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CAMMINO QUARESIMALE ANNO B - 2^ PARTE

 

CATECHESI SULLA PASSIONE, MORTE E RISURREZIONE DI GESU’

 

Parlare della Passione morte risurrezione di Gesù, significa arrivare al cuore della fede cristiana. san Paolo, scrivendo ai Corinti (1Cor. 1,23) dopo aver più volte ricordato che il suo compito non è quello di battezzare o di fare adepti, dice chiaramente: “Sono venuto ad annunciarvi Cristo e Cristo crocifisso, scandalo per gli Ebrei e stoltezza per i pagani”. La prima predicazione di Pietro, così come ce la riferiscono gli Atti degli Apostoli, non si ferma su dettagli della vita di Gesù né sul suo insegnamento morale ma parte dalla sua morte e risurrezione (At 2,22): “Uomini di Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato. Quando noi leggiamo i Vangeli, dunque, non dobbiamo pensare di trovarci davanti ad una comune biografia dove si narra nascita, crescita, vita, morte di un personaggio. I Vangeli annunciano un evento: l’evento del Messia crocifisso e risorto. La tradizione orale incentrata su questo evento si è poi solidificata nel tempo ed è giunta a noi attraverso i quattro Vangeli. Se noi rileggiamo questi racconti vediamo che sono sobrii, non sconfinano mai nel patetico, nel sentimentale, o nel gusto del truculento. Sono racconti cristologici, cioè hanno per centro Cristo che ci interpella. Un esempio per tutti: la Passione in San Marco si snoda intorno ad una domanda fatta dal sommo sacerdote: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?” e ad una affermazione di fede, quella del centurione: “Veramente costui era il Figlio di Dio”. Non sono dunque racconti da leggere perché interessanti, ma perché ti coinvolgono, richiedono la tua risposta personale: sei tu che devi arrivare a dire: “Gesù era un impostore, un bestemmiatore” oppure: “Gesù è il Figlio di Dio”.

 

COME METTERCI DAVANTI ALLA PASSIONE, MORTE, RISURREZIONE

Il chirurgo può vedere la passione dal punto di vista medico, il filosofo esaminerà l’uso dei termini usati dagli evangelisti, l’esegeta potrà cercare di distinguere tra fatti realmente avvenuti e racconti simbolo, il teologo cercherà di spiegare i sensi profondi del comportamento di Dio, lo psicologo.... Tutte cose belle! Ma il cristiano deve sapere di avvicinarsi ad una categoria che lo affascina, lo supera, lo implica: la categoria del mistero. Davanti al mistero non si può che contemplare, cioè entrare con umiltà, con tutto noi stessi, cuore, sentimenti, intelligenza, vita, paure, gioie e lasciare che l’evento ci coinvolga, ci porti là dove vuole. Ricordiamoci che già per i primi cristiani la difficoltà più grave non era tanto di ammettere la risurrezione di Gesù ma quella di accettare che il Messia risorto era quel Gesù “consegnato”, “ripudiato”, “abbandonato”, crocifisso. Bisogna, nella fede, lasciarsi condurre a comprendere che la croce, ci piaccia o no, è la verità stessa di Dio che è amore, è il luogo dove Dio cerca l’uomo e l’uomo cerca Dio: è l’incrociarsi di due passioni, di Dio e dell’uomo.

 

UMANAMENTE INEVITABILE QUESTA FINE PER GESU’

Gesù non è morto: è stato ucciso come bestemmiatore e come potenziale rivoluzionario! La morte è la fine naturale dell’uomo, il martirio è il fine, lo scopo, della vita di Gesù. Che Gesù non sia stato ucciso incidentalmente, ma sia martire dei valori per cui vive, risulta fin dalle prime pagine del Vangelo. Con le sue scelte per Dio e non per la religiosità corrente, con le sue scelte per l’uomo, per il povero, per la libertà interiore, non poteva andare a finire diversamente. Gesù è stato ucciso “giustamente” dal potere religioso come bestemmiatore (un uomo che si fa Dio), è stato ucciso “giustamente” dal potere politico in quanto elemento pericoloso che dichiarandosi messia e liberatore vuol restituire la dignità al popolo oppresso, in quanto dicendo che la vera grandezza è il servizio, sovverte ogni ordine sociale (ad esempio lo schiavo ha la stessa dignità del padrone). Gli stessi Apostoli con il loro tradimento, rinnegamento, fuga, dimostrano di non aver capito granché di Gesù, di trovare difficoltà a seguirlo e ad accettarlo cosi. Di qui nasce con particolare rilievo la solitudine di Gesù. Solitudine maggiormente accentuata dal silenzio di Dio: Dio tace, non interviene, non libera. Ma è proprio in questa situazione che Gesù si abbandona al Padre che lo ha abbandonato, spera contro ogni speranza. Ed è qui che l’agonizzante è colui che lotta con lucida volontà, il catturato, l’incatenato è colui che parla con piena libertà; il giudicato è colui che è il giudice supremo di tutti gli uomini; l’incoronato di spine è colui che è Re dell’universo; colui che non si salva diventa il Salvatore; colui che non è assolto è colui che perdona; colui che muore gridando è il primo gemito della nuova creazione. Ed è proprio nel momento della sconfitta che nasce la fede in uno straniero, un lontano: un ladro, un centurione romano. Non basta seguire Gesù sulla strada della religiosità, non basta neppure seguirlo fino al momento intimo e bello dell’Ultima Cena: è solo ai piedi della croce che noi possiamo arrivare a riconoscere in Lui l’unico Salvatore.

 

Esaminiamo ora alcuni momenti della Passione.

 

L’AGONIA NELL’ORTO DEGLI ULIVI

In tutto il Vangelo siamo abituati a vedere Gesù che cammina, che prende decisioni, che decide... D’ora in poi, dopo l’Orto degli Ulivi, Gesù “sarà arrestato”, “preso”, “condotto”, “appeso alla croce”. La preghiera dell’orto è il momento delle tensioni, delle contrapposizioni, della decisione, della tentazione, ma anche dell’affidamento totale a Dio. Queste tensioni sono anche messe in evidenza dagli evangelisti dall’uso dei termini: “Vegliate”; “I loro occhi erano appesantiti”; la carne debole - lo spirito forte; sedetevi - alzatevi; la tentazione - la preghiera; mia - tua volontà. La preghiera dell’orto richiama il fatto biblico di Giacobbe che lotta tutta la notte con l’Angelo per potergli strappare il nome. Gesù, in questa lotta, arriva a chiamare Dio con il nome di Abbà, Padre. La “paura”, la difficoltà di dover affrontare una volontà difficile, portano Gesù alla confidenza più piena. Il tema del vegliare, della vigilanza cristiana è ricordarsi, fidarsi di questo nome nell’ora della prova. Come all‘inizio del suo ministero Gesù si era ritirato nel deserto, in solitudine con Dio, così anche adesso Gesù si ritira nel Getzemani in preghiera e anche qui trova la tentazione: quella di scegliere Dio o di realizzarsi secondo progetti umani, strade più facili. Gesù non è l’eroe senza macchia e senza paura: comincia a provare paura e angoscia, ha annunciato il dono meraviglioso della vita ed ora si trova davanti alla morte; ha seminato la buona novella e miete solo cattiveria e violenza. Ed ecco allora le sue ed anche le nostre domande: Ma perché proprio su di me questa violenza? Dovevo forse usare le stesse tecniche degli Zeloti? Gli intrallazzi dei politici? “Quale vantaggio dalla mia morte, dalla mia discesa nella tomba? Ti potrà forse lodare la polvere, potrà essa proclamare la tua fedeltà?” (Salmo 30,10). La morte è particolarmente tragica per chi ha il senso della vita. E Gesù è solo. Qui Gesù gioca il tutto per tutto: l’umanità si ribella ma Gesù, pur sudando sangue, si abbandona definitivamente al Padre. Pascal diceva che l’agonia di Gesù dura fino alla fine del mondo. La sua agonia infatti si prolunga e si ripete nel dramma di chiunque lotta per la causa di Dio. Anche per il cristiano viene l’ “ora” decisiva. Di fronte al male e alla morte l’uomo può assumere le posizioni varie e inefficaci dello stoico, del cinico, del ribelle, oppure può rischiare tutto sul Dio incomprensibile: privo ormai di ogni sostegno umano trova in Dio la sua unica consistenza: ci si affida a Dio, che ci affida alla morte e non ce ne libera. Si sa però che se non ci libera dalla tomba, è capace di liberarci addirittura nella tomba, suscitando la vita dalla morte stessa.

                  

 

GIUDA ISCARIOTA

Giuda è stato chiamato da Gesù ad essere apostolo: è uno dei 12. E’ amato da Gesù. Ha ascoltato, seguito il Maestro. Quando Gesù manda gli apostoli per una prima breve missione, anche lui va a predicare la buona novella. San Giovanni ci ricorda che ha un compito particolare nel gruppo: quello di tenere la cassa comune.

 

Il mistero del tradimento

Si sono fatte molte supposizioni sul motivo del suo tradimento. Qualcuno sottolinea il motivo dell’avidità di denaro (30 denari era il costo della vendita di uno schiavo), qualcuno parla di predestinazione, qualcuno interpreta l’atto di Giuda come quello di uno che aveva interpretato Gesù come liberatore politico, ma vedendo che Gesù non agiva, lo vuoi mettere in condizioni di agire con i suoi poteri straordinari, o per lo meno di essere causa di una sommossa popolare. Forse è un bene non sapere esattamente il motivo dei tradimento di Giuda. Si può tradire per mille motivi: ogni discepolo sa di poter essere lui a tradire il suo maestro. Infatti ogni discepolo può, come Giuda, non capire il dono. Il tradimento si consuma attraverso un bacio o abbraccio di amicizia, che è il saluto tipico del discepolo al suo Maestro. E’ forse la somma di tutti i baci con i quali l’uomo si impossessa dell’uomo e lo tradisce in ciò che ha di meglio: l’amore, il dono. Infatti il tradimento di Giuda è volersi impossessare di Gesù, costringerlo ai propri progetti. E’ l’antico peccato di Adamo (voler diventare come Dio) ed è il peccato di ogni uomo quando si vuoi costringere Dio ai nostri pensieri, quando non si accetta il suo amore, quando si considera più importante la “nostra libertà”, la nostra morale piuttosto che l’accettazione del suo dono che ci libera nel profondo. Ma qual è il vero grande peccato di Giuda? Non è il tradimento, che poteva essere perdonato come il rinnegamento di Pietro, è la disperazione. Giuda, dice il Vangelo, si pente di ciò che ha fatto, cerca persino di riparare il male commesso, andando a restituire i denari, ma poi si chiude in se stesso, gli manca di sperare nel perdono, non si lascia toccare dalla misericordia di Gesù: “Dopo quello che ho fatto, Dio non può più perdonarmi”. Gesù lo aveva detto chiaro: “Tutti i peccati potranno essere perdonati, eccetto quelli contro lo Spirito Santo”. E il peccato è proprio non permettere allo Spirito che faccia giungere a noi la misericordia di Dio. In fondo il peccato di Giuda è quello di essersi voluto mettere lui al centro, di aver voluto essere lui a gestire Gesù e dopo di essersi ancora messo lui al centro e di non aver saputo vedere e accogliere colui che avrebbe potuto liberarlo da se stesso e dal suo peccato.

 

PIETRO

Pietro è forse il personaggio nel quale più facilmente identifichiamo il nostro essere discepoli di Gesù. Pietro ha un carattere irruento, è uno che si entusiasma tanto facilmente quanto facilmente si lascia portare dagli avvenimenti. E’ colui che, lasciandosi guidare dallo Spirito, ha proclamato esultante: “Tu sei il Cristo” e ora dice: “Non conosco quell’uomo”. Nei Vangeli della Passione, credo lo abbiamo notato tutti, ci sono due interrogatori che vengono presentati in parallelo: quello del Maestro cui viene chiesto: “Sei tu il Figlio di Dio benedetto?”, e quello del discepolo: “Tu eri con Gesù”. Nel primo, Gesù, nella sua ora non ha più reticenze: “lo io sono”; nel secondo il discepolo nega: “Non conosco quell’uomo”. Mentre Gesù affronterà la croce e realizzerà la volontà di Dio e la salvezza per noi, il discepolo fuggirà ed eluderà la sua ora. Gesù, debole, prigioniero ha la forza di Dio. Pietro, l’uomo sicuro di sé, fugge lontano. Ancora una volta, come era già successo a Cesarea, dopo la proclamazione di fede, il discepolo ha voluto passare davanti al maestro, ma non ha saputo andargli dietro. Quante volte questo è successo nella storia della Chiesa e nella nostra vita personale! Il presumere nelle nostre forze, il sentirci sicuri della nostra fede, il facile entusiasmo ci hanno fatto dimenticare che seguire Gesù non è fare tre tende sul Tabor o dormire sereni, dopo una bella mangiata e tante buone emozioni, nel Getzemani, ma seguire Gesù nella notte dei tradimenti e salire con Lui sul Calvario. I Vangeli non sono certamente delicati con il primo Papa: nella sua storia, con realismo, presentano la nostra storia di persone spesso incapaci di comprendere Cristo e di seguirlo. Ma Pietro si lascia ancora toccare dallo sguardo di Gesù, riesce ancora a “ricordare” attraverso il “canto del gallo”, le predizioni del rinnegamento. E l’amarezza di scoprirsi peccatore, la fiducia nella misericordia del Maestro buono che sta morendo anche per lui, lo fanno “piangere amaramente” e le lacrime gli fanno cadere dagli occhi le scaglie della sua presunzione e gli fanno scoprire la miseria riscattata dal Maestro.

 

PILATO

E’ la figura del politico, legato ai potere. Tutta la sua vita è spesa per ottenere e gestire questo potere. Pilato non va d’accordo con i Giudei. Si considera di razza superiore, li tratta con disprezzo, ma nello stesso tempo trova un popolo legato a tradizioni, dalla testa dura, un popolo che mal sopporta, soprattutto per motivi religiosi, l’invasione romana. Nella Passione gli portano Gesù quando lo hanno già condannato. Pilato capisce benissimo che il Sinedrio vuoi togliere di mezzo Gesù senza apparire. Capisce anche che le conseguenze di una eventuale rivolta per l’uccisione di Gesù ricadrebbero sulle spalle dei romani, ma sa anche che non può eludere di emettere una sentenza perché significherebbe creare un precedente pericoloso. Tutti questi calcoli fanno sì che per amore di politica, Pilato, pur dicendo chiaramente “non trovo in lui alcuna colpa”, emette una sentenza di morte. In Pilato, la sete di potere, la paura di perdere la tranquillità, il disinteresse davanti all’uomo lo portano ad amministrare la giustizia secondo i propri interessi. Ogni volta che il potere, in qualunque forma ricercato, ha il sopravvento, l’uomo ne scapita e ne soffre e il debole e l’innocente paga. Anche in questo momento della Passione, noi però vediamo che Gesù legato, insultato, flagellato, ha più potere di chi, per potere terreno, condanna la sua vita.

 

 

LE ULTIME PAROLE DI GESU’

   

“PADRE, PERDONALI PERCHE’ NON SANNO QUELLO CHE FANNO”

Gesù è venuto per donarci il perdono di Dio. Si è fatto Lui carico di ogni nostro peccato. Ha insegnato che bisogna amare i nemici e pregare per loro. Ha combattuto il male in ogni suo aspetto ma muore al posto di chi ha commesso il male. E proprio dalla croce viene la salvezza. “Guarderanno a Colui che è stato trafitto e saranno salvati”. Alcuni tra coloro che hanno messo in croce Gesù sapevano che cosa facevano e anche se non accettavano che Gesù fosse Figlio di Dio, perlomeno sapevano di mettere in croce un innocente. Eppure Gesù offre il suo perdono a tutti.

 

“HO SETE”

Sono le parole dell’agonizzante riarso dalla febbre, dal dolore. Quante volte ho visto ed anche fatto quel gesto di bagnare le labbra di un moribondo per dargli un po’ di sollievo. La sete di Gesù fa parte del dolore fisico che sta subendo (ha sudato sangue, non ha dormito, è stato flagellato, inchiodato alla croce, sta sopraggiungendo la morte per asfissia) ma è anche la sua sete di Dio, del suo Regno, sete di amore, di salvezza per gli uomini. Gesù aveva detto alla Samaritana di poterle dare un’acqua che toglie ogni sete. Ora avendo accettato di dare la vita Lui, l’acqua viva, prova per noi l’arsura, il desiderio di puro, di bello, di gioia, di liberazione che ogni uomo prova specialmente in momenti difficili della vita.

 

“DONNA, ECCO TUO FIGLIO”

Molti sono quelli che stanno ai piedi della croce per insultare o per vedere il bel spettacolo della morte di altri uomini. Pochi sono lì a partecipare impotenti al dolore: qualche donna, Giovanni, sua Madre. Gesù ha dato tutto: è nudo, morente. Ha ancora qualcosa da regalarci: sua Madre. Colei che nella fede lo ha generato, che lo ha allevato con amore, che lo ha seguito silenziosamente, diventa madre un’altra volta, proprio nel momento più doloroso della sua vita. E noi, già resi figli nella morte del Figlio, riceviamo in dono anche sua Madre: la tenerezza di Dio nei nostri confronti non ha limiti.

 

“IO TI DICO: OGGI SARAI CON ME IN PARADISO”

Gesù, il Figlio di Dio, è accomunato nella stessa sorte a due malfattori. Ma Gesù si è fatto simile a noi per farci simili a Lui; è venuto non per coloro che presumono di essere sani ma per i malati, non per i giusti ma per i peccatori. E il frutto del grembo di Maria, spiaccicato sulla croce, il seme di grano che comincia a morire nella terra porta già il suo primo frutto. Proprio un ladro, pentito all’ultimo momento, diventa il primo santo ufficiale della Chiesa; proprio uno che sta morendo atrocemente diventa il primo vivo per sempre con Dio. La croce è un legno duro che senza vita toglie la vita, ma che bagnato dal sangue di Gesù comincia a fiorire.

 

“DIO MIO, DIO MIO, PERCHE' MI HAI ABBANDONATO?”  “NELLE TUE MANI AFFIDO IL MIO SPIRITO”

Gesù fa suo il grido di questo salmo. Fa suo il grido di solitudine di tutti gli uomini. Prova fino in fondo il silenzio di Dio. Non solo gli Apostoli, gli amici, ma addirittura Dio sembra essere assente alla morte del Figlio. Queste parole possono sembrare quasi una bestemmia, un atto di sfiducia: sono solo l’estremo dolore di un uomo davanti alla solitudine di una morte offerta per amore e non capita. Ma Gesù riesce a superare anche questa estrema tentazione e si affida alla volontà del Padre. E quando fa questo passo supremo riesce a morire in pace, a compiere “ciò per cui era stato mandato”. E’ l’atto di resa totale ma è anche l’atto di salvezza. E’ nel momento dell’estrema sconfitta che c’è già tutta la risurrezione.

   

Abbiamo pensato alla  Passione di Gesù, abbiamo meditato sulle sue parole nel momento della Croce. Non possiamo non conclude questa riflessione senza pensare alle parole e agli auguri di Gesù Risorto

   

“LA PACE SIA CON VOI”

Gesù risorto saluta gli amici, ogni volta che appare, con questo augurio. Era il saluto tipico degli Ebrei che trovandosi si auguravano la Pace. Gesù è la pace di Dio, è colui che con la sua morte e risurrezione ci ha riconciliato, ci ha messi in pace con Dio. La pace di Gesù non è come quella del mondo, fatta di compromessi, di “io non ti pesto i piedi, tu non pestarli a me”, e una pace da ricevere ma da conquistare, una pace raggiunta a prezzo di sangue. Gesù ci dice: cerca questa pace dentro di te, cerca la vera riconciliazione con Dio, cerca la strada del saper perdonare, cerca di vedere non solo ciò che dà fastidio, il pessimismo del mondo, prova a guardare con ottimismo e con speranza ai tuoi fratelli, dona parole di incoraggiamento, sii in pace con Dio, non soffocare la vita, ricordati che sei un risorto!

 

“NON TEMETE”

Il buio del venerdì santo, la paura e la fuga, i dubbi, si sono dissipati. Dio è stato fedele, non c’è più posto per il timore. La paura nasce quando si è insicuri, quando non si sa di essere amati, è tutto il contrario dell’amore. Quando c’è la gioia, la serenità, la paura si dissipa come la brina al sole. Gesù ci dice: con la mia risurrezione si è manifestato l’amore di Dio per te. Ora sai di essere amato, Dio non è più il Dio lontano, il Dio padrone, anche il dolore si è trasformato in salvezza, la morte ha perso la sua battaglia con gli uomini, qualcuno l’ha sconfitta, e per sempre. Il tempo dei musi lunghi, delle tristezze è tramontato. Se vuoi essere veramente cristiano, sii  un cristiano gioioso.

 

“COME IL PADRE HA MANDATO ME, COSI’ IO MANDO VOI”

Gesù si fida di noi al punto da lasciarci in mano il compito di annunciarlo e testimoniarlo ovunque. La risurrezione non è una cosa che si racconta solo a parole, è la nostra vita che deve testimoniarla. Gesù ci dice: tu, ora, sei le mie mani per il mondo, tu sei il mio volto: attraverso te, gli altri potranno conoscermi e conoscere l’amore e il desiderio di salvezza che Dio ha per ognuno. Ma quale testimonianza dai della risurrezione se gli altri vedono in te uno che vive esclusivamente per cose che moriranno, se ti si vede sempre triste, preoccupato, senza speranza, se sei uno che preferisce nascondere la propria fede, magari in chiesa, piuttosto che manifestarla? lo mi fido di te, ma tu dimostrami che questa fiducia è ben riposta, e, dimostramelo con un po’ di entusiasmo!

 

“RICEVETE LO SPIRITO SANTO”

“Non vi lascerò orfani”, “Vi manderò il Consolatore”... E’ lo Spirito del risorto che farà vincere definitivamente la paura agli Apostoli, che li farà uscire dal chiuso del Cenacolo, che li manderà nel mondo a testimoniare Gesù, che li aiuterà anche nelle catene e nella prigionia. Ci dice Gesù: ricordati del Battesimo, della Cresima nei quali ti ho donato il mio Spirito. Ora non sei più solo, hai in dono la mia parola, la mia presenza, i miei sacramenti, una comunità in cui crescere, confrontarti, hai la mia forza per affrontare le difficoltà. Ma il mio Spirito viene senza apparenze, ricorda la Bibbia che dice che non è un vento impetuoso ma una brezza soave; renditi disponibile a coglierne la forza nel silenzio, nella preghiera; è una presenza forte ma discreta che va ricercata ogni giorno e allora “ti ricorderà tutto ciò che ti ho detto” e ti darà il gusto della vita, la fantasia della testimonianza, la gioia del sapere di avere Dio con te.

 

“POICHE’ TU MI HAI VEDUTO HAI CREDUTO, BEATI QUELLI CHE PUR SENZA AVER VISTO CREDERANNO”

Questa beatitudine, Gesù risorto la proclama davanti ai dubbi di Tommaso ed è una beatitudine per noi. Noi non abbiamo visto direttamente il Risorto, ci fidiamo della testimonianza di altri. Anche per noi, come per Tommaso, non sempre è facile fidarsi della testimonianza di una chiesa non sempre completamente credibile a causa delle sue debolezze. Dice Gesù: se nonostante le difficoltà, le apparenze, ti fiderai di me non resterai deluso. Hai visto: io mi sono fidato che la volontà di mio Padre fosse buona, anche quando prevedeva una croce per me e non sono stato deluso, la sconfitta si è trasformata in vittoria, la morte in risurrezione. Anche per te, se farai il salto nel buio verso di me, sta sicuro, atterrerai nelle braccia del Dio misericordioso.

 

E dopo le belle parole di augurio che Gesù ci ha rivolto, una favola per meditare ancora, ciascuno cercandone l’interpretazione e l’applicazione alla propria vita

 

 

 

IL RAGAZZO CHE AVEVA PERSO LA “P” DI PASQUA

 

C’era una volta un ragazzo che aveva perso la “P” di Pasqua. Era molto triste perché, logicamente, aveva molto bisogno di questa parola, giacché senza di essa la sua Pasqua non sarebbe stata completa. La cercò per tutte le parti: sotto il letto, negli armadi... che so io! dappertutto! Non trovandola, decise di andare a cercarla fino in capo al mondo. E si mise in cammino. Non lontano di lì trovò un uomo. Era alto, robusto, arrogante, e fumava una pipa d’oro che aveva la forma di “P”. Il ragazzo gli parlò: “Signore, tu che sei tanto ricco e potente, non mi potresti dare la “P” della tua pipa?” L’uomo gli rispose: “Vattene via, impertinente! Che farei io senza questa “P” di potere d’acquisto, di potere di comando, di potere politico? No! No! La mia “P” la voglio per me". Il ragazzo continuò a camminare. Poco dopo vide un grande albero. Appoggiata al tronco, c’era una scure a forma di “P”. Con grande speranza il ragazzo gli chiese: “Albero! Ho perso la mia “P”, mi potresti dare la tua?” “Ah! Non posso! Ho bisogno di essa perché mi potino i rami secchi, e così io possa continuare a crescere e rinnovarmi. No! La mia “P” è di potare!” Più avanti il ragazzo si trovò con due donne che tornavano dal mercato. Stanche, trascinavano la “P” del peso delle loro ceste. “Buone signore, non potreste darmi la “P” del vostro peso?” “Per nessun motivo! Non sognartelo nemmeno ragazzo. Le nostre “P” sono quelle più pesanti: passare lo straccio, impastare il pane, togliere la polvere, pulire i mobili... Lavori penosi, sporchi, pesanti. No! Ragazzo no! Questa “P” non e per te”. Deluso e triste, il ragazzo decise di ritornare a casa. Era chiaro. Con una scusa o l’altra, la verità era che nessuno gli voleva dare la sua “P”. Ma improvvisamente, vide venirgli incontro un vecchio curvo sotto il peso di un grande pacco. “Nonno, mi potresti dare la “P” del tuo pacco? Ti aiuterò a portarlo!” Il vecchio si fermò meravigliato: “Sei un bravo ragazzo! Ma voglio dirti una cosa. Vedi questo pacco? Pesa, e pesa molto, perché è pieno di “P”. Adesso sto andando in un posto dove ho bisogno di una sola “P”: la pace perenne. Tutte le altre le puoi tenere. Te le regalo”. Allora il ragazzo mise le mani dentro il pacco e le tirò fuori piene di “P” di tutte le forme e di tutti i colori. incominciò a buttarle per aria, felice e contento. C’era la “P” di pensare agli altri, di potare i rami secchi, di pazienza, di purezza, di perdono, di preghiera, di penitenza, di pace... Le “P” cadevano allegre su tutti quelli che aveva incontrato: sull’uomo arrogante, sull’albero, sulle donne, e tutti cambiavano: l’egoista distribuiva i suoi beni a mani piene, le donne facevano il proprio lavoro cantando, l’albero apparve trasformato. Ad un tratto, la “P” più sapiente, quella di pensare, disse: “P” di perdono, di preghiera, di purezza, di pazienza, di pace, diamoci la mano, mettiamoci insieme e formiamo la “P” più luminosa! Oh, ecco, ecco! A mano a mano che le “p” si univano, si formava finalmente!, la “P” che il ragazzo cercava. Ora era PASQUA!

     
     
 

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