"Tempo Perso -
Alla ricerca di
senso nel quotidiano"
16 OTTOBRE 2011 - XXIX DOMENICA - Anno A -
Prima lettura: Is 45,1.4-6 Salmo: 95 Seconda lettura: 1Ts 1,1-5
VANGELO secondo Matteo 22,15-21
In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. |
A immagine di Dio come uomini liberi e onesti
1. Nelle parabole evangeliche di queste domeniche il Signore Gesù ci ha parlato del suo sentirsi non accolto e rifiutato – e i suoi interlocutori questo lo hanno ben capito: Mt 21,45-46 – , e nel contempo ci ha insegnato come vivere nel suo popolo e nel mondo. Nella pagina evangelica di questa domenica (Mt 22,15-22) – la prima delle quattro questioni sulle quali ora Gesù viene interrogato (Mt 22,23-46) – emerge ancora una volta il rifiuto di Gesù da parte degli interlocutori (infatti lo interrogano per metterlo in difficoltà nei suoi discorsi) e l’insegnamento da parte di Gesù riguardo a come vivere le relazioni con le istituzioni politiche di questo mondo, senza perdere di vista la signoria di Dio. 2. La questione che viene posta a Gesù riguarda il tributo a Cesare. Gliela pongono, per metterlo in difficoltà e con malignità, i discepoli dei farisei, cioè credenti impegnati a vivere fedelmente la Torah e contrari all’occupazione romana della Palestina, e gli erodiani, cioè credenti opportunisti legati ad Erode e non contrari all’occupazione romana. I farisei e gli erodiani certamente non andavano d’accordo, ma in questa occasione fanno amicizia per contrastare Gesù. Avverrà la stessa cosa tra Erode e Pilato, i quali durante il processo a Gesù, annota l’evangelista Luca, «diventarono amici tra loro; prima infatti tra loro vi era stata inimicizia» (Lc 23,12). E di questi “miracoli” spesso li vediamo accadere anche ai nostri giorni… Ponendo la questione, pur nella loro malignità e ipocrisia riconoscono Gesù essere un maestro che vive e insegna con verità, cioè con fedeltà, la «via di Dio», vale a dire la Torah (cf. Sal 103,7). E inoltre, riconoscono che Gesù non cade nel gioco psicologico della dipendenza e della complicità per accattivarsi le simpatie e il facile consenso di qualcuno. Gesù conserva un distacco e una “indifferenza” da ogni persona, perché è un uomo veramente libero, e come tale è capace di amare e di avere compassione verso tutti. 3. Come risponde Gesù, lui uomo libero, alla questione inerente il tributo a Cesare? Innanzitutto, non può non passare inosservato il fatto che Gesù non ha in tasca la moneta, l’hanno i suoi interlocutori, che gliela presentano (come un gesto religioso di offerta!). Si sa che la moneta aveva da una parte l’immagine dell’imperatore Cesare e dall’altra la scritta che lo esaltava come dio e sommo pontefice. Forse è bene ricordare il gesto profetico che Gesù compie quando entrò in Gerusalemme osannato come Messia e nel Tempio ribaltò i tavoli dei cambiavalute, dicendo: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. Voi invece ne fate un covo di ladri» (Mt 21,13). Gesù vuole fare del Tempio – e il Tempio siamo noi (1Cor 3,16) – una casa di preghiera, vuole fare di noi credenti degli autentici adoratori di Dio in Spirito e Verità (Gv 4,23-24), liberi da ogni atteggiamento di idolatria, di “mercato” e di ipocrisia, sia nei confronti di Dio che di ogni persona umana, qualunque essa sia. È in questo ribaltamento di prospettiva, fedele a tutta la predicazione profetica dell’AT (infatti in Mt 21,13 si cita Is 56,7 e Ger 7,11), che consiste il gesto profetico compiuto da Gesù nel Tempio. Ebbene, è proprio questo ribaltamento di prospettiva che gli viene contestato dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità» (Mt 21,23); come a dire: “Che Messia sei? Noi non ti riconosciamo!”. E allora, Gesù non ha la moneta perché non è un idolatra: egli non ha mai idolatrato né Dio suo e nostro Padre, né gli uomini politici e religiosi del suo tempo, né i governanti del suo tempo, né tantomeno se stesso, pur essendo il Figlio di Dio. E per far comprendere ai suoi interlocutori che Dio non va politicizzato, ovvero non innalzato a “bandiera nazionale”, a “Dio della propria Nazione” (questo significa fare di Dio un idolo), e che nel contempo non vanno sacralizzati e idolatrati i governanti di questo mondo, né tutte le istituzioni di questo mondo, qualunque esse siano, Gesù risponde: «Rendete, dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Il credente, se è onesto, libero e coerente, rispetta l’autorità di chi governa, rispetta le leggi, rispetta le regole democratiche, quando queste sono giuste e non schiavizzano le persone. Nello stesso tempo il credente sa che l’unico Signore da adorare (prima lettura: Is 45,1.4-6; salmo responsoriale: Sal 96), e non da idolatrare, è il Dio Creatore che ci ha fatti a sua immagine e somiglianza (non siamo stati fatti ad immagine di Cesare), è il Dio d’Israele che ha liberato il suo popolo dalla schiavitù di Faraone, è il Dio di Gesù Cristo che ci ha resi figli liberi e fratelli capaci di relazioni autentiche con gli altri (seconda lettura: 1Ts 1,1-5). Il cristiano, che ogni giorno cerca di assimilare il Vangelo «con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione» (1Ts 1,5), sperimenta quanto sia impegnativo vivere nel mondo senza lasciarsi dominare dalle logiche mondane (Gv 17,11.16), vivere rispettando i governanti e temendo Dio (1Pt 2,17), vivere come cittadino onesto e avere la cittadinanza nei cieli da dove attendere la venuta del Signore per essere trasfigurati nella luce della sua risurrezione (Fil 3,20). È impegnativo, è vero; eppure è ciò che esige il vangelo. Chiediamo allora al Signore il coraggio profetico di saper vivere in questo mondo come uomini liberi, come cittadini onesti e rispettosi delle leggi, non sottomessi a nessuno, a nessun Cesare di turno, ma adoratori dell’unico Dio e Padre nel nostro Signore Gesù Cristo, a immagine del quale siamo stati creati.
Egidio Palumbo |