nostra coscienza ed evitiamo di dover dare noi stessi a chi ha bisogno non solo di cose ma di calore, di accoglienza, di compagnia, di gioia e di consigli, di sorriso e di simpatia. Questa vedova dei due spiccioli ci spiazza tutti. Lei non suona la tromba, i suoi due spiccioli avranno fatto sorridere di commiserazione chi alla fine della giornata contava i proventi del Tempio. Ma lei non ha dato qualcosa, ha dato se stessa perché quel minimo era il suo necessario per sopravvivere. Questo è fidarsi della Provvidenza di Dio, è sapere di essere nelle sue mani di Padre.

 

 

DOMENICA 7 GIUGNO 1998

"Noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo". (Rm. 5,1)

La festa di oggi ci ripropone il mistero più grande, ma anche il più consolante della nostra fede. Anzitutto, mistero. E’ Dio che si fa conoscere nella sua più profonda intimità. Ma il fatto di conoscerlo così è rivelazione, non spiegazione. Non vogliamo, con i nostri stupidi tentativi di spiegarci tutto, togliere la parola ‘mistero’ dalla nostra fede: Dio è più grande di noi! Ma è anche una realtà consolante: Dio è famiglia, è relazione in se stesso, è amore ed è anche relazione nei nostri confronti. Noi siamo famiglia di Dio, siamo inseriti tramite Gesù, nostro fratello, con la forza dello Spirito vivificante, nel Padre. Tutto questo ci è manifestato dal nostro battesimo. Ci è dato da Gesù, attraverso il suo passaggio dalla morte alla vita. Egli ci fa figli di Dio, ci innesta in Lui attraverso lo Spirito Santo. Dovremmo pensare più spesso a questo dono che fin dai primi momenti di vita ci ha inseriti in Dio, ci ha fatto suoi familiari, ci apre all‘eternità.

 

 

LUNEDI’ 8 GIUGNO 1998

"Gesù sali sulla montagna e prendendo la parola li ammaestrava". (Mt. 5,1—2)

Matteo ambienta il grande discorso delle beatitudini sulla montagna. Gesù è il nuovo Mosè che dà il comandamento nuovo. La montagna con la sua altura èil luogo della vicinanza a Dio, del rapporto privilegiato con Lui. Ma queste beatitudini sono poi davvero una novità? Direi soprattutto che la vera novità è colui che le annuncia: Gesù. Sul Sinai, Mosè era solo un intermediario umano che scriveva sulla pietra. Qui è il Figlio di Dio che scrive nel cuore dell’uomo. Là, una legge fondava l’unità di un popolo e dava norme di comportamento. Qui, Gesù propone se stesso come modello e dice che ogni uomo può incontrare Dio presente nei poveri e negli ultimi. Là, l’osservanza della Legge garantiva un’alleanza; qui, accogliere Gesu significa ritrovare il senso pieno della vita terrena e divina. Non è Dio che cambia idea, è Dio che prende volto.

 

 

MARTEDI’ 9 GIUGNO 1998

"Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli". (Mt. 5,16)

All’epoca di Gesù non c’era la luce elettrica, quindi, quando Gesù usa l’esempio della luce, o fa riferimento ad un evento naturale, la luce del sole, o pensa alle lucerne, alle candele. Una lucerna la si accende per avere luce. Essa per dare questa luce deve avere del materiale combustibile. Nel dare luce consuma questo materiale e questo produce anche calore. La lucerna, la candela nell’ardere illuminano anche se stesse. La testimonianza cristiana dovrebbe essere cosi: avere materiale da ardere. E questo può esserci: Gesù, con il dono di se stesso, la sua parola, i sacramenti ce ne offre in abbondanza. Ma bisogna accenderlo questo materiale, e qui può solo essere il cuore del credente a fare da esca al fuoco dello Spirito, allora si dà luce e calore, e le due cose non possono essere separate. C’è anche un prezzo da pagare: essere luce significa anche consumarsi. Ma c’è anche un premio: mentre dai luce agli altri ti illumini anche tu.

 

 

MERCOLEDI’ 10 GIUGNO 1998

"Non sono venuto ad abolire ma a dare compimento". (Mt. 5,17)

Ai tempi della Chiesa primitiva ci si poneva una domanda: per essere cristiani bisogna continuare ad osservare le prescrizioni della legge giudaica? Gesù non supera ogni forma di legalismo? Oggi ci possono essere altre domande: per essere cristiani bisogna tener conto e osservare le tradizioni che si sono accumulate lungo il corso degli anni della vita della Chiesa? Faccio degli esempi: per essere cristiano devo credere alla veridicità della Sindone? Devo osservare i primi nove venerdì del mese per andare in Paradiso? Se mangio carne nei venerdì di quaresima, faccio peccato?... Che cosa dice Gesù? Lui è la pienezza della rivelazione, "al di fuori di Lui non c’è salvezza". Gesù ci invita ad adorare Dio in "Spirito e Verità". Gesù, cioè, ci invita ad una religione non di esteriorità ma ad una religione come espressione di fede. La fede, poi, può essere aiutata dalle tradizioni, allora posso essere cristiano anche se non credo alla veridicità della Sindone, ma essa può aiutarmi a contemplare l’amore di Gesù per noi, posso pregare facendo o non facendo i primi venerdì del mese, l’importante è che preghi, posso onorare Dio con qualunque sacrificio, se è espressione della mia solidarietà ai fratelli.

 

 

GIOVEDI’ 11 GIUGNO 1998

"Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli". (Mt. 5,20)

Ma, quante giustizie ci sono? La giustizia è una sola, solo Dio è il Giusto. Gli uomini guardando a Lui, da Lui dovrebbero imparare la giustizia. Gli scribi e i farisei pensavano di essere giusti se osservavano la legge, in quanto dono di Dio. Però mancava loro una cosa, riconoscere che alla base di ogni atto di giustizia deve esserci la misericordia che c’è in Dio. Se ci si ferma alla legge c’è una giustizia solo formale, esteriore, che spesso rischia di non tener conto delle persone, che è solo osservanza esteriore, che si presta a tutti gli inghippi degli uomini. Gesù, con la legge dell’amore di Dio e del prossimo supera ogni formalismo ed esteriorità e ci aiuta a diventare giusti, non perché persone strettamente osservanti, ma perché capaci di avere un cuore che diventa grande a imitazione del cuore di Dio.

 

 

VENERDI’ 12 GIUGNO 1998

"Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore". (Mt. 5,27)

Può sembrare un insegnamento impossibile quello del vangelo di oggi, e i ricercatori del peccato, su questa frase hanno costruito tutta una morale fatta di limiti e di paure. E pensare che Gesù dice frasi come questa per liberarci dalla paura e dalla schiavitù della legge! Gesù non vuole negare la natura umana. Se ad un bambino goloso di dolci tu metti davanti una bella torta è automatico che gli venga l’acquolina in bocca. Questo non è né male né bene, è fisiologico. Se però tu hai criterio e una scala di valori, allora indirizzerai, magari con fatica, i tuoi istinti verso quei valori. Quando vedo una bella donna o un bell’uomo, non posso non sentire un’attrattiva o un interesse, ma se credo ai valori della famiglia, delle mie scelte, allora saprò indirizzare anche il mio cuore. Se riesco a fare questo, allora nulla mi scandalizzerà più. Se aldilà del sesso vedo la mia e l’altrui persona non come oggetto di possesso ma come un fratello o una sorella, figli di Dio, amati da Lui, tempio dello Spirito, ecco che nasce in me la forza per superare l’istintuale ed anche la morale non è più: "non devi mangiare la torta", "devi sacrificarti perché c’è un divieto", ma diventa: "gioisco per i doni che ho e che Dio ha fatto al mio fratello e alla mia sorella e liberamente e gioiosamente mi costruisco su questi doni".

 

 

SABATO 13 GIUGNO 1998

"Non giurate affatto: né per il cielo.., né per la terra... ne per la tua testa". (Mt. 5,33—36)

Chissà perché Gesù ci dice di non giurare? Perché conosce profondamente la realtà dell’uomo. Noi non abbiamo alcun potere né su Dio, né sulle cose, ne su noi stessi. Dio è mistero ben più grande di noi e tutto ciò che conosciamo di Lui è dono gratuito; le cose, anche quelle che noi diciamo "nostre", oggi ci sono, domani non più. E di noi stessi possiamo fidarci? possiamo fare promesse sicure? Pensate a Pietro che con baldanza e sicurezza dice a Gesù che darà la sua vita per difenderlo e che poi, per paura, lo rinnega davanti ad una serva! E’ un controsenso giurare per qualcosa che non è nostro e il promettere quando non siamo sicuri di poter mantenere. Quindi Gesù ci insegna che l’umiltà (= rispetto della verità) e la sincerità (= non fidarsi delle apparenze) camminano sempre insieme. E se questo vale per noi, vale anche nel "giudicare" il prossimo: chi siamo noi per entrare talmente nell’intimità di un’altra persona da permetterci di dare giudizi insindacabili?

 

 

DOMENICA 14 GIUGNO 1998

"Non abbiamo che cinque pani e due pesci". (Lc. 9,13)

Leggendo la pagina del Vangelo di oggi e l’affermazione scoraggiata degli apostoli che davanti a cinquemila persone affamate annotano di avere solo cinque pani e due pesci, mi è venuto in mente, proprio per contrasto, un altro brano del Nuovo Testamento. Negli Atti degli Apostoli, Pietro e Giovanni, recandosi al Tempio, trovano uno storpio che chiede loro l’elemosina. Questa volta essi gli dicono: "Non abbiamo né oro né argento, ma nel nome di Gesù Messia, alzati e cammina". La scuola di Gesù è servita! Alla moltiplicazione dei pani si contano le razioni ed esse sono sempre insufficienti. Quando invece si è scoperta la propria povertà, allora si diventa ricchi del bene di Qualcun altro e si può condividere tutto nel nome di Colui che ha condiviso tutto con noi, di Colui che non bastandogli neppure di aver dato la sua vita per noi, si fa Pane per farsi mangiare e darci l’energia del cammino. Se noi, davanti alle necessità del nostro mondo, facciamo l’elenco delle nostre risorse, siamo sempre in difetto; se, sull’esempio di Gesù, diamo via il nostro poco ci troveremo ricchi di Lui, e Lui è sufficiente per tutti: si possono portare via ancora dodici ceste di pezzi avanzati!

 

 

LUNEDI’ 15 GIUGNO 1998

"Ma io vi dico di non opporvi al malvagio". (Mt. 5,39)

Gesù ci manda sempre in crisi perché spesso il nostro "buon senso" non corrisponde al suo.

Noi sappiamo benissimo che violenza chiama violenza, ma spesso giustifichiamo certe violenze come legittima difesa, come lotta contro il male, come ricerca di giustizia. E quindi, nel nome di vere o presunte giustizie creiamo altre situazioni in cui persone subiscono altre violenze. Pensiamo alla logica delle guerre: per difendere una verità, un territorio, delle persone oppresse si fanno delle guerre "giuste!?" nelle quali molte persone ‘giuste o ingiuste" subiscono violenze. Pensiamo a certe divisioni presenti nelle nostre famiglie dovute a motivi di "giustizia" che hanno creato lotte, incomprensioni che durano anni. Gesù, come si è comportato? Ha sempre detto la verità, ha sempre richiamato ai valori che possono liberare, ma non ha mai imposto nulla a nessuno con la violenza. Quando, durante la passione, viene preso a schiaffi, Gesù non risponde facendo seccare la mano a chi lo ha colpito, ma si rivolge a quella persona cercando di farla ragionare: "Se ho sbagliato, dimostramelo, se no, perché mi colpisci?". Non opporsi al malvagio non significa lasciare che egli faccia quello che vuole ma non significa neanche ricorrere alla violenza personale, mettendoci noi al posto di Dio e creando altre ulteriori violenze.

 

 

MARTEDI’ 16 GIUGNO 1998

"Amate i vostri nemici". (Mt. 5,44)

Quando una persona ti vuole bene, ti stima, è naturale volerle bene, è qualcosa che ti riempie il cuore di gioia, sei addirittura facilitato anche nell’accettarne i limiti. Innaturale e difficile diventa l’amare chi ti osteggia, non ti stima, chi sta cercando di sfruttarti e di tradirti. Ma che cosa vuoi dire amare il nemico? lo non posso provare sentimenti di affetto per uno che mi è contrario, è più facile che il sentimento sia quello della difesa se non dell’odio. Quando Gesù parla d’amore non intende il sentimento in sé; ci indica la strada dell’amore vero, profondo: chi mi sta davanti, chiunque esso sia è un uomo figlio di Dio, Dio lo ama anche se sta sbagliando. lo, che non posso amarlo col sentimento, lo amo con l’amore di Dio e come io ama Lui che lo rispetta e lo vuoi aiutare a trovare la strada della giustizia e della verità. L’amore del nemico che Gesù ci chiede non è sentimentalismo e tanto meno ipocrisia o connivenza col male ma e rispetto, ricerca decisa del bene, disponibilità al perdono e a lasciare sempre aperta una porta, è fatica dettata dal comportamento di Dio con me e con ogni uomo.

 

 

MERCOLEDI’ 17 GIUGNO 1998

"Guardatevi dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati". (Mt. 6,1)

Gesù, nel suo pellegrinaggio terreno, ha incontrato persone di ogni tipo, umili, ricchi, sapienti, ignoranti, gente di fede e superstiziosi. Gesù è stato con tutti, ma, se possiamo dire, c’è una categoria che proprio non sopporta, è quella degli ipocriti e particolarmente quella degli ipocriti religiosi. Se la religione serve a farti sentire a posto davanti a Dio, se ti camuffa davanti agli altri, non è vera religione. Se la tua elemosina, la preghiera, il digiuno sono solo pratiche religiose, osservanze, doveri, forse è meglio che impieghi il tempo diversamente. La preghiera, la condivisione nascono dal cuore non dalle norme del diritto canonico. Chi vuoi ingannare con la tua ipocrisia religiosa? Dio? Ma Lui conosce le motivazioni del cuore! Vuoi ingannare te stesso? Non ti serve! prima o poi ti troverai davanti te stesso nudo! Vuoi ingannare il tuo prossimo? A parte che agli altri interessa molto poco la tua "bontà" e religiosità, ma anche quando gli altri ti battessero le mani per una cosa che non sei, che giovamento ne avresti? Dio ti conosce, ti accetta come sei, anche se vuole cambiarti per il tuo bene. Presentati al Signore con umiltà e verità e dagli l’opportunità di poter agire in te.

 

 

GIOVEDI’ 18 GIUGNO 1998

"Sia fatta la tua volontà". (Mt. 6,10)

Un certo modo non corretto di intendere ci ha sempre fatto pensare al "fare la volontà di Dio" come ad un qualcosa che corrisponde al contrario di quello che è la volontà e il desiderio nostro: la volontà di Dio riguarda quelle cose che non vanno secondo i nostri progetti! Niente di più sbagliato! Dio è amore, non può volere il nostro male. Dio vuole il bene di ciascuno di noi, un bene che vede più lontano di noi, che vede il nostro vero e definitivo bene al di là dei piccoli beni immediati che noi vorremmo vedere realizzati con immediatezza. Non è neppure giusto dire con rassegnazione "sia fatta la tua volontà" davanti a fatti in cui non possiamo fare niente. Dire, come ci ha insegnato Gesù: "sia fatta la tua volontà" significa mettere Dio al centro della nostra vita e fidarsi di Lui e della sua bontà in ogni momento; significa cercare la volontà di Dio negli avvenimenti quotidiani; significa non far passare per volontà di Dio quella che è la volontà nostra o degli altri; significa chiedere a Dio il dono dello Spirito che, dopo avermi fatto conoscere la volontà di Dio mi dia anche la forza di metterla in pratica.

 

 

VENERDI’ 19 GIUGNO 1998

"Vi sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione". (Lc. 15,7)

La grandezza del cuore di Gesù è dimostrata da questa affermazione. E’ venuto per dare la sua vita, per salvare ciò che era perduto. Il nostro Dio non è un Dio che cerca con gusto i peccatori per dimostrare nei loro confronti la sua giustizia punitiva. E’ invece il Dio che "si fa in quattro" per riportare a casa chi è scappato, che ha a cuore", o meglio "nel cuore" il peccatore. Ecco il senso della festa odierna: non tanto la festa sentimentale del "cuore", neanche la festa del mistico contemplativo, quanto la festa di un "cuore ferito dall’amore dell’uomo", di un cuore che dà tutto, compresa la vita, pur di conquistare l’uomo; il cuore di un pastore, come ci suggerisce il vangelo, che va alla ricerca della pecorella smarrita e che gioisce nell’averne cura e nel mettersela in spalla per riportarla a casa.

 

 

SABATO 20 GIUGNO 1998

"Maria serbava tutte queste cose nel suo cuore". (Lc. 2,51)

Al contrario di certe esasperazioni pseudo religiose sulla figura di Maria, il Vangelo ce la presenta in tutta la sua umanità, preoccupata di questo Figlio che, senza dir niente, si è allontanato. Ogni madre può capire che cosa voglia dire l’angoscia di cercare un figlio per tre giorni e lo stupore di scoprire un aspetto sconosciuto del proprio figlio. Anche noi, quando i figli ci sorprendono e ci rattristano, domandiamo: "perché?" e ci sentiamo in colpa anche senza volerlo dire. E soprattutto stentiamo a capire i figli quando cominciano a staccarsi da noi e a cercare la loro strada; e come ci conforta sentire Maria e Giuseppe uguali a noi! L’insegnamento, la novità, è in questo "serbare nel cuore": far tesoro delle esperienze dei figli, non considerarle ragazzate; rifletterci sopra, perché anche i bambini hanno qualcosa da insegnarci; attribuire loro importanza, anche quando ci sembrano sciocchezze, perché per loro non lo sono mai; dedicare tempo ai loro problemi. Ma per far questo ci vuole un "cuore immacolato", cioè libero da preoccupazioni per falsi problemi: se siamo assillati dal lavoro, dal guadagno, dalla carriera, dal desiderio di "dare tutto ai figli" in termini di "cose" e non di attenzione, tempo, pazienza, continueremo a non capire e non ci sarà un vero posto per loro nel nostro cuore.

 

 

DOMENICA 21 GIUGNO 1998

"Se qualcuno vuoi venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce, ogni giorno, e mi segua". (Lc. 9,23)

Gesù annuncia di essere il Messia crocifisso, ma parla anche della croce del cristiano. Quale sarà questa croce? Non è una croce che possiamo programmare noi. La croce è già lì: i fastidi, le tribolazioni, i problemi, le sofferenze, le difficoltà, le incomprensioni, gli impegni gravosi della vita quotidiana... Tuttavia non basta portare la croce. Non è sufficiente dire: "Anch’io ho la mia croce da portare". Occorre portarla secondo la logica di Cristo, nella prospettiva del Regno. Croce di Cristo vuoi dire sacrificio per amore. Disponibilità a perdere la propria vita. Solidarietà coi poveri. Impegno di giustizia. Lotta per abolire le divisioni tra gli uomini, insomma, non basta pronunciarsi per Lui, bisogna tenergli dietro. La croce diventa la misura della fedeltà. Non si tratta, beninteso, né di cercare, né tanto meno di amare la croce. Quanto piuttosto di amare attraverso la croce.

 

 

LUNEDI’ 22 GIUGNO 1998

"Non giudicate per non essere giudicati". (Mt. 7,1)

Il principio del "non giudicare" a cui ci invita Gesù, ha diverse motivazioni. Prima di tutto è fondato sul nostro rapporto con Dio. Egli, il Perfetto, potrebbe essere giudice inflessibile con noi, invece usa misericordia, quindi il credente perdonato deve usare altrettanta misericordia con i fratelli (pensiamo alla parabola dei due debitori). Seconda motivazione, il non giudicare è fondamento del comandamento dell’amore: noi, non siamo Dio, non possiamo leggere nel profondo del cuore e quindi conoscere a fondo le motivazioni dell’agire dell’altro, quindi ogni giudizio è nelle mani di Dio. Un terzo motivo è quello enunciato nel Vangelo di oggi: la nostra "vista" non è pura; quante pagliuzze e quante travi non ci permettono di vedere bene! Quante volte le cose che noi vediamo negli altri non sono altro che negatività che abbiamo in noi, quindi se non sappiamo giudicare bene neanche noi stessi, possiamo diventare giudici insindacabili degli altri?

 

 

MARTEDI’ 23 GIUGNO 1998

"Non date le cose sante ai cani". (Mt. 7,6)

I simpatici racconti di Don Camillo ci presentavano un Peppone che considerava l’attività del suo parroco come un lavoro di "bottega". Purtroppo, spesso, la parrocchia è considerata da molti proprio una "bottega". "Reverendo, mi battezzi il figlio, nell’oratorio che voglio, senza storie di incontri di preparazione e mi dica quanto fa", mi diceva un uomo che non avevo mai visto, che non era sposato e che considerava il Battesimo l’occasione di una festa di famiglia. Viene voglia di giudicare: in fondo siamo anche "amministratori" di sacramenti più grandi di noi. Poi ti fermi e cominci a pensare a Gesù che è morto perdonando in mezzo a una folla urlante, che non ha avuto alcun ritegno a lavare i piedi sporchi dei discepoli che stavano per tradirlo... e ti viene da chiederti chi sia più indegno dei sacramenti, se chi te li chiede non conoscendoli o tu che li amministri. Certo, bisogna essere seri nel chiedere un impegno, nel proporre dei cammini di fede, ma anche lasciare che sia Dio giudice dei cuori e che i suoi sacramenti operino nei cuori liberamente, secondo la grazia e la misericordia di Dio.

 

 

MERCOLEDI’ 24 GIUGNO 1998 - NATIVITA’ DI SAN GIOVANNI BATTISTA

"In quel medesimo istante si aprì la bocca (di Zaccaria, padre di Giovanni) e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio". (Lc. 1,64)

Zaccaria, sacerdote del Tempio, era diventato muto a causa della sua incredulità. Ora che Dio apre con Giovanni, il precursore, la nuova era, l’uomo davanti alle meraviglie di Dio non può non esplodere nella lode. Davanti alla fedeltà di Dio alle sue promesse, davanti alla sua misericordia, davanti all’incarnazione, passione, risurrezione di Gesù, non si può star muti, il nostro cuore dovrebbe essere ricolmo di riconoscenza gioiosa. Proviamo a pensare se il nostro modo di pregare e di celebrare i sacramenti è così. Quando penso alla preghiera solo come un dovere da compiere (e magari anche il più in fretta possibile), quando le nostre Messe sono un rituale ripetitivo senza un minimo di fantasia, dov’è la nostra gioia? quando passo davanti alle meraviglie della natura senza provare un minimo senso di lode e di stupore gioioso, come posso essere un redento? Se succede così sono ancora alla prima Alleanza e rischio di essere come Zaccaria, un sacerdote muto perché incredulo davanti all’amore e alle meraviglie di Dio.

 

 

GIOVEDI’ 25 GIUGNO 1998

"Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica è simile ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia." (Mt. 7,24)

La parabola della casa sulla roccia o sulla sabbia ha valenza universale. Ognuno di noi costruisce bene o male. Non si trascorre la vita senza fare qualcosa. Ma spesso, agli occhi degli altri traspare solo ciò che è esterno: noi presentiamo agli altri la nostra facciata, le fondamenta ci sono o non ci sono, hanno consistenza reale o sono solo apparenze? La verità della nostra costruzione viene evidenziata dalle avversità. La casa sta in piedi o meno nelle tempeste. Davanti alla prova viene fuori la nostra fede, in bene o in male. Posso nascondermi dietro l’attivismo, dietro le parole ma quando, toccato nel vivo, devo dare testimonianza con i fatti, viene fuori la realtà del mio essere. E poi, davanti a Dio si costruisce solo sulla verità. La verità è "Lui", nella sua volontà fatta giorno per giorno, istante per istante. E non basta dire o far apparire di appartenere a Lui.

 

 

VENERDI’ 26 GIUGNO 1998

"Signore, se vuoi, Tu puoi guarirmi". (Mt. 8,2)

Chi ha fatto l’esperienza di Lourdes, non può non essersi commosso durante la processione Eucaristica, vedendo la sfilata delle carrozzelle dei malati, a sentire ripetere proprio l’invocazione di questo lebbroso del vangelo. "Gesù, Tu puoi tutto, tu sai, perché l’hai provato nella tua carne, che cosa vuol dire sofferenza; Tu vedi le sofferenze di tutte queste persone... Perché non intervieni? Perché tanta sofferenza che apparentemente sembra inutile?". Le risposte, almeno umanamente, non ci sono. E’ difficile comprendere perché il Dio della vita permetta certe prove. E’ difficile capire il senso profondo della parola di Gesù: "Beati i sofferenti". E’ anche difficile avere quella fede profonda che ci permette di credere alla guarigione... E allora scopro di essere malato anch’io, di essere un lebbroso della fede... Anche qui, la mia preghiera diventa: "Signore, se vuoi, Tu puoi guarirmi".

 

 

SABATO 27 GIUGNO 1998

"In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande". (Mt. 8,10)

Ieri abbiamo pensato al primo miracolo di Gesù raccontato da Matteo: la guarigione di un ebreo lebbroso, oggi ecco il secondo: fatto ad uno straniero. E’ tutto un programma: il movimento missionario della Chiesa è cominciato! La salvezza di Dio non è riservata a qualcuno: tutti gli uomini sono amati. L’amore di Dio brucia le barriere che noi uomini eleviamo. Gesù fa questo miracolo per un pagano, straniero, rappresentante della forza di occupazione in Palestina. I romani erano mal visti dalla popolazione: spesso i giudei fedeli sputavano per terra, in segno di disprezzo, dopo che era passato un romano. Eppure, Gesù con una insistenza quasi irritante, sottolinea la fede del centurione, comparandola espressamente a quella di Israele. Quello che conta non è l’appartenenza ad un popolo, non è neanche l’essere arrivati primi o ultimi, è avere fede. Molte volte è l’ultimo arrivato che ci vede più chiaro, conservando fresca la capacità di meravigliarsi. Poiché siamo abituati al cristianesimo, abbiamo bisogno degli scossoni di chi, mosso dalla grazia, lo scopre da altre posizioni. Con Dio non ci si può proprio abituare!

 

 

DOMENICA 28 GIUGNO 1998

"Gesù si diresse decisamente verso Gerusalemme". (Lc. 9,51)

Gesù va "decisamente" verso Gerusalemme. Sa che a Gerusalemme lo aspetta la sua passione, non ama la sofferenza, ma è fedele al suo impegno con Dio e con gli uomini, quindi va avanti nelle sue scelte. Pure noi dobbiamo essere coinvolti in quel "decisamente". Si tratta di prendere una decisione, non tergiversare all’infinito, fare una scelta precisa. Noi, troppo spesso, ci lasciamo paralizzare dall’incertezza, dal timore di comprometterci, dalla paura... di aver coraggio. Siamo indecisi in tutto. Vogliamo seguire Gesù ma abbiamo paura di perdere altre cose, ci buttiamo ma vogliamo tenerci ben legati a riva. Partiamo ma lasciandoci aperta la via del ritorno. Gesù ama chi è deciso ("lascia che i morti seppelliscano i morti"), chi intende percorrere una strada ma esclusivamente all’insegna della coerenza, senza ripensamenti ("nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto al Regno di Dio"). A chi intende seguirlo, Cristo non promette né la tana, né il nido, ma un cammino di libertà.

 

 

LUNEDI’ 29 GIUGNO 1998

"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa". (Mt. 16,18)

Sovente si sente dire: "Credo in Gesù ma non nella Chiesa". Qualcuno si stupisce quando sente dire da me, prete: "neanche io". Eppure basterebbe pensare alle parole del Credo, la nostra affermazione di fede nella quale diciamo:‘Credo in Dio Padre... in Gesù Cristo... nello Spirito Santo" e invece si dice: "Credo la Chiesa.." La Chiesa è la famiglia di Gesù, ordinata in compiti e ruoli, una, santa perché santificata da Gesù Cristo, cattolica perché universale, senza barriere, apostolica perché fondata sulla tradizione apostolica. In una famiglia c’è di tutto. Non tutti sono uguali, non tutti esplicano bene il proprio ruolo. In una famiglia vera ci vuole qualcuno che la tenga unita intorno a valori, ci vuole il coraggio di vivere le cose esaltanti e i momenti di difficoltà, le incomprensioni e le gioie. In una famiglia ci sono anche momenti di incomprensione, di ribellione, ma non si perde, anche in quei momenti, il senso di unità. La Chiesa può crearci tante di queste difficoltà con la sua storia che è una storia di piccoli uomini defettibili. Nella Chiesa si può anche non condividere le scelte, può essere lecito il contestare certi comportamenti, si può, nella carità, anche dissentire senza però mai dimenticarci che Chiesa siamo anche noi.

 

 

MARTEDI’ 30 GIUGNO 1998

"Maestro, io ti seguirò dovunque andrai". (Mt. 8,19)

Sarà per la mia innata insicurezza o sarà perché mi conosco bene, ma è da tanto tempo che ho smesso di fare promesse al Signore. Non mi sento di dire al Signore: "Non peccherò mai più", al massimo arrivo a dirgli: "ci provo, col tuo aiuto"; non gli dico: "Ti seguirò ovunque tu vada" perché so che le sue mete sono sempre grandi e non corrispondono spesso con le aspirazioni della mia vita, al massimo gli dico: "So che mi vuoi bene, e anch’io te ne voglio e vorrei sempre stare con te, ma se non mi prendi per mano, se non hai pazienza dei miei passi incerti, non so fino a che punto ti seguirò E se guardo indietro nella mia vita, vedo che il Signore è sempre stato fedele con me. Mi ha portato non dove volevo io, per strade che assolutamente non avrei pensato di frequentare, ma non mi ha neanche mai abbandonato. Mi ha fatto passare attraverso croci, ma non mi ha mai fatto mancare la serenità del rapporto con Lui... perciò concludo che se di me non ci si può fidare, di Lui si.

     
     
 

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