Don sandro bolis
 
 
Breve profilo di don Sandro Bolis
Don Sandro, dal 1941 al 1971 secondo parroco di S. Giuseppe in Dalmine, ebbe influenza non solo nella sua parrocchia, ma sull’intera comunità dalminese. Ecco perché è utile, seppure a breve distanza da un precedente ricordo, tornare a parlarne per cogliere alcuni elementi di fondo del suo operato.
Fare comunità
Il primo dato da cui partire è quello relativo alla percezione che aveva della sua parrocchia, una comunità formata in gran parte da residenti “provvisori”. I capi famiglia arrivavano qui da fuori Dalmine e provincia, vi restavano per il periodo più o meno lungo del loro contratto di lavoro soggiornando nelle case di proprietà dell’azienda e poi, al momento del loro pensionamento, erano costretti a lasciare lavoro, casa e paese. Questo costituiva un elemento di difformità rispetto agli abitanti delle altre parrocchie e da qui derivava, secondo il suo parroco, il poco attaccamento della gente al territorio. Il suo primo impegno fu quindi quello di sviluppare una serie di strumenti, idee e proposte che aiutassero a fare comunità.
Nel febbraio del ’41, d’accordo con il parroco don Rocchi, fece uscire il primo numero di Squilli parrocchiali, un bollettino di informazioni, di notizie storiche, di resoconto sui nuovi arrivati e su chi partiva, sulle nomine dei dirigenti aziendali,...
Una seconda proposta fu rivolta all’Amministrazione comunale perché dotasse il centro di un cimitero. L’assenza di questo servizio nel progetto di città promosso dall’azienda portava l’arch. Pizzigoni a definire Dalmine una città sospesa nello spazio di un’atmosfera surreale... all’interno di un sogno di benessere operoso: una bella favola democratica, da cui ... persino la morte è bandita... Don Sandro aveva sollevato il problema già all’inizio della sua attività di parroco, ma la guerra e la sua conclusione avevano fatto rinviare la soluzione. Dal 1952 riprese la trattazione dell’argomento con una certa continuità, fino alla sua realizzazione nel 1966.
Un terzo modo di contribuire alla crescita della comunità faceva perno sulla formazione culturale “di un certo livello” della sua gente. Da subito aveva costituito una biblioteca parrocchiale e all’inizio degli anni ’50 realizzò il teatro e avviò un circolo di cultura. Oltre a spettacoli teatrali e opere liriche, venivano proposti interventi di conferenzieri provenienti anche dall’Università, ad es. il prof. Lazzati della Cattolica, su argomenti che spaziavano dalla letteratura all’arte, alla medicina, alla morale,...
Nel ’69 fu il primo parroco in Dalmine a promuovere il Consiglio pastorale parrocchiale, secondo le indicazioni conciliari per una corresponsabilità dei laici. Suddivise il territorio in varie zone e individuò una serie di categorie di persone, per poi procedere all’elezione dei rappresentanti e alla costituzione di commissioni di lavoro su vari temi (liturgia, lavoro,…).
Lo stabilimento
L’altro grande ambito della sua attività pastorale fu lo stabilimento. Il sangue delle 288 vittime [del bombardamento del ‘44] cementò per sempre la mia unione con Dalmine, scrisse nel suo testamento spirituale (1970). L’ambiente aziendale durante la guerra fu il campo in cui far crescere esperienze caritative, come la confraternita di S. Vincenzo aziendale, e coltivare la formazione religiosa e politica in vista anche del ritorno alla democrazia. Alcuni dei partecipanti svolsero nel dopoguerra un ruolo importante in Bergamo nella fondazione della Democrazia cristiana, delle ACLI e della CISL.
I massimi dirigenti aziendali, presidente e amministratore delegato, partecipavano agli eventi e alle principali manifestazioni pubbliche della vita parrocchiale e dalminese. Ma il legame personale e amichevole con i dirigenti non velava il suo sguardo sugli incidenti anche mortali che, per egoismo produttivo, avvenivano in fabbrica e ne dava resoconto sul bollettino parrocchiale.
Fu parte attiva nella battaglia del 1949-50 a difesa dello stabilimento dal rischio di smantellamento, passato alla storia come “caso Dalmine”. Don Primo Mazzolari scrisse di lui: ... non tacerà il giovane e validissimo parroco di Dalmine. Vi assicuro che nessuno riuscirà a tacitarlo con la solita beneficenza. Nel dicembre dello stesso anno il consiglio di amministrazione gli negò , fino a conclusione della vicenda, un aiuto economico di 2 milioni, a suo tempo promesso. Nel ’54 la sua casa divenne il punto di riferimento per la conclusione della trattativa sindacale in corso. Nel ’59, incurante della polizia e della posizione dell’azienda, mise a disposizione la sala parrocchiale per l’assemblea dei lavoratori. Nella vertenza sindacale del ’69 scriveva: Sappiamo che la situazione della Dalmine, attualmente, non è delle più floride, ma sappiamo anche che il trattamento che viene usato nei confronti dei dipendenti non è dei migliori ... Si risparmia il centesimo con l’operaio e si sciupano i milioni altrove. Per la prima volta anche i sacerdoti della zona pastorale di Dalmine intervennero con un loro documento di richiamo alla reciproche responsabilità delle parti. Un ruolo non secondario don Sandro l’ebbe anche per numerose assunzioni in azienda.
Dalmine dove va?
L’attenzione alla politica amministrativa fu un’altra costante del suo lavoro pastorale. Le sue sollecitazioni erano indirizzate a promuovere lo sviluppo di una politica di ampio respiro e al superamento delle divisioni particolaristiche.
Nel dopoguerra nella DC dalminese, che fu maggioranza assoluta per oltre 40 anni, prevalse una linea politica finalizzata a realizzare nelle frazioni, come allora si diceva, quelle condizioni di sviluppo (scuole, case, strade asfaltate,...) che erano state realizzate nel centro durante il periodo fascista. La visione di don Sandro era invece indirizzata a far completare il capoluogo, realizzando ad esempio il cimitero. Questa diversa visione urbanistica portò allo scontro sulla localizzazione del nuovo camposanto: l’indicazione di don Bolis a privilegiare una zona più vicina al centro si scontrò con il progetto di don Giacomo Piazzoli di realizzare il villaggio del Brembo, nel terreno che aveva da poco comprato dalla Pro Dalmine.
Don Bolis fu il primo a parlare di Dalmine città, 27 anni prima che i socialisti dalminesi incentrassero su questo tema la loro campagna elettorale per le amministrative del 1985. Nell’ottobre del 1958 scriveva infatti: Dalmine ha varcato la soglia dei diecimila abitanti. Può avanzare la pretesa di aspirare a diventare città. Analizzava poi lo sviluppo edilizio che c’era stato nel dopoguerra e auspicava che questo fosse incoraggiato soprattutto tra Sforzatica e Dalmine, zona che è  destinata a costituire il nucleo centrale della cittadina... Dalmine troverà via libera non solo per essere dichiarata città con decreto del Presidente della Repubblica, ma per presentarsi come tale al forestiero. Alla scuola dedicava grande attenzione, facendo parte del comitato del Patronato scolastico e pubblicando ogni anno i nomi dei promossi e dei laureati. Riteneva inoltre necessario che in Dalmine ci fossero più corsi scolastici superiori, come era avvenuto per comuni più piccoli. Solo nel settembre del ’69 poteva però felicitarsi per l’autorizzazione ministeriale all’avvio di una prima classe dell’ITIS.
Un altro contributo a una visione cittadina passò attraverso la sollecitazione al vescovo per una diversa organizzazione territoriale delle parrocchie. Il 3 marzo del ’57 scriveva: è sentitissimo il bisogno che le 6 parrocchie del Comune di Dalmine che hanno tanta affinità di problemi e di bisogni appartengano alla stessa Vicaria... Tre parrocchie, S. Maria – S. Andrea – Cuore Immacolato di Maria, dipendevano da Stezzano, mentre S. Giuseppe, S. Michele e S. Lorenzo erano legate a Verdello. Il 13 maggio il vescovo Mons. Piazzi decretava l’erezione della Vicaria Foranea di Dalmine e, dopo aver rivisto i confini delle parrocchie dalminesi nel mese di novembre, a inizio del ’58 nominava don Sandro Vicario. La coincidenza tra vicaria e comune durò fino al 28 giugno ’71, pochi mesi prima della morte di don Sandro, quando fu costituita la zona pastorale X comprendente le vicarie di Dalmine e Stezzano.
Nel maggio del ’69 avviava sul bollettino parrocchiale una rubrica Dalmine dove va? per muovere un po’ le acque troppo stagnanti che inquinano l’atmosfera Dalminese. A muoverlo in questo sforzo era l’amore spassionato per Dalmine... non Dalmine-Parrocchia, ma Dalmine-Comune. Secondo lui A Dalmine manca il coagulo delle idee necessario ... perchè le idee non rimangano sole ma si traducano in fatti... Mugugni e critiche, mosse in privato, senza mai dare pubblicità alle loro lamentele non raggiungevano chi di dovere o erano dimostrazione di “gruppi spauriti. Per questo salutava con favore la pubblicazione de L’antenna, il notiziario dei socialisti dalminesi, invitandoli però a non essere solo critici nei confronti dell’amministrazione comunale, pena la perdita di credibilità. Per avere dei termini di riferimento, ritenne utile pubblicare dei precisi Cenni storici sullo sviluppo di Dalmine. La sua ricostruzione poneva al centro l’azienda di produzione dei tubi senza saldatura che, insediatasi nel 1908, aveva promosso lo sviluppo di questo territorio.
Conclusioni
La lezione di don Bolis in questi tre settori è ancora attuale, anche se con dei limiti dati dai cambiamenti intervenuti e da nuove conoscenze. L’idea di città che si è andata costruendo è quella policentrica e non secondo lo schema centro/periferia. Le vicende storiche di Dalmine non iniziano, neanche per il centro, solo un secolo fa, ma occorre andare molto più indietro nel tempo per seguire le numerose tracce che portano all’inizio del millennio. Una storia che si fermi al Novecento e che ruoti intorno all’azienda, come purtroppo si continua a fare, non aiuta a capire la complessità di Dalmine.
L’attualità di don Sandro credo stia nell’invito a rinnovare gli strumenti per fare comunità, nell’attenzione al mondo del lavoro, nel tornare a parlare delle responsabilità e dei valori che devono essere guida nel costruire la città. A pochi mesi dalle elezioni amministrative il dibattito politico continua a restare nel chiuso dei gruppi politici, non c’è illustrazione dei problemi che devono essere posti all’attenzione della nuova amministrazione e quali siano le soluzioni proposte. Torna forte la domanda: Dove va Dalmine?
L’iniziativa delle parrocchie per i 100 anni dell’inizio dell’attività lavorativa alla Mannesmann raccoglie la lezione di don Bolis e vuol essere un contributo alla crescita della città.
 
Claudio Pesenti
Notiziario Parrocchia S. Giuseppe, Maggio 2009