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Giro dell’ Annapurna passo … passo …

DAL RACCONTO DI UN VIAGGIATORE IN NEPAL

Doriano il Nepal ce l’ha nel cuore,

in questo racconto è evidente il trasporto che prova per questa terra!

...Manang è annunciata da un enorme chorten sotto e dentro il quale si passa e si entra nel grosso villaggio dalle grandi case. Sulla montagna che sta dietro a Manang, in un anfratto della roccia, sistemato ad eremo,

Lama Deshi vive da 50 anni con la monaca che lo aiuta a praticare, a vivere, ad accogliere coloro che salgono a prendere la sua benedizione prima di varcare la soglia temuta dell’alto passo del Thorong La.

Praken Gompa, il monastero nella roccia, si trova alto sulla valle; in cielo volano i gipeti e le aquile nere di Manang. Lama Deshi ci accoglie, ci fa parlare, ci parla, ci fa sentire cos’è il potere racchiuso nella montagna, nella roccia della sua straordinaria esistenza.

Lasciamo anche Manang, saliamo all’antico villaggio di Tenji o Tankimanang, da cui si scorge l’Annapurna III e il Gangapurna, il lago glaciale ai suoi piedi, il serpente liquido della Marsyangdi che fugge a sud lungo la via percorsa sin qui.

A 3.900 metri l’insediamento di Gunsang è formato da una o due case: un belvedere su quel che stiamo lasciando.

Il nostro sguardo abbandona la valle dei Chulu, Yak Kharka, Leder, i canyon e le valli nascoste nella pietraia della Jarseng Khola, Thorong Phedi, il luogo ai piedi della montagna. Percorriamo la lunga salita ad High Camp, tra due canali paralleli di rocce. E’ una lunga peregrinazione sulle morene talora innevate che costruiscono colline e colline prima che si veda una fine e si arrivi ai piedi del passo, racchiuso come una perla d’aria tra il Thorong Tse e lo Yakgawa.

Dal valico le bandiere mandano arcobaleni viventi di luce su entrambi i versanti. Verso la vallata dello Jhong Khola e Muktinath, si scorgono le chiazze verdi dei campi di orzo e grano.

La cuspide del grande Dhaulagiri comincia a far capolino sulla sinistra e svela la parete est e nord, vera e propria piramide di energia protesa verso il cielo. Il bosco sacro di Muktinath ha cento sorgenti che escono dalle bocche di vacca sorridenti, il monastero del fuoco che si mescola all’acqua, gli antichi tempietti e il pozzo da cui si può sentire il respiro della terra. Il luogo di pellegrinaggio più famoso dell’Himalaya per essere stato visitato da Padmasambhava, dagli 84 Siddha indiani e da Milarepa.

 

 

 

Ci troviamo qui e ne assorbiamo volentieri le energie, lasciandoci pervadere dalla magia della sua atmosfera. Giù per la via che ci allontana da Muktinath Valley, su una rupe che fa da spartiacque a tre canyon, sta in agguato il villaggio-fortezza di Jharkot, ultimo baluardo di Baragaon («gli undici villaggi»), sorta di regno appartato della regione, molti anni or sono. Jharkot sta, come un leopardo delle nevi, in agguato contro chi voglia mutar l’energia sottile della valle. Khinga è un pezzo magico caduto dal cielo nella valle del Jhong Khola, che scivola lentamente e sinuosamente verso Kagbeni («il masso che sta alla confluenza dei fiumi»), a cavallo tra Kali Gandaki e Jhong Khola. Siamo immersi nell’età dell’oro medievale, quando ci si capiva con gli sguardi pieni di trasfusa energia e col sorriso si trsmeteva la forza di vivere.

Kagbeni è un luogo da cui ci allontaniamo con le lacrime agli occhi, ogni volta che passiamo di qui.

Piangiamo discosti, per non turbare la fatica degli uomini che ci portano i sacchi e guidano i nostri passi. Andiamo un po’ avanti, per il letto della Kali Gandaki, trapunta di saligram neri, dal cuore di ammoniti vecchie di milioni di anni. Cerchiamo l’ammonite di questa volta, perché fino a Jomosom

c’è speranza di trovarne nel greto vastissimo del fiume quasi in secca.

Troviamo pezzi di animali preistorici incastonati nelle pietre nere e tonde. Le lacrime paiono andarsene per un po’ ma – sotto sotto – tornano a galla e non riusciamo quasi a parlare per la commozione. E’ sempre così... passiamo di qui, incontriamo la gente che incontriamo ogni volta, continuiamo con loro antichi discorsi lasciati sempre a metà, e ce ne andiamo. E’ proprio diverso essere viaggiatori e non turisti che guardano a casa ogni momento del viaggio.

Anche noi facciamo infinite e continue fotografie, affinché per un altro anno ci accompagni il ricordo di ogni pietra del nostro viaggio fra questi villaggi. … A Pokhara lasciamo che corpo e mente si riposino e considerino quanto sia successo. Quanto abbiamo saputo trarre e assorbire da quel che abbiamo incontrato sui nostri passi. Abbiamo lasciato vuoti da riempire, da tornare a vedere, da cercare, vuoti in cui perdersi finalmente per ritrovarsi in altri vuoti. Il Grande Cerchio si chiude a Pokhara, sulle rive del dorato lago Phewa, sulla strada affollata che lo costeggia d’un lato, tra giganteschi banyan e pipàl (Ficus religiosa e Ficus Bengalensis). Non sentiamo nemmeno un po’ di stanchezza, se non quella di chi deve partire per un nuovo giro, attorno ad una nostra Annapurna, che tutti, tutti abbiamo nel cuore.

Doriano Piana

 

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