LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA

Lacrime, salti, urla e grida per gli U2 a Torino

Non ci era mai capitato di piangere ad un concerto rock.
E’ successo con gli U2, ieri sera, 21 luglio a Torino.

Più di 70 mila persone hanno affollato lo Stadio delle Alpi per assistere a quello che è stato annunciato e atteso da molti come il concerto dell’anno. Altrochè Madonna!
E noi, per vivere ancora più da vicino l’evento, ci siamo trovati in una situazione di vero privilegio: il famigerato ‘cuore’, ovvero un perimetro davanti al palco delimitato dalla passerella su cui Bono ama correre e marciare durante lo show.

Toccando il cielo con il cuore
I quattro rockers–con un Bono appena rientrato dalla manifestazione pacifica di Genova, dove ha incontrato Shroeder e Prodi- ci hanno colto di sorpresa, salendo sul palco, a luci accese. Sì, certo, avevamo sentito parlare di questo exploit, e avremmo dovuto essere preparati, ma ciononostante sono riusciti nell’ottenere l’effetto di farci stare tutti con il cuore in mano per una bella mezz’ora: dalle 21 in poi ogni momento sarebbe stato buono.
Sono le 21.25.
La folla accoglie con un boato le prime note di “Elevation”, la traccia che fa risollevare gli spiriti di tutti e che ci mette nel ‘mood’ per entrare nella festa. Segue “Beautiful Day” per farci rimanere sospesi a mezz’aria a guardare il mondo sotto di noi e farci sentire felici di esistere, di essere lì, e di celebrare con loro.
Come se fosse fatto apposta, continuano a passarci sulla testa gli aerei che stanno atterrando.
Con una voce non proprio al massimo, ma un carisma che i giovincelli di oggi, tutti mosse e falsetti si sognano di possedere, il nostro Paolino ci ha conquistato con quelle sue corse a cento all’ora improvvisate sulla passerella, con il pubblico del famigerato ‘cuore’ che si spostava in continuazione da una parte all’altra, per non perdere nemmeno un passo dell’uomo che più di ogni altro, in questo millennio rappresenta un dio in terra.
No alle armi. No alla violenza
Ogni tanto chiamava le canzoni urlando al suo chitarrista del cuore (con il quale si è anche dilettato in una ‘corrida’): “Edge!
In A Little While”.
Più volte ha fatto ben chiaro il suo punto di vista sulla violenza nel mondo e, sulle note del cavallo di battaglia “Sunday Bloody Sunday”, ha urlato “in the streets of Genoa we don’t need violence” e poi ha aggiunto “…but we’ll always stand up for our rights”, buttandosi poi in una versione sui generis di “Get Up Stand Up” di Bob Marley. Era un Bono incazzato nero, evidentemente, per come le cose sono andate al G8 organizzato nel capoluogo ligure. “Never take a life” ha scandito alle migliaia di facce che lo seguivano adorante nei suoi movimenti.
Lo stavamo tutti a sentire, lo guardavamo tutti con approvazione.
Perché mai i politici non riescono a fare quello che fa lui?
Il suo grido contro la violenza è continuato con “Bullet The Blue Sky”, anticipato –come consuetudine- da un filmato trasmesso sui mini-megaschermi in cui Charlton Heston, famoso attore hollywoodiano degli anni ’50 e ’60, dice che non esistono armi buone o armi cattive. Le armi in mano a un uomo buono sono buone. E possono minacciare soltanto i cattivi. Non fa in tempo a finire questa frase che cominciano a susseguirsi a ritmo sincopato immagini di corpi martoriati da armi da fuoco, immagini di guerra, ma soprattutto immagini di una bambina che solleva una pistola. Giusto per sottolineare l’idea dell’uomo cattivo e dell’uomo buono…
E, come ha ripetuto il frontman in più di un’occasione “questo è solo l’inizio, non la fine!”.
Felici di essere lì
Abbiamo ballato con loro sulle note di “Mysterious Ways”, abbiamo tirato fuori gli accendini per “With Or Without You”, i nostri occhi non si sono distolti da loro nemmeno per un attimo. E’ stato bellissimo quando, per una dolcissima versione di “Desire”, Bono ha chiamato i suoi compagni di avventura sulla punta del cuore e li ha presentati uno ad uno alla folla. Adam: “Questo sarebbe un gruppo senza ambizioni alcune, se non fosse per quest’uomo”. Edge: “Questo sarebbe un gruppo senza orgoglio, se non fosse per quest’uomo”. Larry: “Questo sarebbe un gruppo senza palle, se non fosse per quest’uomo”. E, rivolto a se stesso: “Questo sarebbe un gruppo senza problemi, se non fosse per quest’uomo qui. Perché io amo mettermi nei guai”.
Come non sorridere di fronte a una tale affermazione, e rendersi conto di quanto questi piccoli quattro abbiano fatto storia nei loro venti anni e più di carriera?
Forse neppure Bono si aspettava tanto calore dal concerto di ieri sera.
A un certo punto, durante la sua ennesima corsa sul bordo del cuore, si è fermato, ci ha guardati tutti, uno per uno, con uno sguardo che sembrava incrociare quello di ognuno di noi e penetrarci dentro, e lo abbiamo visto esclamare: “Wow!”. Ci stava contemplando con un senso di stupore. Lo stesso che ama vedere nella gente ‘pulita’ e ‘sognatrice’, lo stesso di cui canta nelle sue canzoni.
Difficile lasciarci andare
Ma il momento più esaltante e commovente al tempo stesso è quando sono rientrati per i bis, dopo averci galvanizzato con il set movimentato e danzereccio di “Mysterious Ways” e “The Fly” (alla fine della quale il frontman si è ‘spiaccicato’ contro uno degli schermi onstage proprio come potrebbe fare una mosta ‘on the wall’…). Chiamati all’unisono da tutti i presenti allo stadio, Bono, Adam, Larry e The Edge sono tornati per regalarci una bellissima versione di “One”: gli occhi di Mr Hewson erano lucidissimi, l’uomo più amato del mondo era commosso da star male. Ma soprattutto in “Wake Up Dead Man”, la sua voce si è rotta per un attimo e si è trasformata in un singhiozzo. E noi abbiamo pianto con lui.
Allora, più che in ogni altro momento, ci siamo resi conto di quanto sia potente la loro musica, di quanto le loro canzoni siano immortali e di quanto siano riusciti a cogliere l’essenza della vita con dei ‘semplici’ accordi e intonazioni di voce.
Poi è arrivato “Walk On”, il loro nuovo inno alla libertà di parola e di espressione, ed eravamo tutti preparati a dover dir loro addio. Ma non è stato così. Gli U2 non hanno lasciato andar via Torino così facilmente. Quel pubblico che è stato così “incrèdibil” come ha continuato a ripetere Bono. “Il migliore”. Così c’è stato un altro bis, inatteso e graditissimo. La canzone che più di ogni altra ha fatto storia e che ti fa accendere la lampadina ‘U2’ in testa appena ne ascolti le prime note: “Pride (In The Name Of Love)”, annunciata dal rocker irlandese come “we’ve got one more for you. One more!”. Allora è stato ovvio in cosa si sarebbero lanciati. E’ stato inutile salvaguardare la voce, o trattenersi dall’inneggiare con loro all’orgoglio che ognuno di noi difenderà con tutte le proprie forze. Fino alla fine. Saltavamo tutti. Portavamo tutti le braccia al cielo. Applaudivamo tutti nello stesso momento. Le note delle loro canzoni ci hanno reso ‘universali’ e uniti.
Riuscisse un discorso politico ad avere quell’effetto!
Finita “Pride”, finito il concerto? No, perché non era possibile proprio ‘mandarli via’!!! Dopo aver fatto l’ultima passeggiata sulla passerella, tutti insieme, a significare che forse, per quella serata, era proprio l’ultimo momento che potevamo condividere con loro, i quattro sono usciti di nuovo dal backstage e, evidentemente felicissimi di essere lì, ci hanno regalato una chicca, il loro primo singolo, quello da cui è nato tutto: “Out Of Control”.
Contatto mancato
E’ stato difficile dirsi addio. Avremmo potuto ripercorrere tutta la loro storia, ieri sera, per ore e ore senza sentire il passare del tempo né la fatica. Avremmo voluto dir loro quanto la loro musica ci faccia sentire vivi e orgogliosi di essere ‘umani’. Di quanto le note di “With Or Without You” o di “One” saranno sempre delle cure formidabili per i momenti di tristezza, di quanta energia ci diano tracce come “Mofo” o “Who’s Gonna Ride Your Wild Horses”, di quanta rabbia infondano in noi “Bullet The Blue Sky” o “Sunday Bloody Sunday”. Avremmo voluto sapere da loro qual è il segreto per diventare immortali, come lo sono loro.
E avremmo potuto averne anche l’occasione, visto che ci era stata confermata un’intervista dalla loro casa discografica che poi hanno pensato bene di far saltare all’ultimo momento. “Solo 20 minuti e non 30 per MTV”. Vada allora Week In Rock, che ha la Vicky che si è messa a lavorare di sabato e che si è fatta il viaggio fino a Torino in un giorno di festa. Vadano pure The Edge e Adam di fronte alle due telecamere a cantare “Beautiful Day” in versione napoletana per farci capire a fondo lo spirito della loro musica. Succede tre volte, questa settimana, e poi mai più. Venerdì alle 22.00 e le repliche di sabato pomeriggio e domenica sera.
E se siete in vacanza, e non riuscite a beccarveli…beh, ci dispiace. Fatevi puntare il registratore da uno dei pochi rimasti in città. Se l’intervista fosse stata sul sito, avreste potuto ascoltare le loro parole e vedere le loro facce anche dall’Australia, tutte le volte che avreste voluto.
Ma per dirla con Bono questa è un’era dove i new media sono la ‘big idea’ e forse di queste big ideas ne abbiamo proprio abbastanza.

Con questa ‘delirata’, e con ancora un po’ di groppo in gola, ritorniamo doloranti alle nostre vite quotidiane. Le gambe ci fanno male, la schiena anche per aver saltato come dei ragazzini quando non ne abbiamo più l’età, forse. Con le braccia indolenzite e il collo immobilizzato.
Ma in fondo, siamo felici. Siamo rock’n’roll. Perché noi, come loro, abbiamo ambizione, palle, orgoglio e amiamo cacciarci nei guai.