PICCOLE STORIE - DIARI MINIMI
Narrativa
contemporanea nel segno del Bersagliere
'La lotta nella
tormenta'
By Cesco Tomaselli (1893-1963) |
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Sironi
(1885-1961) Una marcia di spettri * |
Ciò che conta è informare; e per informare
occorre andare, vedere, interrogare, investigare, avere insomma
l’umiltà di considerarsi sempre cronisti, come il primo giorno che si entrò.Cesco Tomaselli
from "Corriere della
Sera"
1929
Un
uomo che veniva a Clauzetto dalle casere di Pradis entrò in paese e disse –
la gente scappa da tutta la Carnia perché i bosniaci sono
già a Comeglians - : La notizia era la conferma di altre voci sinistre
che correvano da due giorni. Ma quella sera, era il 27 ottobre del ’17, un
sabato, si vide il cielo rosseggiare dalla parte di Udine, giù giù fino al mare.
Le retrovie di due armate bruciavano.
Clauzetto un comune che ha mandato braccianti a lavorare persino sulla
transiberiana, è a mezza costa sulle prealpi carniche: a valle guarda la piana
fra il Tagliamento e il Medusa e vede brillare, sotto, i lumi di Spilimbergo, a
monte ha una spalliera di creste che si intrecciano e si sormontano finché si
affacciano alla depressione che il Tagliamento forma tra il largo di Tolmezzo e
la curva di Tenzone. Per Clauzetto, scendendo da Verzegnis, S. Francesco e
Pielungo passa una strada sussidiaria della nazionale che collega Udine coi
valichi della Carnia e della Pontebbana.: non è un passaggio comodo, attraversa
forre selvagge nel cui fondo spumeggia l’Arzino: ma una rotabile, ereditata
dalla guerra, permette da qualche anno (l’articolo viene pubblicato il 17
dicembre 1929) il transito delle automobili.
A Clauzetto la gente voleva scappare sino da Domenica. Qualcuno si pose a
calmare gli animi. Prima che i mucc ? passassero il Tagliamento, c'era tutto il
tempo di arrivare, per la montagna, a Tramonti e a Claut. Il paese si vuotò
lunedì mattina ch'era il 29, e la carovana era da qualche ora in marcia verso il
Meduna, quando il cursore di Tramonti di Sotto venne, tutto affannato incontro
ai fuggiaschi: c'erano già gli Austriaci sul Monte Rest. Che fare? I più
decisero di tornare indietro sino a Campone, altri salirono agli « stàvoli» di
Pradis, dove c'era una caverna capace di ricoverare una compagnia, e vi si
installarono con pentole e masserizie in attesa degli eventi.
Viene il dì di Ognissanti, passa quello dei Morti. Il tempo è matto: un giorno
fa sole, un giorno diluvia, uno per sorte. La sera del 3 novembre alcuni si
avventurano sino a Clauzetto: qualche casa si riapre, qualche camino fuma nella
notte misteriosa. Il mattino del 5, mentre il buio è ancor folto, una voce entra
nelle case: i Prussiani vengono su da Vito d’Asio. Questa volta son proprio
loro. Precede una pattuglia, poi avanza una compagnia: è la Divisione dei
cacciatori imperiali, equipaggiata come per una rivista: elmi d'acciaio,
sottogola abbassato e fucile a spall'arm. Marciano per quattro: i pastrani
rimboccati fanno vedere che ogni soldato ha ginocchiere di cuoio giallo e
stivaloni alla russa.
Vogliono acqua. Gli ufficiali ordinano che gli abitanti dispongano sulla soglia
dei secchi colmi: passando, ciascuno attinge e riempie la borraccia. La sfilata
prosegue, pesante e compatta. Gli ufficiali si danno grandi arie, come se
fossero sui marciapiedi dell'Unter den Linden, hanno due dita di colletto fuor
dal bavero e si girano tutti d'un pezzo: forse qualcuno porta la bustina. Dei
soldati, ve n'ha d'ogni tipo: alcuni sono imbronciati e taciturni, altri hanno
la barzelletta pronta per far ridere la squadra. Un «feldwebel» trae dal
pastrano un ombrellino da signora e lo agita in aria: --Questo regalare a
Cadorna.-
E' mezzogiorno. La coda della divisione ha appena svoltato dietro la chiesa, per
la strada che mena a Pradis, e già incominciano a passar le carrette. Piccole a
due ruote, trainate da cavalli magri e nervosi. Arriva un generale con lo stato
maggiore: i cortili sono invasi da cavalli e da ordinanze, le cucine sono
occupate da squadre di cucinieri che fanno fuoco con le sedie e le porte. Dalla
strada si ode il passo cadenzato di altri battaglioni che salgono: ogni tanto il
fragore di un traino di artiglieria.
Poco dopo il cannone tuona improvvisamente dietro il Monte Pala, ch’è a
tramontana di Clauzetto e lo sovrasta. Da un istante all'altro il paese è in
trambusto. Soldati di sanità irrompono di corsa" rovistano le case in cerca di
tavoli e panconi, abbattono a spalIate le porte del Municipio e della canonica e
infiggono sugli stipiti gli stendardi della Croce Rossa. Cominciano ad arrivare
feriti, quali in barella, quali sorretti dai compagni. Tutti sono eccitatissimi.
Si odono ufficiali imprecare contro gli Italiani.
Che cosa è successo? Un battaglione che marciava da Pradis verso Pielungo è
stato preso sotto il fuoco delle mitragliatrici italiane. Tra i morti c'è un
maggiore imparentato con la Casa imperiale. Gli ufficiali sono furibondi. Si
sono messi intesta che siano stati i borghesi a sparare: tutti gli uomini siano
arrestati. Il cannone continua a tuonare. Ora crepitano le mitragliatrici, a
raffiche rabbiose: sparano a nastri interi. Ma allora non è più una scaramuccia:
allora è una battaglia.
Era infatti una battaglia. Le avanguardie dei cacciatori imperiali s'erano
scontrate con le avanguardie di una colonna italiana, formata da due divisioni,
la 63° e la 36° che da Pielungo tentavano di aprirsi il passo verso Clauzetto e
la pianura. Ma qui occorre tornare indietro di qualche giorno. L’alba del 24
ottobre aveva trovato la 36° divisione di fanteria del generale Taranto in
posizione di difesa a oltranza alle testate delle valli Fella, Dogna e Raccolana:
esse sbarravano il valico della Pontebbana e proteggevano ad oriente il Canale
del Ferro nel cui fondo scorre la strada nazionale: Chiusaforte è la chiave di
questo complicato nodo di valli.
Lo sfondamento di Caporetto scoperse, da un'ora all'altra, il fianco destro di
queste truppe formate da fanti, bersaglieri e alpini, un battaglione dei quali,
il VaI Fella, reclutava i propri uomini sul luogo, cosi che questi friulani
vedevano la difesa della Patria identificarsi con quella del focolare, della
donna, della stalla, combattevano insomma alle porte di casa. La difesa fu
accanita. Quando il 27 ottobre, tre giorni dopo Caporetto, queste truppe ebbero
l'ordine di ripiegare, la linea ch'esse tenevano era quasi intatta. La
resistenza s'era concentrata alla Sella Nevea, alta 2000 metri, una porta della
montagna tra i pilastri del Montasio e del Canin: era una di quelle posizioni
d'onore sulle quali non c'è che la morte che dispensi dal combattimento.
Dall'altra parte, il generale Krauss era alquanto nervoso. Dal suo comando
tattico dettava rapporti in cui si leggevano tra le righe, l'impazienza e il
dispetto. «Alle due è incominciato l'attacco in Conca di Plezzo. Nevica. I
proiettori si sforzano indarno di squarciare con la loro luce spettrale il fitto
della nebbia. Sul mattino le condizioni atmosferiche sono andate sempre più
peggiorando. Più tardi giungono buone notizie dalla vallata, ma sfavorevoli
dall'alto dei monti... Le truppe della difesa resistono sempre validamente...».
Il tempo è veramente orribile. La bufera è cessata, ma un vento gelido spazza le
creste e fa turbinare la neve sui valichi. Le sofferenze della truppa sono
spaventose. Ogni tanto qualcuno stramazza al suolo , fulminato da un colpo di
freddo. Tuttavia si resiste. Lo stile dei rapporti di Krauss è sempre più
irritato. « La 10° Armata chiede rinforzi d'urgenza a favore del suo
distaccamento impegnato sotto Sella Nevea. Il comandante di quell'armata è stato
invitato ad agire energicamente; di conseguenza le truppe di quell'estremo
distaccamento d'ala, procedendo da rio Seebach, hanno attaccato Sella Nevea,
incontrando però seria resistenza rimpetto alle difese degli Italiani al valico.
..» .
Nel frattempo i Tedeschi erano a Cividale e l'indomani sarebbero entrati in
Udine. Il ripiegamento era inevitabile. I difensori cominciarono a scendere col
cuore gonfio: di tratto in tratto si levavano le grida dei feriti, che
supplicavano di non essere abbandonati. Nessuno li avrebbe più raccolti, poveri
martiri, nemmeno il nemico: morire di freddo e di fame era ormai la loro sorte.
In fondo valle, le donne aspettavano coi bambini in braccio, quelle fiere e
dolci donne friulane che chiamano « frut » la loro creatura. I mariti erano
affranti di insonnia e di stanchezza. Fino a Chiusaforte fecero la strada in
compagnia. Si vedevano le donne curve sotto, la gerla , da cui spuntavano
esserini spauriti, le mani aggrappate allo zaino del babbo. Più tardi, al ponte
di Braulins ch'è a monte di Osoppo, una di quelle dolenti, affranta di
stanchezza, appoggiava la gerla alla spalliera del ponte. D'un tratto s'ode un
urlo disperato. Una cinghia s'era spezzata e la gerla, capovolgendosi, aveva
rovesciato nel fiume ciò che conteneva: una creaturina di due anni, che fu vista
annaspare con le piccole braccia nel vuoto e sparire in un attimo nei gorghi
vorticosi. Nella disperazione di quella madre gli spettatori videro la tragedia
del Friuli calpestato e invaso.
Nella notte dal 29 al 30 la Divisione (36°) passò il Tagliamento e si schierò,
fronte a est, a difesa del fiume, fra Trasaghis e Mena: aveva alla sua sinistra,
da Mena sino al ponte di Tolmezzo, la 63° divisione del generale Rocca,
traslocata in fretta da Palmanova per chiudere la falla che s’era aperta fra la
conca di Plezzo e le alture di Gemona.
Da quel momento le due divisioni ebbero in comune la fronte e la sorte. Isolate
dalla pianura, ormai invasa dal nemico, non avevano che una sola via di scampo:
la strada dell’Arzino, che per Pielungo e Clauzetto porta alla valle del Meduna.
Ma il Tagliamento resisteva a sud o era già stato varcato dagli invasori? Chi
aveva in mano i ponti di Pinzano, di Spilimbergo, e della Delizia ? La risposta
a questi quesiti non sarebbe mai più pervenuta: giunse invece, nelle prime ore
del 4 novembre, un ordine di ritirata, nel quale si accennava a un precedente
ordine non ancora arrivato.
Il movimento cominciò a scaglioni, sotto la protezione del forte di monte Festa
che continuava a resistere bravamente. Aprivano la marcia due battaglioni di
alpini friulani, il Gemona e il Vai Fella: il grosso era composto di fanti,
bersaglieri, di cavalleggeri e di altri alpini, truppe eccellenti, temprate da
due anni di guerra sul Carso e sugli Altipiani.
I Tedeschi avevano preveduta e parata la mossa. Forzato il passaggio di Cornino,
per la comoda strada pedemontana di Forgaria e Vito d’Asio, la divisione dei
cacciatori imperiali raggiungeva Clauzetto fino dal mattino del 5 e scantonava
nella valle dell’Arzino. Il nemico aveva manovrato in modo da sorprendere i
nostri alla svolta della valle. La via di scampo era chiusa: bisognava che i
nostri se l'aprissero con le armi. Tragiche giornate del 5 e del 6 novembre alla
stretta di Pielungo e ai pascoli di Pradis, quanti Italiani, oltre ai
superstiti, conoscono la vostra gloria sanguinosa ? Dai combattenti,
completamente circondati, nessun messaggio poteva giungere: occorreva aspettare
le notizie dal nemico. « Soltanto l'altro ieri sera i cannoni italiani hanno
cessato di tuonare », diceva il bollettino austriaco dell’8 novembre, rendendo
omaggio al contegno di « un valoroso gruppo italiano, comandato dal capo della
36° Divisione »,che era riuscito a mantenersi « parecchi giorni, appoggiato
dalle opere del Monte San Simeone »,a sud di Tolmezzo, «contro gli attacchi
travolgenti delle nostre truppe di montagna e dei cacciatori germanici»
.Cacciatori erano e perciò s'erano appostati come a caccia, per sorprendere al
varco la selvaggina italiana. Il costone di Pradis, fra monte Pala e monte Dagn,
fu guarnito da una miriade di mitragliatrici disposte a semicerchio: intanto due
battaglioni della guardia prussiana risalivano la strada di Pielungo, incontro
agli Italiani.
Era il mezzogiorno del 5. Le avanguardie s'incontrano e fanno fuoco: da un
istante all'altro il combattimento crepita a cavallo della strada e si propaga
per le alture d’intorno. I Tedeschi cominciano a cadere, falciati dalle
mitragliatrici. Imprecazioni, grida di rabbia si levano dalle file prussiane.
Gli ufficiali sono furiosi, perché la truppa vorrebbe retrocedere. I nostri
devono fare economia di cartucce: e avanti all'arma bianca, allora avanti alla
baionetta contro i cespugli di noccioli, contro i muretti delle malghe, contro i
fienili e i fossati.
I Tedeschi indietreggiano. Sotto ragazzi, la strada è aperta, a Clauzetto
vedremo il piano, a Maniago troveremo la cavalleria! Alle 23 sono già
oltrepassate le case di Forno, le pattuglie s'inerpicano per il costone di Col Orton. L’alba del 6 novembre è tarda a venire, perché il cielo è gonfio e
pesante. «Passeremo ? » mormorano i nostri, coricati dietro i cespugli, le facce
scavate dal digiuno, le mantelline inzuppate di pioggia.
Comincia a far giorno. Senza un grido i primi plotoni scattano e si lanciano
all'assalto. Si scatena un inferno. Fiammelle di mitragliatrici lingueggiano
d'ogni intorno, squadre intere cadono in riga, falciate dalle raffiche a
ventaglio. Una compagnia va all'attacco otto volte di seguito. La mischia è
generale, coinvolge fanti del 149° e del 36° fanteria, alpini di parecchi
battaglioni, in testa i friulani del Vai Fella e del Gemona, bersaglieri,
cavalleggeri, artiglieri. Come ricordarli tutti ?. Il combattimento è nuovo
per i nostri, si svolge su terreno aperto, senza trincee e senza reticolati, è
l'urto classico di chi vuoi liberarsi da una stretta mortale, è la battaglia di
Leonida alle Termopili: ma il nemico ha avuto tempo per scegliersi le difese,
spara da posizioni dominanti, è, in una parola il padrone della situazione.
Il combattimento dura tutta la giornata. Alle sedici i nostri sparano gli ultimi
caricatori, quelli tolti dalle giberne dei morti. Il fuoco ha un'ultima ripresa,
poi cessa. Nel silenzio, che le ombre della sera fanno più greve, echeggiano i
comandi dei graduati tedeschi che incolonnano i nostri prigionieri. A notte una
gran pace regna sulla montagna. --Ma se gridassero meno questi Italiani !
-brontolano i Prussiani, che hanno acceso il fuoco per scaldarsi: canterebbero
volentieri un bel coro, ma i lamenti dei nostri feriti lacerano le orecchie in
maniera assai molesta. Se disturberanno ancora, li faranno star zitti con un
paio di fucilate: «perché noi --dice un appuntato a un prigioniero -di pane ne
vediamo pochino, ma di cartucce ne abbiamo da sterminare l'universo ».
Basta. E' venuta anche per i morti di Pielungo e di Pradis l'ora della pace. Sul
poggio di Vai del Ros, a fianco della strada che va verso Pielungo, un cimitero
di guerra riconcilia nel sepolcro caduti della 63° e della 36° Divisione,
Prussiani della Deutsche Jager Division e Austriaci della 22° Divisione Schutzen.
Rari e frettolosi devono esservi i pellegrinaggi, a giudicare dallo stato
dell'opera: la piramide commemorativa ha i fianchi screpolati e l'intonaco
cadente, parecchie croci sono spezzate, in altre non c'è più la tabella di
riconoscimento, non un fiore orna i tumuli, la pace di quei morti è disadorna.
Li consola ogni tanto la pietà dei montanari, parecchi dei quali furono
spettatori della battaglia.
Vi salimmo un mattino di domenica. La burrasca faceva gemere i rami e la pioggia
infracidava il pendio ch'era una pena stare in piedi. Non c'era nessuno: neanche
la pia fanciulla di Pradis che Enrico Fruch, poeta friulano aveva visto un
giorno inginocchiata sotto il muretto. « Mitutis jù lis dalminis ( zoccoli) di
fùr --- Preave une fantate sot il mùr. » Non c'era nessuno: ma la terra, intorno,
pregava.
Cesco Tomaselli
Un
anno prima l'inviato speciale Cesco Tomaselli ha fatto il viaggio a bordo del
dirigibile "Italia" da Roma alla Baia del Re (Svalbard), ma non ha fatto però
parte della trasvolata del Polo, perché Nobile, dovendo scegliere tra due
giornalisti, ha tirato una moneta. La scelta è caduta su Ugo Lago che sarà uno
dei 6 dispersi con l'involucro del dirigibile staccatosi dopo l'impatto con il
pack (non verranno mai trovati). Tomaselli riporterà dei tentativi di soccorso e
di salvataggio effettuati dalla base appoggio nel suo libro "L'inferno bianco".
La Rivista (Le vie d'Italia,
Touring Club Italiano,
del giugno 1928), a destra, va in stampa in maggio quando Umberto Nobile inizia, dalla Baia
del Re, le sue esplorazioni dell’Artide, ma quando il numero è in Edicola, alcuni
giorni, dopo la tragedia al polo si è già compiuta.
Dal Libro: "Alla Baia del Re stavano intanto succedendo delle cose straordinarie. Il 4
giugno, verso la una del mattino, la Città di Milano riceveva dalla stazione
radiotelegrafica di Mosca la notizia che il giorno prima, alle 20, il
radioamatore Schmidt con un apparecchio ad onde corte, aveva raccolto l’S.O.S.
dell’Italia. Il Comitato di soccorso dell’Osoaviachim, che aveva trasmesso la
comunicazione, aggiungeva essere lo Schimdt persona seria e degnissima di fede.
Contemporaneamente altri radioamatori asserivano di aver udito la segnalazione
dell’Italia: un avvocato svedese di Talleborg, nella notte tra il 3 e il 4,
aveva intercettato la parola "Italia Nobile S.O.S". Il capitano della nave russa
Sikvic, in navigazione nel golfo di Botnia, faceva sapere di aver ricevuto un
messaggio dell’Italia: in Olanda, nel Belgio, negli Stati Uniti altre stazioni
confermavano la segnalazione.
In tutti i rami dell’attività umana il dilettantismo è riguardato come un
fenomeno di faciloneria e di presunzione: ma nella radiotelegrafia i dilettanti
sono, sotto certi aspetti, all’avanguardia, e il contributo che essi danno al
perfezionamento della scoperta è senza dubbio considerevole. Nel caso in
questione, c’era una circostanza importantissima: i radioamatori possiedono per
la maggior parte stazioni a onda corta realizzate da loro stessi, il che spiega,
in un certo senso, come essi avessero potuto sentire l’apparecchio di fortuna
dell’Italia".
Biografia
Tomaselli
http://www.centrostuditomaselli.org/dynamicdata/Biografia.asp
*Informazioni sul dipinto: Sironi
(1885-1961) Una marcia di spettri
L’opera illustra la ritirata del 1917 del battaglione alpino del Val Fella che
“posto… a presidio dell’alta Valle del Seebach, sostenne per tre giorni l’impeto
del bombardamento e la minaccia nemica” e di quando costretto a ripiegare “si
ridusse in disperata carovana, per i piani del Montasio, per il Col della
Beretta, per i ghiacciai del Canin e i nevai di Sella Grubia, sotto mitraglia e
tormenta, fino al fondo delle valli… dove le madri e le spose accorsero a
portare a salvamento le armi e gli zaini”. L’uomo di Sironi, angosciato e solo
nelle periferie desolate, si traduce qui in una teoria di sconfìtti piegati
quasi da una immane forza metafìsica che li schiaccia e li umilia. Questa stanca
marcia è certo in qualche modo il riflesso dell’esperienza del Sironi soldato,
volontario ciclista con F.T.Marinetti, A. Sant’Elia, C. Erba e A.Funi
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