Smemoranda 16 mesi 2000
Quello sporco ultimo mito

Luciano Ligabue
Vito Storioni e la Fender

Quello che ci si ricorda più facilmente dell'esibizione di Jimi Hendrix a Monterey è la brutta fine che fece la sua Fender. A dirla tutta la poverina, fino a quel momento, era stata trattata divinamente. Certo, il suo “padrone” la stava un po' strapazzando ma era, come sempre, roba da amanti focosi. Poi, però, venne wild thing. Già l'annuncio di Jimi era stato insolitamente lungo e un po' confuso, come a chiedere scusa anticipatamente. Quindi l'esecuzione: furiosa, animale, medianica. Verso la fine il “maestro” appoggiò la chitarra a terra, le si inginocchiò sopra, la cosparse di alcol e le appiccò fuoco. Poi altro alcol per alimentare. E quando le fiamme erano al loro massimo, prese la chitarra e cominciò a sbatterla sul palco, contro l'asta del microfono, contro qualsiasi cosa a tiro. La chitarra continuava ad andare a pezzi. Quando gliene rimase una piccola parte in mano, la sfregò a lungo contro lo stesso Marshall che stava amplificando il lamento della poveretta con un feedback lancinante. Quindi, quasi sfinito, Jimi lasciò cadere il tronco di chitarra a terra, accennò un saluto al pubblico e se ne andò. Se rivedete il film dell'evento noterete che, in mezzo a 'sta catarsi erano tutti esaltati o catatonici o troppo fatti per capire chi stava suonando cosa. Insomma, in quel momento, a Monterey non si poteva contare sulla lucidità di nessuno. Tranne che su quella di Vito Storioni. Se ci mettiamo a raccontare la storia di Vito Storioni non la finiamo più. Diciamo solo che in quel momento della sua vita stava facendo spola fra India, Montevarchi e California commercializzando patchouli e altre essenze e spacciandosi per insegnante di yoga. In qualche modo si era fatto un nome per cui in ogni concerto importante lo vedevi sul palco mescolato fra servizio d'ordine e addetti vari. Ogni volta era lì, bello bello, nei suoi jeans con lieve zampa d'elefante (che ci facevano le prove quelli del circo Medrano nella gamba destra e allenamento i Chicago Bulls nella sinistra) e con sopra ricamata la Divina Commedia, nella sua camicia (frange consumate dallo strisciare per terra e stampe che promettevano di essere state molto colorate, una volta) perennemente slacciata ma annodata sotto l'ombelico e un tredici-quattordici chili di bracciali, anelli e collane. Certo, c'era il dramma di un riporto inequivocabile che lo faceva molto soffrire nell'epoca in cui il capello era normalmente abbondante. Ma neanche allora si poteva avere tutto dalla vita. Comunque anche questa volta Vito Storioni era lì e, mentre tutta Monterey era in trance, raccolse ogni pezzetto della Fender di Hendrix. Se ci mettiamo a raccontare come fece Vito Storioni a mettere insieme i pezzi della Fender non la finiamo più. Però, straordinariamente, nel giro di sei mesi (e il tempo ce l'aveva) ce la fece. E da solo. E alla fine la Fender era come prima di wild thing. Un lavoro che qualsiasi liutaio avrebbe definito impossibile. Però, a pensarci bene, sarebbero passati più di vent'anni prima che qualche sborrone comprasse a mezzo miliardo una chitarra di Hendrix. Il valore delle sue chitarre allora non era tale da spingere qualcuno, addirittura per sei mesi, a metterne insieme una. Cos'era allora ad aver spinto Vito Storioni in quest'impresa disperata e, apparentemente, senza senso? Ve lo dico io: voleva farsi baciare dalla leggenda. Se ci mettiamo a raccontare tutti gli episodi e le leggende legate a crocicchi, patti col diavolo e misteri del blues non la finiamo più. Vito, però, li conosceva tutti. La sera di Monterey aveva dovuto risistemarsi in continuazione il riporto: la potenza dell'ampli di Hendrix continuava a scombinarglielo. Fu un vero e proprio segnale. Ma il segnale definitivo fu l'aver visto la performance del chitarrista da vicino. L'aveva trovato “non umano”. Decise che voleva anche lui viaggiare su quelle lunghezze d'onda. Doveva farsi contagiare. Anche se non gliene fregava niente della musica. Voleva farsi contagiare qualcos'altro. Se ci mettiamo a raccontare tutte le voci su Jimi Hendrix non la finiamo più. Una delle più ricorrenti, però, è che fosse piuttosto dotato come amante. Ecco, quello era un campo che a Vito interessava molto. Solo che, oltre al problema del riporto, sapeva di non fare parte del club dei sex symbols. E nel frattempo si vedeva passare davanti tutte queste splendide bionde e castane e more e rosse così fresche e aperte e profumate e morbide e varie e così svestite nell'era dell'amore libero. Il dramma era che gli passavano davanti e basta. Le sue più che occasionali prestazioni amatorie erano forse sotto media o, comunque, non tali da fare circolare il nome né tantomeno alimentare la benché minima curiosità. Ecco perché lo si poteva vedere, adesso, accarezzare la chitarra di Hendrix, tenersela sempre addosso, sfregarcisi un po'. Lo si sentì anche pronunciare “Dai! Daiiii! Daiiiiii!”. Se ci mettiamo a elencare tutti i tentativi che Vito Storioni fece per farsi contagiare doti amatorie dalla chitarra di Hendrix non la finiamo più. Però possiamo dire che le ragazze continuarono a passargli solo davanti e quando, con grandi circonvoluzioni, riuscì a combinare qualcosa con qualcuna non si videro i miglioramenti sperati: restava nella norma. A volte sotto. La testardaggine di uno che mette insieme i cocci di una chitarra senza saperne l'abc parla da sola. Però dopo anni e anni e anni di inutili, tenaci, disperati tentativi, decise di dare la Fender di Hendrix a un amico in cambio di un pappagallo che tutt'oggi continua a ripetere “Tante cose!”. Non si accorse, Vito Storioni, che per dimostrare il funzionamento della chitarra all'amico, suonò meravigliosamente the wind cries Mary. Lui che non sapeva cosa fosse un accordo. Voci dicono che, dopo tanto girare, la Fender di Jimi a Monterey stia attualmente campeggiando nel salotto di un pornodivo di successo. Ma se ci mettiamo a raccontare tutte le voci che ci sono sulla Fender di Hendrix non la finiamo più.