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Marzo 2002

 

PASSIONE  MORTE  E  RISURREZIONE  DI  GESU'

 

I PERSONAGGI

 

 

 

MARIA DI BETANIA

 

Cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli. (Gv 12,3)

Quando, dopo una vita piena di ricerche sbagliate, piena di tentativi non riusciti, piena di delusioni subite per il proprio ruolo per la propria condiziona di donna, trovi finalmente l’amato, lo scopo della tua vita, il Maestro, l’Atteso, allora la gioia ti riempie il cuore e ti senti di amare con tutto, con i gesti e con i silenzi, con le parole e con il tuo agire.

Era la cosa più preziosa che avevo, me l’aveva regalata un mercante venuto da lontano, lo tenevo come un dono, come un ricordo, quel vasetto di alabastro con del nardo profumato: era l’invidia delle mie amiche. Nardo purissimo spalmai quel giorno sul suo capo e come l’olio che scende sul capo di Aronne così il nardo profumò tutto il suo volto che di li a poco sarebbe stato deturpato dai torturatori. Nardo purissimo spalmai sui suoi piedi stanchi per il suo tanto camminare e annunciare a tutti la speranza. E come l’unguento sana le ferite così il nardo preparò i suoi piedi ai chiodi della croce. E mi tornarono alla mente le parole del Cantico dei Cantici: «Mentre il re era nella mia casa il mio nardo spandeva il suo profumo». Pur intuendo che di lì a poco sarebbero venuti a prenderselo per ucciderlo, soffocai il grido di pianto nella gola e non tolsi i segni di gioia del profumo. Anzi col nardo purissimo lo unsi io, piccola donna, come si unge il messia, proprio prima che facesse il suo ingresso messianico a Gerusalemme: nessuno ci aveva pensato a ungerlo messia. Lo feci io. Ebbero da ridire anche su questo, soprattutto il suo cassiere che pensava solo in termini economici. Con i capelli asciugai il nardo sui suoi piedi mostrando, io stessa, donna, di aver capito bene e a fondo il segno del servizio. Lo piangemmo ai piedi della croce. Quando andarono al sepolcro per ungergli il corpo io non ci andai: lo avevo unto messia prima che morisse, non potevo ungerlo per imbalsamarlo Nel mio cuore lo sapevo risorto. Non ci credettero quando dicemmo che era risorto: ci accusarono di far chiacchiere da donne, alcuni ci presero per pazze con visioni! Però, da allora io ho un profumo di nardo purissimo che accompagna sempre le mie giornate faticose: è il profumo del mio Signore risorto!

 

 

MATTEO

 

"Prese il pane, lo spezzo, lo diede loro e disse: Questo è il mio corpo" (Mt. 26,26)

Quella sera, quel banchetto, mi ricordavano tanto il banchetto che io, l’esattore delle tasse temuto dai più, villipeso dai tanti, considerato pubblico peccatore dai religiosi, avevo offerto anni prima proprio a Lui, in casa mia. E il suo amore mi aveva stupito: Lui, il puro non aveva avuto paura di contaminarsi con me, il peccatore, Lui che predicava la povertà ed era povero, era entrato nella casa di un ricco e non mi aveva disprezzato, mi aveva parlato non come ad un pubblico ufficiale, ma come ad un uomo. E io avevo bisogno di misericordia!

Ed ora quella cena si ripeteva, nel ricordo della Pasqua del Signore. E c’era tanta fraternità tra noi. Oh, non che non ci fossero beghe tra noi, incomprensioni, interrogativi, ma pensate che nonostante tutto riuscivamo a mangiare insieme io ex esattore con uno Zelota o con i due ‘figli del Tuono’, io che provenivo da un certo mondo e da una certa cultura con Pietro e Andrea che arrivavano da una barca di pescatori. Ebbene, nonostante tutto questo mangiavamo insieme, celebravamo la stessa Pasqua, spezzavamo il pane con Dio. Lo dico sinceramente, non ho capito come forse non hanno capito neppure gli altri, che cosa significassero le parole: "Questo è il mio corpo", "Questo è il mio sangue". Non ho imparato subito ciò che teologi chiameranno poi con il difficilissimo nome di transustanziazione, ma ho capito subito che se noi riuscivamo a stare insieme era perché un'unica Persona, un unico Pane ci legava, ed era proprio Gesù con il suo amore per noi. Lui non guardava i nostri peccati, Lui non si spaventava della nostra ignoranza, Lui sapeva quanto erano dure le nostre testa, ma ci amava e dava se stesso. Ci aveva parlato della sua croce tante volte, e quella sera si vedeva che nei suoi occhi sereni gravava l’ombra di quel patibolo, e a me ricevendo quel pane spezzato sembrava di ricevere non solo la sua gioia, ma anche la sua sofferenza e soprattutto sentivo che dopo quella cena, qualunque cosa fosse successa a Lui o a noi, ci sarebbe sempre stato un momento di incontro, di memoria viva, di fede grande che ci avrebbe legati per l’eternità.

 

 

FILIPPO

 

"Versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli (Gv. 13,5)

Sono Filippo, sono nato a Betzaida, anch’io tra i chiamati della prima ora.. Sono stato io che ho portato la buona notizia di Gesù a Natanaelele. Conosco un po’ di greco e per questo i greci quando volevano incontrare Gesù si rivolgevano a me. Ero talmente preso dai discorsi di Gesù che, dopo che Egli aveva parlato del Padre, con molta ingenuità gli ho chiesto di farmelo vedere. Ma se tante cose di Lui ho stentato a capire, di una porterò il ricordo per sempre: la sua umiltà e il suo desiderio di servire.

Tra di noi spesso si discuteva di tutto quello che succedeva. Eravamo entusiasti ma capivamo poco, e allora pensavamo al Regno con gli occhi della terra. Lui parlava del "battesimo che doveva ricevere", e noi discutevamo su chi fosse il più grande. Lui ci faceva vedere un bambino e ci chiedeva di diventare tali per entrare nel suo Regno, e noi ci chiedevamo quali poteri Egli ci avrebbe dato. Certo, però una cosa non abbiamo mai messo in dubbio: Lui era il nostro leader, il capo indiscusso, senza di Lui non potevamo nulla… Eppure quella sera, la sera dell’amore e della donazione totale, Lui, il Capo, il Signore, il "Figlio del Dio vivente", come lo aveva definito Pietro, si è cinto i fianchi del grembiule del servizio, si è abbassato sui nostri piedi sporchi, ha fatto il gesto dello schiavo. In quel momento non sapevo se gioire o essere scandalizzato. Gesù non è venuto a comandare, non è il Figlio che è venuto a riscuotere le tasse per contro del Padre… Gesù è venuto per servire il Padre e per servire noi. Gesù non ci ha chiesto la vita, ce l’ha data, Gesù si è offerto sulla croce per noi. Gesù, l’unico vero potere che ci ha dato è quello di poter amare come ha amato Lui. Gesù non ci ha parlato del Padre, ce lo ha fatto vedere, non ci ha riempito la testa di slogan sull’amore, ci ha fatto vedere come si ama, Gesù non ci ha donato qualcosa, ci ha dato se stesso. Da allora le mie mani, le tue mani possono essere le mani di Gesù. Lui si è incarnato una volta nel grembo di Maria, ma vuol continuare ad essere incarnato nelle mani, nei piedi, nel cuore di tutti coloro che servono i fratelli.

 

 

GIACOMO

 

Andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. (Lc. 22,45)

Lui era là, disteso, pregava. In un primo tempo avevo pensato che, avendo di nuovo chiamato noi tre, dopo una cena così impregnata di sentimenti e di doni, si fosse di nuovo un po’ come sul monte Tabor. Niente di tutto questo. Non l’avevo mai visto così. Noi mezzi addormentati non potevamo non sentire l’odore del sudore della paura. Dunque lo sapeva. Sapeva che sarebbero venuti, perciò quell’insistente invito a pregare. Non sapevo cosa rispondere, non capivo, ero stanco. E poi chi immaginava che fossero già lì, ai piedi del monte? Chi immaginava che sarebbero stati tanti?

Ho avuto paura, mi sono tenuto indietro, pensavo che prendessero anche noi. Anche dopo avevo paura, temevo che qualcuno mi riconoscesse mentre eravamo davanti al Sinedrio. Pietro, lui l’hanno riconosciuto. Ha negato e poi l’ho visto nascondersi e piangere. Cosa ci sta succedendo? Dove sono gli altri? Nessuno parla, non ci cerchiamo neppure più. Neanche io. Non abbiamo il coraggio di guardarci negli occhi. Cosa dovrei dire? Mi sembra tutto assurdo, forse che ci siamo solamente illusi? Abbiamo lasciato le famiglie, il lavoro, abbiamo passato il nostro tempo con Lui, gli abbiamo creduto. Ma ora? Che significa tutto questo?

Sembrava tutto chiaro, tutto spiegato quando Lui era con noi: le sue parole, le nostre promesse di fedeltà, quei segni... E poi la folla che lo seguiva. Era un privilegio essere dei suoi. Ora è un pericolo. Ma stanotte tutto si confonde. Ogni forza e ogni certezza è dispersa. È giorno ormai, lo stanno portando via, lo hanno condannato. È solo.

Perché non succede niente di straordinario? Perché non si salva? Fra poco non ci sarà più tempo. Gesù, a cosa pensi mentre cammini? Cosa pensi degli altri? Cosa pensi di me?

 

 

 

GIUDA

 

Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente. (Mt 27,4)

Potrei dirvi molte cose a mia difesa, ma non lo farò perché il mio errore, il mio peccato più grande è stato proprio quello di mettermi sempre al centro della vicenda, del pensare di poter essere io ad aver capito tutto, di essere io a smuovere Gesù da quel suo pacifismo ad oltranza.

Io Giuda, l’infame. Ho infangato un nome nobile d’Israele e il nome del mio compagno Giuda l’apostolo, quasi un dimenticato (a parte qualche chiesa), e condannato a essere confuso con me.

Io, Giuda, avevo mangiato e pregato e scherzato con la Parola di Dio, con Lui, e non ho capito, non l’ho ascoltato. Questo il mio tormento. Io Giuda metafora di ogni infamia e di tutti i tradimenti: anche quelli incruenti, intellettuali, inapparenti.

Una cosa però voglio dirvi: il male non arriva mai all’improvviso. Si prepara in tempi lunghi, cerca le piccole crepe per penetrare in noi. In me ha giocato sul mio egocentrismo, sul mio protagonismo, sul mio attaccamento alle cose e al denaro, sulla mia insincerità, e poco per volta sono diventato più importante io di Lui. Ed anche il mio ultimo gesto è stato guidato da questa mia mentalità accumulata negli anni. Se avessi capito che l’amore di Gesù era più grande del mio pur grande peccato, sarei stato perdonato, avrei continuato forse ad essere apostolo; invece, anche lì, il mio egoismo mi ha fatto pensare più a me, alla mia vergogna, alla mia sconfitta che alla sua misericordia.

Se accettate un consiglio da Giuda: credete più al perdono di Dio che al peccato.

 

 

CAIFA

 

Anche se ve lo dico, non mi crederete. (Lc 22,67)

Riconosco che il processo a Gesù non è stato regolare. Le accuse per le sue parole, le sue azioni e quelle dei suoi seguaci non erano contestate in modo preciso; mancavano chiare testimonianze. Ma come avremmo potuto fare diversamente con quel poco di tempo a disposizione, mentre era evidente il pericolo di disordini e mentre si metteva ormai in discussione il fondamento della nostra fede e del nostro potere? Gesù stesso insegnava che non conta tanto la lettera della legge quanto il suo spirito. Ebbene, lo spirito della nostra legge è quello che ho difeso: un Dio, un solo Dio che non poteva avere figli, dividersi, esser figlio di se stesso. Toccava al Sinedrio prendere posizione. Non ha avuto torto Ponzio Pilato: da uomo delle istituzioni doveva rifiutare di giudicare in un processo irregolare. Lo ha lasciato a noi, ce ne ha data la responsabilità, al di là dei suoi obblighi, ci ha prestato i soldati per l’esecuzione. Ma quando Gesù ha ammesso di essere il Messia e il Figlio di Dio, la prova che mancava, l’accusa che vacillava ce le ha fornite pienamente lui nel dibattimento. E io, facendogli quella domanda definitiva, gli ho permesso di dire l’essenza del suo messaggio; di dichiarare ciò che prima o poi avrebbe detto al mondo. L’ho condannato, ma l’ho aiutato a comunicare la sua verità, per la quale era venuto a vivere e a morire. Vorrei ancora dire una parola in particolare a tutti coloro che detengono o pensano di detenere il potere religioso, affinché la mia esperienza non sia inutile.

Noi preti, religiosi, pensiamo di avere un incarico particolare da Dio. Ed è vero, siamo scelti e mandati per un qualcosa più grande di noi. Ma attenzione a confondere missione e servizio con potere ed autorità. Noi, con la scusa della Bibbia o del Vangelo siamo portati a diventare protagonisti, giudici, politicanti e rischiamo di non essere più al servizio della Parola di Dio, ma di usare la Parola per i nostri intrighi, interessi politici: io per salvaguardare "la purezza della legge", per togliere di mezzo un bestemmiatore, per paura di una insurrezione, non solo non ho riconosciuto il Messia ma non ho saputo neanche vedere l’uomo che avevo davanti.

 

 

PIETRO

 

«Non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. (Mt 26,75)

Io sono la roccia!

Un po’ presuntuoso, direte voi? No! Questo nome me l’ha imposto il Maestro. E in verità all’inizio non ne capivo il perché. Da me ha sempre voluto che fossi il primo, ma questo l’ho capito molto tempo dopo. All’inizio davo credito più a chi interpretava così il mio nuovo nome: « Testa dura ». E forse aveva ragione. Ho sempre cercato di strafare. Sempre davanti a tutti a dare consigli a quel Nazareno. Lui parlava di servizio, di perdono, di passione, di morte. Sì, mi sforzavo di andargli dietro col ragionamento, ma quando tutto questo lo diceva in pubblico mi faceva scattare. Io ho creduto quasi subito che fosse il Messia di Dio, ero anche disposto ad assecondarlo, a difenderlo... Poi avvenne tutto così in fretta, quella sera, a Gerusalemme. Aveva voluto lavarmi i piedi a forza. Lui, il Signore. Mi sembrò così umiliante per lui. E uscì. Ed era buio, e non solo per la notte. Anche la mia spada non gli serviva e incombeva su di me la predizione di quel gallo. Ebbi paura perfino di una servetta e negai di averlo conosciuto. Che vergogna. Mi ero giocato tutto. Un verme davanti alla storia. Sapete, da allora ogni gallo che canta mi strazia il cuore. Non ci sono lacrime che bastino a chiedere perdono. Non ho attenuanti. Proprio a me aveva dato l’incarico di confermare i miei fratelli, e ora erano tutti dispersi.

Maria di Magdala venne a dirci qualche giorno dopo che era risorto, ma credetti a dei vaneggiamenti. Ero proprio tardo a capire. Corsi alla tomba, col fiato lungo, facendomi superare dall’amore di Giovanni. Vidi. Constatai. Lui non c’era. Lo vidi un giorno, come sempre sulle rive del lago, lo raggiunsi e mi fece una insistente domanda che mi rimane assordante nel cuore: "Pietro, mi ami tu?". Non bastò una risposta, ci volle la forza dell’amore per dirgli che solo lui poteva scrutare nel fondo del mio essere. Da allora so che la vera pietra è lui. Io non sono che un segno.

 

 

PILATO

 

«Per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità».(Gv 18,37)

Mi hai detto che sei venuto al mondo e che sei davanti a me per "rendere testimonianza alla verità" Ma, che cos’è la verità? Ho letto molti rapporti su di te, Galileo. Mi aspettavo più coraggio da parte tua; non coraggio fisico perché al momento dell’arresto quello lo hai avuto e lo hai ancora. Coraggio con le parole. Perché non lo dici che questo mondo è senza verità?

La verità debbono farla gli uomini, quelli che tu chiami amici ma che il più delle volte hanno una verità fatta a propria misura e la usano per asservirsi gli altri.

Quanti giusti si sono fatti uccidere per il principio di giustizia? Non bastano mai. Anche tu ti devi far uccidere?

Perché la verità deve essere impastata di sangue, anche del tuo? Non parli più? Non puoi fare in un altro modo?

I tuoi occhi mi ricordano quei bambini che ho visto lavorare sotto la frusta nelle miniere spagnole. Quanti ne dovranno morire prima che finisca questo scempio?

A questo punto pensavo che un po’ d’acqua sarebbe bastata: in fondo io non c’entravo, erano affari religiosi e io non solo non me ne intendevo molto di ebraismo, ma non ero neppure molto religioso. Aver grane con questo popolo testardo e con l’imperatore che già mi aveva cacciato in questa terra lontana, era proprio l’ultima cosa che cercavo. Un po’ d’acqua, qualche segno di disprezzo per questo popolo, tanto per far vedere il mio potere, e basta!

Ma tu mi sei rimasto sulla coscienza: puoi far di tutto per cercar di scusarti, per giustificare il tuo operato, per lavarti le mani dei problemi degli altri, ma una voce, uno sguardo, un rimprovero silenzioso, questi non li puoi cacciare. Puoi lavarti le mani, far finta di essere a posto, ma non sei contento, non sei in pace... e meno male che sia così, perché fin che c’è una coscienza che rimorde c’è anche la possibilità di cambiare!

 

 

ERODE

E’ estremamente brutto avere a che fare con i profeti: ti sconvolgono la vita, non li trovi mai dove vorresti, cercano in tutti i modi di toglierti dalle tue sicurezze... Prima quel Giovanni Battista! La sua ombra è rimasta con me, quella voce ha continuato a gridare ancora più forte quando gli ho fatto tagliare la testa... e poi, questo Gesù!

Mi avesse fatto qualche bel miracolo, mi avesse rassicurato nelle mie paure, mi avesse gridato addosso. Giovanni gridava, questo tace, ma tutti e due mi hanno sconvolto la vita. Oggi posso dire una cosa che avrei dovuto capire anche allora: Dio non lo si compra con il potere, Dio non vuole coscienze addormentate, se vuoi essere religioso devi davvero lasciarti turbare il sonno e le comodità sia da chi ti grida addosso, sia da chi, non dandoti facili risposte, proprio con il suo silenzio ti provoca ad uscire dal tuo egoismo per intraprendere la strada che porta a Lui.

 

 

BARABBA

 

A morte costui! Dacci libero Barabba! (Lo 23,18)

Dai, dai, aprite questa porta! A metterti dentro fanno in fretta, a farti uscire invece… Voglio il sole, l’aria! Hanno scelto me, lo volete capire, stramaledette guardie! Me, hanno liberato, Me!

Grande scelta, quest’anno, per il popolaccio maiale! Me, il meglio del bruto normale, il ladro più ladro, l’assassino più assassino. E l’altro, il meglio del bruto credente, il sedicente messia. In tutti i sensi il meglio del meglio. Grande giornata, che shock, che emozione, che botta di nervi per il popolaccio cane!

Come avrei voluto sentirli. Queste rocce sono spesse due braccia. Notizie a brandelli, l’orecchio incollato alla porta, le guardie fetenti: "Ti tocca, ti tocca, a pezzi ti fanno, stavolta".

E poi, che contrasto: io il bar-abba, il figlio del Padre perché altri padri non ce n’è, il figlio di N. N., dell’umanità più umana che si può. E lui, addirittura il figlio del Padre davvero, la luce, la pace, secondo quello che dice. Che scelta, che scelta!

Ragazzi, tra poco la luce. E che mi frega dei tagli alle caviglie, se poco mi reggo, se l’occhio è gonfio di botte? Io stasera a mangiare, bere, divertirmi, lui pencolante da una croce. Io quello in Alto non l’ho mai benedetto e mai lo farò. Io benedico Gesù di Nazareth, lui sì benedico, che penzolerà al posto mio. Sii benedetto Gesù, cento, mille volte benedetto.

 

 

SIMONE DI CIRENE

 

Gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù. (Lc. 23,26)

Venivo dalla campagna e notai subito un grande assembramento di folla che scalpitava e gridava. Nel mezzo un uomo sanguinante, con ferite al capo che portava una croce con la quale sarebbe stato crocifisso. Alcune donne seguivano piangendo, nel mezzo una, probabilmente la Madre, inconsolabile. Alcuni soldati mi si avvicinarono, costringendomi a portare per un pezzo di strada quel legno. L’ho fatto perché costretto: era pericoloso rifiutarsi ai soldati. Rimasi colpito da quell’uomo pieno di sangue: ne parlai con i miei due figli Alessandro e Rufo, i quali mi informarono su chi fosse quell’uomo. Essi mi dissero che si chiamava Gesù e mi spiegarono che cosa rappresentasse. Nonostante non mi fossi reso conto, fui felice di aver contribuito ad alleviare gli ultimi momenti della sua vita. Il disegno di Dio è grande e misterioso solo a lui la lode.

 

 

MARIA DI CLEOFA

 

"Se così hanno trattato il legno verde, che ne sarà del secco?" (Lc. 23,32)

Parlo anche a nome di tutte le altre donne che hanno seguito Gesù e che un certo mondo religioso, ipocrita e bacchettone, ha definito come le "pie donne". Grazie per quel termine in quanto ci piacerebbe essere "pie" nel senso di giuste, religiose nel senso di fedeli, sante nel senso di persone che cercano di manifestare la santità di Dio attraverso una vita vissuta nella sua volontà, ma non ci piace essere chiamate "pie" se si intende donnette dalle facili emozioni, dal collo sempre torto, svenevoli davanti al sacro, moraliste intransigenti perché incapaci di vedere, di gioire, di amare veramente. Gesù non ci ha considerate così. Lui, pur rispettando le tradizioni, ci ha trattate da persone. Lui la rivoluzione più grande ce l’ha fatta fare non rendendoci semplici suffragette dell’emancipazione femminile, ma valutandoci una per una, accettandoci nella nostra femminilità, dandoci una dignità interiore profonda. Se non ci credete, leggete il Vangelo, guardate alla peccatrice, alla Maddalena, alla Samaritana… Il nostro gruppo è eterogeneo come quello degli apostoli: c’è chi ha studiato e chi no, chi è ricca e chi è povera… Lui ha guardato il cuore… E anche adesso, mentre gli apostoli sono scappati, noi siamo lì, impotenti ma presenti, per dargli il nostro conforto, la nostra solidarietà, e saremo ancora lì la mattina di Pasqua, mentre gli uomini coraggiosi se ne staranno rintanati.

La nostra non è solo la pietà di chi piange e dice: "Poveretto!". Noi donne abituate a soffrire anche dalla nostra natura stessa, sentiamo amore vero nei confronti di Gesù e condividiamo il dolore di sua Madre che non è mai stata gelosa della nostra presenza attorno a suo figlio e che ha condiviso e condivide tutto con noi. E Gesù questo lo ha capito e il suo sguardo e anche le parole che ci dice lungo la via dolorosa sono ancora una volta la testimonianza di ciò che vedeva in noi. Ci ricorda chiaramente la cattiveria degli uomini, la durezza del cuore, ma anche il suo amore e la sua misericordia nei confronti di tutti: Lui è il legno verde martoriato; anche per noi uomini e donne secchi e duri ci sarà la sofferenza, la prova, ma come colui che è morto sulla croce risorgerà, anche per noi, legno secco, proprio grazie a Lui, c’è la possibilità di trasformare il dolore in vita, la prova in amore. E queste cose noi donne, abituate a generare nel dolore le sappiamo e sentiamo profondamente.

 

 

IL BUON LADRONE

 

Oggi sarai con me nel paradiso. (Lc 23,40-43)

Di tutti coloro che erano stati con lui per tre lunghi anni, che lo avevano visto guarire malati, risuscitare morti, sedare tempeste non era rimasto più nessuno. I tanti che l’avevano facilmente proclamato Messia dinanzi a un miracolo, l’avevano ormai abbandonato. Soltanto io, l’anonimo brigante condannato a morte con lui, l’ho riconosciuto e gli ho chiesto d’essere ricordato. A me, il più indegno tra gli uomini, che non avevo mai ricevuto risposte che non fossero insulti, Gesù si è rivolto con una parola che era di conforto ed era una promessa di vita. Luca si è dimenticato il mio nome, ma non importa perché forse voleva che qualsiasi brigante dopo di me potesse metterci il proprio di nome e rimanere accanto a Gesù nella sua agonia che continua nella storia tra solitudine, abbandono e indifferenza. A ognuno di loro, come a me, Gesù offre ascolto, dà ancora speranza e restituisce fiducia. E promette di accoglierlo nel suo Regno così come mi accolse quello stesso giorno che, abbandonati da tutti, tra gli sberleffi delle autorità e la presunzione di giustizia del potere, morimmo insieme sulle croci piantate fuori la porta nel luogo chiamato del Teschio.

 

 

MARIA

 

Anche a te una spada trafiggerà l’anima. (Lc 2,35)

 

Nuove stazioni del Calvario, Figlio mio, si sono aggiunte in questi giorni al nostro Golgota. Nuovi strazi e nuove crudeltà, sono entrate nella carne delle mie sorelle, delle madri che come me stanno vivendo sempre nuove Vie Crucis. Non riesco più a rimanere sugli altari che mi hanno dedicato, nei luoghi della devozione, pur a me così cari. Devo andare là, accanto a quelle donne che nelle loro carni, nel loro cuore e nella loro mente vivono la Passione che duemila anni fa mi ha vista, accanto Te, salire verso quella Croce sulla quale anch’io sono stata inchiodata.

Ho rivissuto infinite volte quel terribile momento. Mio figlio, il Figlio di Dio ucciso su una croce e proprio da quei fratelli, da quei miei altri figli che è venuto a salvare! L’ho rivissuto nel dramma di tutte quelle mamme che hanno visto i loro figli partire e non più tornare, che hanno pianto, piangono e lottano vedendo il loro figlio inchiodato sulla croce della droga. Lo rivivo con tutti coloro che subiscono ingiustizia, con tutti coloro che sono spettatori partecipi e impotenti della morte di un loro caro. Dio mi ha voluto mamma e io rivivo la gioia e il mistero doloroso di ogni maternità. Siete tutti miei figli e ai piedi di ogni vostra croce, siatene sicuri, mi troverete sempre muta ma partecipe, silenziosa ma presente. Dio non mi ha pensato solo per suo Figlio, ma anche per ognuno di voi.

 

 

IL CENTURIONE

 

Davvero costui era Figlio di Dio (Mt 27,54)

Da soldato ho visto morire molti uomini in battaglia, e in tempo di pace ho preso parte a molte esecuzioni. Conosci un uomo quando sta per morire, quando si è tolto tutte le maschere.

Prima di lui non lo sapevo come muore la carne di Dio. Abbiamo spezzato idoli di pietra e di metallo, ma un corpo vivo, nato da una vergine e da un annuncio di angelo, chi ha potuto vederlo morire, tranne noi? Morì in ebraico, tirando fuori da un corpo sfinito una voce violenta come una valanga. È verso di un salmo, mi disse l’interprete: "nella tua mano sto per consegnare il mio vento". Luca scrive che io di luì dissi che era un giusto. Forse avevano inteso così e da Ebrei avevano una buona idea del "giusto". Ricordo di aver detto, invece di "iustus", un’altra cosa: "Ius tuum". A quel pezzo di vita di Dio mi venne di dare un tu improvviso che significava: ora so che la legge, "ius", non appartiene a me, ma a te. Tu che muori sei la legge, perché la legge è diventata amore. Prima di luì Dio, per me, era un grido di bestemmiatori e moribondi. Ora so che è una notizia.

 

 

GIUSEPPE D’ARIMATEA

 

Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatea, chiamato Giuseppe. (Mt 27,57)

Perché, io, Giuseppe d’Arimatea, l’ho fatto? Perché mi sono impicciato in questa ricerca di una tomba per un fuorilegge, fra l’altro inviso non solo ai romani, ma al popolo d’Israele, ai Sacerdoti, ai magistrati? Speravo che si spegnesse ogni clamore con la tonda pietra appoggiata alla collina. Invece è avvenuto l’incredibile, che pure aveva preannunciato. E risorto dopo tre giorni. Perché l’ho fatto? Un misto di motivi.

Il primo dubbio riguardava il giudizio pronunciato su di lui. Ma davvero era colpevole, un istrione, un agitatore? Forse l’ho fatto in odio ai romani, per il disprezzo che essi nutrono per la popolazione occupata dai loro eserciti. Il non essere cittadino romano comporta ogni nefandezza sul corpo altrui, con la violazione piena della dignità dell’uomo. Sarebbe dunque morto appeso in croce e seppellito quattro dita sotto la sabbia in una delle discariche fuori città. Non ho consentito questo spregio di un mio correligionario. I soldi ce li avevo. Una sepoltura silenziosa tiene buono sia il popolino, sia l’esercito, che ha sempre una buona occasione di picchiare al primo tumulto. Perché l’ho fatto? Perché la persona era coraggiosa e coerente. Non si è mai tirato indietro durante tutta la vita e durante il processo non ha dato segni di paura. Ha battuto tutti sul piano dialettico ed è arrivato a perdonare il bandito crocifisso con lui che chiedeva pietà per i suoi peccati. Perché l’ho fatto? Perché al di là di tutto, al di là del mio ruolo nel Sinedrio, delle mie credenze religiose, degli intrallazzi politici, mi aveva conquistato la sua persona. E adesso che quella mia tomba è vuota, adesso che si parla di trafugamento del corpo, adesso che qualcuno potrebbe addirittura puntare il dito contro di me, adesso che potrei dirmi: "Ma, chi te lo ha fatto fare?", comincio a pensare di aver fatto bene a fare così. E quella tomba vuota che forse diventerà la mia tomba sembra ricordarmi di non essere la dimora definitiva neppure per me.

 

 

MARIA DI MAGDALA

 

Non è qui. E’ risorto, come aveva detto. (Mt 28,8)

E’ inutile che mi chiediate ancora di spiegarvi quei fatti. Li ho già raccontati a molti, e io stessa fatico a capirne il significato profondo. Lo chiamavamo "maestro": eravamo un gruppetto di donne che lo ascoltavamo e lo seguivamo. Io cercavo di fare attenzione a non lasciarmi ingannare dalla mia emotività e dai miei sentimenti; l’ho seguito perché volevo capire meglio quello che diceva, o ciò che spesso lasciava intendere dietro le sue metafore. Poi la sua condanna a morte: giorni terribili e incomprensibili per noi allora, anche se, ripensandoci, lui ci aveva preparato a quei fatti. Quante lacrime quel sabato. Poi il sepolcro vuoto: nemmeno più il suo corpo ci avevano lasciato! Mi sembrava davvero la fine di tutto; io ero ripiombata nel mio senso di solitudine e di sconfitta. Tanto é che quando mi è comparso davanti quella mattina non l’ho riconosciuto. Ma mi ha chiamata per nome, per rassicurarmi e per farmi capire che era proprio lui, che nulla era finito, anche se la sua storia e la nostra storia da quel momento in poi sarebbe stata completamente diversa. Avrei voluto trattenerlo perché tutto tornasse come prima. Ma lui mi ha fatto capire, che dovevo guardare oltre le mie lacrime per scoprire la sua vita: essa andava oltre i miei limitati confini; era una vita infinita di amore con il Padre. Ho capito che tutto quello che ci aveva detto era vero. Che la vita continuava. Anzi quella Vita per me, per noi cominciava proprio allora.

 

 

GIOVANNI

 

Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro. (Gv 20,8)

Sono Giovanni, il discepolo "prediletto di Gesù". Così, spesso mi hanno chiamato i miei fratelli Questo fatto mi ha procurato tanta gioia, ma anche tante incomprensioni, lo so che per Gesù ‘prediletto’ non significa mettere in graduatoria l’amicizia, lo so però che lo amavo, stravedevo per Lui e so che Lui mi voleva un bene immenso Più che a parole noi ci amavano con tutto noi stessi, io amavo stare "ai suoi piedi" come Maria, la sorella di Lazzaro, io bevevo tutte le sue parole, anche i gesti erano spontanei, significativi, come questo mio reclinare il capo sul suo petto. Ma ora che sto correndo per vedere che cosa è successo, ora che il mio cuore è turbato da strane notizie, ora, so che in Lui ho visto la misericordia, la dedizione, la parola buona sulla vita farsi carne, l’amore farsi realtà. Ora so che sto correndo per rivedere quell’amore. Prima davanti a Caifa, poi a Pilato, ho visto l’amore farsi pazienza, fortezza, forza, perdono, compassione. Ho visto l’amore farsi dolore atroce lungo la strada del Golgota. L’ho visto crocefisso. E su quel legno l’ho visto e sentito farsi ancora tenerezza e sollecitudine, trasformarsi in dono. E poi... ho visto l’amore farsi silenzio. E ora che sto arrivando al sepolcro vedo una pietra rotolata da parte; e ho paura. Entra tu Pietro! Tu sei la roccia, tu sei più forte, più saggio di me. Ma non riesco a star fuori. Voglio vedere, spero di vedere ancora quella dedizione. Entro vedo una tomba vuota e un sudario piegato. Vedo l’amore farsi assente e presente. E credo e chiedo di credere. E so, d’improvviso, che ogni uomo è un prediletto. Gesù non fa distinzione di persone, ama tutti, è morto per tutti, ma Gesù ama anche ciascuno di un amore individuale, personale. Non c’è da essere gelosi gli uni per gli altri, c’è solo da gioire al pensare che "il Signore mi ama in modo tutto particolare’" ed anche perché ciascuno di noi può rispondere personalmente a questo amore particolare.

Se posso darvi un consiglio, nel rispondere all’amore di Gesù, non scimmiottate nessuno, neanche i santi, amate con tutto voi stessi e soprattutto lasciatevi amare di quell’amore particolare che Gesù ha per ciascuno.

 

 

 

I DISCEPOLI DI EMMAUS

 

Resta con noi perché si fa sera.(Lc. 24,29)

Sentivo solo il rumore dei miei passi, e di quelli di Cleopa, che mi era accanto. Anche le nostre voci si erano spente naturalmente. Eravamo scappati da Gerusalemme e non riesco a dire il vuoto che sentivo dentro. Quella croce aveva ucciso anche noi, ci aveva svuotati. Il nostro destino sarebbe mutato un giorno? Le tenebre ci avrebbero avvolti per sempre?

Domande che facevano male; domande che rimanevano senza risposta. Quasi non mi accorsi ma avevo ricominciato a parlare, e Cleopa con me, quando ci voltammo, come sfiorati da un fruscio, e ci apparve un uomo. Non saprei descriverlo, ma mi colpì il suo sguardo. Ci domandò di cosa parlavamo. Cleopa subito gli rispose, raccontandogli gli ultimi turbinosi avvenimenti. Continuammo la strada insieme, e il nostro compagno parlava con una voce che mi sembrava familiare, eppure mai udita prima. La strada sembrava non pesare, e mi sembrava che le forze mi fossero tornate di colpo. Parlava di Mosè, dei profeti e delle Scritture. Ebbi la sensazione di sentire per la prima volta quelle cose che pure mi sembrava di conoscere così bene.

Il giorno era ormai morto, ma la sera non era cosi buia come si preannunciava. Arrivati al villaggio io capii che il nostro compagno voleva proseguire, e lo invitai a rimanere con noi. Quella voce mi consolava, mi accarezzava. Ci sedemmo per la cena e alla benedizione il viandante prese il pane e lo spezzò. Lo dico in una parola, breve come un momento. Ma su quel momento è girata la mia vita. Mentre spezzava il pane fu come se fosse tutto chiaro da sempre. Quelle mani che spezzavano il pane, sono ancora fisse nella mia mente. Io e Cleopa ci alzammo per prendere ancora del vino, ma in un attimo Lui non c’era più, se ne era andato, ma ormai sapevamo chi era. E non ci fu bisogno di altre parole.

 

 

TOMMASO

 

Beati quelli che pur non avendo visto crederanno! (Gv 20,29)

Un po’ mi guardano con commiserazione, un po’ mi prendono in giro perché non ho creduto loro e Gesù mi ha rimproverato. È vero, la mia non è una fede semplice: voglio capire, voglio cercare le prove. Forse è un limite. Forse. Ma è già difficile credere nella Resurrezione, ancora più difficile è credere a un gruppo di tuoi compagni impauriti che ti dicono che hanno rivisto Gesù. Non è forse vero che la maggior fonte di menzogna —in buona fede, magari — è la vista? Quante volte abbiamo "visto" cose che non c’erano o erano in realtà diverse? E quanti falsi profeti hanno incantato gli uomini con le loro "visioni"? Per quel che riguarda i discepoli, poi, non è forse vero che spesso si "vede" quello che si vuole vedere? Ho dubitato di Gesù, ma soprattutto ho dubitato della loro testimonianza. Ho pensato che avessero visto un sogno.

Ma di fronte a Gesù, non ho avuto bisogno di toccarlo: non c’era una visione, ma una persona davanti a me, e le sue parole hanno aperto i miei occhi. Gesù è il figlio di Dio, non ho più dubbi: mi aiuterà questo a distinguere chi parla di Lui perché lo ha incontrato, da chi testimonia solo le proprie visioni?

 

 

GESÙ’

 

Vi ho ascoltato molto volentieri, amici carissimi: ringrazio molto te, Maria di Betania, per il tuo unguento; ringrazio il tuo benedirmi, Bar-Abba; ringrazio voi discepoli con cui ho camminato verso Emmaus; ringrazio te, mamma amata, per il tuo cuore capace di farsi trafiggere da chi soffre... Ringrazio tutti voi per le vostre testimonianze così calde e profonde! Sono il segno chiaro che la mia morte assurda non è stata invano, come qualcuno ancora pensa. Hai ragione tu, amico che hai visto tanta gente morire: la mia morte è stata diversa e solo li ho cominciato a svelare davvero chi sono io.

Però, per parlarvi francamente come ho sempre fatto, devo dirvi che avete afferrato solo qualche scintilla di quanto io ho vissuto. Sì, perché il senso della mia morte è troppo misterioso per essere afferrato dalle vostre menti incerte e racchiuso nei vostri cuori piccoli. A me non sono congeniali pensieri ambigui, compromessi inevitabili, mezze verità, complicità nascoste o sognate, avidità più o meno controllate. Non mi seduce niente di ciò che attira voi, fosse anche per un attimo. Chi di voi può comprendere la mia infinita solitudine? Chi di voi sente una nostalgia così grande del Padre da gridare disperato?

Vi ringrazio, amici, ma vi chiedo ancora una volta di lasciare da parte le parole e voi stessi, per "stare" e basta, sotto la mia croce. Mia madre ha intuito che l’Amore non si capisce: si contempla e ci si lascia da esso ammaestrare.

In questa Pasqua in cui patisco e muoio, se volete farmi cosa gradita, trovate un po’ di tempo per stare con me, sotto la mia povera croce, in silenzio. Pian piano vi prenderò e vi porterò nella mia resurrezione.

     
     
 

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