L'occasione è ghiotta
e non me la lascio sfuggire. Mi unisco quindi al gruppo e il 2 giugno
sono sulla barca del diving in navigazione verso Tavolara. Una montagna
sull'acqua: così da subito mi è apparsa l'isola.
Un forte e fastidiosissimo vento di maestrale non promette nulla di
buono; del sole vedo la luce che delinea i contorni di questo spicchio
di Sardegna, ma non ne sento il calore.
Tavolara è un imponente blocco granitico che emerge dal mare per
oltre 500 metri di altezza e, vista dal pelo dell'acqua, impatta
visivamente con la caduta delle sue falesie vive.
Le condizioni meteo non sono delle migliori ma, oltre al vento che non
accenna a calare, non mi sembra ci siano altri impedimenti. Viene
però comunicato che i due tuffi previsti per oggi si faranno
sotto costa e intuisco che la decisione scaturisce anche dalla
necessità dello staff del diving di testare il gruppo. Per la
secca del Papa, quindi, devo attendere ancora.
Il
tragitto da Porto San Paolo è breve: appena il tempo di
preparare l'attrezzatura, di vestirsi, di lanciare un'occhiata golosa
alla roccia a picco che emerge da un mare blu intenso ed ecco l'OK per
andare in acqua.
L'adattamento del primo giorno, il procrastino di circa due ore
dell'orario programmato, la parete in ombra, non mi hanno consentito di
godere in pieno la ricchezza dei fondali di Teja Liscia e di Cala
Cicala. Di questo primo giorno mi è rimasto un solo ricordo:
incisivo, tagliente, definitivo, l'unico richiamo della mente è
il freddo patito non tanto per la temperatura dell'acqua (che sul fondo
si è mantenuta entro i 17-18 gradi), quanto per il vento
incessante, per l'inesistenza di comfort a bordo (né ripari
soleggiati né bevande calde), per l'aver continuato durante la
seconda immersione a disperdere calore nella muta bagnata.
In quell'occasione ho seriamente pensato di regalare l'attrezzatura e
di scrivere la parola fine con la determinazione di evitare in futuro
il possibile ripetersi di tale sofferenza. L'esperienza mi ha quindi
portata a rinunciare al secondo tuffo nei giorni successivi
impedendomi, di fatto, di utilizzare al meglio il tempo a mia
disposizione.
Anche i compagni erano provati e volentieri tutti abbiamo accolto il
rientro con silenziosa soddisfazione, forse ognuno pensando (e
augurandosi!) che.... domani è un altro giorno.
E infatti l' altro giorno
ci accoglie con un fastidioso scirocco (pardon, grecale mi hanno
prontamente corretta) che, pur sotto un cielo azzurro abbagliante,
rendeva gradevole indossare una felpetta. Mentre dal mare arrivano
notizie rassicuranti a conferma dei tuffi previsti, l'entusiasmo del
gruppo in attesa sul molo è messo a dura prova dal ritardo della
barca; solo dopo oltre un'ora e mezza mettiamo piede a bordo e,
finalmente!, via verso la secca del Papa.
Sono
emozionata. So che questa è una delle più belle ed
apprezzate immersioni del Mediterraneo ed è stato il suo
richiamo a portarmi nell'area marina protetta di Tavolara-Punta Coda
Cavallo.
La
morfologia del fondale è varia e accattivante: il profilo della
secca è una franata rocciosa che degrada oltre i 40 metri di
profondità e dal fondo una serie di guglie di diversa altezza si
protende verso la superficie. L'area della secca, per la sua
vastità, prevede due punti di immersione segnalati da boe:
quello denominato Papa 1 è più addossato alla costa di
Tavolara e prevede una discesa sul cappello a -16; l'altro, un po'
più esterno (Papa 2) consente di iniziare l'esplorazione verso i
-24 e presenta quindi un diverso profilo di immersione.
Poiché l'ancoraggio è proibito a salvaguardia del
fondale, l'ormeggio avviene su un gavitello posizionato a pochi metri
di profondità.
Non sto più nella pelle per l'impazienza di saltare in acqua ed ho difficoltà a fermare l'attenzione sul briefing della guida. Va bene, ho capito: tutti
alla boa-ok-si scende lungo la catena (uff!)-sosta a 16 metri-ok-breve
pinneggiata nel blu-attenzione alla corrente-mantenere la quota fino al
cappello-divieto assoluto di andare fuori curva (sigh!). ANDIAMO????
Il mare è una favola, nessuna corrente, il blu intenso è
un richiamo magnetico: prontissima mi porto alla boa, un ultimo
controllo a erogatori e manometro, un'occhiata per riconoscere i colori
del mio compagno, un cenno di assenso della guida ed eccomi finalmente
a svuotare GAV e polmoni per diventare acqua nell'acqua, ospite grata e
riverente nella casa del mondo sottomarino.
La
visibilità non è delle migliori e l'occhio avido che si
spinge lontano impatta in un denso muro blu che a tratti ritorna
bagliori indistinti. In prossimità del cappello perforiamo un
denso banco di castagnole che volteggiano eleganti, come ad esibirsi in
una cerimonia di apertura su quello che poi sarebbe stato lo spettacolo
di lì a poco.
Pochi metri più in basso, tra i -20 e i -25, si apre il sipario e lì sì mi sarei fermata per scomporre in singole tessere quel mosaico vivente incorniciato dal mare.
Dalle pareti ricoperte di parazohantus si staccano eleganti i ventagli
delle gorgonie rosse e gialle che brulicano di vita. Lo spettacolo
è allegro e colorato e l'avanzare una continua scoperta, un
susseguirsi di sorprese che lascia in bilico tra il desiderio di
fermarsi e quello di procedere verso un nuovo richiamo.
Ben presto incontriamo grosse cernie brune, alcune di dimensioni
impressionanti, che rimarranno una presenza costante durante tutta
l'immersione. E poi sfilano come in corteo generose quantità di
dentici, saraghi, corvine e altre specie che non saprei elencare,
mentre la sagoma
di qualche barracuda solitario movimenta il profilo di quella
processione ininterrotta: oltre che per dimensioni e varietà,
è sorprendendente la grande quantità di pesci che convive
in questo angolo di mare.
Sono
affascinata dalla festa di vita e di colori, dalla ricchezza e dalla
diversità delle forme, dall'eleganza del movimento, dall'armonia
di un insieme in cui ogni cosa sembra occupare il posto giusto,
dall'assoluta tranquillità degli abitanti della secca che si
lasciano quasi sfiorare.
Ogni anfratto
è un richiamo che invita all'esplorazione, le promesse mantenute
ravvivano l'entusiasmo, l'eccitazione cresce in maniera inversamente
proporzionale alle indicazioni di computer e manometro. Appena una
puntata a -33 ed ecco, dopo un tempo infinitamente breve, il segnale di
risalita.
L'adeguamento ai
consumi del gruppo, l'obbligo di rimanere in curva e quella che ho
reputato essere un'eccessiva prudenza della guida mi vedono riportare
in barca ben 100 bar e, insieme, un magone che ancora oggi fatico a
digerire: terminare un'immersione alla secca del Papa restituendo
metà della scorta d'aria è un delitto che una parte di me
ha difficoltà a perdonare.
Ho
fatto lì altri due tuffi e sempre sono riemersa con l'appetito
insoddisfatto, anzi! rinvigorito da quello che mi è sembrato
l'assaggio di qualche briciola di un banchetto alla cui mensa,
benché avrei potuto sedere, mi è stato solo
consentito avvicinarmi.
La prossima volta sicuramente andrà meglio, anche perché
l'esperienza mi insegna innanzitutto quello che è bene evitare.
Prima di partire, ci immergiamo in parete all'Occhio di Dio. Il sito
è sicuramente notevole e farebbe felici molti sub che si tuffano
nel Mediterraneo ma, una volta viziati dal Papa,
è difficile farsi meravigliare da ciò che è un po'
meno del massimo. Eppure, anche lì le sorprese non mancano e
trovarsi seguiti da una cernia ad assistere alle attività di un
grosso polpo fuori tana per nulla disturbato dalla nostra presenza mi
ha regalato la sensazione bellissima di essere coinquilina, piuttosto
che ospite, nel meraviglioso mare di Tavolara.