I nemici dell'Impero

Il tramonto dell'impero 193-610


Le origini del mondo germanico

Alla guida dell'impero (360-476)

Glossario

Atlante

Cronologia

Germani e romani ai ferri corti


166 - 360

 

 

 


In questa pagina

Migrazioni e razzie

Mappa della frontiera europea

L'assimiliazione nelle truppe imperiali

L'assimiliazione religiosa

L'esercito imperiale trasformato

Un cavaliere cristiano

 

 

 

Germani e Romani sono stati avversari per secoli. Da quando le prime tribù appartenenti al mondo germanico - fra cui i pericolosi teutoni - si spostarono dal lontano nord verso i territori dei celti e dei romani, i rapporti fra queste tre popolazioni furono quasi sempre improntati alla guerra o alla discordia. Anche fra celti e germani, infatti, sorse una rivalità inestinguibile. Quando la Gallia divenne territorio romano, i popoli mediterranei e quelli nordici si trovarono gli uni contro gli altri, faccia a faccia. Però i germani, a differenza dei celtici Galli e Britanni, riuscirono a contrastare efficacemente le manovre militari romane. I romani incorsero in una disastrosa sconfitta, perdendo tre interi reggimenti - composti complessivamente da circa 30.000 uomini - e così rinunciarono all'espansione verso i territori al di là del Reno (battaglia di Teutoburgo, 9 d.C.). 

 

Le terre del nord, d'altronde, erano ad uno stato naturale vergine. Sebbene potenzialmente ricche di materie prime, non erano per niente "civilizzate", nel senso letterale, latino, del termine. I germani infatti non avevano costruito alcuna città: abitavano in semplici villaggi di capanne, come avrebbero fatto tutti i loro discendenti del nord - quali i vichingi - ancora 1000 anni dopo. Per di più gli antichi germani non avevano costruito nemmeno singole fortificazioni o residenze aristocratiche, che potessero attrarre l'attenzione materiale di generali e imperatori. Non c'è dubbio che fossero civilmente ed economicamente molto meno organizzati dei romani (e anche dei celti), ma ciò nonostante furono in grado di unirsi e superare le rivalità interne, diventando uno ostacolo insuperabile per le mire imperialistiche romane.

 

A guardarli con gli occhi dei romani, i germani erano dei veri e propri "barbari", cioè degli stranieri analfabeti, dai modi popolari, sicuramente poco raffinati. In molti, quindi, li disprezzavano, perché li consideravano solo rozzi ed ignoranti. Ma il pregiudizio negativo non era universalmente diffuso. Al contrario alcuni romani, forse ammirati proprio dallo spirito unitario con cui seppero far fronte all'avanzata della più temibile macchina da guerra che il mondo avesse mai visto, li vedevano addirittura come degli eroi. E per di più degli eroi senza macchia: uomini "puri", legati alla natura, avulsi dai mali della società urbana e lontano dalla decadenza spirituale che essa comporta. Così lo storico Tacito può essere ricordato come l'inventore del "mito del buon selvaggio", 1800 anni prima di Roussou. Ad ogni modo Tacito ci ha lasciato una descirizione delle abitudini germaniche che a quei tempi era sicuramente molto approfondita, e che cercava di andare al di là delle apparenze, per così dire, ferine degli abitatori delle foreste, quali erano appunto i "selvaggi" germani. Ai tempi del "tramonto", nel terzo secolo, i germani, svezzati dal contatto con la civiltà e divenuti "meno primitivi" - ma non per questo meno bellicosi - sarebbero stati considerati addirittura come dei possibili salvatori, da parte di alcuni cristiani radicali, la cui opposizione "pacifista" all'impero era ormai diffusissima e stava provocando una repressione massiccia da parte dei governi più intransigenti. 

 

Dunque, già allora esistevano tesi opposte sulla natura dei "primitivi", in questo caso germani. Erano vere un po' entrambe. Dipende dal punto di vista. Presto i germani, dal punto di vista politico, sarebbero divenuti meno "primitivi", avrebbero formato entità statali più grandi, e si sarebbero dedicati alla ricerca della ricchezza personale. Infine, per la naturale tendenza a riprodursi, avrebbero continuato ad aumentare di numero, e si sarebbero mischiati con le altre popolazioni, dando vita ai primi regni europei moderni. Avrebbero, anche, dato spazio alle proprie ambizioni personali, alla volontà di emergere, col gruppo, nel gruppo e sul gruppo, e al tentativo di controllare il succedersi degli eventi. Sarebbero stati quindi "corrotti" dalla società con le sue "mollezze". Forse Tacito e Roussou avrebbero ammesso che mirare alla realizzazione della propria volontà è possibile anche in una società "arcaica" o "selvaggia",  ma avrebbero chiosato che le attività il cui fine è un danno altrui sono difficilmente realizzabili all'interno di tribù formate da poche decine di persone, a stretto contatto con la natura e a stretto contatto fra loro, dalla nascita alla morte.

 

Sta di fatto che l'organizzazione dei germani si evolveva, attraverso guerre e matrimoni, verso forme di governo più grandi e più stabili. Infatti, una volta arrestata l'espansione romana, e creata la linea di confine lungo il Reno e il Danubio, per quasi due secoli (9-166 d.C.), i rapporti fra romani e germani furono prevalentemente pacifici, rotti solo da scaramucce locali e dedicati, in gran parte, a quei commerci che stimolavano il desiderio dei "primitivi" - e poveri da un punto di vista materiale - germani di arricchirsi. Fra l'altro non era insolito che, partendo magari da una posizione subalterna nella propria tribù, uomini, con donne e bambini, si sradicassero dalle proprie origini per accettare la romanizzazione o "civilizzazione", anche al livello giuridico più basso. Questo lento movimento migratorio andò avanti per decenni. I coloni teutonici, in cambio della terra, accettavano di combattere per l'impero, arruolandosi nei battaglioni provinciali (coorti ausiliarie). Normalmente facevano i contadini, ma erano pronti ad entrare in azione, sul campo di battaglia, ad ogni minima richiesta del governatore romano, che aveva il comando dei reggimenti dislocati in quella zona. Altri germani restavano nei paesi d'origine, commerciavano e si arricchivano. Dal nord scendevano man mano gruppi di genti, e tribù intere, alla ricerca di nuovi territori da "colonizzare". Alcune popolazioni, come quella dei marcomanni, a stretto contatto col mondo romano formarono delle entità "statali", con dei capi-tribù che agivano come monarchi e che sottoponevano alla propria giursidizione territori sempre più grandi, muovendo guerra ai popoli limitrofi. 

Poi, quasi all'improvviso, il vento cambiò drasticamente. E per sempre. Durante il governo di Marco Aurelio (161-180) i marcomanni scagliarono il primo attacco diretto all'interno dell'impero. E nel III secolo tutto il territorio dell'est-europa fu teatro di tempestuosi movimenti di popolazioni: numerosi gruppi di germani - primi fra tutti i goti - iniziarono a fluire verso le frontiere dell'impero, lungo il Reno e il Danubio. Ormai le vecchie tribù, di piccola dimensione, tendevano a riunirsi in confederazioni più grandi, che potevano mettere in campo un esercito sufficiente a contrastare in battaglia le grosse legioni romane. Le nuove confederazioni, come franchi e alemanni, attaccavano frequentemente in piccole bande, o con veloci truppe a cavallo, evitando di proposito la tattica tradizionale - lo scontro frontale fra truppe disciplinate - che aveva caratterizzato tutto il periodo "antico". Queste incursioni, caratterizzate da saccheggi, incendi e rapimenti, rappresentano la prima fase delle "invasioni barbariche". Dopo di esse, l'impero riuscirà a riprendersi, politicamente e militarmente, ma ormai risulterà completamente trasformato dal punto di vista economico e religioso.

Alla guida dell'impero (360-476)


Migrazioni e razzie 

 

Nel 162, dopo vari decenni di pace interna e consolidazione del territorio imperiale, ci fu una piccola irruzione germanica sul Reno e nel 166 un grosso gruppo, formato dai marcomanni - i più potenti germani del II secolo - e da altre tribù germaniche meridionali, passò le Alpi sfuggendo alle guarnigioni di frontiera. L'attacco all'impero era iniziato. La Storia cambiava direzione. Prima erano stati i romani ad espandersi. Ora erano i germani ad invadere. Negli anni successivi i germani si spinsero ripetutamente al'interno del Veneto, arrivando fino ad Aquileia, il grosso porto sulla sponda dell'Adriatico, la Venezia di allora. I marcomanni furono respinti con difficoltà: l'imperatore Marco Aurelio (161-180) dovette combattare più di dieci anni per arrestare l'irruenza germanica. Da questo momento in poi, inoltre, il dominio romano fu minacciato dalla presenza contemporanea di popoli nemici a tutte le frontiere: in medio-oriente l'impero dei persiani iniziò a premere insistentemente contro la frontiera siriana e armena, dall'Arabia arrivavano piccole bande di predoni, dall'Africa idem. In Britannia c'erano gli scoti e i celti. Inoltre sulla frontiera del Danubio, oltre ai germani, si riversavano anche i nomadi asiatici che partivano dall'Ucraina e dall'Asia centrale, coi loro potenti arcieri cavalieri - simili ai "nativi" americani. I reggimenti dell'esercito imperiale - le legioni - furono impegnati costantemente su più fronti e dovettero penare a lungo per organizzarsi adeguatemente.


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Mappa della frontiera europea

L'assimiliazione nelle truppe imperiali

L'assimiliazione religiosa

 


Confronta

L'agonia dell'Impero Romano (193-476)

I Severi e la società  militarizzata (193-235)

Romani e germani, durante il III secolo, si scontrarono frequentemente attorno alla frontiera renana-danubiana. I guerrieri del nord compivano razzie, distruggevano avamposti militari, saccheggiavano città, facevano bottino e prigionieri, e poi tornavano ai loro villaggi al di là del fiume, tentando di non essere intercettati dalle truppe legionarie, se quest'ultime non erano impegnate su un altro fronte. Sembra che, fin dall'inizio di queste prime "invasioni", gli attacchi fossero alimentati, almeno in parte, dal movimento di un popolo germanico orientale, quello dei goti, che si spostò dalla Scandinavia al Mar Nero fra il 180 e il 220 circa. I goti, passando nei territori dell'Europa orientale occupati dalle altre tribù, le combatterono, provocavandone lo slittamento verso ovest. Cioè verso l'impero. Dopo una migrazione di qualche decennio, all'inizio del III secolo, le agguerrite tribù gotiche arrivarono sul Mar Nero e iniziarono anch'esse a premere sul confine danubiano. 

 

Nel frattempo la società e la struttura romana erano entrate in crisi. L'imperatore perse il controllo sui propri sottoposti: i reggimenti legionari romani, impossibilitati ad oppore un'efficace difesa, non trovarono altra soluzione ai problemi politco-militari che affidare il comando supremo ognuno al proprio comandante. Ci furono continue lotte interne per ottenere e ribadire una supremazia che fu sempre momentanea. Quindi nel periodo 230-270, mentre la pressione aumentava su tutte le frontiere, al nord come al sud, l'esercito imperiale non fu in grado di arrestare le incursioni nemiche, e le facilitò pure. Dopo il 250 i goti e i nomadi asiatici si fecero anche pirati, e attraversando il Danubio e il mar Nero, attaccarono ripetutamente Balcani, Grecia e Asia Minore. E anche in questo caso il formidabile impero romano si dimostrò inadatto alla situazione: ammirato dai suoi stessi successi si era lasciato alle spalle i problemi di una volta, convinto che fossero superati per sempre. La marina militare che aveva sbaragliato i pirati di tutti i mari orientali, dopo due secoli di pax era attualmente del tutto inefficiente. I "barbari" goti, inseme ai loro amici eruli, spadroneggiarono sul mar Nero e il mar Egeo con una facilità icredibile.

 

Sul Reno le tribù locali si unirono in federazioni più ampie, quelle di alamanni e franchi, e diedero luogo ad assalti continui e profondi. Le nuove armate germaniche erano formate da grossi contingenti, anche di 30.000 uomini. I franchi e gli alemanni dilagarono in Gallia e Spagna. Furono saccheggiate numerose città, le quali cercarono di correre ai ripari costruendo una nuova cinta muraria che includesse i quartieri sviluppatisi fra I e II secolo. Mentre nel primo impero era sufficiente, per affrontare i "barbari", la sola presenza delle fortezze legionarie di confine, con la loro organizzazione preventiva, ora la situazione era decisiamente voltata al peggio. Per affrontare le nuove e grandi bande germaniche bisognava far arrivare le legioni anche dalle province limitrofe. Anche in passato a volte era stato necessario lo spostamento di tutto l'esercito da un continente all'altro. Ma allora i nemici da battere erano in numero minore. Quasi mai si era verificata la concomitanza di attacchi da parte delle numerose popolazioni di confine, in Asia, in Arabia, in Africa, in Britannia o in Germania. Dal III secolo in poi invece questa fu la situazione "normale". Che ci fosse stata un'espansione demografica è solo una deduzione, ma pare impossibile che i romani fossero riusciti con la sola abilità militare e diplomatica a tenere a bada così tanti popoli avversari su tutti i confini. D'altronde le migrazioni di popoli germanici e asiatici non si fermeranno per tutto il medioevo. Ogni generazione di europei meridionali fra il III sec. a.C. e l'XI d.C. affrontò un nuovo popolo di germani. Questi primi spostamenti del 250 d.C. sono un'avvisiglia di un movimento planetario che durerà ben mille anni. Ai germani si uniranno poi gli slavi. E a queste due grosse etnie si accompagnarono da sempre, gli spostamenti dei nomadi asiatici.

 

 

Approfondisci 

Guerrieri goti (180-300)

 

 

 

L'impero in pericolo

Le incursioni germaniche e persiane erano talmente gravi che  in tutto l'impero si moltiplicava il dissenso per la politica governativa. Quando l'imperatore Valeriano fu catturato dai cavalieri persiani (260), la Siria si ribellò e acquistò un'autonomia di fatto, se non giuridica. Contemporaneamente gli alemanni penetrarono nel territorio romano fra Reno e Danubio. Gallia, Britannia e parte della Spagna si proclamarono fedeli a un generale del Reno che si fece imperatore.

Dizionario dei popoli

Cronologia dell'impero

La frontiera europea nel III secolo d.C. Clicca per vedere le spedizioni.


L'assimilazione nelle truppe imperiali 

 

Al di là del Danubio tutti i germani e in particolare i goti recepirono innovazioni tecniche sia dai romani, sia dai nomadi asiatici. Fin dai primi contatti fra i due popoli molti uomini delle tribù germaniche erano divenuti reclute dell'esercito imperiale, e si erano anche trasformati in colonizzatori di terre incolte e spopolate. Nel I e II secolo gli imperatori avevano avuto un corpo di guardia composto esclusivamente da germani. Non c'era una coscienza nazionale fra le tribù germaniche e anche l'unione etnica fra le stesse tribù era condizionata dalle vicende personali. L'impero, con i suoi ori e le sue città, poteva rappresentare per alcuni germani un forte polo d'attrazione. Anzi, inserirsi nell'esercito romano poteva essere la massima aspirazione e chi si arruolava, generalmente, si dimostava leale allo Stato romano, combattendo le altre popolazioni germaniche e difendendo l'impero. 

 

Nella prima fase dell'impero (principato) il posto nei reggimenti addestrati - le legioni - era stato riservato ai soli cives romani. E proprio la cittadinanza romana sarebbe stato il gradito premio per chi aveva dedicato vent'anni della sua vita a Roma, combattendo nei battaglioni provinciali - gli auxilia. La disaffezione all'esercito però era cresciuta man mano che i confini si allargavano e la guerra si allontanava dalle città. Ben prima che fosse riconosciuta l'uguaglianza di diritti civili a tutte le popolazioni dell'impero (212) anche chi non aveva la cittadinanza poteva, di fatto, arruolarsi nei reggimenti scelti - le legiones. Fra l'altro succedeva frequentemente che - viceversa - fossero i cives romani a preferire l'arruolamento negli auxilia, dove l'addestramento e la disciplina erano meno coercitivi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel II secolo d'altronde gli imperatori erano stati originari delle più antiche province conquistate da Roma fuori dall'Italia e cercarono di favorire i loro concittadini, uniformando la "civiltà romana". Fra questi imperatori, lo spagnolo Marco Aurelio (161-180) aveva cercato di dar nuovo vigore alla politica conquistatrice romana. Approffittando della guerra che i marcomanni avevano lanciato all'impero, il combattente filosofo sfidò i germani nei loro territori, e stanziò numerosi contadini germanici - sconfitti (laeti) - in tutta l'Illyria e anche in Italia, cercando di "romanizzarli". I laeti romanizzati possono essere visti un po' come i moderni immigrati. 

Subito dopo Marco Aurelio, per rispondere alla crescente pressione esterna (nonché a quella interna), l'africano Severo (193-211) "ammodernò" l'esercito iniziando la pratica di affidare tutta la gestione militare ai cavalieri, anziché ai "decadenti" senatori. Severo, ad ogni modo non arruolò contingenti stranieri, provando a mantenere un esercito la cui estrazione fosse prevalentemente "romana", cioè imperiale. I marcomanni stessi, però, avevano vissuto per ben due secoli a contatto coi romani, al di là delle Alpi, acquisendo un certo grado di "civilizzazione". E adesso che erano stanziati in Italia e in Illyria, quando tutti i popoli romanizzati furono uniformati civilmente e giuridicamente dal figlio di Severo, Caracalla (212), questi ex-germani furono fra i primi ad arruolarsi nelle legioni, il corpo dei cittadini romani.


Confronta

I Severi e la società  militarizzata (193-235)

 

Nel III secolo le risorse umane dell'impero scarseggiavano. I motivi non sono chiari e a lungo gli storici hanno discusso sulla veridicità di questa affermazione. Già da tempo però la società soffriva di una grave "crisi di identità", testimoniata dalla diffusione dei nuovi culti orientali, e insieme agli attacchi nemici, fu travolta anche da una depressione economica inaudita, che mandò tutti, ma proprio tutti, sul lastrico. La mancanza di reclute si era già fatta sentire a metà del II secolo. Così la legge iniziò a stabilire, fin da quel periodo, che quando non si era in grado di pagare le tasse, si venisse coscritti nell'esercito. In questo modo si dava un posto di lavoro a chi aveva perso il suo vecchio e si rimpolpavano le truppe in difficoltà.

 

Nel frattempo, dal punto di vista etnico, i gallo-romani rappresentavano ancora una solida base di reclutamento. I soldati di origine ispanica e italica, invece, erano sempre di meno. Ma soprattutto, dal III secolo in poi - sotto la minaccia degli aggressivi goti e dei cavalieri sarmati - divenne predominante la componente balcanica e danubiana, di antica stirpe illirica, che presto avrebbe dato i migliori ufficiali dell'esercito. E in poco tempo da questi ufficiali, che spesso erano contadini scarsamente acculturati, sarebbero usciti gli imperatori ai quali si deve la "restaurazione" del mondo romano, come Aureliano (270-275), Diocleziano (286-305) e Costantino (312-337).

Se alcuni contadini potevano far carriera nell'esercito, ed era una cosa mai vista in precedenza, e potevano farla tanto rapidamente da diventare addirittura imperatori, nel mondo rurale si verificò, allo stesso tempo, una dinamica per così dire opposta. Anziché verso l'indipendenza e l'autonomia, molti uomini comuni si muovevano verso la dipendenza e la limitazione delle libertà personali. I diritti conquistati legalmente furono persi nella pratica. Fra crisi e irruzioni sempre più violente, molti contadini impoveriti, piuttosto che la rischiosa vita militare, preferirono diventare "dipendenti" dei possessores locali, cioè di quei proprietari terrieri che erano in grado proprio di impedirne l'arruolamento. Molte battaglie, nel frattempo, si trasformarono in disfatte incredibili e nel giro di un paio di generazioni, la gente iniziò ad avere paura. Mentre si svolgevano attacchi minori contro tutte le terre imperiali, furono presi alcuni distaccamenti (vexillationes) - soprattutto di cavalleria - per affrontare gli attacchi più grossi - le "invasioni" - che si verificavano in altri settori strategici, in zone dell'impero a distanza di settimane di viaggio. E spesso nessuno degli uomini partiti sarebbe più tornato. Quelli che volevano arruolarsi erano sempre di meno, e quasi unicamente abitanti delle frontiere costretti dalla necessità. Lo stato aveva bisogno di uomini per difendere sé stesso e la sua popolazione. Nel IV e V secolo l'immissione di contingenti di origine straniera nell'esercito, e non solo nei reparti ausiliari, divenne quindi necessaria

Confronta

La riscossa dei nuovi imperatori

Crisi economica, impoverimento, schiavitù e servitù

A volte i rapporti fra i due popoli sarebbero stati ufficialmente di collaborazione. Come detto, i germani erano formati da tribù separate fra loro, che avevano in comune solo un dialetto simile, e i romani tentarono di adottare la loro tipica tattica dell'impera et divide. Il problema era che adesso stavano sulla difensiva e non avevano nemmeno i soldi per pagare i propri soldati. Durante la fase dell'anarchia militare del III secolo e nel successivo periodo di ri-consolidamento del IV, il governo stipulò delle alleanze con tribù stanziate oltre il confine (foederati), le quali, in cambio di un tributo, si impegnavano a difendere l'impero contro le altre popolazioni "barbare" o, quantomeno, a non compiere esse stesse razzie e saccheggi. Come i marcomanni anche le varie tribù dei franchi furono per lungo tempo in contatto con i territori romani e dopo le prime incursioni del III secolo furono spesso arruolati come alleati in difesa della Gallia e della frontiera renana. Nel IV secolo sarà la volta dei goti.

 

Intanto nell'esercito imperiale, mentre i soldati "romani" (italiani, spagnoli, galli, balcanici) si facevano meno numerosi, motivati e addestrati, i singoli militari di origine germanica mostravano con fierezza il loro valore bellico, e si arruolavano spesso nella cavalleria, aumentandone anche la rilevanza tattica. Diocleziano (284-305) e Costantino (312-337) cercarono di migliorare le strategie difensive: i due più potenti imperatori del IV secolo riformarono l'esercito in modo drastico, privandolo definitivamente della sua componente più tipicamente romana, o antica. D'altronde i germani, come avevano sempre fatto, continuavano ad attaccare in piccoli gruppi, sparsi sul territorio. Le battaglie campali non scomparvero del tutto, ma i "barbari" avevano una ben scarna storia alle spalle e non avevano la minima idea di cosa fosse la tradizione "classica". Gli eserciti bene organizzati e disciplinati andavano via via scomparendo. 

 

Nel IV secolo non si usarono più i grandi reggimenti - ossia le legioni - da 6.000 uomini e non esisteva più il corpo dei "comandanti" - i pretorianes - a difesa di Roma e dell'imperatore. I pretoriani furono sostituiti da corpi analoghi che però non soggiornavano a Roma ma seguivano sempre l'imperatore come guardia del corpo, o comitatus. Scomparve anche la tattica specialistica, propria dei legionari, di utilizzare piogge di giavellotti subito prima dello scontro frontale. Costantino creò due vice, un comandante supremo della fanteria - magister peditum - e un comandante supremo della cavalleria - magister equitum. La fanteria rappresentava ancora la maggior parte delle milizie, ma le cavallerie mobili ne divennero un elemento altrettanto fondamentale. Con cavalli più selezionati che in precedenza, la cavalleria stava riprendeno la sua importanza sui campi di battaglia, dopo che, fin dal tempo dei greci antichi nel V secolo avanti Cristo, i lancieri erano stati in grado di oppore un muro impenetrabile alle cariche nemiche. Dal V secolo a.C. fino al III d.C. la fanteria era divenuta la regina delle battaglie e la cavalleria era servita solo per compiti speciali, ma secondari dal punto di vista strategico.


Confronta

I Severi e la società  militarizzata (193-235)

L'impero in pericolo (235-284)

Le riforme di Diocleziano (284-312)

Costantino e il cambio di rotta (312-360)

Dizionario dell'impero

Sotto i successori di Costantino sempre più spesso le battaglie furono condotte in modo frammentato, da piccole unità di corpi misti, con fanteria e cavalleria frequentemente a contatto. Così le cariche dei due comandanti supremi confluirono spesso in una sola, quella del magister utriusque militiae ("maestro di entrambe le milizie") o magister militum ("maestro dei soldati" o "ministro della guerra" o  "generalisssimo").  Nella seconda metà del IV secolo gli stranieri naturalizzati fecero carriera ad ogni livello, diventando capitani, colonnelli, generali e anche generalissimi. Solo il ruolo di imperator gli rimaneva precluso per legge. Quando ormai le popolazioni germaniche si sarebbero insediate stabilmente su territorio romano, nel V secolo, non c'erano più singoli goti, franchi, alani o vandali, ma grandi divisioni di popolazioni germaniche, come ostrogoti, visigoti e burgundi, con i loro capi e le loro abitudini, a combattere al fianco di unità imperiali, sotto la direzione comune dell'imperatore o del generalissimo - il magister militum - che lo sostituiva.


Confronta

Nuovi padroni. Le grandi invasioni (406-476)

 


Continua

Capi germanici dentro l'impero (360-476)  


L'assimilazione religiosa

 

Attorno al 350, dopo che l'impero si era convertito al cristianesimo, il vescovo Ulfila, o Wulfila, di padre goto (germanico) e madre discendente da schiavi cristiani (greco-romani), tradusse la Bibbia per diffonderla fra la sua gente, dandoci, fra l'altro, l'unica testimonianza scritta di un'antica lingua germanica. Il cristianesimo si era infiltrato lentamente fra i goti, portato probabilmente dagli schiavi cristiani, nel corso dei cent'anni precedenti. Al tempo delle scorrerie piratesche fra il 254 e il 269 i germanici goti si erano portati con sé come prigionieri numerosi abitanti dell'Asia Minore. La regione costiera dell'Asia Minore era abitata da popolazioni europee, o greco-romane, da più di mille anni. Le attuali popolazioni turche sarebbero arrivate dall'Asia centrale solamente verso il 1400. 

 

I prigionieri greco-romani se facoltosi, servivano per richiedere un riscatto, altrimenti diventavano schiavi dei goti. Fra di loro molti erano cristiani di cultura greca: fu grazie agli schiavi che i goti conobbero la cultura e la religione dell'impero. Quello di allora era un cristianesimo già evoluto rispetto alle origini israelite, semitiche e asiatiche, ed era andato incontro a uno spirito occidentalizzato, o meglio ellenico, che però non aveva eliminato la vena intollerante, introdotta subito dopo la morte di Gesù. Nel III secolo, al tempo delle persecuzioni, la vita dei cristiani era talmente dura sotto il dominio di Roma che alcuni teologi vedevano nei conquistatori germanici i possibili sovvertitori dell'ordine imperiale e nuovi salvatori dei cristiani. E forse fu proprio in questa prospettiva che il cristianesimo si diffuse fra i germani.

 

Ai tempi di Wulfila la versione di cristianesimo prevalente in oriente, nonostante fosse stata vietata dal concilio di Nicea del 325, era quella ariana, più intuitiva, che negava la possibilità che Spirito Santo e Gesù Cristo fossero divini allo stesso identico modo del Padre creatore. In altre parole, Dio non era uno e trino, ma "uno e basta". Si trattava di un monoteismo "puro", che andava alle estreme conseguenze teoriche dell'opposizione al politeismo. Così fra i popoli germanici - presso i quali la religione non aveva mai avuto un forte peso istituzionale - si diffuse una visione del cristianesimo che era considerata "illegale" dalla chiesa di Roma e, prima o poi, sarebbe stata aspramente combattuta.

 

Anche fra i goti, alcuni capi non gradivano che fosse diffusa una nuova religione, e, forse cercando di mantenere la propria indipendenza e identità nazionale, misero in atto una persecuzione contro i cristiani. Verso il 370 il re goto Atanarik creò la prima cinquantina di martiri germanici, in prevalenza di origine non libera. Quando, poco dopo, gli unni attaccarono l'Europa (375), l'impero aveva superato il periodi di "anarchia militare" del terzo secolo. L'esercito non era la punta di diamante della politica romana, ma i governi si erano stabilizzati. I goti chiesero a Costantinopoli il permesso di insediarsi, con donne e bambini, nei territori al di qua del Danubio. L'imperatore Valente (364-378), di fede ariana, concesse tale permesso in cambio della rinuncia al paganesimo da parte dei capi goti. Il pericolo unno era grave e la fede dei goti nella religione naturale solo abbozzata. Così le varie tribù che facevano capo ai visigoti rinunciarono definitivamente al paganesimo. Poco tempo dopo l'impero, già cristiano da mezzo secolo, svoltò definitivamente verso la fede nicena, ossia verso il cattolicesimo, le cui basi erano state messe per iscritto a Nicea nel 325. Teodosio (379-395) ribadì il primato "universale" della fede trinitaria. I goti, e gli altri germani, che dai romani avevano appena ricevuto una religione, restarono ariani e decisero di fare dell'arianesimo la cultura etnica.

Il cristianesimo di stato

La diffusione dell'arianesimo nell'impero e la lotta alle opinioni

Costantino e il cambio di rotta (312-360)

L'avvento di nuovi poteri. I germani, gli unni, la chiesa (361-406)

Il potere "spirituale" 


L'esercito imperiale trasformato

L'impero romano "classico" era ormai giunto al tramonto. E l'esercito di questo "tardo impero" (235-476) fu parecchio diverso dal suo predecessore. I legionari dotati della tipica armatura a piastre mobili, lorìca segmentata, non si vedevano più da generazioni. Ora i soldati indossavano una semplice maglia ad anelli metallici, oppure una più complessa corazza a squame. Portavano tuniche a maniche lunghe, pantaloni, calzettoni, e scarpe chiuse. Combattevano con la lunga spatha nordica, accompagnata spesso da una lancia uncinata, lo spiculum. Si difendevano con un grosso scudo ovale e un diverso tipo di elmo, più semplice. Era scomparsa anche la tattica specialistica di lanciare i giavellotti all'unisono prima del contatto frontale: al posto dell'antico pilum si usavano dei piccoli giavellotti o dei dardi - specie di grosse "freccette" piombate - che si inserivano in sostegni all'interno dello scudo.

Cavaliere del IV secolo, dotato di spatha lunga e scudo decorato con il simbolo di Cristo. Tale simbolo era derivato dalla sovrapposizione delle prime due lettere greche (χρ) dell'appellativo di Gesù, il cristo, cioè messia. Molti studiosi hanno sollevato dubbi riguardo al fatto che questo simbolo fosse realmente presente ai tempi, non ancora del tutto cristiani, di Costantino, attorno al 312.

Due sovrani dotati di alte capacità militari e soprattutto politiche, Diocleziano (284-305) e Costantino (313-337), restituirono al'impero romano l'antica forza, ritardando di due secoli la sua crisi totale. Ma nel IV secolo i costumi militari risultarono del tutto modificati rispetto alla "classicità". Le grandi legioni di una volta furono abbandonate. Le funzioni delle truppe acquisirono una nuova impostazione, tipica di chi è sulla difensiva. Da una parte c'erano le guardie di frontiera - limitanei - fisse nei vari presidi lungo tutta la linea di confine dell'impero. Dall'altra le armate mobili - comitatensi - al seguito dei comandanti supremi. Le guardie di frontiera, i limitanei, erano schierati dove una volta stavano le legioni. Ma il loro compito non era più quello di arrestare l'attacco nemico, ormai diventato un flusso continuo: dovevano solo rallentarlo. Ora le truppe più prestigiose e remunerate erano quelle di cavalleria e di "commando". Queste truppe formavano le armate mobili dei comitatensi. Agivano come riserva strategica: dovevano accorrere sul luogo della penetrazione e intercettare gli eserciti stranieri, quando ormai si trovavano già ampiamente in territorio romano. A differenza di quelle di frontiera, spesso queste truppe furono alloggiate nelle città di retroguardia. Comunque, sia nell'uno che nell'altro corpo l'afflusso di soldati di origine germanica continuò ad aumentare quasi ininterrottamente dal III al V secolo. Insieme all'afflusso di germani, si affermò definitivamente anche il nuovo modo di vestire. Contemporaneamente anche il modo di combattere dei romani dovette adattarsi alle esigenze. I germani oltre il confine erano aumentati di numero e preferivano la guerriglia allo scontro fra grosse divisioni di fanteria. 

Nell'esercito imperiale, in teoria, esistevava ancora la separazione fra legionari e ausiliari, cui si riferiscono spesso gli autori del tempo. Le legioni del IV secolo, però, avevano meno di 1000 uomini, e quindi erano tantissime, molte più di cento. Nel "primo impero" (I e II secolo) il loro numero si era aggirato sui 25-30 e a quei tempi corrispondevano per grandezza e funzione più o meno a dei moderni reggimenti o divisioni. In questo periodo invece finirono per avere le dimensioni più o meno di odierni battaglioni. Così gli antichi comandanti di legione perdevano di prestigio a fronte dei nuovi comandanti generali, i comes, i duces e, sopra a tutti, i magistri. Dell'altro corpo "classico", gli auxilia, ormai non rimavenevano che poche formazioni. Anzi, ciò che restava degli antichi "ausiliari" era soltanto un nome. Fra di essi, infatti, gli auxilia palatina si distinsero come una delle migliori truppe a protezione personale dell'imperatore. Alcuni "ausiliari" adesso erano molto più importanti della vecchia massa di "legionari": erano guardie "di palazzo", facenti parte del comitatus personale dell'imperatore.

 

Come detto, la classica separazione giuridica fra

 

1) peregrini, i "sudditi di provincia" che si arruolavano nei piccoli auxilia

2) cives, i cittadini romani che si arruolavano nelle grandi legiones 

 

era totalmente obsoleta.Già dal 212 quasi tutti gli uomini erano considerati veri e propri cives, "cittadini romani". Fino a quel periodo le legioni erano state dei grossi reggimenti compatti di cinque o seimila uomini, che avevano una netta supremazia nello scontro corpo a corpo, e combattevano in modo lucido ed organizzato, come sempre in tutta la storia antica. Gli auxilia erano stati invece quei piccoli battaglioni in cui si arruolavano i "cittadini sottomessi" (peregrini). 

 

Ma nel III secolo con le irruzioni germaniche i cavalieri nemici, e le bande appiedate e caotiche, aumentarono di numero. La fanteria pesante legionaria, perse del tutto la sua coesione e solidità. I generali, attaccati contemporaneamente da varie parti, non furono più in grado di garantirsi un corretto schieramento geografico, ovvero una superiorità strategica, quella con con cui l'esercito romano aveva conquistato tutto il mondo. La decadenza delle grandi legiones compatte si deve sia alla molteplicità delle irruzioni esterne, sia alla crisi del potere centrale, sia alla crisi dell'organizzazione sociale complessiva, crisi che non permisero di mantenere una corretta disciplina, con cui magari aumenatare effittivamente le forze armate difensive.


Confronta

Costantino e il cambio di rotta (312-360)

L'avvento di nuovi poteri. I germani, gli unni, la chiesa (361-406)

Le grandi invasioni e la caduta dell'Impero (406-476) 

Dizionario dei popoli

 

Da un punto di vista strategico, alle prime avvisaglie di penetrazione germanica, che spesso avvenivano in gruppi rapidi e di piccole dimensioni, la maggior parte dei soldati rimase, per forza di cosa, ancorata al luogo di stanziamento. I soldati non potevano più organizzarsi in grossi reggimenti (legiones) da concentrare in un solo punto. Restavano a presidiare il loro confine. Rispetto al passato il numero di schermaglie minori dovette essere superiore. In effetti lo schieramento complessivo e le forze del nemico aumentavano a vista d'occhio. Le forze imperiali, invece, potevano contare solo su un ristretto numero di soldati il cui numero non poteva essere incrementato con facilità. Quindi, mentre si svolgevano attacchi minori contro tutte le terre imperiali, sempre nel III secolo, al posto di intere legioni, furono presi solo alcuni distaccamenti (vexillationes) - soprattutto di cavalleria - per affrontare gli attacchi più grossi - le "invasioni" - che si verficavano in altri settori strategici. Questi distaccamenti dovevano spostarsi in zone dell'impero a distanza di settimane di viaggio. E spesso non ritornavano più al luogo di origine. 

Così, mentre i vari accampamenti lungo la linea di confine (limes) venivano costruiti sempre più spesso in muratura e non in legno, dall'abitudine di unire i distaccamenti "d'emergenza" con le truppe personali dell'imperatore (i vecchi pretorianes e altre guardie del corpo) si andò evidenziando l'esigenza di un esercito più mobile, a contatto diretto col capo supremo o con i generali più importanti. L'esigenza del momento aveva fatto sì che la tattica imperiale assomigliasse molto a quella germanica, in cui gli eserciti non avevano basi fisse - per mancanze tecniche - e si spostavano sempre al seguito del loro comandante. Già dai tempi del primo impero, i romani chiamavano questo "seguito", tipico dei germani, col nome di comitatus.

Confronta 

La difficoltà di arruolare soldati, la crisi economica e l'impoverimento

 

Comandanti germanici alla guida dell'impero (360-476)  

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