"Tempo Perso -
Alla ricerca di
senso nel quotidiano"
NATALE DEL SIGNORE - Anno C -
1. Viviamo in un tempo cosiddetto di “ritorno del sacro” dove a volte i simboli religiosi vengono strumentalizzati a fini ideologici di parte. Non fa nulla se poi vengono svuotati del loro significato religioso più profondo: l’importante è fare un po’ di chiasso, un po’ di pubblicità e tirare un po’ di consenso. Nel tritacarne di tale strumentalizzazione alcuni cristiani (praticanti e non) e alcuni “atei devoti” han fatto entrare prima il crocifisso (simbolo non ornamentale ma di per sé finalizzato al culto) e poi il presepe: simboli religiosi cristiani ridotti a una specie di “bandiera” nazionale”, a strumenti di identificazione di una nazione, di un territorio e di una civiltà, e addirittura, il primo, cioè il crocifisso, brandito come un “manganello” e il secondo, il presepe, elevato come un “monumento” alla discriminazione. E così crocifisso e presepe, da simboli che, nella tradizione cristiana, evocano l’amore, la fraternità e la solidarietà, sono stati “geneticamente mutati” a simboli che evocano l’odio sia contro chi la pensa diversamente, sia in particolar modo contro tutti gli stranieri e gli immigrati, bambini compresi. 2. I cristiani dovrebbero sapere che il crocifisso e il presepe hanno un significato totalmente opposto a quello che si vuol far passare attraverso questa strumentalizzazione. Lo dicono il vangelo, la liturgia della Chiesa, la Tradizione della Chiesa (quella con la “t” maiuscola, non le credenze ideologiche o pseudoreligiose) e la tradizione sapienziale dei nostri anziani. Narrando della nascita di Gesù, il vangelo (Lc 2,1-14; Mt 2,1-12) pone in stretta connessione croce e nascita di Gesù o, per dirla in altro modo, l’evento della Pasqua e l’evento del Natale. Infatti, la croce narra della vita donata di Gesù, vita donata per tutti, anche per i malfattori che stavano al suo fianco. Anche la nascita di Gesù narra della sua vita donata, infatti viene posto in una mangiatoia, luogo dove mangiano gli animali: è l’esistenza di Gesù che diventa cibo donato per tutti; non a caso nasce a Betlemme che significa “casa del pane”, e non a caso il segno profetico dato da Dio della nascita del Salvatore, Cristo Signore è proprio «un bambino, avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12.16). Noi cristiani per il Natale usiamo fare il presepe, ma dobbiamo ricordarci che la parola “presepe” viene dal latino, il quale traduce proprio la parola “mangiatoia”… Inoltre, la croce narra della povertà di Gesù: egli è spogliato delle sue vesti ed è crocifisso fuori della città di Gerusalemme, fuori dal contatto civile e religioso; egli muore come un malfattore e un emarginato. Anche la nascita di Gesù narra della sua povertà e della sua emarginazione: infatti, fu posto nella mangiatoia perché per Maria e Giuseppe «non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7), non c’era spazio per loro né per accogliere Gesù; e poi per sfuggire all’odio di Erode Maria, Giuseppe e il bambino furono costretti ad emigrare in Egitto e a dimorare in quella regione fino alla morte di Erode (Mt 2,13-23). E ancora, la croce narra anche dell’accoglienza di Gesù verso tutti e della sua solidarietà verso tutti i peccatori, i falliti della storia: sulla croce Gesù ha parole vere di perdono per quelli che lo uccidono (Lc 23,34); dalla croce egli attira tutti a sé (Gv 12,32), perché è la sua vita donata nella povertà che attira e seduce: egli, scrive l’apostolo Paolo, da ricco che era si fece povero per arricchire noi per mezzo della sua povertà (2Cor 8,9). Anche la nascita di Gesù è evento che narra della sua accoglienza verso tutti, in particolare verso i poveri: i pastori, all’epoca gente povera e disprezzata, che vanno a contemplare l’evento della venuta del Salvatore e diventano evangelizzatori di esso (Lc 2,8-17); e accoglienza verso i lontani: i magi, persone sapienti che vengono dall’oriente (Persia, Babilonia, Arabia del Sud) e offrono le loro ricchezze (valori, sapienza, cultura… ) al Signore (Mt 2,1-12), ricchezze nelle quali la Tradizione della Chiesa ha visto simboleggiata la regalità (oro), la divinità (incenso) e la passione (mirra) di Cristo. 3. Quando S. Francesco di Assisi nella notte del 25 dicembre 1223 realizzò a Greccio per la prima volta il presepe (da allora è diventato una bella tradizione per i cristiani), quale significato volle dare a questa rappresentazione simbolica della nascita del Signore? La risposta la troviamo narrata nelle Fonti Francescane, in particolare nel capitolo 30 della Vita Prima di Tommaso da Celano. Qui è scritto che Francesco volle fare il presepe per vedere al vivo i disagi in cui si trovò Gesù e come fu adagiato in una greppia. La realizzazione della scena attira e commuove Francesco e i presenti per la semplicità evangelica, per la povertà e per l’umiltà. Greccio divenne come una nuova Betlemme. E l’autore annota che nella celebrazione eucaristica di quella veglia solenne si manifestarono con abbondanza i doni di Dio, in particolare uno: quel bambino, che nella mangiatoia sembrava privo di vita, immerso in un sonno profondo, da Francesco viene svegliato alla vita. È dono della presenza pasquale di Cristo Signore, della sua presenza che rinnova l’esistenza in chi l’accoglie con fede. Per opera di Francesco, scrive Tommaso da Celano, «il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia» (1Celano 30,86). Che il Natale ci apra tutti al mistero pasquale del Signore che viene: muoia in noi l’odio per chi la pensa diversamente, l’odio per lo straniero e l’immigrato, l’odio per i deboli e i fragili, risorgano in noi gli antichi e perenni valori dell’amicizia, della pace, della fraternità, della solidarietà e dell’ospitalità. Che veramente sia Natale! Egidio Palumbo Barcellona PG (ME) |