Geografia astronomica: l'esobiologia
La vita è (anche) altrove ?
Da sempre l'uomo si è chiesto se esiste la vita su altri mondi e con la sua fantasia ha cercato di immaginarne i possibili abitatori. Oggi i progressi della scienza permettono di formulare ipotesi più attendibili, anche se meno poetiche, su questo grande interrogativo.
Una volta chiarito che cosa si intende per organismo vivente, non possiamo porci subito la domanda se la vita esista su altri mondi: prima dobbiamo risolvere il problema dell'origine della vita stessa. L'ipotesi di base e quella dell'evoluzione chimica: in condizioni opportune gli atomi dei diversi elementi chimici che costituiscono gli organismi viventi devono essersi riuniti a dare le prime molecole complesse di aminoacidi e carboidrati le quali, a loro volta, devono essersi evolute verso polimeri ancora più complessi, simili alle proteine e agli acidi nucleici che costituiscono la vera e propria materia vivente.
Le condizioni per l'esistenza della vita. A questo punto, per risolvere il problema dell'esistenza della vita su altri mondi, dobbiamo porci questa nuova domanda: perché su un altro pianeta diverso dalla Terra esista la vita, quali devono essere le condizioni ambientali?
Luna.
Notizia clamorosa: acqua sulla luna in buone quantità. Quasi a dimostrare che il prezioso liquido ha una diffusione non certo esclusiva della Terra, la notizia, tenuta segreta dagli scienziati della NASA e del Pentagono sino alla fine del 1996 è stata diffusa suscitando grande clamore negli ambienti della ricerca esobiologica. Lunghe analisi hanno totalmente confermato la possibilità di fare del nostro satellite una base ideale per i futuri passi dello uomo alla conquista dello spazio. L'acqua lunare e' probabilmente di origine esogena cioè esterna vale a dire che deriva probabilmente da una cometa e , non e', cioè, segno di una 'idrologia interna e di fenomeni endogeni che potrebbero suggerire anche l'esistenza di forme viventi. L'acqua e' concentrata sotto forma di un lago ghiacciato sul fondo di un gigantesco cratere. La sonda spaziale Clementine, lanciata dalla NASA per conto del Pentagono nel gennaio del 1995 ha proposto delle immagini molto interessanti. Il messaggio e' stato captato dal gigantesco radiotelescopio di Arequipo (Portorico). La comunità scientifica ha accolto la notizia con emozione: "ossigeno ed idrogeno sono il combustibile primario dei razzi, con l'acqua sulla Luna potrebbe essere possibile fabbricare carburante spaziale direttamente sul satellite" ha detto Rick Lehner, uno dei portavoce del Pentagono. Secondo lo specialista di viaggi interplanetari Pat Dasch, invece, la presenza di acqua costituisce la migliore premessa per impiantare una permanente colonia umana sul satellite. Intanto possiamo dire che la "luna bagnata" potrebbe essere uno dei tanti corpi celesti "inseminati" dalle comete per quanto concerne l'acqua. Quest'ultima potrebbe essere presente in numerosi distretti sia del nostro sistema solare, della Via Lattea, e, più in generale, del cosmo. Come dire che l'ingrediente base della vita non è esclusivo della Terra. E intanto su meteoriti vengono trovati aminoacidi (sostanze base delle proteine) e sostanze di natura zuccherina (fine 2001-rivista "Nature")
Marte. Fu proprio su Marte che vennero lanciate le prime due sonde destinate a eseguire per la prima volta una ricerca diretta di organismi viventi su un pianeta diverso dalla Terra. Si trattava allora dei due oggetti più sofisticati mai scesi su un altro pianeta: le sonde Viking 1 e Viking 2, partite da capo Canaveral rispettivamente il 20 Agosto e il 9 Settembre 1975. Entrambe erano costituite di due parti: la prima, "orbiter", destinata a entrare e rimanere in orbita attorno a Marte; la seconda, "lander", destinata invece ad atterrare ed eseguire riprese fotografiche e analisi del suolo. I lander erano macchine notevolmente sofisticate. Il loro scopo primario era quello di dare un quadro delle condizioni vigenti alla superficie del pianeta e di analizzarne il suolo. Le due sonde Viking erano dotate di un braccio semovente capace di penetrare nel suolo, raccogliere un campione e immetterlo in un piccolo laboratorio in grado di eseguire tre tipi diversi di analisi chimico-biologiche.
Europa.
Titano.
Intanto è in viaggio verso Saturno e il suo satellite Titano la sonda Cassini, lanciata nell'ottobre scorso. La sonda ha come scopo principale l'esplorazione di Titano tramite una minisonda europea (Huygens) che verrà paracadutata nella sua atmosfera nel 2004 per studiarne la composizione atmosferica ed eseguire una mappatura della superficie con grande dettaglio [v. Newton n. 2, novembre '97]. Con un diametro di 5150 km, Titano è di poco più piccolo della Terra, ma la sua temperatura apparente è di circa -178°C, a causa della grande distanza dal Sole (1,22 miliardi di km). Ciò lo renderebbe un candidato poco probabile per lo sviluppo della vita. L'analisi spettroscopica eseguita dalla sonda Voyager ha invece rivelato che Titano è l'unico oggetto del sistema solare con un'atmosfera ricca di azoto molecolare come la Terra. Inoltre vi è una forte presenza di metano che può essere convertito in etano, acetilene, etilene e acido cianidrico, panorama chimico che ricorda quello dell'atmosfera terrestre di miliardi di anni fa. Un forte effetto serra, cioè l'intrappolamento della radiazione infrarossa solare, potrebbe far notevolmente salire la temperatura sulla superficie e consentire uno sviluppo prebiotico simile a quello terrestre.
I prossimi vent'anni, con le innumerevoli spedizioni automatiche su Marte, Titano, Europa e sulla cometa Wirtanen (missione Rosetta) potranno certamente far luce sui quesiti affascinanti e inquietanti, connessi all'origine della vita nel sistema solare. Il pianeta c'è ma non si vede. Fino al 1995 sapevamo che il nostro sistema solare era composto da nove pianeti con i loro satelliti, eravamo certi che di sistemi simili al nostro ne esistessero milioni se non miliardi nella sola nostra Galassia, ma, a causa delle grandi distanze che ci separano dalle stelle più vicine, i nostri telescopi non erano in grado di "risolvere", cioè di separare visualmente, un eventuale pianeta che ruotasse intorno a un'altra stella. E' stato grazie a una raffinata tecnica spettroscopica, sviluppata dall'astronomo svizzero Michel Mayor, che poi si è scoperta la presenza di dieci nuovi pianeti ruotanti intorno a stelle di tipo solare. Queste scoperte avvengono in maniera indiretta, cioè osservando le perturbazioni che eventuali pianeti provocano sulle stelle centrali. La tecnica si chiama "misura delle variazioni della velocità radiale per effetto Doppler" e necessita, oltre che di grandi telescopi, di una strumentazione sofisticata. I pianeti scoperti hanno masse che vanno da 0,47 a 10 volte la massa di Giove, che è a sua volta 318 volte la massa della Terra. Tali perturbazioni si possono evidenziare, infatti, soltanto se esiste un pianeta di grande massa. Si pensa ora di sviluppare tecnologie interferometriche dallo spazio che permettano di occultare la luce della stella in modo da poter "vedere" direttamente i pianeti che la circondano e poterne eseguire la spettroscopia, cioè l'analisi chimica, per cercare elementi come acqua, ossigeno e ozono che possano far risalire a un'eventuale attività biologica. Le scoperte di pianeti extrasolari costituiscono un enorme passo in avanti per la bioastronomia in quanto uno dei parametri dell'equazione di Drake riguarda proprio il numero di pianeti che potrebbero ospitare la vita. Si pensa che nei prossimi anni si susseguiranno scoperte a catena di nuovi pianeti, una volta sperimentata la tecnologia più appropriata. Un ascolto universale L'idea che sia possibile usare le tecniche radioastronomiche per comunicare attraverso gli spazi interstellari con eventuali civiltà extraterrestri tecnologicamente evolute risale al 1959, quando il fisico italiano Giuseppe Cocconi e l'americano Philip Morrison pubblicarono uno storico articolo sull'autorevole rivista Nature. Secondo loro, qualsiasi civiltà tecnologica deve essere a conoscenza della frequenza radio emessa dall'atomo di idrogeno (cioè un'emissione di lunghezza d'onda pari a 21 cm), poiché l'atomo di idrogeno è il più abbondante nell'universo e la legge fisica che lega un elettrone al protone dell'idrogeno è valida su ogni pianeta del cosmo. Con i radiotelescopi, noi captiamo questa frequenza proveniente in modo naturale da una quantità di oggetti cosmici. Dunque, se la modulassimo in modo tale da far comprendere, a chi riceve il nostro segnale radio, che si tratta di un segnale artificiale, il contatto potrebbe essere stabilito. Rimane il grande problema delle distanze, in quanto le stelle simili alla nostra nei cui sistemi planetari potrebbe essersi evoluta la vita intelligente distano da noi centinaia di anni luce. Così, se noi inviassimo un segnale poi captato da una civiltà distante cento anni luce, la risposta arriverebbe a noi dopo 200 anni e risulterebbe di interesse solo per i nostri pronipoti. Quindi l'unica cosa da fare restava quella di "ascoltare", cioè sperare di captare un segnale radio intelligente, anche se questo fosse partito da una civiltà forse estinta da migliaia di anni, da cui dedurre almeno che non siamo soli in questo immenso universo nel quale la Terra rappresenta un infinitesimo granellino.
Poiché le ricerche effettuate sino ad oggi ci portano a concludere che nel sistema solare non esiste alcuna forma di vita semplice o intelligente, il campo di indagine si è spostato verso le stelle. Dal momento che la stella esterna al sistema solare più vicina a noi dista ben 40 anni luce, le ricerche vengono eseguite esclusivamente per mezzo dei radiotelescopi. Tali strumenti analizzano le onde elettromagnetiche provenienti dallo spazio e le interpretano a seconda della lunghezza d'onda. Iniziò così quello che si sarebbe chiamato Progetto Seti (Search for extraterrestrial intelligence, ricerca di intelligenze extraterrestri) e fu l'astrofisico americano Frank Drake, a tentare per primo questo ascolto nel 1959 col radiotelescopio di Greenbank in Virginia, usando un ricevitore a un solo canale. Egli scelse due stelle simili al nostro Sole, tau Ceti ed epsilon Eridani, usando un ricevitore sulla lunghezza d'onda di 21 cm. Dalla seconda stella giunse un segnale fortissimo che fu tenuto segreto finché Drake non riuscì a scoprire che proveniva da una "intelligenza" terrestre segreta: l'aereo spia americano U2 abbattuto da un missile sovietico. Tutti i rumori del cosmo Sono passati circa quarant'anni dalla nascita dell'idea di Cocconi e Morrison, e il progetto denominato prima Ozma e poi Seti ha fatto passi da gigante. Soprattutto grazie alle fondazioni private della Silicon Valley, visto che nel 1993 il Congresso americano ha tagliato i finanziamenti a causa della guerra scatenata dal senatore Bryan, secondo il quale il progetto in tutti questi anni non era servito a "catturare neanche un omino verde"! Attualmente la ricerca segue due direttrici: quella del progetto Phoenix del Seti californiano e il progetto Serendip dell'Università di Berkeley. Il progetto Phoenix ha come scopo l'esplorazione nella banda di frequenze 1-3 GHz delle mille stelle di tipo solare più vicine a noi con la massima sensibilità possibile e usando i più grandi radiotelescopi esistenti al mondo: Arecibo, Parkes, Greenbank e Nancay. Questa esplorazione si concentra sulla rivelazione di segnali a banda stretta (meno di 300 Hz) difficilmente casuali, e che potrebbero indicare l'esistenza di una civiltà tecnologica. Il Serendip (dalle parole inglesi Ricerca di emissioni radio extraterrestri da civiltà intelligenti relativamente vicine a noi) si basa invece sul concetto di osservazione passiva in quanto non permette di controllare la frequenza e il puntamento, ma registra tutti i segnali provenienti dal radiotelescopio di Arecibo senza disturbare le osservazioni astronomiche in programma. Usa il più sofisticato spettrometro multicanale mai costruito (ogni canale può definirsi come un ricevitore a sé), con ben 168 milioni di canali, ciascuno di appena 0,6 Hz di banda, e copre una regione spettrale di 100 MHz con una capacità di calcolo di 200 miliardi di operazioni al secondo. Con questo strumento si realizzerà una mappa della sfera celeste intorno alla frequenza dell'idrogeno fra 1327 e 1500 MHz. Recentemente il gruppo italiano che fa parte del nostro progetto di bioastronomia ha acquisito presso l'Istituto di Radioastronomia del CNR di Medicina uno spettrometro di 4 milioni di canali che ci permetterà di entrare nel progetto Seti a cui attualmente aderiscono Usa, Australia e Francia. Poiché con questi nuovi spettrometri si potrà risolvere il problema della lotta al "rumore" radio dovuto in gran parte alla nostra ionosfera carica di milioni di frequenze terrestri artificiali (oltre a quelle naturali provenienti dal cosmo), Frank Drake è apparso recentemente molto ottimista: egli spera che nei prossimi dieci anni si possa stabilire il primo "contatto".