Michele
Cammarano (Napoli
1835 - 1920)
Proveniente da una famiglia di artisti nel campo del teatro e della
pittura (pittore il nonno Giuseppe suo primo maestro; pittore e autore
di libretti per melodrammi di Verdi e Donizetti, il padre), frequentò
l'Istituto di Belle Arti di Napoli, allievo di Smargiassi nel 1853. Nel
1856, conobbe Filippo Palizzi, che ebbe un ruolo importantissimo nella
sua formazione.
Fervente patriota e garibaldino seguì Garibaldi nella campagna del 1860,
e poi si arruolò nella guerra contro il brigantaggio (vedi quadro in
fondo). Questo impegno risorgimentale gli ispirò grandi quadri, per le
sue opere più mature. La carica dei Bersaglieri (Milano 1872) a Porta
Pia e ll 24 giugno 1859 a San Martino. Completa il suo tirocinio a
Parigi fra il 1865 e il 1870 dove entra in contatto con Courbet. Dopo il
suo soggiorno a Parigi, influenzato anche da Proudhon, che aveva
conosciuto di persona, esegue dipinti di carattere realistico-sociale.
Il suo quadro Ozio e lavoro (ora alla Galleria di Capodimonte), esposto
a Napoli nel 1863, è acquistato da Vittorio Emanuele II. Nel 1869 espone
il quadro Caffè in piazza San Marco considerato uno dei suoi capolavori.
Nel 1877 espone a Napoli Covo di briganti e nel 1883 Il 24 giugno a San
Martino. Nel 1888, il Governo italiano gli commissionò l'enorme tela
Dogali, per la cui esecuzione Cammarano si recò in Eritrea, rimanendovi
cinque anni. Nel 1900 si stabilisce definitivamente a Napoli, avendo
ottenuto all'Accademia la cattedra in precedenza occupata da Filippo
Palizzi. Già vicino, per un breve periodo, ai Macchiaioli, l'artista
esercitò una pittura d'impegno e di denuncia: indicativo un quadro come
Le risorse della povera gente. Con ogni probabilità Cammarano dette il
meglio di sé quando, libero da imposizioni, affrontò spontaneamente
l'impressione dal vero. Piazza San Marco ( 1868-69 Roma) sembra
anticipare la ricerca di Manet ed è uno dei quadri memorabili
dell'Ottocento italiano.
Nel 1895 Francesco Crispi -
antico garibaldino - promuoveva le celebrazioni per la Breccia di
Porta Pia. La cerimonia del 20 settembre diventa subito popolare e
coagula tutte le forze d'opposizione sotto il segno
dell'anticlericalismo e del "libero pensiero"; nel 1912 raggiunge il
culmine della tensione culturale espressa dallo slogan di Ernesto
Nathan: «Più scuola, meno chiese».
Con la Conciliazione il quadro di Cammarano, Porta Pia, scompare dai
libri di testo, dove aveva pur dominato fino agli anni trenta; i
riferimenti alla questione romana diventavano sempre più scarni o
retorici, scarni per il passato, retorici per il presente. Poi, un
secolo dopo, Paolo VI la definirà, la breccia, una benedizione di Dio.
per l'autoritratto vedi
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ALLE VISTE DI ROMA -
da Ugo Pesci "Come siamo entrati in Roma"
La Posta della Storta. - Si vede Roma! -.
La località indicata nelle carte topografiche col nome di Posta
della Storta, perché vi si cambiavano i cavalli l'ultima volta
prima d'arrivare a Roma ai tempi de' vetturini e de' briganti, è formata
da quattro case: tre a sinistra della strada, una a destra in
direzione perpendicolare alla strada stessa, con una specie di piazza
triangolare davanti. Questo fabbricato più grande è la vecchia posta.
Sotto un portico mal selciato stavano seduti nel pomeriggio del 14
(Settembre) i generali Cadorna, Bottacco, Lanzavecchia di Buri, Corte,
il colonnello Primerano ed altri ufficiali di stato maggiore, poiché
alla Storta s'erano dovuti aggruppare i quartieri generali del 4° corpo
e dell'11a divisione. Quello della 12a era poco più avanti. Le truppe
accampavano alla sinistra della strada, sparse in modo da profittare
della poca acqua buona dei fontanili. Ma verso sera cominciarono a
venire soldati da tutte le parti, a due, a tre, a quattro, a drappelli
intieri, fantaccini, cavalieri, artiglieri e s'avviavano come attratti
da una forza invisibile verso un rialzo di terra ,arida e scura a
destra della strada. Lo ascendevano per cento sentieri e si spingevano
avanti fra l'erbe brulle e gli spinosi cardi selvatici. .. avanti,
avanti fin quando, fatti un centocinquanta passi, appariva loro
sull'orizzonte, circonfuso nei gravi vapori, il profilo della cupola di
San Pietro e una striscia violacea, senza contorni netti e ben definiti,
risaltava sul rosso infuocato del tramonto ... I soldati si affollavano
a centinaia, a migliaia. Secondo il temperamento d'ognuno, anche
magari secondo l'indole regionale, il sentimento da essi provato si
manifestava in una muta ed intensa contemplazione, od in una
esclamazione vivace e allegra. Ma pure, nell'allegria di quel momento
vi era qualche cosa di composto, di solenne. Il lazzo plebeo non
trovava eco se pure osato: la facezia volgare moriva sulle labbra di chi
s'attentava di pronunziarla. Eppure quei soldati, dal più al meno,
ignoravano la storia dell'antica grandezza di Roma: eppure non potevano
neppure avere la intuizione della grandiosità materiale del caput mundi,
perché quanto se ne vedeva era vagamente indefinito; e neanche quella
della maestà architettonica dei monumenti, perché appena la cupola di
San Pietro si estolleva sulla massa confusa e indeterminata degli altri
edifici. Che cosa li sorprendeva dunque? Che cosa li esaltava? Per quale
ragione tante di quelle bocche mormoravano come quello della donna
adorata il nome di Roma? Il nome che tante volte avevano forse ripetuto
con indifferenza, pareva loro grande, immenso, dolcissimo, in quel
momento nel quale si trovavano alle viste della sospirata meta da quel.
nome indicata? O potenza stranamente incantatrice d'un nome! Come gli
Arabi del medio evo si entusiasmavano nelle loro leggende per la Roma
che non avevano mai veduta, cosi questi nostri bravi soldati si
esaltavano vedendo l'auspicata capitale d'Italia. Oh! Se a Pio IX fosse
venuto in quei giorni uno degli slanci di amor di patria con i quali
aveva incominciato ventiquattro anni prima il suo pontificato; se
avesse fatto spalancare le porte di Roma ai soldati
d'Italia, quei 35.000 giovanotti robusti, pieni d'ardire e di vita, gli
si sarebbero andati a prosternare dinanzi, nella maestosa penombra della
Basilica Vaticana... e la questione romana sarebbe stata bell' e finita
per sempre. Invece le porte di Roma erano chiuse e barricate: dalla
parte della città non giungeva anima viva. |