Cardiologia


Lezione del 17/10/2000

prof. Valgimigli

 

L’infarto

DEFINIZIONE: l’infarto acuto del miocardio è la necrosi delle cellule miocardiche provocata dall’occlusione trombotica delle arterie coronariche.

Dalla sua definizione, che è anatomopatologica (necrosi cellule miocardiche), si capisce la difficoltà nella diagnosi clinica d’infarto. Vedremo poi le tecniche cliniche e/o strumentali di cui ci si avvale per superare questo problema.

 

SINTOMI E SEGNI

 

L’OMS ha individuato le tre componenti fondamentali per fare diagnosi d’infarto. Qualora due di queste tre componenti fossero contemporaneamente presenti, allora noi siamo autorizzati a fare diagnosi d’infarto.

 

 

LE ALTERAZIONI ELETTROCARDIOGRAFICHE

Le modificazioni tipiche dell’ECG vanno inquadrate nel loro contesto temporale. Abbiamo, infatti, modificazioni che sono compatibili con la fase iperacuta dell’infarto, altre con quella acuta, altre con quella subacuta e altre con la cronica. Quindi non c’è un unico quadro patognomonico dell’infarto. Ci sono diversi quadri che vanno letti nell’evoluzione del contesto clinico.

Nella fase iperacuta generalmente abbiamo l’elevazione dell’onda T, che diventa aguzza e simmetrica. Normalmente, infatti, la branca ascendente dovrebbe essere più ripida che quella discendente e quindi le due branche non sono mai sovrapponibili. Questa fase iperacuta molto spesso non la osserviamo perché è nei primi minuti dell’infarto.

Nella fase che segue si osserva invece la tipica modificazione del tratto ST. La sua sopraelevazione è indice di una necrosi maggiore rispetto alla sua modificazione in senso negativo, che quindi in genere è meno grave. I due lucidi degli ECG che vi ho portato mostrano appunto la fase acuta e subacuta di un infarto.

 

<<< Lucido ECG 1 >>>

L’ECG ha tre complessi che vanno letti in modo sequenziale: l’onda P, il complesso QRS e l’onda T.

L’onda P è quella deflessione (positiva o negativa, dipende dalla derivazione) che vi descrive la depolarizzazione atriale. Chiaramente essa precede il complesso QRS e il tratto PR deve stare in determinato tempo. Del complesso QRS noi dobbiamo prestare attenzione alle "onde Q patologiche", che sono delle alterazioni tipiche dell’infarto in fase subacuta o cronica. La deflessione negativa Q, che è fisiologica, diventa patologica o quando compare in derivazioni in cui non era presente oppure quando compare in maniera diversa nelle derivazioni in cui ci dovrebbe essere. Per "diversa" intendo una deflessione più profonda di un terzo dell’onda R che la segue, oppure se dura per più di 0,04 secondi. Per capirci 0,04 secondi corrispondono ad un quadratino della carta dell’ECG. Nel lucido, nelle derivazioni V2, V3 e aVF, si vede chiaramente che l’onda Q ha le caratteristiche tipiche per essere patologica. Prima di tutto è profonda più di un terzo della R che la segue e poi si vede che dura un po’ più di un quadratino, segnando molto il tracciato.

Un altro tratto che si studia molto è quello ST, che si modifica in modo tipico in fase acuta e subacuta. Quello che succede è la sua sopraelevazione o sottoelevazione rispetto all’isoelettrica. Sempre nelle derivazioni V2, V3 e aVF dell’ECG del lucido si può osservare che il tratto ST è sopraelevato di un millimetro rispetto all’isoelettrica.

Un’altra componente da valorizzare e che si osserva in questo ECG, è l’inversione dell’onda T. Anch’essa ci indica un’ischemia, e siccome V2, V3 e aVF sono nella parete inferiore del miocardio, possiamo dire che probabilmente ci troviamo di fronte ad un infarto del miocardio inferiore. Possiamo anche dire che l’infarto non è tanto recente, nella misura in cui sono già presenti le onde Q, che però sta evolvendo.

Dunque, abbiamo parlato dell’onda T iperacuta e del tratto ST che può andar su o andar giù. Prendiamo ora in considerazione l’infarto che si presenta con un ST sopraslivellato, che è anche il più comune. Abbiamo prima la fase dell’onda T iperacuta, seguita poi, pochi minuti dopo (max un’ora), dalla sopraelevazione del tratto ST. Questa sopra elevazione è da valorizzare qualora sia superiore di un millimetro. A questa fase, che ci indica un infarto acuto e che dura 4 o 5 ore, segue una fase caratterizzata dal ritorno del tratto ST all’isoelettrica e dalla lenta negativizzazione dell’onda T. In base a quello che succede nelle coronarie, possiamo osservare sia casi in cui prima c’è l’abbassamento del ST e poi la negativizzazione della T, e sia casi in cui prima si negativizza la T e poi si abbassa il tratto ST. Con questo finisce la fase acuta dell’infarto.

La fase subacuta è caratterizzata dalla comparsa progressiva dell’onda Q. Quindi, l’onda Q mi dice che l’infarto è durato abbastanza: generalmente più di undici ore. L’onda Q e l’onda T negativa, possono scomparire in qualunque momento; generalmente se scompare prima l’onda T, poi scompare la Q. Questo è un segno prognostico positivo, infatti, negli infarti importanti queste caratteristiche rimangono come una cicatrice nell’ECG anche per molti anni.

Quindi possiamo dire che questo è un infarto della parete inferiore del miocardio in cui è coinvolta la coronaria destra.

Andiamo ora ad analizzare l’altro tipo di infarto, quello che coinvolge l’occlusione della coronaria sinistra, quindi la parete anterolaterale del cuore.

 

<<< Lucido ECG 2 >>>

Anche in questo ECG, vediamo le stesse caratteristiche di prima. Guardate in V2: c’è un ST gravemente sopraslivellato, che va addirittura a fondersi con l’onda T, mascherandola. Questo coinvolgimento dell’onda T è detto "onda parviana". Questo lo vediamo bene anche in V3, V4, V5 e V6, mentre in V1 e nelle altre parti del tracciato, direi di no.

Non essendo comparsa ancora l’onda Q iniziale, possiamo dire che questo è un ECG acuto, cioè che il paziente è ancora nella fase acuta dell’infarto. Infatti, questo è l’ECG d’ingresso in UTIC del paziente.

 

 

LA PATOGENESI DELL’INFARTO

Noi sappiamo che la patogenesi dell’infarto è legata all’occlusione di una coronaria. Chiaramente, più a monte sarà questa occlusione, maggiore sarà il territorio del miocardio coinvolto nella potenziale necrosi (area a rischio), mentre più l’occlusione sarà distale, minore sarà l’entità dell’infarto.

Questa occlusione coronarica può essere causata da diversi meccanismi. Una volta si valorizzava molto il vasospasmo, ma oggi si sa che il 99% degli infarti è dovuto ad una trombosi acuta. Quindi, se il vasospasmo c’è, esso partecipa alla riduzione del flusso e quindi a favorire la trombosi. Quindi a favorire la necrosi non è tanto un vasospasmo, ma la trombosi acuta.

 

Ma partiamo dall’inizio.

L’aterosclerosi è una placca, è un restringimento che si forma per ispessimento dell’intima e della media. Questa stenosi può essere quantificata in percentuale: 10%, 20%, 50% ecc. Quindi è un restringimento progressivo, è una malattia che evolve molto lentamente. Infatti si è visto che già sui soggetti giovani (studio effettuato sui militari morti nel Vietnam) sono presenti placche aterosclerotiche aortiche. Quindi è una malattia molto lenta nel tempo.

Ma come si concilia il fatto che l’aterosclerosi è il principale presupposto per l’infarto, dal momento in cui questa è così lenta e progressiva? Cioè, il paziente che oggi viene in UTIC con un infarto, il giorno prima magari aveva fatto una corsa in bicicletta o a piedi. Quindi è chiaro che qualche cosa di acuto deve essergli successo, qualcosa che il giorno prima non c’era, ed oggi invece c’è. Questo qualche cosa di acuto è la trombosi.

Voi sapete che il trombo, così come quando vi tagliate, esso coagula; se questo coagulo entra nelle coronarie, che hanno un diametro di 20-30 mm, queste vengono occluse causando un ischemia e quindi la necrosi. Ma perché si forma in questa coronaria ed in altre arterie no? Sicuramente come presupposto c’è l’aterosclerosi. Questo perché se si va ad esaminare un’arteria occlusa da un trombo si vede che molto spesso (ma non sempre) questa trombosi si ha su una lesione di coronaria malata, cioè sede di una placca aterosclerotica. Quello che però è stato scoperto recentemente, è che non c’è una correlazione tra grado di restringimento del vaso occluso dalla placca, e sintomatologia del paziente. Cioè ci possono essere casi d’infarto con una coronaria occlusa al 20%, e casi asintomatici ma con un’occlusione del 85%.

Perché allora in alcuni casi si forma il trombo ed in altri no? Questo non è ancora molto chiaro. Quello che si sa è che una placca può diventare attiva nel senso che si ulcera e si complica portando al fenomeno acuto della trombosi. Pare che gli endoteli abbiano un ruolo molto importante in questo processo, in quanto contribuiscono moltissimo all’inibizione dell’aterosclerosi tramite diversi meccanismi molecolari che mirano a diminuire l’aggregazione piastrinica. Sempre gli endoteli però, producono anche sostanze che hanno gli effetti contrari, cioè pro-aggreganti. Esiste quindi un delicato equilibrio tra inibizione e disinibizione della coagulazione, e dal momento in cui si rompe quest’equilibrio, si arriva all’instabilità della placca, che si ulcera, si rompe e porta alla fase acuta che è il trombo.

Questo concetto è importante per capire anche la terapia. Infatti, la terapia dell’infarto mira a sciogliere il trombo (trombolisi) o ad inibire la sua progressione, non è una terapia contro l’aterosclerosi.

 

 

FATTORI DI RISCHIO PER L’ATEROSCLEROSI CORONARICA

 

Questi stessi fattori che favoriscono l’aterosclerosi, favoriscono anche la coagulabilità del sangue. Quindi, queste stesse cause che spiegano l’aterosclerosi, spiegano anche la componente acuta dell’aterosclerosi. Questo spiega perché gli infartuati abbiano più frequentemente questi fattori associati.

 

 

LE CORONARIE

Le coronarie che irrorano il cuore sono due: destra e sinistra. La coronaria destra generalmente non ha grandissimi rami di suddivisione. Essa irrora il ventricolo destro e la parete inferoposteriore del miocardio. La coronaria sinistra invece, dopo un breve tratto chiamato "tronco comune", si divide in discendente anteriore e circonflessa. La discendente anteriore va ad irrorare tutta la parete anterolaterale del cuore, mentre la circonflessa irrora prima la parete laterale e poi in alcuni casi va posteriormente. In quei casi in cui la circonflessa vira posteriormente, si parla di dominanza della coronaria sinistra, mentre se non lo fa, si parla di dominanza della coronaria destra. L’80% della persone ha dominanza coronarica destra, cioè la discendente posteriore deriva dalla destra. Quindi un arteriopatia della circonflessa, in un paziente che ha la coronaria sinistra dominante, porterà ad un danno ben più grave che in un paziente con dominanza destra.

 

 

COMPLICANZE

L’infarto ha una mortalità molto elevata. Fatta eccezione per le zone in cui le neoplasie sono in aumento, l’infarto è la prima causa di morte. Quello che porta a morte il paziente sono le complicanze dell’infarto. Schematicamente queste sono le complicanze:

 

 

La morte per aritmia può essere dovuta da un’instabilità elettrica del miocardio, a sua volta causata dall’ischemia. Mentre se l’ischemia coinvolge un porzione molto elevata del miocardio, succede che dal punto di vista meccanico quella zona non ce la fa più, dando uno scompenso ventricolare. Comunque sia, l’infarto ha una mortalità molto elevata: il 50% delle morti avviene entro la prima ora dall’attacco (nel 90% dei casi a causa di un’aritmia ventricolare), quindi questi non raggiungono neanche l’ospedale.

 

 

RUOLO DELL’UTIC NELL’IMA

Per far fronte a questa pressante condizione epidemiologica, da 25-30 anni, prima negli USA e poi anche in Europa, si è pensato di costruire delle terapie intensive preposte al monitoraggio continuo e alla terapia di questi pazienti. E’ nata così l’UTIC (Unità di Terapia Intensiva Coronarica), proprio con lo scopo di cambiare la prognosi di questi pazienti. Queste sono le sue funzioni essenziali:

 

 

Grazie a queste modalità di terapia, siamo riusciti a ridurre sensibilmente la mortalità precoce da aritmia. Purtroppo però, abbiamo ancora il grande problema della mortalità dovuta a complicanze meccaniche del cuore, che è rimasta epidemiologicamente ancora invariata.

 

 

TERAPIA

 

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