Le donne
della storia di Dalmine
 
 
Nella storia di Dalmine ci sono quattro donne che hanno in qualche modo influenzato il destino di questo territorio.
La prima è Maria Elisa Camozzi (1860-193?), la figlia del patriota risorgimentale Gabriele. La madre, Alba Coralli, non amava molto Dalmine. Così lei crebbe lontana da qui. Frequentò le scuole a Firenze e, da sposata, visse per la gran parte del tempo a Roma. Il marito, Gualtiero Danieli (1855-1917), professore di diritto commerciale internazionale, era stato chiamato sin da giovanissimo a collaborare al governo, avviandosi poi alla carriera politica e aprendo un proprio studio professionale. Fu con lui che prese la decisione di vendere nel 1907 una parte delle paterne per l’ insediamento dello stabilimento Mannesmann. L’improvvisa morte del marito nel 1917 la portò alla depressione, costringendola a lasciare la vita pubblica dove aveva contribuito allo sviluppo del movimento femminile italiano e al sostegno alle donne degli emigranti italiani.
Una seconda donna che cambiò in parte il destino delle proprietà di Dalmine fu la vicentina Cecilia Rizzi (m. 1468). Il primo marito, Antonio Scaramuzza da Forlì, capitano di truppe venete in occasione della riconquista e difesa di Bergamo nel 1439, in cambio del suo servizio a Venezia aveva avuto in dono le proprietà di Dalmine, espropriate ai ribelli Suardi. Scaramuzza nel suo testamento aveva destinato al suo unico figlio tutte le sue proprietà, o in alternativa, a un monastero di Cremona. Cecilia alla morte del figlio brigò in modo da ottenere lei le proprietà di Dalmine, destinandole in eredità ai due figli avuti dal suo secondo marito, il nobile vicentino Roberto da Thiene. Uno dei suoi nipoti, proprietari di Dalmine, Gaetano (1480-1547), divenne sacerdote, fondò l’ordine dei Teatini o dei Chierici regolari, e dopo la sua morte fu proclamato santo.
La terza donna che cercò di cambiare il destino di questo territorio fu Bernarda Visconti (1353-1376), prima moglie del cavalier Giovanni Suardi (m. 1402), grande proprietario terriero a Colognola e Dalmine, che aveva casa in città Alta (attuale ristorante “Da Mimmo”). Alla sua morte nel 1402 era ritenuto l’uomo privato più ricco di Lombardia. Bernarda era una dei 17 figli naturali o illegittimi del potente signore di Milano, Bernabò Visconti, che aveva avuto altri 15 figli da due mogli. Questa figlia era per lui la più cara, nonostante che, secondo le cronache dell’epoca, non fosse bellissima, perché era piccoletta e grassoccia, coi capelli rossastri. Il Visconti la diede in moglie (16 gennaio 1367) al Suardi, capo del partito ghibellino di Bergamo a lui favorevole, con una dote di settemila fiorini d’oro. Ma Bernarda mal si adattava alla vita in Bergamo e ogni tanto si rifugiava a Milano. Nel castello di Porta Romana, nella notte di S. Antonio il 17 gennaio 1476, venne colta in adulterio insieme a un giovane atleta e familiare del Visconti. Il padre la fece incarcerare a pane e acqua. Bernarda morì di stenti il 4 ottobre dello stesso anno. Ma neanche un anno dopo al padre arrivarono notizie da Bologna dove si diceva che sua figlia fosse ancora vivente. Il Visconti fece condurre delle indagini tra i carcerieri e seppellitori della figlia, ma, non contento, fece aprire la tomba e la cassa in cui era stata riposta. Il corpo sepolto aveva le caratteristiche di sua figlia e pertanto non indagò oltre. Dopo la morte di Bernabò (1385), alcuni testimoni diedero notizia della presenza di Bernarda a Lucca e poi a Milano nel 1400, dove fu arrestata, interrogata e dichiarata essere una bugiarda. Ma il 14 gennaio 1407 il notaio Bartolomeo di Vianova di Bergamo certificava la sua presenza in Dalmine, “in quodam sedumine quod quondam fuit infrascripti d. Joannis militis, … iuxta coquinam sitam in dicto sedumine in quo stat et habitat infrascripta domina Bernarda”: nella cucina del sedime che fu del defunto cav. Giovanni, dove viveva e abitava donna Bernarda. La cucina si trovava dove ora è collocato il cancello d’ingresso al cortile della biblioteca: nel locale, in seguito, fu ricavata una porta per accedere alla base della torre. Il notaio certificava inoltre la vendita, da parte di Bernarda, dei suoi diritti sulle proprietà del defunto marito a due cugini. Un processo, svoltosi a Milano tra il 1424 e il 1426, dimostrò che si era trattato di un tentativo di truffa. Il processo fu avviato su richiesta della unica figlia che Giovanni Suardi aveva avuto dalla seconda moglie, Rizzarda Beccaria (m. 1405). Quindici testimoni dimostrarono che Bernarda era morta nel 1376 e che quindi chi aveva venduto i suoi presunti diritti era una falsa Bernarda Visconti.
Ritornata in possesso delle proprietà del padre, Lucia Suardi, sposata con Giovanni Malabarba di Milano, vendette nel 1430 le proprietà paterne ad altri cugini Suardi. Ma costoro ne godettero solo per una decina di anni. Venezia, diventata padrona del territorio di Bergamo, sequestrò loro i beni di Dalmine in quanto ribelli e nemici e li cedette al capitano Scaramuzza da Forlì.
Claudio Pesenti
Agostino Negri
 
Pubblicato in InformaDalmine, Dicembre 2008
 
 
Dalmine nel 1763