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Cibi rituali,tradizionali e stagionali della cultura
contadina e popolare Veneta
CUCINA
BELLUNESE
La cucina bellunese offre un mangiare alpino, robusto e piccante,
senza perdere niente di quanto di aristocratico esiste in molti piatti, offerti
dalla cucina veneziana. Ha un suo sapore inconfondibile che deriva dal sapiente
miscuglio di prodotti e aromi "poveri",
Nei vari tipi di minestroni, il fagiolo rosso di Lamon, con l'orzo, il latte o
il riso offrono subito un biglietto da visita scritto con i caratteri della
tradizione e della creatività. La caccia dà ancora la possibilità di esaltare
allo spiedo, nei bronzini, nelle larghe graticole, nelle padelle di terracotta
le carni ancora selvadeghe, selvatiche, dei fagiani, dei galli cedroni,
delle lepri dei camosci e dei caprioli, accompagnate da capretto allo spiedo, da
braciole alla griglia.
"La trota salmonata di Misurina regge lo scettro fra i piatti di pesce, e i
marsoni del Piave fritti con polenta rappresentano un cibo semplice e
popolare, delle borgate che si affacciano sul corso del fiume. Latte, burro,
ricotta sono il complemento semplice e sano insieme con quei dolci, come la
torta di mandorle, i consègi, i biscotti da zuppa, che chiudono la serie
delle portate"
Famosa la grappa di vinaccia, di prugna, di ginepro; i distillati di
camomilla, di passiflora, di genziana. Sono i liquori che sostengono i filò
attorno alle camaze dopo cena, quando la parola tra amici ha il sapore
del ricordo e della poesia.
CUCINA
PADOVANA
I colli Euganei, e la pianura che corre verso il mare, senza
raggiungerlo, caratterizzano un paesaggio "contadino" che entra nelle città e
nei paesi e crea angoli pittoreschi di pergolati dove, spesso, si riconoscono le
vestigia di antiche osterie, e dove, probabilmente, è nata la consuetudine dei
pollastri ai ferri, delle lasagne, delle faraone rosolate, dei prelibati
toresani (i toresani vicentini di Breganze).
In questa "sinfonia gastronomica" le minestre di riso della cucina padovana
fanno concorrenza a quella veneziana. Vi troviamo il risoto coi rovinazzi,
con la luganega, con i bisi. Celebre il detto ghe n'è par sete
padovani, per indicare una tavola imbandita con abbondanza. Se si pensa alla
pettoruta gallina padovana che "fa da centro ai secondi", ai capponi,
eccezionali per dimensioni e qualità delle carni, alle oche grasse e gonfie, ci
si rende conto che l'espressione non è esagerata.
La polenta di Cittadella è un dolce famoso e squisito, ma della
polenta ha solo il nome. Invece, la smegiazza, gli antichi zaleti
conservano vecchie ricette a base di farina gialla.
CUCINA
ROVIGOTA
Quella del Polesine è una cucina naturale e semplice, coerente con il
carattere degli abitanti. La caccia e la pesca offrono alla cucina polesana
sapori altrove introvabili. Nelle trattorie, lungo gli argini dei fiumi e dei
canali, fuma sui larghi focolari la graticola di grosse e tenere anguille, e la
polenta troneggia nel suo colore dorato sulle tavole imbandite. La caccia
arrosto o allo spiedo sostituisce spesso il pesce: tra gli alari girano
schiodinate di mazori, ciossi, anitre selvatiche.
Anche la "campagna" non è da meno delle zone paludose. Le teglie con la scura
faraona, oppure il cappone ripieno, i piccioni farciti sono il risultato di
allevamenti sapienti, che non hanno del tutto dimenticato le vecchie regole
contadine. Il risotto di branzino è una peculiarità tutta polesana, come la
bondola dal robusto sapore.
CUCINA
TREVISANA
"Lieta e tranquilla la Marca è una creatrice di delizie gastronomiche
tutte basate su piatti ricchi, ricercati e molto accurati nella preparazione,
risultato evidente di una disposizione particolare dei trevigiani per i
fornelli. Fra i risotti capeggiano quelli con la luganega, coi funghi del
Montello, porcini o chiodini, con le quaglie grassottelle di alcuni indovinati
allevamenti locali, e con l'anguilla del Sile"
Le pappardelle, impastate senza uova secondo la tradizione "povera", formano con
i fagioli una saporita pasta e fasoi da far concorrenza alla zuppa di
trippe. Non certo alla zuppa coada (covata), insuperabile per la
preparazione attenta e il gioco dei gusti: trippe, piccioni, pollastrelli. Il
baccalà alla trevigiana insidia il primato al più noto baccalà alla vicentina; i
gamberi di S. Polo di Piave, il radicchio di Treviso e Castelfranco, completano
una cucina di gusti elementari e di qualità.
CUCINA
VENEZIANA
Il sapore e il gusto della cucina veneziana nascono nelle isole, in
tempo remoto; si sposano e confondono, più tardi, con gli ingredienti e gli
aromi dei prodotti della terraferma, con una immaginazione culinaria sostenuta
da esperienze alimentari colte nei viaggi mercantili nel vicino oriente. Ma la
caratteristica originale resta fedele alla lontana origine, quando pesca, caccia
e orticoltura offrivano prodotti e ingredienti alla cucina veneziana. Il
broeto antico e le zuppe di molluschi ne sono una testimonianza, come la
ricchezza e la varietà dei piatti di pesce, all'arrosto, sulla graticola, in
fritti saporosi, in umido (umido di seppie) fino all'esaltante saòr. E
non si può dimenticare la capacità "di esaltare il gusto del manzo, dei carnami,
del fegato, con misurati e temperati accostamenti degni in qualche caso della
più ricercata cucina internazionale" (R. da Mosto, Il
Veneto in cucina, A. Martello - Giunti Editore, Firenze, 1974, p. 15).
Un'eredità dello spirito mercantile veneziano, una vocazione
all'ospitalità della città stessa. I prodotti della terraferma entrano nella
cucina veneziana attraverso un sapiente equilibrio di gusti, ingredienti e
aromi. I risultati migliori sono certo i risotti, morbidi, delicati, dal sapore
inconfondibile.
CUCINA
VERONESE
La leggenda sull'origine della pastissada de
caval, nasconde, con ogni probabilità, l'origine longobarda del piatto,
riconosciuta come "veronese". Ma la tradizione scaligera, assume ad autentico
emblema della sua cucina, lo gnoco. Non per niente il signore del
Bacanàl, il carnevale veronese, è il Papà del gnoco che inalbera sul
suo forchettone-scettro, il gustoso e tenero gnocco, creato dalla fame, dalle
carestie dei secoli trascorsi, ma anche dalla matità, la fantasia burlona
e poetica dei veronesi. "Le minestre sono un punto di forza della cucina
veronese con una notevole varietà di risotti all'isolana, col tastasàl, co le ciche e con una non minore teoria di paparele coi figadini, coi
bisi, con lo spezzatino di manzo e di bigoli con la sardela. Lo
spiccato sapore laurea a piatto di rilievo nella sua semplicità anche il manzo co la pearà, mentre primeggiano per delicatezza e sapore i grandi pesci
del Garda, dal carpione alla trota, dalla tinca al pesce persico, con
l'accompagnamento di quel vino Lugana che, con i più celebri Bardolino,
Valpolicella, Soave e Recioto, restituisce in profumata essenza quel sole caldo
che indugia sulle pendici prealpine fiancheggianti le valli dell'Adige, dell'Alpone
e degli altri fiumi provenienti dal nord." (R. da Mosto,
op. cit. pp. 16-17).
I dolci veronesi, delicati e saporosi, hanno inizio nella ritualità
domestica contadina con il nadalìn, la brassadela; si sviluppano
nell'artigianato delle spezierie, con i mandorlati (Cologna Veneta), le
sfoiadine (Villafranca), le broade fino ad arrivare al pandoro.
CUCINA VICENTINA
La cucina vicentina è una cucina dal sapore forte e corposo: il
baccalà alla vicentina, la paeta con la melagrana, il capòn a la
canevèra, i toresani di Breganze, i bìgoli con l'anara, che
seguono le scadenze calendariali delle feste e l'evolversi delle stagioni.
"Una ricerca precisa dei valori quella che scopre i più buoni asparagi a Bassano del Grappa, dolcissimi piselli a Lumignano, odorosi tartufi a Nanto, compatti e saporiti formaggi ad Asiago e via via fino a tutta quella serie di ottimi cibi che la cucina di Vicenza esige per la sua ottima scuola. Su esaltazione poi di quella notevole varietà di vini che Gambellara, Montebello, Breganze, Montegalda, Barbarano, hanno elevato a vette quasi religiose, e delle famose grappe di Bassano"
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Il sapore e il gusto della cucina veneziana nascono nelle isole, in tempo remoto; si sposano e confondono, più tardi, con gli ingredienti e gli aromi dei prodotti della terraferma, con una immaginazione culinaria sostenuta da esperienze alimentari colte nei viaggi mercantili nel vicino oriente. Ma la caratteristica originale resta fedele alla lontana origine, quando pesca, caccia e orticoltura offrivano prodotti e ingredienti alla cucina veneziana. Il broeto antico e le zuppe di molluschi ne sono una testimonianza, come la ricchezza e la varietà dei piatti di pesce, all'arrosto, sulla graticola, in fritti saporosi, in umido (umido di seppie) fino all'esaltante saòr. E non si può dimenticare la capacità "di esaltare il gusto del manzo, dei carnami, del fegato, con misurati e temperati accostamenti degni in qualche caso della più ricercata cucina internazionale" (R. da Mosto, Il Veneto in cucina, A. Martello - Giunti Editore, Firenze, 1974, p. 15). Un'eredità dello spirito mercantile veneziano, una vocazione all'ospitalità della città stessa. I prodotti della terraferma entrano nella cucina veneziana attraverso un sapiente equilibrio di gusti, ingredienti e aromi. I risultati migliori sono certo i risotti, morbidi, delicati, dal sapore inconfondibile. |
Quella del Polesine è una
cucina naturale e semplice, coerente con il carattere degli abitanti. La
caccia e la pesca offrono alla cucina polesana sapori altrove introvabili.
Nelle trattorie, lungo gli argini dei fiumi e dei canali, fuma sui larghi
focolari la graticola di grosse e tenere anguille, e la polenta troneggia
nel suo colore dorato sulle tavole imbandite. La caccia arrosto o allo
spiedo sostituisce spesso il pesce: tra gli alari girano schiodinate di
mazori, ciossi, anitre selvatiche. Anche la "campagna" non è da meno delle zone paludose. Le teglie con la scura faraona, oppure il cappone ripieno, i piccioni farciti sono il risultato di allevamenti sapienti, che non hanno del tutto dimenticato le vecchie regole contadine. Il risotto di branzino è una peculiarità tutta polesana, come la bondola dal robusto sapore. Testo tratto da "La cucina tradizionale veneta" di Dino Coltro Ed. Newton Compton
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I colli Euganei, e la pianura
che corre verso il mare, senza raggiungerlo, caratterizzano un paesaggio
"contadino" che entra nelle città e nei paesi e crea angoli pittoreschi di
pergolati dove, spesso, si riconoscono le vestigia di antiche osterie, e
dove, probabilmente, è nata la consuetudine dei pollastri ai ferri, delle
lasagne, delle faraone rosolate, dei prelibati toresani (i toresani
vicentini di Breganze). |
CIBI RITUALI,
TRADIZIONALI E STAGIONALI DELLA |
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I cibi rituali sono legati alla celebrazione delle feste liturgiche e a quanto resta ancora dei riti agrari del lunario contadino, che ha scadenze e ritmi talvolta diversi dal calendario. L'anno contadino, infatti, non inizia il primo gennaio, ma con la celebrazione dei Morti che offre ancora una ritualità di sapore naturale e vetero cristiano. San martino, pochi giorni dopo, sanziona il corso giuridico dell'anno agrario con la stipula dei patti annuali di mezzadria, colonia e con i contratti salariali. |
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1-2
novembre, Ognissanti e i Morti:
patate mericane (patate
dolci), i trandoti o pan dei morti, brazadelon (focaccia), faoline
(fave), miole de zuca (semi di zucca), i maroni (castagne e
marroni), papazin o bole (polentina di castagne)
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Cibi, erbe e frutta entravano
nella cucina povera, come in quella ricca, con una doppia proprietà,
alimentare e curativa. La spiegazione del come si giunse alla cernita dei
vegetali utili alla alimentazione e degli altri necessari alla salute si
spiega con la "magia simpatica", per cui il "simile chiama il simile".
Basando la propria scelta tra la somiglianza di alcuni vegetali con certe
parti anatomiche, gli antichi iniziarono delle terapie non ancora del tutto
scomparse tra la gente. Secondo i canoni della "magia simpatica", il guscio
e il gheriglio della noce, corrispondono alla calotta cranica e al cervello
umano, per cui la parte commestibile fu adottata per trattare le malattie
mentali. |
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La verza ritenuta ancora oggi benefica alla circolazione corporea, sembra ripeterne la struttura complessa; lo zafferano guariva dall'itterizia, perché "tipico" e assimilabile all'affezione biliare per il colore giallognolo; la fava, aiuta la fertilità della donna, perché richiama il grembo materno. I contadini fino a trent'anni fa, usavano le foglie d'edera per bendare le ferite delle mani, ma soltanto delle mani, perché ne riproducevano sommariamente la forma. La seconda strada percorsa per la scelta dei vegetali utili alla salute è l'osservazione, l'esperienza e su queste due basi si fonda la medicina contadina e popolare. Del resto, nell'esaminare le ricette di infusi e decotti, spesso ci si imbatte in notizie risalenti all'antichità e scopriamo all'origine di molte indicazioni terapeutiche filosofi e studiosi come Aristotele, Pitagora, Platone, Ippocrate, Plinio, Catone. |
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Nelle case bracciantili il
pane era una rarità. Secondo le testimonianze orali, il pane accompagnava la
carne a Natale, a Pasqua e alla Sagra. Era considerato il cibo rituale del
Natale. Nelle case, attaccata ad un trave della cucina c'era la zesta del
pan, la cesta del pane, perché el pan fato in casa, fatto in
casa, era custodito con gelosa attenzione dalla mare, la madre
governatrice. Ai bambini bastava on corno de pan; alle donne meza
ciopeta; agli uomini, na ciopeta. |
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Nei tempi più recenti (inizi del '900) ogni contrada aveva il forno in comune e ogni tanto, se fasea na sfornà de pan, si cuoceva una sfornata di pane. Il "tempo del pane" era rappresentato dalla medanda, il periodo della mietitura. Per chi aveva del so, terra propria, il pane era, naturalmente, "il pane quotidiano", tenendo però presente che per i coltivatori diretti, il frumento costituiva "merce di scambio" o comunque una fonte di guadagno, come la stalla. La polenta resterà anche per loro la base dell'alimentazione. Ogni zona aveva particolari "forme" di pane: la ciopa, la ciopeta, el paneto, la roseta, ecc. Il pane dei frati, quello bufeto, era confezionato in forme rigonfie, spugnose: si tratta di pagnotte da tagliare a fette. El pan scafetò è, invece, biscottato e corrisponde all'attuale pan biscoto. "Del pan biscotto le forme erano certo diverse e più piccole, a volte anche in figurazioni antropomorfe, come i bigarani a forma di biga cioè potta o organo sessuale femminile, che, di pasta magari ingentilita e addolcita e resa più nutriente per la presenza di grasso, di miele e di uova, convenientemente biscottata, venivano offerti alle donne, dopo il parto come dono. Non si trattava in fondo che di una ciambella schiacciata. |
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La polenta è il cuore della
casa veneta, il simbolo popolare della sua cucina; nel Veneto, si sono
sperimentate tutte le variazioni gastronomiche possibili della polenta. |
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Le prime coltivazioni di mais si ebbero trent'anni dopo la scoperta dell'America, in Andalusia, per opera di agricoltori di origine araba che lo usavano come mangime per gli animali. Dal Golfo di Biscaglia, il mais si diffonde nel XVII secolo in tutta Europa, anche per la spinta che viene dai coloni americani, e si espande lungo una fascia precisa, attraverso la Spagna, la Francia, l'Italia, i Paesi danubiani, l'Ucraina, fino al Caucaso. Più a nord, il clima era troppo freddo, più a sud troppo secco. La preparazione è ovunque la stessa: si fa cuocere la farina gialla in acqua o brodo, vi si aggiunge, alla fine, burro, latte, formaggio, sughi e carne. |
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La conservazione dei cibi si
otteneva nella cucina tradizionale contadina, con il sale e l'insaccatura in
budella buone, appositamente acconciate, di alcune qualità di carne, in
particolare di maiale e d'asino. |
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Degli ortaggi, le biscote,
verze in salamoia, la conserva di pomodoro, i pearoni soto asedo,
peperoni sotto aceto, il cren sotto olio, le cipolle e l'aglio
intressà, attaccate a qualche trave, a forma di treccia. La maggior preoccupazione della mare, governatrice della casa, era quella di tener presente il tempo di maturazione e le possibilità naturali di conservazione di ogni prodotto (zucche, fagioli, ecc.) perché nulla andasse buttato o perduto. Per questo la cucina tradizionale e contadina è ciclica, legata alla produzione stagionale. D'estate, nelle case c'era qualche angolo più fresco dove si riponeva il cibo protetto da una moscarola, oppure si riponeva in un cestello che si teneva legato dentro il pozzo, a livello dell'acqua. D'inverno non era raro vedere cestelli, sporte o altro attaccati a qualche finestra a tramontana, all'esterno: era cibo messo al "fresco", in "frigo". |
Nelle case con possanza, di proprietari, esistevano delle ghiacciaie rudimentali, alimentate con pezzi di ghiaccio provenienti da fabbriche cittadine (le fabriche del giazo) oppure dalle ghiacciaie della montagna. Nelle corti, spesso i proprietari si costruivano la giazara che, oltre alla conservazione dei cibi, offriva all'esterno la possibilità di costruire giardini "freschi". Anche nei paesi, dove c'era la macelleria, esisteva la ghiacciaia, spesso costruita in comunità tra i proprietari di terre e di diritti d'acqua. Il ghiaccio, infatti, veniva "scavato" nei fossi, nei dugali, nelle zeriole soggette a diritti di uso e di proprietà. I poveri avevano diritto a un pezzo di ghiaccio quando il dottore ne ordinava la necessità per le febbri gravi o altre malattie, ma non potevano godere del diritto de giazara, si diceva. Del resto, cosa potevano portare di così grosso da conservare in ghiacciaia?
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