Ranieri Orlandi della Sassetta

Capitano di Ventura (-, + agosto 1520);

 

Ranieri di Pietro Paolo, già Capitano delle milizie fiorentine, nel 1496 fu inviato a combattere la ribellione di Pisa (che, sottomessa a Firenze dal 1406 si era ribellata nel 1494 approfittando degli sconvolgimenti provocati dalla calata del re francese Carlo VIII), e non esitò a passare ai pisani assediati (non è da dimenticare che i Della Sassetta facevano parte dell’antica nobiltà pisana, sempre pronta a cogliere ogni occasione per opporsi ai nuovi dominatori), in favore dei quali era intervenuta anche la Repubblica di Venezia.

 

Temendo che il Castello di Sassetta, per la sua posizione strategica in su confini tra noi e Senesi et Piombino, potesse essere usato come avamposto per le truppe venete, i Dieci di Firenze decisero, l’8 gennaio 1498, di assoldare il celebre condottiero umbro Paolo Vitelli per assalire improvvisamente il maniero e distruggerlo dalle fondamenta per spegnere ogni fomite d'incendio da quella banda. Ma la fortezza fu ritenuta inespugnabile (già nel 1452 era stato respinto un simile assalto), e la Signoria di Firenze, occupata in maggiori imprese, ne rimettesse ad altro tempo l’esecuzione … e l’altro tempo, come vedremo, non sarebbe mancato.

 

Ranieri fu stimatissimo guerriero: si segnalò subito alla guida di numerose scorrerie in territorio fiorentino;  i suoi balestrieri sconfissero i fiorentini a San Regolo, il 23 maggio 1498, e Ranieri affrontò personalmente,  ferì e prese prigioniero il Governatore dei fiorentini, Rinuccio da Marciano, il quale  riuscì poi fortunosamente a salvarsi con la fuga (forse con la compiacenza di Ranieri stesso) verso il vicino castello di San Servolo.

 

Il 10 marzo 1499 Ranieri sfidò e sconfisse, in un duello, per cui il Duca di Mantova gli aveva concesso il campo, il ferrarese Gherardo Roberti.

Nell’aprile di quell’anno, Ranieri fu uno dei maggiori oppositori del lodo emesso a Venezia da Ercole d’Este duca di Ferrara, cui si erano rivolte Firenze e Venezia per trovare un compromesso pacificatorio sulla questione pisana. Rientrato a Pisa, Ranieri fu nominato Capitano e si adoperò perché Pisa continuasse la resistenza antifiorentina, anche associando sia al governo che nell’esercito i contadini (cioè gli abitanti del contado pisano), suscitando il massimo risentimento da parte fiorentina perché questi portamenti erano in lui tanto più molesti, quanto più erano alieni da uno nostro raccomandato e che fussi stato a' soldi nostri, però era in sommo odio col popolo (Guicciardini). 

 

Firenze radunò allora un nuovo esercito, sotto la guida di Paolo Vitelli e Ranuccio da Marciano; ben presto, i condottieri conquistarono anche Cascina, che fino allora era stata l’estrema fortezza difensiva sul confine pisano: e fu preso prigioniero anche Ranieri che era alla difesa del presidio con 60 balestrieri. Ma il Vitelli rifiutò di consegnare a Firenze il pur nemico Ranieri, ed anzi lo lasciò fuggire, dichiarando di “non voler essere bargello di un soldato valente e da bene”: per questo episodio (e per altri sospetti) il Vitelli fu poi processato e decapitato, il 1 ottobre 1499. Nonostante la conquista dell’importantissimo bastione pisano di Stampace (10 agosto), l’assedio fiorentino  fu respinto.

 

Nel giugno-luglio 1500, Pisa fu nuovamente assediata, senza successo, da un esercito francese che, dopo la conquista del Ducato di Milano, il nuovo re Luigi XII aveva praticamente noleggiato ai fiorentini. Ranieri fu ancora in prima fila nella difesa di Pisa, tanto che  Nicolò Machiavelli ebbe a scrivere “E noi fra poco tempo ordineremo in modo le cose nostre che messer Rinieri e ogni altro nostro inimico arà più presto da pensare come e’ s’abbi a difendere da noi, che come e’ ci abbi ad offendere”.

 

Nel 1501, insieme a Vitellozzo Vitelli, fratello di Paolo, Ranieri si alleò a Cesare Borgia, il Duca Valentino, e partecipò con lui alle conquiste di Faenza e Pistoia, del territorio di Piombino (vicinissimo a Sassetta e feudo di Iacopo IV Appiani) e poi di Arezzo, non mancando di intervenire ancora in difesa di Pisa; ma quando il Borgia, a Senigallia, fece uccidere l'amico Vitelli insieme ad Oliverotto da Fermo e altri suoi capitani ribelli (1 gennaio 1503), Ranieri riparò a Cervia, nel veneziano, e quindi ritornò, acclamato, alla difesa di Pisa, nuovamente assediata da Firenze, che, mutati gli equilibri politici con la morte del Papa Alessandro VI,  stava reimpossessandosi dei territori sottrattigli dal Valentino.

E il 5 settembre di quel 1503 il Machiavelli poté scrivere al Capitano di Campiglia, Girolamo de' Pilli, che nell’occasione era stato inviato a riconquistare Piombino: “Per la tua di ieri comparsa questo dì a 23 ore, intendiamo come sei entrato nella Sassetta a patti di salvare loro lo avere e le persone ; ed avendo noi pensato come s'abbi a procedere più avanti, vogliamo che con quanto sforzo tu puoi disfacci infino al piano della terra detta Sassetta, e disfarai le mura e la fortezza ; e se vi fussi casa, o alcuno luogo forte lo disfarai, valendoti de' fanti e degli uomini del paese. E in somma farai questa opera in modo che messer Rinieri né alcuno altro vi si possa ridurre, né farne nìdio di tristi, come gli é stato per il passato.

 

Ranieri fu sempre presente alla difesa di Pisa, nel 1504 rientrò in città alla guida di aiuti spagnoli da lui ottenuti presso Consalvo di Cordoba, vicerè di Napoli; il 27 marzo 1505 fu segnalato fra i protagonisti della Battaglia del Ponte Cappellese, allorché un manipolo di Pisani guidati da Corrado Tarlatini assalì e sconfisse un assai più numeroso distaccamento fiorentino: ma ben presto i fiorentini si rifecero di quella sconfitta, e un nuovo esercito, guidato da Antonio Giacomini e Ercole Bentivoglio, dopo aver sconfitto a San Vincenzo il condottiero filopisano Bartolomeo d’Alviano (che si salvò dalla cattura riparando proprio a Sassetta), si portò nuovamente (ma ancora una volta invano) all’assedio di Pisa, alla cui difesa accorse ancora Ranieri con altri condottieri pisani.

In quel periodo, la Signoria di Pisa trovò conveniente appoggiare l’insurrezione genovese contro i francesi, e nell’ottobre 1506 Ranieri, insieme al Tarlatino e a Piero Gambacorti fu inviato alla difesa di Genova; ma quell’insurrezione fu presto repressa, e Pisa ne ottenne solo di perdere il favore del re di Francia.

 

Ranieri passò al servizio della Serenissima Repubblica di Venezia (già alleata e protettrice di Pisa insorta); e il 2 marzo 1508 si distinse, in Cadore, alla battaglia del Rusecco, nella quale i Veneziani guidati da Bartolomeo d’Alviano sconfissero gli imperiali di Massimiliano d’Asburgo e conquistarono Pordenone, Gorizia, Trieste e Fiume: “… era questo, era questo il colle da dove Ranieri della Sassetta balzò fuori col suo cavallo e, sulla riva, lì sotto, scontrò Sisto Alamanno, guerriero degli imperiali: gran rumore di ferri, dicono e lo fece fuori. Grida e fragori. E i cadorini arrivavano sui fianchi e gli imperiali si arrendevano …” (I giorni veri, di Giovanna Zangrandi, pubbl. da A. Mondadori, 1963 pagg. 212-214). Ranieri è più volte citato nei Diarii di Marino Sanudo, e spesso fu lodato dai provveditori veneti per il suo valore.

 

Egli partecipò anche, stavolta senza gloria, alla battaglia di Agnadello nel maggio dell’anno successivo, allorché con la sconfitta terminò la fortuna dell’Alviano; dopo la quasi contemporanea definitiva resa di Pisa (8 giugno 1509) Ranieri lasciò il soldo di Venezia (cui forse rimproverava di non aver continuato a sostenere l’indipendenza pisana) e passò al servizio di Massimiliano, partecipando anche, insieme ad altri condottieri transfughi dall’esercito veneziano, al fallito assedio di Padova, dove fu segnalato un suo particolare accanimento contra la citade di Padoa et contra il nome veneto, che aparevanno che se ne volesseno vendicare di qualche injuria secondo la opinione loro riceputa dal Statto Veneto. (I Diarii, di Marino Sanudo).

 

Negli anni successivi, Ranieri, che ottenne il perdono fiorentino e fu reintegrato nel possesso del Feudo della Sassetta,  proseguì quella che appare una notevole carriera di Condottiero di Ventura: dopo il termine della vana impresa italiana di Massimiliano, fu al soldo del Papa, prima Giulio II e poi Leone X (Giovanni dei Medici), e dei Viceré di Napoli.

 

Nel 1512 la Lega Santa promossa dal Papa Giulio II favorì il ritorno a Firenze dei Medici: e Ranieri entrò a Pescia il 31 agosto 1512, rappresentante del Viceré di Napoli Raimondo di Cardona (le cui truppe avrebbero poi attuato il ferocissimo sacco di Prato). Quello stesso giorno, da Firenze fuggì Pier Soderini, primo Gonfaloniere a vita della repubblica fiorentina; e Rinieri della Sassetta con 200 cavalli schorsse la Cerbaia e Fucecchio per catturarlo.

 

Il 16 settembre 1512 Ranieri era in Firenze, a sostenere con i suoi fanti la riconquista del potere da parte di Giovanni e Giuliano dei Medici, e nel 1515 e 1516 fu con l’esercito mediceo-pontificio comandato da Lorenzo dei Medici (nipote di Giovanni, adesso papa Leone) in Lombardia e poi alla conquista del ducato di Urbino; ma successivamente, per aver mancato di presentarsi ad una convocazione della Signoria Fiorentina, Ranieri fu nuovamente dichiarato ribelle insieme al fratello Geremia ed esiliato il 15 ottobre 1516; il feudo fu confiscato e gli Orlandi condannati all'esilio, e destinati a non tornare più a Sassetta.

 

Ranieri non si rassegnò mai alla perdita del feudo, e, da Roma -dove sembra si fosse stabilito, forse presso il fratello Don Antonio-, scrisse numerose lettere a maggiorenti dell'epoca, in particolare a Giovanni dalle Bande Nere ed a Papa Leone X, per chiedere interventi in suo favore e la restituzione del Castello della Sassetta: ma incontrò la durissima opposizione della Signoria Fiorentina, che respinse inappellabilmente ogni possibilità di revisione della sentenza.

 

Nel 1520 papa Leone X fece arrestare proditoriamente Giampaolo Baglioni, con cui era in urto da tempo: e il Baglioni, sotto tortura, confessò ogni sorta di crimini (congiure contro lo stesso Papa, fomentazione di rivolte, incesti con le sorelle, stupri con le figlie, molti omicidi ed il conio di moneta falsa) che gli costarono la condanna a morte; ma confessò anche cose poco convenienti (i documenti non specificano quali) di Ranieri della Sassetta. Ranieri si trovava nel Castello di Sassetta, avendone probabilmente ripreso possesso, verosimilmente in modo abusivo, e così,  il 25 agosto un bargello con 50 cavalli leggeri assaltò la fortezza, e lo imprigionò.

 

A Colazzi, 5 miglia prima di giungere a Firenze, per evitare il furore del popolo, cui Ranieri era ancora in odio, uno degli Otto con il Maestro di la Justizia li andò incontro e, dopo un processo sommario, lo fece giustiziare. Il Sanudo scrive che non se intende la causa, e, a riprova della fama di Ranieri, constatava che cussi li primi capi de Italia a un a un vien exradichadi (I diarii di Marino Sanuto).

 

La fine di Ranieri fu in tema col suo personaggio, e ancor più col truculento Tigrino carducciano; dapprima, Ranieri chiese ad Antonio, che fu degli Otto, e andò a far tagliare la testa, … per umiltà di baciarlo, ma e’ non volse per amor del naso: cioè, accadde che Ranieri, di fronte al suo carnefice, con il quale covava vecchi rancori, avesse chiesto umilmente di poterlo baciare; ma quello, avendo intuito che la sua vera intenzione era di staccargli il naso con un morso, si rifiutò. Poi, Ranieri non volle li fussi fasc[i]ato gl’ochchilleghato le mani e posesi g[i]ù da ssè tenendo il ceppo colle mani animosamente (Ricordi Studi e testi - Istituto nazionale di studi sul Rinascimento Di Bartolomeo Cerretani, Giuliana Berti Pubblicato da L.S. Olschki, 1993).

 

Anche questo episodio rimase a lungo nella memoria popolare, tanto da generare quello che fu in seguito un diffuso modo di dire: Come disse Anton d'Orso: Va sano. A Ranier della Sassetta quando, essendo per essergli mozza la testa, l'avrebbe voluto baciare per ispiccargli il naso, ché, come si crede eran fra loro gozzaie vecchie. (La sapienza del mondo: ovvero, Dizionario universale dei proverbi, A.F. Negro, Torino 1883 pag. 334)

 

 

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