"Tempo Perso -
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senso nel quotidiano"
FONTE: Rocca n. 8 - 15 aprile 2009 ( http://www.cittadella.org/pls/cittadella/cittadella.rocca) ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
TEOLOGIA
Nuovo stile ecclesiale di Carlo Molari
Benedetto
XVI il 10 marzo u.s. ha inviato ai Vescovi Cattolici una lettera per spiegare
la decisione di rimettere la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani,
decisione che, come è noto, aveva
suscitato molte reazioni negative in diversi ambiti ecclesiali. È una lettera scritta personalmente
dal Papa, al di fuori delle consuete strutture curiali. Essa riflette perciò
più immediatamente il suo carattere e la sua visione della chiesa. L’intento
dichiarato è «di contribuire in questo modo alla pace nella Chiesa». l'antefatto È opportuno richiamare l'antefatto
nei suoi elementi essenziali. Il 15 dicembre scorso mons. Bernard Fellay,
superiore generale della Fraternità sacerdotale San Pio X, anche a nome degli
altri tre Vescovi della Comunità lefebvriana, aveva scritto una lettera al
Papa, per chiedere la revoca della scomunica in cui essi erano incorsi il 30
giugno 1988 quando, contro il volere esplicito della S. Sede, erano stati
consacrati Vescovi da Mons. Marcel Lefebvre. Nella lettera i vescovi si
dicevano «fermamente determinati nella volontà di rimanere cattolici» e
promettevano di mettere tutte le loro forze «al servizio della Chiesa di Nostro
Signore Gesù Cristo, che è la Chiesa
cattolica romana». Assicuravano inoltre di accettare gli insegnamenti papali
«con animo filiale» e di credere «fermamente al Primato di Pietro e alle sue
prerogative». Si dichiaravano perciò sofferenti per la loro condizione di
scomunicati e desiderosi di tornare nella piena comunione ecclesiale. Il 21
gennaio scorso il Prefetto della Congregazione dei Vescovi, Card. La
pubblicazione del decreto ha suscitato numerose, violente reazioni, alle quali
il Papa si richiama esplicitamente. Egli si mostra sorpreso per la «valanga di
proteste», per la «veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata»,
per l'amarezza che traspare in molte di loro e che «rivelava ferite risalenti
al di là del momento». Il Papa dà particolare rilievo alle reazioni dei Vescovi.
Alcuni di essi infatti hanno avuto difficoltà a <<inquadrare
positivamente nelle questioni e nei compiti della Chiesa di oggi» la decisione
presa. E anche quelli che in linea di principio erano «disposti a valutare in
modo positivo» la scelta di riconciliazione, non ne hanno visto l'opportunità
«a fronte delle vere urgenze di una vita di fede nel nostro tempo». A tutto
questo si è aggiunta la complicazione della
reazione ebraica per il fatto che uno dei vescovi, mons. Richard Williamson,
aveva fatto dichiarazioni contro gli Ebrei, negando persino la gravità della
Shoà. Così che «il gesto discreto di misericordia verso quattro Vescovi,
ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all'improvviso come una
cosa totalmente diversa: come la smentita della riconciliazione tra cristiani
ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva
chiarito per il cammino della Chiesa. Un invito alla riconciliazione si
trasformò così nel suo contrario». Il Papa afferma di essere rimasto molto
rattristato dal travisamento delle intenzioni che ne è seguito e dalla
impressione che alcuni abbiano preso pretesto dalle circostanze per esprimere
una opposizione latente, una ostilità pregressa «pronta all'attacco». Il Papa
richiama quindi con sofferenza quei gruppi che partendo dal presupposto che la
sua fosse una scelta consapevole lo hanno accusato persino «di voler tornare
indietro, a prima del Concilio». il primato di Dio e la vita teologale A questo
proposito il Papa ricorda le parole di S. Paolo ai Galati: «Che la libertà non
divenga un pretesto per "Vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate
a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in
un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e
divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli
altri!» (5, 13-15). Sono parole dure e venate di ironia, che il Papa considera
per certi aspetti «una delle esagerazioni retoriche che a volte si trovano in
san Paolo». Ma purtroppo Egli constata che valgono anche per la chiesa di oggi
per certe situazioni in cui entra in gioco «una libertà mal interpretata».
Sicché non deve sorprendere che noi non siamo migliori dei Galati e che «siamo
minacciati dalle stesse tentazioni». Appare chiaro che anche noi dobbiamo ancora
imparare l'esercizio dell' amore misericordioso, senza condizioni. Ad esso è collegata la priorità assoluta della missione
ecclesiale che è «condurre gli uomini verso Dio».
Il Papa chiarisce che «il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall' orizzonte degli uomini e che
con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l'umanità viene colta dalla
mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre
di più». «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della terra la fede è nel
pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità
che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di
aprire agli uomini l'accesso a Dio». A questa
priorità il Papa collega la necessità di una vita teologale autentica, la fedeltà
all'impegno ecumenico e la pratica del dialogo interreligioso. Ogni divisione
di coloro che si professano credenti, infatti, indebolisce la testimonianza
di Dio nel mondo. «Da qui deriva come logica conseguenza che dobbiamo avere a
cuore l'unità dei credenti». In questa chiave egli giustifica il gesto di
riconciliazione. «Se dunque !'impegno faticoso per la fede, per la speranza e
per l'amore nel mondo costituisce in questo momento (e, in forme diverse,
sempre) la vera priorità per la Chiesa, allora ne fanno parte anche le
riconciliazioni piccole e medie. Che il sommesso gesto di una mano tesa abbia
dato origine ad un grande chiasso, trasformandosi proprio così nel contra-rio
di una riconciliazione, è un fatto di cui dobbiamo prendere atto». Per
spiegare come sia potuto accadere che un gesto finalizzato all'unità, sia
diventato motivo di divisione, il Papa richiama due errori commessi. Il primo è stato quello di non avere tenuto conto delle
notizie che già circolavano in internet
circa le dichiarazioni
del Vescovo Williamson. Il secondo errore: «consiste nel fatto che la portata
e i limiti del provvedimento de121 gennaio 2009 non sono stati illustrati in
modo sufficientemente chiaro al momento della sua pubblicazione». Il che
rivela una certa mancanza di comunicazione tra le diverse strutture della
Curia. Per questo egli progetta di collegare la Commissione «Ecclesia Dei»
(incaricata di curare il dialogo con i lefebvriani) alla Congregazione per la
Dottrina della fede. Per
mostrare poi l'opportunità dei tentativi per favorire la riconciliazione dei
lefebvriani, il Papa ricorda la consistenza della loro organizzazione. «Può
lasciarci totalmente indifferenti una comunità nella quale si trovano 491
sacerdoti, 215 seminaristi, 6 seminari, 88 scuole, 2 Istituti universitari,
117 frati, 164 suore e migliaia di fedeli? Dobbiamo davvero tranquillamente
lasciarli andare alla deriva lontani dalla Chiesa? Penso ad esempio ai 491
sacerdoti. Non possiamo conoscere !'intreccio delle loro motivazioni. Penso
tuttavia che non si sarebbero decisi per il sacerdozio se, accanto a diversi
elementi distorti e malati, non ci fosse stato l'amore per Cristo e la volontà
di annunciare Lui e con Lui il Dio vivente. Possiamo noi semplicemente
escluderli, come rappresentanti di un gruppo marginale radicale, dalla ricerca
della riconciliazione e dell'unità? Che ne sarà poi?». In un
certo senso la lezione che scaturisce da questo episodio è che l'esercizio della misericordia è più importante della esattezza delle dottrine.
Essere misericordiosi con gli erranti non significa condividere le loro convinzioni,
ma togliere gli ostacoli per consentire che essi percorrano un cammino in
fraternità. Chi crede alla forza della verità
sa di dover dare fiducia a chi si dichiara disponibile al dialogo. La
Chiesa si sostiene per la carica di amore che sa sprigionare e che diffonde
nel mondo, più che per la perfezione dottrinale con cui giustifica le proprie
scelte. Ancora
una volta il Papa ha mostrato la capacità di trasformare in grazia e in benedizione
anche un disastro, come di fatto per circostanze impreviste era risultato il
caso Williamson. Carlo Molari |