Nel pomeriggio di lunedì 17, in occasione della Giornata per
l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei promossa
dalla Chiesa in Italia, si terrà presso la Pontificia Università Lateranense un
incontro al quale è prevista la partecipazione del rabbino capo di Roma,
Riccardo Di Segni. Al centro della riflessione il comandamento "Onora tuo padre
e tua madre" (Esodo, 20, 12). Anticipiamo ampi stralci dell'intervento
del vescovo rettore della Lateranense.
di Enrico dal Covolo
"Un tale" - si tratta in verità di "un giovane che
possedeva molte ricchezze", come viene precisato nella conclusione dell'episodio
evangelico - "si avvicinò a Gesù e gli disse: "Maestro, che cosa devo fare di
buono per avere la vita eterna?"". "Se vuoi entrare nella vita, osserva i
comandamenti", risponde Gesù. Poi, nell'elenco riassuntivo dei comandamenti, gli
raccomanda fra l'altro: "Onora il padre e la madre" (cfr. Matteo, 19,
16-22).
In un contesto precedente, quello di una disputa con i farisei, Gesù
aveva già affermato: "Dio ha detto: Onora il padre e la madre; e
inoltre" - e qui il Maestro citava Esodo, 21, 17 - "chi maledice
il padre o la madre sia messo a morte" (Matteo, 15, 4).
Come
si può vedere, a proposito della "Quinta Parola" del Decalogo esiste una
sostanziale continuità tra l'Antico e il Nuovo Testamento. Ben a ragione i
commentatori osservano che - insieme alla norma sul sabato - solo questo
precetto del Decalogo è espresso in forma positiva, mentre tutti gli altri si
presentano come divieti. Di fatto, il comando di onorare il padre e la madre
occupa nel Decalogo un posto speciale. Da una parte, è il primo dei comandamenti
che riguarda le relazioni con gli altri; dall'altra, esso si collega
implicitamente con i primi tre comandamenti, che riguardano le relazioni tra Dio
e l'uomo. In ogni caso "il cuore" del comando è ripreso in maniera
pressoché identica nella predicazione di Gesù. Si tratta addirittura di un
"onore" analogo a quello dovuto a Dio, come risulta chiaramente dalla parola di
Isaia - "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano
da me" - citata da Gesù nel capitolo 15 di Matteo. Così esiste una sicura
analogia tra l'onore dovuto a Dio e l'onore che i figli devono riservare ai
genitori.
La famosa parabola del "figlio prodigo" - o meglio del "padre
misericordioso" - valorizza in massimo grado tale analogia. Ora, il figlio
prodigo è consapevole di aver disonorato suo padre vivendo in modo dissoluto, e
confessa umilmente: "Ho peccato contro il Cielo e davanti a te; non sono più
degno di essere chiamato tuo figlio". In definitiva, l'onore dovuto a Dio - che
è il "padre misericordioso" della parabola - rimane strettamente analogo
all'onore che i figli devono attribuire ai loro genitori.
L'esempio è
offerto da Gesù stesso. Nella conclusione del cosiddetto "Vangelo
dell'infanzia", dopo la disputa con il dottori del Tempio, Luca racconta che
Gesù ritornò a Nazaret, "e stava sottomesso (subditus)" a Maria e a
Giuseppe.
Approdiamo finalmente a Paolo. Nella parenesi agli Efesini,
l'apostolo si dedica alla "morale domestica", e scrive fra l'altro: "Figli,
obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. Onora
tuo padre e tua madre. Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una
promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sopra la terra"
(Efesini, 6, 1-3). E nella parenesi ai cristiani di Colossi Paolo
ribadisce, in maniera più sintetica: "Voi, figli, obbedite ai genitori in
tutto; ciò è gradito al Signore" (Colossesi, 3, 20).
Ma in alcune
parole di Gesù è possibile cogliere anche una certa relativizzazione del
precetto. Tuttavia, tali parole di Gesù non intendono per nulla sminuire la
portata del comandamento fissato dal Decalogo. Piuttosto, esse richiamano la
coscienza del discepolo alla giusta scala dei valori. Leggiamo nel cosiddetto
"Discorso" di Gesù "sulla missione": "Non crediate che io sia venuto a portare
pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto
a separare" - e qui Gesù cita Michea 7, 6 -; "sono venuto a separare
l'uomo da suo padre e la figlia da sua madre". Infatti, "chi ama padre o madre
più di me, non è degno di me" (Matteo, 10, 34-37). Più avanti, in altro
contesto, proprio a conclusione dell'episodio del giovane ricco, Gesù promette
ai suoi discepoli: "Chiunque avrà lasciato... padre o madre... per il mio nome,
riceverà cento volte tanto, e avrà in eredità la vita eterna" (Matteo,
19, 29). Con queste parole Gesù intende ribadire l'assoluto primato
dell'ubbidienza a Dio rispetto a ogni altra ubbidienza. L'esempio viene - ancora
una volta - da Gesù Cristo stesso. Dopo la disputa con i dottori e il
ritrovamento nel Tempio, egli risponde alle affettuose rimostranze di Maria con
un velato rimprovero: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi
delle cose del Padre mio?". Poi, continua Luca, Gesù tornò a Nazaret con i suoi
genitori, et erat subditus illis (cfr. Luca, 2,
49-51).
Devo fare almeno un cenno alla "grande tradizione cristiana", cioè
ai Padri della Chiesa. E per non disperdermi nel mare magnum delle
testimonianze, mi riferisco anzitutto a quel Padre, che più di ogni altro ha
illustrato la "morale domestica". Si tratta - come è noto - di san Giovanni
Crisostomo, morto nel 407, alfiere della cosiddetta "scuola antiochena". Fedele
al "realismo asiatico", egli declina il comandamento del Signore in una maniera
singolare, e cioè molto di più sul versante dell'educazione dei figli, che non
su quello dell'onore dovuto ai genitori. In pratica, è come se il Crisostomo
ammonisse i genitori così: "Se volete essere onorati dai figli, educateli
bene!". Il capovolgimento è istruttivo, soprattutto in questi nostri tempi,
segnati da una straordinaria "emergenza educativa". La priorità dell'educazione
dei figli su ogni altro impegno dei genitori rappresenta un vero e proprio
leitmotiv della predicazione crisostomiana. "Si posponga tutto
all'interessamento dei figli e alla loro educazione nella disciplina e
nell'insegnamento del Signore!", raccomanda l'omileta, commentando la
Lettera agli Efesini (Omelia, 21, 2). Subito prima egli aveva
apostrofato i genitori con una domanda di perenne attualità: "Non è assurdo
inviare i figli all'apprendimento delle arti e alla scuola delle lettere, e in
vista di questo non risparmiare nulla, e non educarli invece nella disciplina e
nell'insegnamento del Signore?" (ibidem, 21, 1). Dunque, "educhiamo
saggiamente i figli!", non si stanca di ripetere l'omileta. "Il resto verrà da
sé. Infatti, se l'animo non è buono, le ricchezze materiali non gioveranno a
nulla. Se invece l'animo è retto, la povertà non potrà recare alcun danno"
(Commento alla prima Lettera a Timoteo, 9, 2). Del resto, già i
Padri più antichi - tra il primo e il secondo secolo - avevano posto l'accento,
con decisione, sul "timore di Dio", e su di esso fondavano ogni educazione
morale. Tra le virtù maggiormente raccomandate ai giovani, essi elencavano
soprattutto l'amore, l'obbedienza e il rispetto filiali, nonché il dovere
dell'assistenza e del sostentamento nei confronti dei genitori.
Si può
affermare che non c'è alcuna soluzione di continuità fra la "grande tradizione"
della Chiesa e il suo magistero, fino ai nostri giorni. Cito solo, come esempio
un passaggio della Lettera agli Anziani di Giovanni Paolo
II. "Per i popoli dell'area raggiunta dall'influsso biblico" - scriveva
il Papa nel 1999: "Anziano anch'io", confessava - il punto di riferimento del
rispetto dovuto all'anziano "è stato, nei secoli, il comandamento del Decalogo:
"Onora il padre e la madre"; un dovere, peraltro, universalmente riconosciuto.
Dalla sua piena e coerente applicazione non è scaturito soltanto l'amore per i
genitori da parte dei figli, ma è stato anche evidenziato il forte legame che
esiste fra le generazioni. Il comandamento insegna, inoltre, a tributare
rispetto a coloro che ci hanno preceduto, e a quanto hanno operato di bene: "il
padre e la madre" indicano il passato, il legame tra una generazione e l'altra,
la condizione che rende possibile l'esistenza stessa di un popolo". E, osserva
Giovanni Paolo II in maniera conclusiva, "è questo l'unico comandamento a cui è
legata una promessa: "Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi
giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio"".