La nostra pagina su         My SPACE

 

The Crackers

 Since 1981

 

"Rock'n'roll can never die" (Neil Young)

FOTO: Marco Schirinzi

  

Il  CD

 

 

FOTO: Franco Valente

"Ah but I was so much older then / I'm younger than that now" (Bob Dylan)

 

Componenti:

Roberto Canori - Batteria; Voce

Gianluca Cellupica - Chitarra; Voce

Roberto Ferrazzoli - Voce; Chitarra; Armonica

Enrico Ferrazzoli - Basso; Chitarra; Lap Steel; Mandolino


1. Musica - Testi - Notizie
 

Notizie:

The Crackers suoneranno ad:

Le date si possono trovare sulla nostra pagina su My Space.

 

Testi:

>>> Testi dall'album: "Special Life"

   
2. File Locandina
 

Locandina 1 (foto: Franco Valente)

 
File della locandina scaricabili:
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Locandina 1 A3 formato pfd  >>>
Locandina 1 formato TIF       >>>

 

3. Immagini

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4. Memories
 

9 Dicembre 1980Roma, Tor Pignattara.

Un appartamento poco luminoso con i muri sbiaditi, vecchia carta da parati che si trova lì dagli anni 50 e mobili ancora più vecchi. Per quegli anni, è il tipico appartamento, affittato per una cifra ingiustificabile, a studenti.

Cinque ragazzi stanno per pranzare.

Come al solito si discute e si ride a proposito della decisione presa su chi deve apparecchiare e chi deve cucinare. Non ricordo esattamente chi stesse cucinando, forse Roberto P. o Mario, di solito gli incaricati oltre a me. Nell’immagine che ricorre nei miei ricordi, io, Gianluca e Roberto C. prepariamo la tavola con il televisore acceso che trasmette il telegiornale.

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Il collante del gruppo è, senza dubbio, la musica e si è cementato anche attraverso il lavoro svolto, per puro amore della musica, in RADIO CASSANDRA ad Isola del Liri (provincia di Frosinone) (vedi la foto). Una passione per tutti, espressa in modi diversi, ma una passione vera.

Mario, lo definirei un collezionista. Un conoscitore (e possessore di dischi) di tutti i generi più importanti per il rock della nostra generazione.

Roberto P., è un concentrato di passioni. La radio, l’elettronica, la musica, …… .

Io, Gianluca e Roberto C. avevamo, per alcuni anni, suonato insieme, al di sopra dei nostri mezzi, in un gruppo (Totem e Tabù) insieme a Franco e Carlo, che non erano con noi in quell'appartamento. L'avventura "Totem e Tabù" era finita perché il genere suonato non aveva alcuno sbocco o mercato, e in quegli anni 80 sarebbe andata anche peggio. Si trattava di una sorta di musica psichedelica acustica, soprattutto per ragioni di budget per l’acquisto di chitarre elettriche, amplificatori, batteria, tastiere (all’epoca avremmo detto organo) ecc., con molta improvvisazione. Il tutto basato più sull’anima che sulla tecnica ed era impossibile pensare ad un possibile pubblico.

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L’annunciatore del telegiornale, con aria molto seria, dice qualcosa a proposito di un artista importante della musica Pop, allora si diceva così, catturando l’attenzione di tutti.  Non ricordo le parole esatte ma il tono era:

Ieri alle ore 23,  nei pressi di Central Park, a New York, il cantante quarantenne divenuto famoso con i Beatles, John Lennon, è stato ucciso…….

Tutti ci fermammo e ci guardammo. Qualcuno senti il bisogno di sedersi.  Nella musica degli appena finiti anni 70, i Beatles erano dati per scontati. Tutti si consideravano fans dei FabFour ma, in fondo, nessuno ascoltava più i loro dischi. La disco music stava già uccidendo la musica “suonata” e bisogna arrivare ai nostri giorni per trovare un periodo altrettanto brutto per la salute della musica.

Qualcuno disse: “perché non abbiamo mai provato a suonare le canzoni dei Beatles?”

Dalle discussioni dei giorni successivi nacque l’idea di formare un gruppo basato sulla musica dei Beatles. Avevamo il problema del Basso e del cantante. Parti un pressing verso Roberto P. che strimpellava la chitarra ed aveva studiato organo, per il cantante chiedemmo a mio fratello Roberto F. (si, il terzo Roberto).  La prima prova, organizzata grazie all’aiuto del fratello di Roberto P., Sergio (nella foto), fu sorprendente. Scoprimmo che il Rock & Roll ci veniva facile e naturale.

Il nome nacque alcuni gironi dopo, da una discussione collettiva in cui si cercava un nome che finisse con la “s” e che fosse preceduto da “The”, vi assicuro che nessuno di noi poteva aver letto The Commitmens (o visto il film) che forse non erano ancora nemmeno stati pensati.  Alcuni anni dopo, fummo onorati nello scoprire che il nome “Crackers” era stato utilizzato anche dalla “Band” di Robbie Robbertson prima che Bob Dylan decidesse diversamente...

 

02/06/2007 - Enrico Ferrazzoli

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"Cerco di iniziare da dove Enrico finisce.

Mi ricordo un vecchio slogan: 'I Tangerine dream iniziano dove i Pink Floyd finiscono'. Quella era solo una bella e buona presunzione artistica. I Floyd sono nell'Olimpo degli Immortali. Io invece vorrei solo dare un senso appena cronologico.
E dunque.

In fondo, noi non abbiamo mai dovuto faticare tanto per trovare un equilibrio, per così dire, artistico.
Masticavamo (+ o -), tutti, la stessa musica.
E' già difficile trovare un gruppo di musicisti che la pensino allo stesso modo. Figuriamoci 6 amici!!!
La nostra è stata una ricchezza, un patrimonio.
Del resto, se siamo ancora qui dopo... fate i conti un pò voi... tot anni, delle ragioni ci saranno pure. O no? 'Here again', come recita il titolo di una nostra celebre canzone.
E poi, basta guardare che fine hanno fatto i gruppi di tanti nostri amici. Qualche stagione, quando andava bene, e via...

Noi no. Non che in tutti questi anni non ci siano state divergenze o piccoli dissidi (non siamo mica mostri!!) ma, tutto sommato, la vedevamo allo stesso modo.
Oddio!!! Bé, insomma...
OK, vuoto il sacco.

Roberto C., Roberto F. and I rappresentavamo una sorta di (maggioritaria ma elastica) triade che proponeva qualcosa che stesse dalle parti di: Beatles, Byrds, Neil Young, Dylan, Eagles e, mia personale massima aspirazione, Jefferson airplane (il gruppo che, forse, più ho amato dopo i Beatles...). Insomma il rock mainstream, un pò melodico, con le harmony vocals... Forma canzone, psichedelia, atmosfere...
Noi (forse io in particolare) spingevamo anche molto sui pezzi nostri.

L'irriducibile coppia Franco - Roberto P., invece, facevano più riferimento al Rhythm & blues, al soul, al rock and roll, ai Blues brothers, con invito esplicito all'uso dei fiati (concretizzatosi in seguito con gli ingressi di Angelo Simone al sax e Vincenzo Capuano alla tromba).

Adesso posso dirlo. Va bene "Soul man", va bene "Kansas city", va bene...
Oh, a me questa roba piace molto, sono le radici, sono sacre. Però, nel gruppo, quando era troppo, che palle...

Enrico. Enrico era omnicomprensivo nel senso che a lui stavano bene "tuttedueigeneri". L'importante era suonare. E qui venivano i dolori.
Perché tra università, servizi militari, lavori, cazzabuboli vari, il nostro grande problema è sempre stato quello della continuità. Ma finora ne siamo venuti sempre fuori.
E, cosa, più incredibile, non abbiamo nessuna intenzione di mollare...
Passo la palla ai Roberti...".
 

20/06/2007 - Gianluca Cellupica

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Più che raccontare cronologicamente la nostra avventura, mi piacerebbe soffermarmi sulle ragioni per cui un bel giorno ti ritrovi su un palco con una chitarra a cercare di esprimere e condividere, con chi è disposto ad ascoltarti, la passione che ti muove.

Io ho sempre pensato che in quegli anni bui ci fosse davvero bisogno di qualcuno che diffondesse il verbo. Questa affermazione messianica può sembrare molto impegnativa, ma cosa sarebbe la vita se da soli uccidiamo i nostri sogni? Era troppa l’immondizia che le nostre orecchie e le nostre pance erano costrette a ricevere passivamente. Era un lavoro sporco ma qualcuno doveva pur farlo – si dice così no?

Non mi era mai passato per la testa che avrei potuto cantare davanti ad un pubblico. Eppure è successo. Venivamo scambiati per il gruppo che suonava musica “giovane” quando invece quello che volevamo rappresentare con le nostre canzoni e con le covers che con gioia infantile ci proponevamo era il primo rock’n’roll, i Beatles… roba ormai datata.

Non credo che in noi ci fosse il bisogno di metterci in mostra, volevamo solo praticare attivamente il nostro “fuoco” e questo abbiamo fatto per tutti questi anni. Con alti e bassi, con momenti di scoramento e di nuovo con ritrovato vigore.

Mi piace ricordare uno dei momenti più intensi che io abbia mai vissuto. Uno di quegli episodi che restano scolpiti dentro di te e che, in qualche modo, accendono lampadine e ti fanno magicamente comprendere le ragioni per cui senti. Quel giorno del novembre 1989, quando finalmente vidi Paul salire sul palco e la prima nota di “Figure of Eight” risuonò in quella sala colma.

Nonostante avessi da sempre amato, consumato, suonato, digerito, spremuto, dissipato e poi riacquistato quelle emozioni, capii in un attimo che quella non era semplicemente musica. Era nutrimento, linfa vitale da diffondere, condivisione di passione che accomunava tutti quelli che casualmente erano vicini a te. Non li avevi mai visti prima ma diventavano tuoi fratelli proprio perché sentivano anche loro quello che stava sconvolgendo te.

Si, suonare era stato e continuerà sempre ad essere quello che dovevamo fare.

Mi rendo conto che il tono di queste parole può essere letto come presuntuoso, ma un musicista ha l’obbligo di esagerare. Se così non fosse non sarebbe in grado di trasmettere anche la più piccola emozione.

Molti penseranno che in nostro sogno non si è mai realizzato completamente.  ERRORE!

Per noi (sono convinto di parlare anche a nome di tutti gli altri) imbracciare una chitarra ed accennare le note di “Tears and Flowers”, quando c’è anche una sola persona ad ascoltare che magari batte il piede e sorride, è il compimento della missione.

22/06/2007 - Roberto Ferrazzoli

 La cameretta di Enzo

Un periodo, non mi ricordo perché e percome, prendemmo una cameretta alla Scaffa, Comune di Arpino. Io, poi, sono assolutamente negato per le date e cose così. Dovevano, però, essere gli anni 80.

Ce la trovò Enzo Canettieri, grafico, ma soprattutto grande amico di Roberto F.

Enzo era sempre gentile con noi e, nel passato, ci aveva già risolto qualche urgenza tipografica.

La cameretta di Enzo, in campagna, non andava affrontata di petto. Infatti, bisognava fare tutto un giro di Peppe per arrivare. Quando, finalmente, la trovavi, avevi la strana sensazione di averla sorpresa alle spalle.

Mi ricordo che con noi c’era sicuramente il grande chitarrista Antonio Fiorelli (quindi, Enrico faceva il militare) perché Enzo voleva sempre che facessimo “Sultans of swing”.

Oh, di Antonio parlatene un po’ voi. Mica posso fare tutto io…

Un’altra cosa che mi ricordo è che, con la presenza di Antonio, io ambivo a fare la “seconda chitarra”. La proposta non ebbe mai un grandissimo appeal.

Una cosa è certa. Quella volta ci eravamo messi in testa di fare sul serio.

Si provava tre volte la settimana: lunedì, mercoledì e venerdì. E guai a chi sgarra.

Gli altri impegni (fidanzate, passatelle, partite a pallone) potevano aspettare.

Ah, e poi non potevamo mica perdere tempo. Spesso si andava a suonare nel pomeriggio. Alle otto stozza e birra. Poi si ricominciava a suonare fino a tardi.

Mi ricordo degli enormi pane e mortadella.

22/06/2007 - Gianluca Cellupica

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Il “Paradise”

E arrivò il “Paradise”.

La nuova frontiera dei locali dal vivo.

Veramente, più che al “Cavern” mi faceva pensare alla natura lussureggiante del set di “Blue Hawaii” di Elvis. Si suonava in giardino.

Insomma, bello era bello. Si trovava a Montemontano, Isola superiore.

Il padrone, pardon, il manager era Gregorio. Un uomo. Un po’ burbero ma anche lui aveva un cuore.

La prima volta che suonammo al “Paradise” fu un successone. Locale strapieno, fummo pagati, mangiammo, tutto.

Quindi, fu del tutto naturale programmare la replica.

Ancora oggi ferve il dibattito del perché quella sera non ci fosse un’anima. Mistero. Qualche ragazza, qualche amico. Quelli stretti, però.

Boh…

Fatto sta che suonammo lo stesso.

Alla fine, Gregorio disse: “Uagliù, l set uisct pur u!! n nc scteua nsciun. N u poss paià. Però u facc magnà!”.

Rapido consulto del gruppo in camera caritatis. La decisione, immediatamente comunicata a Gregorio da un portavoce, fu la seguente: OK, un gruppo serio sa anche farsi carico dei problemi oggettivi del locale e non accampare assurde pretese.

Ci accingemmo, dunque, alla cena.

Panini, patatine, birre, quello che aveva. Ci mangiammo questo mondo e quell’altro. A Gregorio sarebbe convenuto di più pagarci.

Ad un certo punto, Franco disse, un po’ ad alta voce:”Gregò, tniss caccosa d docie?”.

Vi giuro, per la risata mi uscì la schiama della birra dal naso, bianca, pressata, come una fontana.

Mai più, nella mia vita, avrei riprovato quella sensazione.

Stemmo un quarto d’ora a ridere.

22/06/2007 - Gianluca Cellupica

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L’espulsione

Che volete. Può capitare. A me, infatti, capitò.

Non lo so che mi stava succedendo in quel periodo.

Ero insofferente verso il gruppo. Chissà, forse non mi piaceva la direzione artistica, mi ero stancato, non si suonava come volevo... Non lo so.

E non facevo nulla per dissimulare il mio stato d’animo. Ero vagamente provocatorio, scocciato.

Morale della favola: feci di tutto per farmi cacciare.

Certo, non era facile per nessuno.

Immagino, però, che il gruppo prese la sofferta decisione.

Quartiere Stazione, Via Beniamino Cataldi, 30, terzo piano.

Lì abitavamo io e Franco, porta con porta.

Quella mattina uscimmo contemporaneamente e quasi ci scontrammo sul pianerottolo.

Con aria solenne mi disse: “Ti devo dire una cosa a nome di tutto il gruppo. Sono stato delegato io a dirtelo per via della nostra amicizia d’infanzia. Ti sei comportato troppo male. Sei allontanato dal gruppo. Ma senza problemi, senza rancori, siamo sempre amici”.

Cazzo!!! Gli dissi che, in fondo, me l’aspettavo e che il gruppo aveva tutte le sue buone ragioni.

Venni a sapere che, al mio posto, fu ingaggiato Di Rezza, di Sora, venditore di chitarre, possessore di chitarre, chitarrista. Dice che faceva sempre “Ticket to ride”.

Non mi ricordo né i tempi né i modi.

Mi ricordo solo che mi ritrovai di nuovo nel gruppo. Con la testa a posto.

 

22/06/2007 - Gianluca Cellupica

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L’ASPETTO “DIDATTICO” DELLA BAND

C’è un episodio che resterà per sempre ben impresso nella mia memoria.

Avevo circa sette anni, si era in piena beatlemania (Sgt.Pepper uscì proprio quell’anno) ed un giorno mio fratello Virgilio tornò a casa con un pacco di 45 giri (ve li ricordate?): Beatles, appunto, Rolling Stones, Procol Harum, Otis Redding, Them e molti altri. Lui ne suonò alcuni con tanta attenzione e trascorse  il pomeriggio a ritrovare gli accordi con la sua Eko acustica… e ricordo in particolare che a mia sorella chiese di scrivere in un inglese “comprensibile” le parole di “I’ve been loving you”… l’etichetta rossa e nera dell’Atlantic ruotò e ruotò ininterrottamente sul giradischi.

Tanti altri pomeriggi così si vivevano a casa mia, a Via Granciara, in campagna. Fino a quando chiesi a mio fratello perché scriveva , così maniacalmente, quegli  accordi e quei testi. Lui mi spiegò che era il manager e factotum di un complesso musicale che avrebbe dovuto (o almeno, provato a ) suonare o reinterpretare quelle canzoni. “Un giorno ti farò sentire cosa sanno fare i miei amici”, mi disse. Attesi con ansia quel giorno e, quando arrivò il momento, mio fratello mi portò in un vecchio casolare semi-abbandonato (adesso, al suo posto, c’è un grande palazzo ed un supermercato, neanche più funzionante). Stavano provando i “The Fevers”, mitico gruppo di Isola del Liri degli altrettanto mitici anni sessanta, con Aldo all’organo, Claudio e Cesare alle chitarre, Luciano alla voce, Oreste al basso e Giorgio alla batteria. Sì, la BATTERIA. La Ludwig grigio madreperla come quella di Ringo! Ci fu un attimo di folgorazione (I saw the light!!!): non riuscivo a staccare lo sguardo da quei tamburi… Giorgio capì tutto. “ La vuoi provare?” mi chiese (ero pur sempre il fratellino minore del manager!!!) ed io, timidamente, risposi di sì. Lui abbassò il seggiolino affinché io potessi raggiungere il pedale della cassa e mi diede le bacchette. E’ iniziato tutto lì. Quello è stato il momento in cui ho scelto: il perfetto mix (per me) di mitologia infantile: i Beatles, i Fevers, la Ludwig ….. . Il resto è storia.

Sono passati un (bel) po’ di anni  e il più bel complimento che potesse farci qualche nostro amico musicista più giovane di noi è stato questo: “Ho iniziato ad avvicinarmi ad uno strumento, alla musica suonata, quando ho visto per la prima volta i Crackers  suonare. Mi avete trasmesso la voglia, la carica giusta per iniziare”.

Ebbene, sì. Abbiamo offerto loro una valida alternativa al pallone, al motorino, al flipper… hanno studiato e sono diventati più bravi di noi. Siamo orgogliosi anche di questo.

Beh,  concedeteci, almeno, un piccolo spazio nell’immaginario dei giovani musicisti dell’area frusinate degli anni ’80!

 

05/07/2007 - Roberto Canori

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Le Chitarre

La scelta di uno strumento da suonare è una cosa molto personale, ma sopporta la convivenza con il mito. L’immaginario di un qualsiasi ragazzo che si avvicina ad una chitarra e con fatica inizia a muovere le dita su una tastiera è ricco di visioni e la molla che lo spinge non può essere che l’emulazione.

“Hai visto sulla copertina del disco? Io l’avevo riconosciuta anche dal suono: non poteva che essere una stratocaster!” questo era un commento tipico tra ragazzi che vivevano la musica in maniera più passionale del semplice ascolto leggero. Quei pomeriggi passati a suonare il giradischi diventavano magici, nel momento in cui ti sentivi proiettato sul palco, vicino a George, anche tu con la mitica Rickenbacker in braccio.

Ricordo discussioni accesissime, nelle quali si “litigava” su quali fossero le chitarre migliori. A quel tempo nessuno di noi, a parte Enrico che tecnicamente ne capiva molto di più (ancora oggi è così), era in grado di supportare con validi argomenti le tesi che testardamente difendevamo. Per me e per Gianluca non c’erano alternative. Le uniche chitarre elettriche “buone” erano: Fender, Gibson, Rickenbacker e Gretsch. Non volevamo neanche sentir parlare di altre marche, nonostante le mode dei vari momenti, nei quali spuntavano improbabili (per noi) altri modelli che beffardamente chiamavamo: “pezzi di legno”.

Un vecchio bluesman sicuramente non si poneva questi problemi: per loro era già un miracolo riuscire a mettere le mani su uno strumento qualsiasi e suonarlo. Spesso suonare uno strumento non idoneo li portava a modificare, o meglio ad adattare il loro stile alla chitarra (dovrebbe accadere il contrario). La musica prodotta però non si può certo definire scadente. Siamo quindi vittime del consumismo noi che non scendiamo a compromessi e suoniamo solo ed esclusivamente determinati modelli? La mia risposta è imbarazzante:
SI siamo delle vittime, ma non del consumismo, piuttosto della leggenda, del sogno…

Novelli epigoni, restiamo integerrimi fedeli alla linea!

20/07/2007 - Roberto Ferrazzoli

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Le Figure di merda

Alzi la mano chi, suonando, non ha fatto mai sonore figure di merda…
Noi, per esempio, non ci possiamo lamentare.
 

Arce, ridente cittadina della nostra provincia.
Fu una delle prime volte che suonammo, al campo sportivo.
Nel pieno del furore di “Satisfaction”, nessuno sentiva la mia chitarra… Io vagavo, disperato, sul palco, alla ricerca di un buco dove infilare il mio jack…

 

Piena campagna di Arpino, verso la Stazione.

Era una festa religiosa in un posto incredibile. Non c’era niente all’infuori di una Chiesetta. Eravamo d’estate e faceva un caldo pazzesco. Il palco era costituito da un muretto con una barra di ferro, in mezzo agli ulivi, per strada…

Ora, diciamolo, Enrico è sempre stato…come dire…ehm…un po’ ansioso nel preparare l’amplificazione.
Ma quella volta si superò.

Dunque, il concerto era previsto per  le ore 22,00.
Enrico era sul posto alle 5 del pomeriggio… sole a picchio, grilli e ulivi…
Aveva, mi sembra, due amplificatori perché, durante l’assolo di “Witch”, avrebbe dovuto essere avvolto dal suono…

Arrivò il gran momento dell’assolo, credo verso mezzanotte. Uno, due, tre… la sua chitarra scomparve completamente. Niente di niente. Si sentivano solo gli accordi…

Tanto per gradire, poi, quella sera (c’era anche Sandro Assante) Franco attaccò, con la voce, un pezzo in un’altra tonalità e ne dovemmo fare di giri a vuoto aspettando che si riprendesse….

Grande serata.

Cervaro. Festival rock.

Tutti aspettavano noi. “Ci sono i Crackers, ci sono i Crackers”…. Giravano queste voci…
Chissà perché, nel Cassinate siamo sempre andati forte….
In quel periodo avevamo il gruppo con i fiati ma non eravamo né carne né pesce.
Non si capiva se eravamo un gruppo rock, rhythm and blues, new cool, se dovevamo fare pezzi nostri. Un gran casino.
Eravamo, insomma, in un momento…per così dire… delicato negli equilibri artistici interni…
Nonostante tutto, eravamo abbastanza convinti.
Ma eravamo destinati al disastro…

Credo che, in quasi trent’anni di onorata carriera, una figura di merda come quella sera non l’abbiamo mai fatta…
Non ne azzeccammo una. Suoni, stop, riff, assoli, voci, niente da fare. Completamente sfasati.
Sono convinto che quella sera Franco e Roberto P. decisero di abbandonare il gruppo.

20/03/2008 - Gianluca Cellupica

 

 

5. Scheda tecnica
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