"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

                                                                                            

 FONTE: Rocca n. 8 - 15 aprile 2009  ( http://www.cittadella.org/pls/cittadella/cittadella.rocca)

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MARIA STELLA GELMINI

Determinatissima ma anche spericolata

di Fiorella Farinelli

Sarà anche «determinatissima» ­così dice di Maria Stella Gelmini il leader più amato dagli italiani - ma   non si può dire che le sue decisioni siano davvero efficaci. O che riescano ad evitare pessime cadute, anche in termini di consenso. Voleva tor­nare alla scuola del «maestro unico «e delle lezioni limitate solo al mattino (sal­vo la riserva indiana del tempo pieno al Nord), e invece ha finito col rilanciare la domanda delle famiglie di entrambe le tipologie di tempo lungo, quello delle 30 ore e quello delle 40 ore settimanali. Con un Mezzogiorno, inoltre, in cui le doman­de di tempo pieno sono cresciute addi­rittura del 35%.

Dev'esserci stata qualche settimana, for­se un mese o due, in cui Gelmini ha cre­duto di poter prendere per il naso le fa­miglie italiane. Nonostante un movimen­to di genitori e di insegnanti che ha occu­pato a lungo le piazze e le prime pagine dei giornali. Nonostante l'evidente contra­rietà di tanta parte dell'opinione pubbli­ca al durissimo attacco al nostro solo set­tore scolastico che esce con onore dalle classifiche internazionali. Nonostante le molte freddezze anche dentro la maggio­ranza. Proteste e inquietudini che la gio­vane ministra ha cercato di aggirare of­frendo alle famiglie la possibilità di scegliere tra diversi orari - a 24, 27, 30, 40 ore settimanali -. Ribadendo ripetuta­mente che i risparmi ottenuti dall'elimi­nazione della scuola ad organizzazione modulare, quella dei tre insegnanti su due classi, avrebbero offerto margini di svi­luppo del tempo pieno. Insistendo, con­tro ogni evidenza, sulle magnifiche sorti e progressive assicurate dal ripristino del maestro unico (e intanto imponendo ai funzionari di viale Trastevere una previ­sione di organico per le prime classi gio­cata sul modello delle 27 ore).

Un gioco delle tre carte che non è basta­to. Perché i modelli a 24 e 27 ore, quelli dove il maestro unico o prevalente c'è davvero, sono stati scelti da non più del 10% delle famiglie, con il 60% che ha in­vece chiesto il modello a 30 ore e con un aumento netto delle opzioni per il tem­po pieno. Nel Sud, ma anche nel Centro e nel Nord. Come si spiega, anche nel Sud che vota compatto per la destra, anche dove il tempo pieno ha avuto sempre vita difficile per il disimpegno di tanti Enti Locali e per lo scarso entusiasmo degli insegnanti, una smentita così vistosa del­le previsioni della vigilia? Ne sono re­sponsabili, come sembra ritenere il mi­nistro, i dirigenti scolastici? Può essere in effetti che alcuni di loro abbiano con­sigliato le famiglie a sparare alto per non perdere tutto, ma non è affatto da esclu­dere che le forzature ideologiche e l'ar­roganza di decisioni assunte senza tene­re in nessun conto le esigenze concrete, i divari territoriali, la qualità didattica, i problemi effettivi delle scuole abbiano convinto molti dell'importanza di una partita che va anche oltre la questione della scuola primaria e dei suoi tempi di funzionamento.

e ora?

Ora, fatti quattro conti, ci vorrebbero qualche migliaio di classi e circa dieci­mila insegnanti in più per rispondere positivamente alla sbandieratissima li­bertà delle famiglie. Una smentita delle decisioni della finanziaria assai impro­babile, almeno dalle parti del ministero dell'economia. E dunque un probabilis­simo tonfo in termini di consenso quando, tra qualche mese, si dovrà rinviare al mittente parte importante delle richieste delle famiglie.

Altri problemi, ancora non evidenti per l'opinione pubblica, potrebbero deriva­re dal probabile prossimo scarto tra of­ferta e domanda nella scuola per !'infan­zia determinato - questa volta per l'osti­nazione politica a tracciare una linea di continuità con il dicastero Moratti - dal­la decisione di rendere possibile fin da quest'anno l'iscrizione anche ai bambini che compiono i tre anni entro l'aprile successivo all'inizio del primo anno sco­lastico. Una possibilità che potrebbe es­sere molto apprezzata dalle famiglie che non riescono - per scarsità dei servizi per !'infanzia (da noi i nidi coprono non più del 12% della domanda potenziale) - a trovare altre soluzioni o che sono costret­te a pagare rette d'oro per i pochi nidi pubblici e privati. Ma se, come molti pre­vedono, questo significasse qualcosa come 100.000 iscrizioni in più rispetto allo scorso anno scolastico, in che modo le scuole pubbliche - statali e comunali - per l'infanzia potrebbero rispondere? Non sono tempi facili, notoriamente, né per le casse dei Comuni né per la spesa statale per !'istruzione. E anche qui, al­lora, è probabile che emergano altre con­traddizioni firmate Gelmini. Determinatissima sì, ma anche spericolata. Perché mal consigliata. Ma sopratutto perché incapace di guardare a quello che signi­fica !'istruzione anche dal punto di vista sociale. E perché indifferente alle inquie­tudini e ai disagi, anche economici, ver­so cui la crisi fa precipitare una parte non piccola delle famiglie italiane.

la quota del 30%

Anche su altri versanti, del resto, si sta gio­cando col fuoco. Perché il ministro Gel­mini, se da un lato è assediata dal ministe­ro dell'economia, dall'altro è evidentemen­te sotto schiaffo, sul delicato terreno del rapporto tra scuola e immigrazione, anche da parte degli scomodi alleati leghisti. Ha per il momento evitato, anche per ragioni di spesa pubblica, di dare un qualche se­guito all' opzione delle classi «ponte» ­quelle in cui relegare gli stranieri - della famosa mozione del capogruppo della Lega alla Camera, onorevole Cota.

Ma ora tira fuori dal cappello, sull'onda degli orientamenti assunti da tanti consi­gli comunali del Nord, la regola per cui in ogni classe, o scuola, non deve esserci una presenza di bambini di origine stra­niera superiore al 30%. In un grande quo­tidiano del Nord (1) compaiono oggi le ironiche reazioni di dirigenti scolastici e insegnanti che, a Torino e nel Piemonte, operano in scuole situate in quartieri ad altissimo insediamento di popolazione immigrata. C'è chi si chiede, giustamen­te, se debbano essere considerati stranie­ri anche i bambini (il 72% di quelli iscrit­ti alle scuole per !'infanzia) che sono nati in Italia e che, sebbene «non cittadini», hanno imparato !'italiano fin dai primi mesi di vita (in questo caso dov' é il pro­blema?). Altri, insegnanti di scuole dove i ragazzini non italiani sono 1'80% degli iscritti, sorridono pensando a come il ministro potrebbe mettere in pratica la sua proposta: «È un banale calcolo mate­matico ... se si svuotano le scuole come le nostre, vuoI dire che bisognerà redistri­buire gli italiani. Me li posso immaginare gli scuolabus che ogni mattina caricano bambini di origine straniera verso le scuo­le del centro e scaricano allievi figli della Torino che conta nelle scuole di periferia, qui da noi». Quanto costerebbero queste operazioni di doppia deportazione? E chi dovrebbe pagarle, se non i Comuni che non riescono più a far fronte neppure al trasporto scolastico dei disabili?

Più seriamente, ma con l'angoscia di chi sa di che cosa parla, c'è poi chi proprio non riesce a farsene una ragione, e pro­prio dal punto di vista educativo: «Il mi­nistro Gelmini ha pensato a che cosa vuoI dire sradicare un bambino dal suo quar­tiere, separarlo dagli amici, dai luoghi e dalle persone che ha imparato a cono­scere? .. Si rende conto degli ostacoli ai processi di integrazione che tutto que­sto produrrebbe? .. Bisogna certo assicu­rare un qualche equilibrio, dove è possi­bile, ma anche tenere conto del fatto che la scuola rispecchia la composizione della popolazione del territorio in cui è in­sediata ... è a monte, nelle città e nei quar­tieri che bisogna realizzare il mix socia­le, solo così l'equilibrio arriverà natural­mente anche nelle classi».

la scuola come servizio di polizia

Ministro inconsapevole, dunque, o cini­co, o condizionato dalle pressioni leghi­ste, ma la scuola - o almeno la sua parte più impegnata e consapevole - sembra pronta a reagire a proposte non pratica­bili. E pericolose per la coesione sociale, i processi di integrazione, la qualità civi­le del nostro paese. Che cosa ci si può aspettare, del resto, da un ministro che non ha detto una sola parola - finché non si è aperto un dibattito anche dentro la destra - sul pericolo che debbano essere anche gli insegnanti, in quanto funziona­ri pubblici, a denunciare gli allievi «irre­golari», se dovesse venire confermato quanto prevede il testo in discussione sul­la «sicurezza»? Che non ha avuto il co­raggio di ricordare il ruolo del sistema educativo e di pretenderne il rispetto? Siamo lontani dalla ferma risposta del ministro Giancarlo Lombardi a un'inter­rogazione parlamentare che gli chiedeva di dare disposizioni in questo senso alla scuola italiana. Quella volta - eravamo negli anni novanta - la risposta fu che il ministro della pubblica istruzione non è il ministro degli interni e che la scuola non è un servizio di polizia. Una distinzione che oggi potrebbe venire travolta, se non fosse per !'intervento dell'onorevole Mus­solini e per le prese di distanza dell' ono­revole Fini. E anche questo la dice lunga sui tempi che stiamo vivendo.

Fiorella Farinelli

Nota

(1) «L’impossibile riforma del 30 per cento», La Stampa, 21 marzo 2009.